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Autore: Kary91    08/02/2013    11 recensioni
Sono trascorsi quasi trent'anni da quando abbiamo incontrato per la prima volta Elena Gilbert e i fratelli Salvatore.
A Mystic Falls molte cose sono cambiate da allora; i ragazzi sono cresciuti, gli adulti invecchiati. Nuove generazioni di adolescenti portano il cognome delle famiglie fondatrici, eppure certi dettagli hanno concluso per rimanere in circolazione nella vita di ogni giorno destinati a ripetersi all'infinito ; in un modo o nell'altro la storia si ripete e Caroline Forbes di questo è al corrente, nel momento in cui decide di tornare a Mystic Falls:questa volta per restare.
***
“…Hai presente quando eravamo piccoli e io cercavo di farti cagare sotto, raccontandoti storie di cadaveri sanguinolenti e orripilanti mostri succhia-sangue?”
Jeffrey assunse un’espressione perplessa.
“Me lo ricordo fin troppo bene, direi…”
“Ricordi anche quando cercavo di convincerti che mio padre fosse un lupo mannaro?”
“Per via di quella storia, avevo incominciato ad andare nel panico ogni volta che rimanevo da solo in una stanza con lui…”
“…E se ti dicessi che non tutte le stronzate che dicevo da bambino fossero effettivamente delle balle?”
“Ti risponderei che bevi troppo.”
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elena Gilbert, Jeremy Gilbert, Matt Donovan, Nuovo personaggio, Tyler Lockwood
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'It calls me home.'
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Chapter 10.

There Goes the Neighborhood.

 “Alexander! Xander, a casa, per favore.”

“Alexander” ripeté Jeremy con un guizzo divertito nello sguardo.

“Allora è così che ti chiami!”

 

Il piccolo scosse cocciutamente il capo, nascondendosi sotto la panchina.

“No, non mi chiamo così.” ribatté, infilando le dita nelle scanalature del legno.

 Jeremy rise.

 

Da Pyramid.

University of Colorado (Boulder, Colorado) .

Alexander Davies scoccò un’occhiata distratta ai pedoni che stavano attraversando sulle strisce e sbadigliò. Si sistemò con la mano i capelli arruffati per poi far scorrere un dito sui bottoni dell’autoradio, deciso a trovare una canzone decente da ascoltare. Aveva lo sguardo meno vispo del solito solo perché aveva deciso di sfidare il piagnisteo esasperato della sveglia fino all’ultimo, rinunciando così alla sua dose quotidiana di caffeina. Aveva cominciato a bere caffè quando era poco più che uno sbarbatello vivace e perditempo; a lungo andare l’abitudine si era trasformata in effettiva dipendenza, seconda solo al suo interesse per le donne. E le scommesse, forse. Quel mattino, tuttavia, non poteva concedersi più minuti di ritardo rispetto a quelli che si era già ritagliato, perciò si era alzato di controvoglia, aveva arraffato una maglietta e dei jeans e si era fiondato in macchina. I quarantacinque minuti che separavano Denver da Boulder avevano costituito la parte più tediosa della sua mattinata: detestava stare fermo troppo a lungo e le attese lo rendevano ancora più impaziente e irrequieto. Non che non ci fosse abituato, ai lunghi viaggi. Fare il paleontologo richiedeva spostamenti continui, innumerevoli giornate spese in aereo e capatine ai luoghi più impensabili del globo, spesso per assistere a convegni barbosissimi che non destavano in lui il minimo interesse. Se si tratteneva più di due mesi in un posto, Lex incominciava a sentirsi pressato, spremuto tra due lembi di terra, sopraffatto dalle abitudini che stavano iniziando a costruirsi attorno a lui. E così si spostava; anche solo per un paio di giorni. Fortunatamente i suoi impieghi lo tenevano di rado inchiodato da qualche parte troppo a lungo; aveva imparato a convivere con quello stile di vita giusto l’indispensabile, in maniera da potersi godere a pieno l’altro aspetto della medaglia: il vagabondaggio in giro per il mondo senza preoccupazione alcuna oltre al lavoro. Il non avere radici, né aspettative. L’esserci e basta. Se non altro, si trovava a pensare spesso, l’immobilità non sarebbe mai stata una costante nella sua vita.

