Serie TV > Doctor Who
Segui la storia  |       
Autore: Amy Tennant    03/02/2013    7 recensioni
John Smith e Rose Tyler sono insieme e un altro Tardis sta crescendo nel mondo parallelo, nei laboratori di Torchwood. John però sente che qualcosa sta cambiando ed è qualcosa di cui neanche il Dottore era pienamente consapevole.
Una fine può essere l'inizio di qualcosa di totalmente inaspettato.
Anche per Rose.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Catherine era nel panico. Avvolta nell’asciugamano, tremante ma incapace di muoversi, stava seduta vicino alla finestra guardando fuori con occhi spalancati che davvero non vedevano oltre l’ombra dei contorni del suo corpo. Il riflesso la spaventava. A morte. Se l’avesse di nuovo vista, sarebbe morta di paura, ne era certa. Si era trascinata lì quasi in trance, fredda come un pezzo di ghiaccio.
Neanche ricordava esattamente gli attimi dopo aver guardato nello specchio del bagno, dopo essere faticosamente uscita da una vasca d’acqua che davvero le era parsa riempita di ghiaccio sciolto.
Era stato un attimo, un momento che era parso qualcosa di terribilmente lungo e insensato, come quelle voci che le sussurravano dentro.
I suoi occhi chiarissimi l’avevano fissata come fossero altri. E scuri, profondi.  In quel momento aveva perduto i propri lineamenti e aveva visto davanti a sé un’altra.
Non sapeva chi, aveva chiuso gli occhi impaurita, ma… chiunque fosse quella donna era lì; o almeno era stata lì davanti a lei, presente in quel tempo come Catherine lo era davanti a sé stessa di istinto.
Quello l’aveva sconvolta. Più di ogni altra cosa. Più del sussurro continuo sotto ogni pensiero.
Si guardò le mani, incredula. Rosse. Tremavano, anche per il freddo.
Ma doveva riprendere il controllo e lo stava facendo. Il suo respiro andò regolarizzandosi e lentamente Catherine sentì tornare le forze. Si alzò in piedi.
Non era una donna paurosa ed era abituata a fare fronte alle situazioni di crisi. Persino quando si era ritrovata a fuggire dai Cyberuomini aveva percepito in sé una fredda e tranquilla razionalità, a guidare le sue azioni. Eppure quel qualcosa l’aveva terrorizzata.
Perché se stava perdendo la ragione non le restava più nulla. Non era più niente.
Un pensiero emerse dalla sua volontà inconscia e si disse che se qualcuno poteva aiutarla era proprio John. Era certa che avrebbe capito, che sarebbe riuscito a calmarla. A calmarla anche perché vicino a lui si sentiva al sicuro come con nessun altro. E di nuovo si irrigidì.
Come faceva a provare questo genere di sensazione se lei e John avevano avuto un rapporto professionale limitato praticamente alle ore in cui lavoravano insieme? Eppure quella stretta, quel suo stringerla, anche se piano, le aveva fatto ricordare…
Ricordare.
Non poteva ricordare nulla. Eppure lo stava facendo.
Cercò di distendere il ragionamento in qualcosa di razionalmente accettabile, l’avrebbe calmata. Ma non vi riusciva. Non poteva farlo. Aveva bisogno di John. Aveva bisogno…
…Ho bisogno di te, Dottore… !
Aveva bisogno di lui. Perché la cosa aveva a che fare con lui e lo sentiva chiaramente. Anche se non sapeva in che senso e fino a che punto.
I rumori per la strada attirarono la sua sconvolta attenzione sulla realtà e si scosse.
Tenendosi stretta l’asciugamano al corpo cercò di guardare fuori. Ciò che vide la lasciò perplessa.
Un uomo vestito in modo stranissimo, barcollava per la strada tenendosi un fianco. Pensò ad un ubriaco reduce da qualche festa in costume, visto anche il periodo qualcuno aveva iniziato ad organizzarne, ma era ancora presto, decisamente presto anche per iniziare una serata, figuriamoci per finirla.
Lo vide girarsi attorno, sollevare lo sguardo e vista la luce, forse, guardarla. Non poteva vedere i suoi occhi, erano troppo lontani, ma se ne sentì toccata e si irrigidì perché fu una sensazione chiaramente fisica. Catherine ricambiò lo sguardo con un certo timore. Durò un attimo.
Quell’uomo si scosse e si voltò altrove, evidentemente spaventato. Lo vide correre via ma proprio mentre lo faceva Catherine si accorse che sembrava ferito. Cercò di capire se ci fosse qualcun altro dietro di lui ma sembrava non esserci nessuno.
Rimase a fissare la strada deserta poi tirò le tende ancora più perplessa. Chi era quell’uomo?
Per un attimo un pensiero folle l’aveva sfiorata e le era parso che guardasse…
… come John.
Si portò una mano alla testa, era troppo confusa.
… ora dimmi che ti dispiace…
Impallidì. Di nuovo. La voce che non conosceva.
Sapeva a cosa si riferiva ma era una cosa assurda, come un pensiero annoiato. Una cosa senza senso. Lei aveva visto morire suo padre ucciso dai Cyberuomini. Cosa c’entrava con quella strada che vedeva nella sua mente? Cosa c’entrava con l’immagine limpida di quell’uomo con gli occhi gelidi e bellissimi puntati su di lei, offeso, adirato…
…come…
Catherine chiuse gli occhi un lungo momento.
Doveva parlare con John, doveva tornare da lui.
Lui sapeva. Glielo dicevano le stesse voci che sentiva dentro.
 
