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Autore: formerly_known_as_A    28/08/2007    10 recensioni
Dopo aver letto "sunshine in winter", mi è venuta in mente la trama per questa fanfction...
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Vincent Valentine, Yuffie Kisaragi
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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I would hold you in my arms

I would hold you in my arms

I would take the pain away

Thank you for all you've done

Forgive all your mistakes

There's nothing I wouldn't do

To hear your voice again

Sometimes I wanna call you

But I know you won't be there

 

Ohh I'm sorry for blaming you

For everything I just couldn't do

And I've hurt myself by hurting you

 

There's nothing I wouldn't do

To have just one more chance

To look into your eyes

And see you looking back

 

Ti stringerei tra le mie braccia

Farei scomparire il dolore

Ti rigrazierei per tutto ciò che hai fatto

Perdonerei tutti i tuoi errori

Non c’è nulla che non farei

Per sentire nuovamente la tua voce

A volte vorrei chiamarti

Ma so che non saresti lì

 

Mi dispiace per averti accusato

Di ogni cosa che non riuscivo a fare

E ho ferito me stessa, ferendo te

 

 

Non c’è nulla che non farei

Per avere solo un’altra possibilità

Di guardare nei tuoi occhi

E vedere che mi guardi a tua volta

 

 

Hurt

Christina Aguilera

 

 

 

 

 

 

-Vincent?-

 

Shelke. Il suo tono era decisamente preoccupato. La sua voce tremava.

Qualcosa non andava.

 

-Shelke, che succede?-

 

Non chiamava mai, al massimo si auto-invitava in casa sua, per tenergli compagnia. Ormai era abituato a quella ragazzina piena di contraddizioni. Le aveva confessato di essere molto timida. Ma questo non le impediva di participare a tutte le serate karaoke di Edge.

Era un ossimoro vivente. Esattamente come lui.

 

-Si tratta di Yuffie... Si trova all’ospedale di Mideel... Al momento la stanno operando...- sussurrò la ragazza, con voce rotta dal pianto.

 

-TS. Barbiturici.- aggiunse Shytry, appropriandosi della cornetta. –Ci sono poche speranze che si salvi.-

 

TS. Tentato Suicidio.

La strana freddezza con cui la donna aveva pronunciato quella sigla lo terrorizzò. Come se fosse ordinaria amministrazione. Come se un corpo freddo e morto non fosse altro che un ammasso di cellule senza rilevanza.

Non era più abituato al gelido soffio che evocava la parola suicidio.

 

Si sedette pesantemente sul divano. Lo stesso divano su cui aveva dormito per tanto tempo.

Non riusciva a collegare un tentato suicidio a Yuffie. No, Yuffie era forte. E poi, perché avrebbe dovuto suicidarsi? Nella sua ultima lettera affermava di essere felice. Che insegnare era ciò di più bello le era capitato. Allora, perché? Gli aveva sempre detto che era un debole, se voleva suicidarsi, che lo faceva solo per fuggire dalle proprie responsabilità...

O, almeno, all’inizio. Durante la loro prima lite.

 

Perché?

 

Che ne dici di venirmi a trovare? Mi sento sola, nonostante i miei cinque gatti e Blanche...

 

Era sola. L’aveva lasciata da sola, durante più di un’anno. Non le aveva mai telefonato. Le aveva mandato un solo telegramma. Un solo fottuto telegramma per tutte quelle lettere che l’avevano tenuto attaccato alla vita.

 

-Vincent? Io e Shelke siamo a casa sua. Raggiungici al più presto.-

 

-Parto adesso.-

 

 

 

–... Tu sai esattamente ciò che ho fatto per te. Sai che cosa provo per te. Se non sai fare due più due, ti prego, torna alle elementari!-

 

Sapeva cosa provava per lui. Ma non aveva mai capito. Non aveva capito quanto le era costato andarsene. Buttava un sogno per un altro. Ed erano i due più importanti.

 

Non si era accorto delle sue lacrime. Erano lì, invisibili. Come lame d’argento sul suo cuore.

E le sue grida disperate, afone... Perché non si era accorto di nulla? Era così cieco?

 

Perché vale la pena di vivere?

Perché ci sono troppe persone che soffrirebbero a causa della tua morte, ovviamente.

 

Si massaggiò le tempie, cercando di non soccombere ai ricordi. Avrebbe dovuto seguirla. Dopotutto, l’amava. Perché non l’aveva seguita? Sarebbe stato così semplice! Era stato così stupido...

 

Aveva dimenticato quello che aveva provato nella stanza bianca. Quando aveva pensato all’eventualità di perderla per sempre. Di arrivare troppo tardi. Quando pensava che si fosse sacrificata per lui.

 

-Ancora un esame passato con il massimo dei voti!- esclamò, con un largo sorriso. Il sorriso che gli piaceva tanto.