Lex incominciò a rallentare solo una quindicina di minuti dopo essere arrivato a Boulder. Sorrise istintivamente quando riconobbe l’ingresso al campus principale della University of Colorado, prima di attraversarlo. Parcheggiò infine di fronte a uno degli edifici più vecchi, non troppo distante da quello di geologia. Scese dall’auto e si concesse un minuto per guardarsi attorno, un sorriso accattivante ad arricciargli le labbra: in quell’università aveva trascorso cinque dei suoi anni migliori. Era piacevole scoprire che non fosse cambiata poi più di tanto, rispetto all’ultima volta che ci aveva messo piede. Dieci minuti dopo stava già bighellonando nella Lecture Hall dell’edificio principale, strofinandosi le mani fra loro. Analizzò l’esposizione di reperti archeologici con scarso interesse, per poi spostare lo sguardo in direzione di una coppia di studentesse a un paio di teche di distanza. Sorrise, quando le due ragazze rivolsero una rapida occhiata nella sua direzione; una delle due si lasciò sfuggire un risolino, parlottando a bassa voce con l’altra. Lex era sul punto di esordire con una delle sue classiche frasi di adescamento, quando una terza persona si introdusse nel salone.

“Alexander! Ti stavo aspettando.” esclamò il nuovo arrivato, porgendogli la mano con un sorriso amichevole. Lex la strinse. “Professor Harlow….” lo salutò, sorridendo affabile.

Harlow era uno dei docenti di archeologia della facoltà. Da quando Lex era tornato a Denver, l’insegnante gli aveva proposto di passare a trovarlo almeno cinque volte, e all’ultimo invito il ragazzo aveva deciso di accettare. I due conversarono del più e del meno per una decina buona di minuti, fino a quando Harlow non si decise a tirar fuori il motivo del suo invito.
“Forse converrebbe spostarci nel mio ufficio…” costatò a voce bassa, analizzando con espressione insicura la studentessa che stava osservando le teche in fondo al salone: la sua amica doveva essere uscita mentre loro due parlavano. Nuovamente, Lex intercettò lo sguardo della giovane e abbozzò un sorriso accattivante.

 “Mi piace qui.” dichiarò infine con fare sornione, mettendosi a braccia conserte. Rivolse all’uomo un’occhiata attenta, per invitarlo a proseguire con il discorso. Harlow scoccò un’occhiata innervosita alla ragazza, ma infine sospirò, arrendendosi alla sua presenza. Estrasse il suo iPad da una cartellina che portava sotto il braccio e prese a frugarne il contenuto.

 “Queste foto sono state scattate ieri sera da un collega in Virginia.” borbottò infine a bassa voce, passando l’oggetto a Lex. L’uomo analizzò le immagini con attenzione: erano fotografie di alcuni reperti recuperati da uno scavo archeologico a Saltville – così diceva la didascalia. Le ultime foto, tuttavia, non ritraevano oggetti, ma parte di un cranio umano.

“Non mi occupo di primati.” commentò, notando che diverse fotografie testimoniavano la riesumazione di ossa umane. L’unica cosa che riuscì a intuire era che fossero decisamente più recenti rispetto ai reperti archeologici delle prime foto. Harlow fece scorrere un paio di volte il dito sullo schermo, fino a quando non trovò le foto che cercava.

“È su queste ultime immagini che volevo chiederti un parere.” commentò infine, additandone una. Conteneva una schiera di ossa che ricordavano dei denti, ma dopo averla osservata per una manciata di secondi, aggrottò le sopracciglia, perplesso: c’era qualcosa che non quadrava in quella fotografia. Alcuni dei reperti sembravano completamente fuori posto in mezzo agli altri, quasi fossero stati ritratti assieme a serie di denti appartenenti ad individui diversi. O addirittura a specie distinte. “Che cosa ne pensi?” domandò a quel punto Harlow, indicandogli un punto della fotografia. “Hai mai visto dei canini così pronunciati in un essere umano?”

Lex non rispose.