Doveva andare da lui. Era ciò che desiderava più di ogni altra cosa e sarebbe stato meglio affrontare il pericolo per l’ennesima volta piuttosto che struggersi in quella terribile attesa.
Ma non poteva.
Rose continuava a tormentarsi, continuava a restare chiusa nella loro stanza con quello strano oggetto davanti che ancora non comprendeva cosa potesse fare senza quello che John aveva lasciato in laboratorio. Gli si avvicinò con gli occhi lucidi, timorosa anche di toccarlo.
La parte del cilindro trasparente non l’aveva vista. Aveva la grandezza di un bicchiere e curiosamente era collegata al carillon. L’oggetto era complesso e curioso ma sembrava assemblato in ogni sua parte.
Fece un giro attorno al tavolo, con prudenza.
Poi vide un’altra cosa che prima non aveva notato.
Sembrava una sveglia digitale di forma cubica, una di quelle che proiettava l’orario sul soffitto. Si chiese dove l’avesse presa. Attaccato sul pulsante un foglietto blu con una freccia e sopra scritto “Rose”.
La sua scrittura. Antica e bella. Era piegato in due e lo aprì.
Accigliò la fronte davanti alla riga: “spegni la luce”.
Perplessa prese in mano il cubo di plastica bianca, spense la luce nella stanza e premette il pulsante. Quasi sobbalzò quando si vide davanti un’interfaccia olografica. In tutto e per tutto simile a quella del Tardis e d’istinto le venne in mente l’altra volta che lui l’aveva chiusa da qualche parte allontanandola dal pericolo. Rose si irrigidì.
Come quella volta sembrava uno spettro ma diversamente da quella, guardava fisso oltre di lei.
 
…Ho dovuto fare in fretta e scommetto che non è ben riuscita come avrei voluto ma… basta che sia un supporto dignitoso…
 
La sua voce, appena più metallica.  Decisamente nel suo stile.
Si perdeva nelle parole anche nei momenti meno opportuni. Sospirò con un sorriso istintivo ma era preoccupata. Stranamente, come l’avesse vista, l’immagine di lui sorrise.
 
Aem… ciao, Rose…
So che stai pensando: potevi scrivermi un biglietto? Naaaa, troppo noioso!
E non voglio lasciare qualcosa in giro che possa perdersi, non mi fido dei fogli...
 