 

Avrebbe voluto dirle quanto la invidiasse. Riuscire a studiare mentre si occupava di lui doveva essere molto difficile.

Avrebbe voluto dirle quanto fosse fiero di lei.

E invece... Aveva perso ogni possibilità di dirle tutto questo.

 

Strinse i pugni. No. Non era morta. Non poteva morire.

 

–Io non sono Lucrecia! Mi hai sentito?! Non voglio che mi dimostri chissà cosa! A me vai benissimo così! Lo so benissimo che non sei solo un freddo bastardo! Mi dispiace! Mi dispiace davvero! Ero arrabbiata con me stessa! Ho fatto una cosa orribile e avevo paura di quello che avresti potuto pensare! Ti prego... Non andare via...-

 

Non voleva che cambiasse, ma avrebbe voluto che, almeno, le dimostrasse un pò di... Affetto. Nemmeno amore. Lei sapeva che non avrebbe mai sentito quella frase uscire dalle sue labbra. Si era rassegnata.

Ma non era giusto. Non era giusto rassegnarsi all’evidenza che la persona che amava non le avrebbe mai detto che senza di lei si sentiva persa, che l’amava come non aveva mai amato nessuna donna, prima di lei.

 

Perché non era riuscito a dirle che l’amava? Era la verità. In tre anni, il pensiero, la frase, era là, incisa nella mente dell’uomo, ma, ogni volta che avrebbe voluto pronunciarla, non riusciva. Era troppo difficile.

 

E poi...

Non andare via... Era la preghiera che lei ripeteva più spesso.

Quanto le era costato strappare sé stessa dal loro appartamento?

Quanto gli era costato rimanere soltanto a guardare, ancora una volta?

 

Nulla. Tutto. Lei.

Lei se ne stava andando.

 

-Non andare via.- ripeté, stringendo ferocemente i pugni.

 

 

 

Osservò la porta dell’appartamento, indeciso sul da farsi. Perché non gli avevano detto di andare in ospedale? Era veramente troppo tardi?

 

Fece un respiro profondo e bussò.

 

La porta si aprì quasi immediatamente. Arretrò, trattenendo il fiato.

 

-Maestra, non è Jeremiah...- sussurrò qualcuno. Non riusciva a vedere chi fosse. A dire il vero, non riusciva a distogliere lo sguardo dagli occhi grigi di chi gli aveva aperto la porta.

 

-No, non è lui, Albert... – pigolò Yuffie, cercando di trattenere le lacrime. –Esco un attimo. Fai attenzione ai miei gatti.- tentò di articolare, socchiudendo la porta.

 

La osservò. Non credeva ai suoi occhi. Aveva i capelli corti, come quando si erano conosciuti. E nei suoi occhi c’era la stessa rabbia, lo stesso orgoglio. Per un attimo credette che fosse un’allucinazione. Un crudele scherzo del suo subconscio. Ma a sedici anni Yuffie non si sarebbe mai vestita in modo così sobrio ed elegante.

 

-Yuffie... Shelke... Shytry... Avevano detto...- balbettò l’uomo.

 

-Che cosa ci fai qui?- sibilò la ninja, a denti stretti.

 

Represse l’istinto di abbracciarla. Sembrava arrabbiata.

Shelke e Shytry avevano mentito. Avevano mentito affinché l’andasse a trovare. Affinché riflettesse sui propri sentimenti.

 

-Sono passati due anni! Con che diritto ti presenti qui?!- sbottò, spingendolo con tutte le proprie forze.

 

Lasciò che lo picchiasse. Se l’era meritato, dopotutto. Quando la donna, in lacrime, crollò sulle ginocchia, s’inginocchiò accanto a lei e l’abbracciò.

 

-Shytry e Shelke mi hanno chiamato. Hanno detto che eri in fin di vita.-

 

-Con che diritto ti presenti qui?! Dimmelo! Non puoi comparire e scomparire dalla mia vita in questo modo! Hai pensato all’eventualità in cui mi fossi trovata qualcun altro?! Ci hai pensato?!- urlò lei, continuando a tirargli deboli pugni sul petto.

 

-Ed è così?-

 

-No... Certo che no! Sono innamorata di te, cretino!- esclamò, dirigendo il pugno verso la sua faccia ma fermandosi a mezz’aria. Gli accarezzò il viso e lo baciò, quasi disperatamente.

 

-La maestra piange?- chiese una vocina.

 

Vincent alzò la testa, osservando un bambino di circa sei anni fissarlo con astio.

 

-Sei stato cattivo con la maestra?- lo minacciò, dall’alto del suo metro e dieci.