“Dove hai detto che sono state scattate queste foto?” domandò invece. Harlow gli rivolse un’occhiata esitante da sopra le lenti degli occhiali.

“A Saltville, in Virginia.”

“Ci andrò.” si limitò a dichiarare il ragazzo. “Puoi girarmi queste foto via e-mail?”

Un paio di minuti più tardi, il docente fu costretto a congedarsi, per andare a tenere una lezione. Lex estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans e digitò un tasto di chiamata rapida, prima di avvicinarsi il ricevitore all’orecchio; nell’udire la voce del suo interlocutore, le sue labbra si incresparono a formare un sorrisetto beffardo.

“Parlo con un certo signor architetto?” esordì infine, incominciando a frugare nel taschino del giubbotto, “Chiamo per proporti una piccola rimpatriata: ho una cosetta da fare in Virginia e mi manca la mia famiglia di tonti preferita…”

Continuò a parlare al telefono per una decina di minuti. Quando infine tornò a riporre il cellulare nella tasca si stiracchiò, sorridendo compiaciuto: lo attendevano più di quattro ore di viaggio, sommando macchina, aereo e autobus; doveva assolutamente procurarsi quel caffè. Ma sarebbe partito l’indomani, rifletté, mentre con un ghigno raggiungeva la studentessa all’altro capo del salone. Quella sera avrebbe avuto ben altro di cui occuparsi. E da come la giovane gli sorrideva,  Lex convenne compiaciuto che fosse pienamente d’accordo con lui.

***

 

Jeremy Gilbert chiuse la chiamata, accennando un lieve sorriso divertito. Appoggiò il cordless sulla scrivania e tornò a focalizzare la sua attenzione sul progetto di cui si stava occupando; la voce di Lex ancora gli solleticava la mente, rievocando ricordi che non avevano nulla di spigoloso o di appuntito. Erano i ricordi migliori della sua adolescenza: quelli legati all’anno trascorso a Denver, la città in cui aveva conosciuto Hazel. Il luogo in cui aveva ricominciato a pianificare, a fare progetti: a vivere. Tante cose non avrebbero mai trovato posto nella sua vita, se Denver non ci fosse stata. Il matrimonio con Hazel; la nascita di Xander e Oliver. Per non parlare del suo lavoro: senza quell’anno trascorso nella metropoli, nulla l’avrebbe mai spinto a riesumare la vecchia passione per il disegno. Ricordava ancora in maniera più che nitida il pomeriggio in cui Alaric gli aveva fatto piovere sulle gambe una serie di brochure universitarie sulle facoltà di architettura degli Stati Uniti. Era stato Rick a guidarlo verso quella che riteneva essere la strada migliore da percorrere per uno come lui; ma Jeremy dubitava che sarebbe mai riuscita a intraprenderla senza aver conosciuto la luce e l’ispirazione di Denver. Senza aver trascorso almeno un pomeriggio su una delle panchine disseminate per il parco in cui aveva visto Hazel per la prima volta. Senza Howie e Demetria, i due coniugi che, seppur anziani, erano riusciti a dimostrargli che c’era ancora qualcuno disposto a prendersi cura di lui. E, soprattutto, senza quel ragazzino che un giorno, notando il suo album da disegno, gli aveva chiesto di disegnargli una piramide. Il pomeriggio in cui Jeremy conobbe Alexander Davies, risaliva ormai a quasi vent’anni prima. Doveva molto a quel ragazzino chiacchierone e iperattivo, ormai diventato uomo. Lex faceva riecheggiare in Jeremy la parte migliore di sé, oltre ai suoi figli. Riportava alla luce per lui Denver e quell’anno meraviglioso in cui aveva ricostruito la propria vita da capo, allo stesso modo in cui, nel suo studio, dava origine ai suoi progetti.

 “Chi era al telefono?”

Hazel si introdusse nel suo studio, prelevandolo da quel rimestare di ricordi. Recuperò il cordless e prese posto sull’unico angolo della scrivania che non era ricoperto di fogli. Jeremy le sorrise.

“Era Lex. Pare che riceveremo presto visite da parte sua.”