-          Tu sei sempre il solito… - disse come lo stesse ascoltando.
 
…So anche che in questo momento starai combattendo davanti alla porta per non uscire e andare a cercarmi ma… Rose, ascoltami bene: io non voglio che tu mi segua. Non questa volta.  
Sei al sicuro, nella tua casa.
Ma non lo sarò io se farai capire a tuo padre dove io possa essere perché non posso fidarmi di lui completamente.
So che intuisci dove io mi trovi ed hai ragione.
Ma oggi pomeriggio la visita di Catherine Lane mi ha fatto comprendere che la realtà è peggiore di qualunque cosa pensassi e quindi devo andare a vedere e farlo ora...
 
Rose rimase turbata. Non sapeva che fosse stata a casa. Doveva averlo cercato mentre lei era impegnata con sua madre per gli addobbi. La cosa le diede molto fastidio e strinse le labbra d’istinto. Ancora una volta fu come se lui avesse potuto sentirla.
 
… so cosa provi ogni volta che ti nomino Catherine ma…Credimi, le hanno fatto del male, un male profondo. Dopo la sua visita…
Ho capito in che senso l’altro Me ha definito la metacrisi “pericolosa”.
Lo sono. Persino più di quanto il Dottore sia stato tale in passato.
 
Per Rose era ormai irreale credere che quell’uomo di cui conosceva l’infinita dolcezza potesse essere  anche qualcosa del genere. Ma l’aveva visto combattere e sapeva che aveva ragione.
 
…In ogni caso…Catherine è una vittima.
Spero sia la sola di questo genere almeno, ma ne dubito.
L’ho toccata, Rose.
 
Rose si irrigidì e lo guardò offesa chiedendosi in che senso l’avesse toccata. Poi si diede della stupida da sola, perché anche se le parlava attraverso quel messaggio olografico, ormai conosceva il suo sguardo e i suoi occhi cambiavano sempre, quando parlava con lei. Da sempre.
 
… io l’ho toccata per capire e ho capito.
Nei laboratori del Torchwood stanno facendo degli esperimenti e sono sicuro che siano esperimenti su degli alieni ma non solo. Sono andati al di là di qualunque mio timore e Catherine… mi ha fatto avere paura di me stesso. Di non riuscire a controllare la mia rabbia verso chi è stato responsabile di un simile scempio perché… io non penso si possa fare più male di quello che hanno fatto a quella donna.
 
Rose era confusa. Cosa voleva dire? Le sembrava una persona assolutamente normale, le pareva decisamente …
 
… Ora però viene il difficile, Rose. Ho bisogno di te.
Ho bisogno di te dove sei adesso. Non solo ad aspettarmi…
Se io non tornassi in tempo…
 
Gli occhi di Rose si spalancarono.
-          No, non farmi questo, Dottore…  – mormorò.
 
… il Tardis potrebbe restare cieco. Ho esaminato i dati… c’è un picco.
Un picco che fa pensare al fatto che debba aprirsi al più presto, questione di ore. E’ anche per questo che ho deciso di andare al Torchwood. Andarci fin quando riuscirò a stare in piedi.
 
Rose lo guardò turbata.
 
…Pete mi ha somministrato un farmaco messo a punto dai laboratori del Torchwood, un farmaco molto potente che apparentemente mi stabilizza ma mi fa del male.
 
Rose impallidì.
Suo padre aveva …
 
… Non devi preoccuparti comunque. Ho ottimizzato il dosaggio, sono degli incompetenti, ne bastava molto meno per tenermi in condizioni apparentemente accettabili ma…
Non potrò resistere molto…
 
Glielo stava dicendo dolcemente, calmissimo. La stava rassicurando ma Rose era sconvolta.
Strinse tra le mani la sveglia e così forte che sentì scricchiolare la plastica del rivestimento esterno.
 
… è giunto il momento di chiamarla e mi ha detto come fare, in sogno.
Ma il Tardis deve sapere dove andare e questo luogo deve essere… protetto. Oppure la realtà verrà inghiottita da un buco nero…
Beh no,  non è un buco è… una sorta di…
… ah, lascia stare!
 