 

L’ex turk si alzò ed aiutò la donna a reggersi in piedi. Poi osservò il nano. –Sì.-

 

Yuffie si asciugò le lacrime e si abbassò fino a raggiungere il livello di quello che doveva essere Jeremiah: -Hai dimenticato di nuovo il diario, vero?- chiese, con un sorriso diverso da quello a cui era abituato. Era radioso.

 

Il nano annuì, arrossendo.

 

-Vallo a prendere, è sul tavolo. E porta con te tuo fratello, per oggi la lezione è finita. Mi raccomando, dai il meglio di te, alla partita!- esclamò la donna, con dolcezza, scompigliandogli i capelli.

 

Per un attimo, l’ex Turk tentò di ricordarsi la sua prima insegnante. Gli tornò in mente il suo righello da trenta centimetri e il dolore che gli provocava riceverlo sulle dita.

 

-L’avrebbe voluta anche lei una maestra come lei, vero?- sussurrò una voce femminile grave. Si voltò di scatto. La portinaia, una donna dall’età indefinita e l’aspetto mascolino, appoggiata ad una scopa, ammiccò. –Si vede da come si guarda insistentemente le mani... Ma lo sa, ai nostri tempi lei ancora non era nata, la riforma della scuola era un sogno lontano... Sa, mi sono presa dei colpi di manganello nel sessantotto, dai Turk, quelle bestie! Ah, se ne avessi uno a portata di mano, ora!- sbraitò, combattiva.

 

Vincent si allontanò impercettibilmente da lei, inquieto e le risolse un sorriso nervoso.

 

-Ma se fosse stata la sua maestra l’avrebbe guardata in quel modo? Uhm... Non credo...-

 

Si voltò nuovamente verso di lei, ma era scomparsa.

 

-Allora, cosa vuoi?- chiese Yuffie, fredda.

 

L’osservò. Aveva le mani sui fianchi, esattamente come una maestrina arrabbiata. Trattenne l’urgenza di ridere. Non era da lui. E poi, c’erano situazioni più urgenti da sistemare, in quel momento.

 

Doveva dirle che l’amava. Aveva fatto ottocento chilometri in elicottero, dopotutto. Qualcosa doveva pur dirle. A parte dirle di non tentare mai un’esperienza del genere. I sedili erano dei modelli Inquisizione Spagnola.

 

Scosse la testa e fece un respiro profondo.

 

-Yuffie...-

 

-Vincent?-

 

Lo fissava con sguardo omicida ed un sopracciglio alzato. Ma era tremendamente carina anche così.

 

-Ehrm... Volevo solo... Chiederti... Hai dello zucchero?-

 

-Che cazzo dici, eh?!- sbottò lei, tirandogli un coppino. –Vuoi forse farmi credere che hai fatto ottocento chilometri solo per chiedermi dello zucchero, cretino che non sei altro?!-

 

-Non sei cambiata per niente da quando avevi sedici anni...-

 

-Bè, che ti aspettavi?! Che mi fosse magicamente spuntata una quarta e che fossi una giraffa di un metro e settantotto?! Mi dispiace deluderti, Vincent Valentine, ma...!- iniziò lei, acida.

 

-Sposami.-

 

Oh Shiva! Perché? Perché era così immensamente idiota?

 

-Bè, questo è un buon motivo per farsi ottocento chilometri... Ma mi sarebbe bastato anche lo zucchero...- sussurrò con un filo di voce la ninja, avvicinandoglisi ed abbracciandolo. –Sei una merda.- singhiozzò.

 

-Grazie. E’ un sì?- azzardò l’ex Turk, ricambiando l’abbraccio.

 

-E’ un sì, idiota...-

 

 

 

L’ANGOLO DEI MALATI DI MENTE

 

Allora, questo è per coloro che non amano i finali aperti... Che ve ne pare?

Volevo un finale lieto, l’ho sempre voluto per questa fic, ma non melenso, altrimenti si sarebbe persa l’essenza vera e propria della storia.

La canzone volevo inserirla molto prima, ma poi me la sono completamente dimenticata... Penso che si adatti molto alla situazione e all’atmosfera generale della trama e poi, è molto bella. Vi consiglio di ascoltarla mentre leggete il capitolo...

Spero non vi siate spaventati troppo all’inizio. Per mesi ho tentato di trovare un motivo per il quale Vincent potesse andare da Yuffie. Il motivo dello zucchero mi era piaciuto molto, ma non andava bene... ^_^ Lo scherzetto delle sorelle Rui mi è venuto in mente solo l’altro ieri...

Non volevo inserire il PV di Vincent, perché scrivere al maschile non mi piace molto, ma alla fine mi è sembrata l’unica soluzione possibile.

 

Bene bene... Vorrei ringraziare ancora una volta tutti coloro che hanno letto e commentato in questo anno... E’ grazie a voi che sono riuscita a finire...

 

   
 
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