La donna inarcò un sopracciglio, pur non riuscendo a nascondere un sorrisetto divertito.

“Ma non lavora mai quel ragazzo?”

Jeremy sospirò.

“Ha detto che ha delle faccende da sbrigare in Virginia…Quindi a meno che non si riferisse al nome di qualche nuova fiamma… Suppongo che si tratti di lavoro.” concluse, sorridendo del modo in cui la moglie aveva preso a far ciondolare le gambe dalla scrivania come una ragazzina. Tuttavia, la sua espressione si fece d’un tratto più apprensiva, come si fosse appena ricordato di qualcosa.

Haze, ho bisogno di un favore…” dichiarò a quel punto, guardando la donna negli occhi.

“Spara.”

“Sarebbe possibile rispostare la cerimonia di Miss Mystic Falls a domenica sera?”  domandò il marito, sforzandosi di apparire il più rilassato possibile. “Elena, sabato, ha un impegno di lavoro urgente che gli è impossibile rimandare. Sarebbe piuttosto brutto se non si presentasse, visto l’importanza delle famiglie fondatrici per queste cerimonie…”

Jer…” Hazel gli rivolse un’occhiata esasperata. “La data è appena stata cambiata sotto richiesta dello sceriffo, andrà su tutte le furie se con così poco preavviso mi ostinassi a…”

“… e poi c’è Vicki tra le candidate.” proseguì l’uomo, osservandola con insistenza. “Sai bene quanto sia importante questo concorso per tua nipote…”

“…ehy, non arruffianarmi, ragazzino!” lo rimbeccò, inarcando pericolosamente un sopracciglio. Infine sospirò. “Parlerò con gli altri del comitato.” si arrese, passandosi il cordless da una mano all’altra. “…se ci incontriamo oggi può anche darsi che si riesca a posticipare di nuovo la data. Ma per la sera è impossibile, il salone è già prenotato, l’unica sarebbe rimandare a domenica mattina.”

“Sarebbe già un qualcosa.” le garantì Jeremy, leggermente più sollevato. Si chinò in avanti per baciare la moglie. “Grazie, tesoro.”

La donna, tuttavia, continuò ad osservarlo con fare impensierito.

“Perché è così importante che questa cerimonia venga spostata?” domandò infine, mantenendo lo sguardo puntato sul marito. Jeremy aggrottò le sopracciglia.

“Te l’ho detto: Elena ha un impegno, quella sera.”

“E io ti ho sentito, ma non sei suonato convincente.” rispose la donna, e assumendo d’un tratto un’espressione meno rilassata: per un attimo aveva riconosciuto nello sguardo del marito, la stessa espressione distante e malinconica dell’adolescente sperduto di Denver. Quella del Jeremy che disegnava piramidi e che la ritraeva di nascosto, cercando di scacciare via con quei disegni preoccupazioni ben più grandi di lui.

“…Che succede, ragazzino?” domandò, addolcendo il tono di voce e accarezzandogli una guancia.

La conversazione venne interrotta da una rapida sequenza di passi e una trafelata richiesta di attenzioni da parte di Xander.

“Papà!” il ragazzo si intrufolò nello studio del padre senza nemmeno bussare. “Papà, ti devo parlare urgentemente, in gran privato e da uomo a uomo. Ok, la mamma può restare….” aggiunse infine, accorgendosi della presenza di Hazel. La donna rivolse un’occhiata ammonitrice a Jeremy, lasciandogli intuire che la conversazione fra i due non fosse conclusa, per poi spostare la sua attenzione al figlio. Jeremy sospirò, voltandosi a sua volta verso il ragazzo.

“Dimmi tutto, Xander bello.”

Alexander, che a giudicare dal borsone che reggeva sulla spalla doveva essere appena tornato dagli allenamenti, si sgranchì la voce.

“Diciamo che avrei bisogno di un aiutino per via di Miss Mystic Falls…” spiegò, prima di appoggiare a terra il borsone e di lasciarsi ricadere con aria stanca su una delle sedie. “…Emh, vabbè, per farla breve, non so ballare.”  ammise infine, sistemandosi il polsino che gli fasciava l’avambraccio sinistro.  “Il che è un guaio grosso visto che dovrò farlo, se voglio fare da cavaliere a Caroline.”