Lei rise appena ma parve quasi un singhiozzo tra le lacrime, aveva gli occhi lucidi. Anche lui, lo vedeva chiaramente.
 
…  Ora ti spiegherò come accordare il carillon e in fondo… è semplice.
Il Tardis entrerà nello spazio da te indicato e per pochi minuti esisterà qui, per poi ritirarsi nella dimensione metatemporale in cui sta costituendosi. Si materializzerà nuovamente in questo mondo appena avrà raggiunto uno stato di coerenza ambientale ossia… quando avrà capito come definirsi qui e ora. Lo farà molto presto.
Apparirà la prima volta in condizioni che non immagino e il più vicino possibile a me… è la mia speranza, almeno.
La seconda volta sarà del tutto in questo universo e in condizioni fisiche completamente stabili.
 
Il Tardis quindi sarebbe apparso due volte in tempi ravvicinati, pensò Rose. L’ologramma continuò.
 
…La sua prima manifestazione serve a farlo adeguare a queste condizioni ed avviene totalmente in stato di rischio per entrambe le realtà, ma non posso fare nulla per questo. E’ la prima volta che un Tardis è ibrido…
… ho… messo a punto un congegno regolato sul carillon e quando sarà accordato io potrò sentirlo. E spero… che mi trovi, dove sarò. Perché avrò bisogno di… Lei.
Devi riuscire a mandarla da me.
Io mi fido di te, io credo…
...credo in te.
 
-          Ora spiegami quel che devi e convincimi che non devo venire io a prenderti! – mormorò Rose spazientita e sempre più tesa. L’ologramma iniziò ad esporre lentamente ciò che avrebbe dovuto fare ma all’improvviso l’immagine iniziò a sparire frazioni di secondo fino a singhiozzare tanto da rendere il messaggio incomprensibile. Rose d’istinto diede dei colpetti al cubo di plastica ma l’ologramma si fece ancora più sottile fino a sparire del tutto - oh, mio Dio! No! – ringhiò con gli occhi lucidi già nel panico – che cosa sta succedendo? Cosa…? – si spense tutto e rimase al buio. Il suo respiro ansioso le parve talmente forte da sembrare quello di qualcun altro sommato al suo. Rose cercò la luce e la accese nuovamente nella stanza.
Lo squillo del telefono di casa quasi la spaventò.
 
Daniel Tashen aspettava quella chiamata. La prese in auto, già diretto al Torchwood.
-          Signore, è tutto pronto – disse la voce al telefono.
-          Sono entrati nell’edificio?
-          Sì, sono dentro. Diretti alla trivella.
-          Perfetto. Potremo sperimentare la sua potenza allora – rise.
-          Procediamo con il piano?
-          Secondo quanto stabilito. Sarò lì tra poco.
-          Devo chiamare Pete Tyler, signore? – Tashen piegò le labbra in un ambiguo sorriso.
-          No… è già impegnato per il ricevimento di domani – disse ironicamente – lasciamolo tranquillo con la sua famiglia. Chiami invece il Presidente e lo informi che i terroristi della Unit sono nell’edificio – chiuse la telefonata proprio quando la macchina si fermò davanti all’ingresso del palazzo.
 
Rose era sempre più nel panico. Non riusciva capire come mai non funzionasse.
Solitamente i marchingegni messi su dal Dottore erano piuttosto strambi ma affidabili. Certo poteva darsi che la fretta l’avesse portato a non fare un lavoro perfetto, visto quel che aveva usato ma lo trovò strano lo stesso.
Maledì che non le avesse lasciato un semplice pezzo di carta anche se in effetti non sarebbe stato prudente. Un ologramma poi avrebbe avuto il vantaggio di rassicurarla, per quanto possibile, e lui lo sapeva.
Con in mano ancora la sveglia modificata, scese le scale per andare al piano di sotto e incontrò suo padre.
Si irrigidì. Le parole di John riecheggiarono nella sua mente.
Pete gli aveva somministrato un farmaco del Torchwood, un farmaco pericoloso. Sembrava che il Dottore fosse d’accordo ma era qualcosa che stava facendogli del male. Come poteva, suo padre, aver accettato di fare una cosa simile? Avrebbe voluto chiederglielo senza mezzi termini.
Ma non poteva tradire John, doveva controllarsi.
Pete tuttavia la percepì istintivamente come agitata e le rivolse uno sguardo interrogativo.
-          Rose… va tutto bene?
-          Sì… certo – mormorò ma con esitazione. Pete guardò quello che stringeva in mano.
-          Che cosa ci fai con quella vecchia sveglia?
-          Ah, è una cosa che volevo mostrare a John… ma lui non c’è… - Pete aggrottò la fronte.
-          Credevo fosse in casa a riposare…
-          È… uscito per delle spese sai… non ha avuto molto tempo per comprare i regali… - Pete annuì gravemente.
Una scusa banale era la più plausibile.
-          Dovrò dire a Catherine di aspettarlo, allora – Rose lo guardò perplessa – sì, ha telefonato prima. Ha detto che aveva dimenticato di prendere una cosa che le serviva, quando è venuta qui da John.
-          Ah, sì… John mi ha detto che è stata qui questo pomeriggio.
-          Pensavo che fosse uscito prima… - Rose si morse le labbra e provò a sottrarsi allo sguardo indagatore di suo padre. Era troppo nervosa.
John aveva riposto la sua fiducia in lei ma non poteva fare niente di quello che era necessario facesse. Quel dannato affare non funzionava e non sapeva come ripararlo. Continuava a tenerlo tra le mani come scottasse e Pete lo guardò con curiosità.
-          Perché volevi mostrare questa cosa a John?
-          Perché è un ridicolo orologio… - tirò una lieve risata – e lui è un signore del Tempo con l’ossessione per gli orologi, so già che finirà per giocarci  – Pete accennò ad un sorriso.
-          Terrò presente la cosa allora quando …
Il campanello interruppe la discussione.
Erano praticamente nell’ingresso e Pete si diresse verso la porta facendo un cenno alla ragazza della servitù che stava andando ad aprire.
-          Dottoressa Lane, buonasera – la donna ricambiò il saluto di Pete ed entrò in casa.
Appena la vide Rose rabbrividì. Era terribilmente pallida ma non era questo che la faceva sembrare… strana. Non comprendeva razionalmente di cosa si trattasse ma qualunque cosa avesse sentito o visto John in lei, iniziava a percepirla. Stava diventando evidente.
Ma non per Pete, a quanto pareva. Chiunque, se l’avesse vista come la vedeva lei in quel momento, le avrebbe chiesto per lo meno se stesse bene. Perché non sembrava, decisamente.
Catherine Lane fissò Rose turbata.  
Pete entrambe, abbastanza perplesso dal momento di silenzio tra loro.
Poi ripensò che poteva essere dovuto a John. In fondo la dottoressa era lì per vederlo e come si era reso conto lui di quel che lei provava, a maggior ragione doveva averlo fatto Rose.
Il nervosismo tra loro era palpabile. Decise di spezzare il momento in sospeso.
-          Dottoressa, mi dispiace molto che si sia precipitata qui prima che potessi raggiungerla al cellulare, quando le ho risposto credevo John fosse in casa ma è uscito.
-          Uscito…
-          Ultime spese natalizie – disse Pete – ma può aspettarlo…
-          Se fosse possibile... ma non vorrei essere di disturbo – Rose cambiò espressione.
Improvvisamente un’idea.
L’ultima speranza in tal senso.
Ma doveva aiutarlo, doveva riuscirci.
-          Dottoressa Lane, John mi ha lasciato quella cosa per lei… – disse e Catherine la guardò incuriosita.
-          Ha… lasciato…?
-          Non è venuta per questo? – Rose sorrise e la donna la fissò intensamente  – bene, allora mi segua.
-          Ma dovrei anche chiedere a John…
-          Intanto le consegno la cosa – insistette Rose. Catherine capì e annuì.
Pete le guardò entrambe salire la scala che portava all’appartamento di sopra.
Dalla voce al telefono, la dottoressa sembrava davvero molto preoccupata. Si chiese cosa potesse aver lasciato di così importante da averla spinta a tornare indietro e non aspettare un giorno, visto che l’indomani ci sarebbe stato il ricevimento. Era una donna apprensiva, più di quanto non gli fosse parso all’inizio. La sua attrazione per John l’aveva resa più fragile, era evidente.
Con un sospiro pensieroso Pete si allontanò verso il salone.
Rose fece strada a Catherine fino alla loro stanza.
Entrambe si sentivano a disagio e molto nervose, insieme. Il nervosismo di Catherine aumentò quando si trovò nella loro camera da letto.
La guardò interrogativamente. Rose rispose con un cenno che indicava la scrivania. Sopra la dottoressa vide il dispositivo legato ad un gioco per bambini da una serie complessa di fili. La guardò esitando.
-          John dice che è completo ma io pensavo ci volesse la parte che è rimasta in laboratorio – disse Rose. Catherine osservò interessata l’assemblaggio – penso che, diversamente da me, lei abbia un’idea di cosa sia esattamente questo oggetto.
-          Lo ha legato ad un risonante ultra dimensionale… - mormorò pensierosa. Rose la guardò sorpresa. Catherine stessa si stupì di aver compreso cosa avesse fatto John. Ultimamente le veniva più facile e nonostante la sua lucidità stesse andando perdendosi in quel delirio mentale estremo.
Il suo sguardo smarrito e la sua esitazione colpirono Rose.
-          Dottoressa, si sente bene…? – la donna annuì.
-          Dimmi perché mi hai portato qui, Rose – disse cercando di tenere la voce più ferma. Rose le porse la sveglia di plastica e Catherine la guardò perplessa – cosa…?
-          John ha realizzato un’interfaccia olografica con questo – Catherine fissò l’oggetto smarrita.
-          Geniale… - disse ammirata e Rose ebbe un gesto di fastidio istintivo.
-          Sarà geniale come dice ma non funziona!
-          Qual è il problema…?
-          Non è stabile, sembra fluttuare. Dottoressa, io ho bisogno di ascoltare il suo messaggio perché è importante. Molto più importante di quel che possa dirle – il tono della ragazza fece capire a Catherine che Rose non esagerava al proposito.
-          John è in pericolo…?  - chiese allarmata. Rose la fissò negli occhi un lungo momento.
-          La prego… se tiene a lui… Mi aiuti a ripararlo…! – Catherine girò l’oggetto tra le mani e poi guardò l’espressione tesa di Rose. Abbassò lo sguardo e annuì.
-          Vediamo di capire perché non funziona – disse mettendo l’oggetto sulla scrivania e iniziando ad aprirlo con estrema attenzione.
Rose si avvicinò a lei con un certo timore.
Quella donna la innervosiva ma i sentimenti per John erano sinceri, lo percepiva chiaramente. L’avrebbe aiutata di certo. Sperò che facesse in fretta perché il tempo era poco. Cercava di non pensare al fatto che fosse andato al Torchwood convinto di poterne uscire con il Tardis. Era azzardato, imprudente.
Era assurdo. Eppure tutti quei conti sui quali si era accanito nello studio forse erano quello, calcoli sul momento giusto. Arrivato presto e subito dopo la visita di quella donna, la strana donna che aveva davanti.
Guardandola lavorare Rose pensò stranamente che Catherine Lane somigliava molto a qualcuno. Qualcuno che conosceva bene. Non riusciva però a capire di chi si trattasse.
Intanto aveva completamente dimenticato che nel messaggio John parlava di lei.
  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Doctor Who / Vai alla pagina dell'autore: Amy Tennant