La madre gli rivolse un’occhiata a metà tra il divertito e l’intenerito.

“Se lo vieni chiedere a tuo padre sei proprio diseparato, bello mio.” obiettò, dandogli un buffetto sulla guancia. Il marito si accigliò.

“Ma perché mi devi sminuire così?” commentò, fingendosi offeso. Hazel gli diede una gomitata scherzosa.

“Ma guardalo! Se l’è presa, il ragazzino!” ribatté, scoccando un’occhiata complice al figlio. Jeremy abbozzò un sorriso.

“Già, e adesso mi prendo anche qualcos’altro.” dichiarò infine, prima di avvicinarsi alla moglie per darle un bacio. Xander sbuffò, facendo poi ciondolare stancamente il capo.

Seh, seh, molto carini, ma il mio grande problema rimane.” Borbottò, appoggiando la fronte sul legno fresco della scrivania del padre. Hazel fece mente locale per una manciata di secondi.

“Beh, Oliver se la cava con il ballo.” ricordò, appoggiandosi al bracciolo della sedia di Jeremy.

“Scusa, ma perché non chiedi a tua cugina?” propose invece il padre, voltandosi in direzione del ragazzo. “Fa danza da quando era piccolina ed è una testa dura, vuoi che non riesca ad insegnarti qualche passo?”

Xander si sollevò di scatto a sedere e si batté una mano sulla fronte.

“Vicki!” esclamò ad alta voce, recuperando la sua sacca da hockey. “Come ho fatto a non pensarci prima?” osservò, precipitandosi fuori dallo studio. “Grazie papà!”

Ehy, Xander bello!” gli gridò dietro il padre, mentre Hazel rideva, sollevandosi a sua volta dalla scrivania. “Lo sai che alla cerimonia non potrai andare con quei capelli, vero?” aggiunse, osservando la moglie rivolgergli un’occhiata di sfida. “Io e te facciamo i conti dopo.” dichiarò la donna decisa. Gli fece una carezza sulla schiena e seguì il figlio in corridoio. Jeremy annuì in silenzio per poi sospirare, cercando di tornare a concentrarsi sui suoi progetti; in cuor suo sperava che quel ‘dopo’ arrivasse il più tardi possibile.


***

Quando Oliver era molto piccolo, aveva creduto  a lungo che i punti del vicinato oltre i quali non gli fosse concesso addentrarsi, delimitassero i confini del mondo. Si concludeva tutto lì: all’angolo fra South Road e il vicolo che ospitava la sua casa e quella dei Donovan. Con l’inizio della scuola, i suoi orizzonti si erano ampliati: una sequenza di villette allineate di fronte alla strada, il parco, le scuole, la chiesa e il campetto dietro il Mystic Grill. Questo era il mondo dal punto di vista dell’Oliver di quattro anni. Crescendo, erano arrivate le prime capatine a casa Lockwood con suo fratello, e poi i giri dell’isolato in bicicletta assieme a Mason. Il mondo di Oliver si era esteso in fretta, guadagnando terreno ogni volta che il bambino otteneva il permesso di recarsi da solo in un nuovo punto della cittadina. In quei momenti Oliver sorrideva, felice di poter andare e venire da quei luoghi come volesse, senza dover dipendere dai suoi genitori. Ad ogni nuova meta raggiunta sentiva di possedere una porzione sempre più grande del suo mondo, anche se in fondo sapeva bene di essere lui stesso parte di ciò che lo circondava. La sua prospettiva partiva dall’alto, perché in fondo lui, con la testa, era sempre rivolto alle nuvole, agli aerei e alle stelle. Guardare le cose a modo suo aveva il dono di farlo sentire leggero, spensierato e libero. Se si è sulle nuvole e si guarda verso il basso, è piuttosto difficile sentirsi turbati: sembra tutto incredibilmente piccolo che il cuore quasi si riempie al pensiero di avere il controllo sulle cose. I fiumi che straripano si possono contenere pizzicandoli con due dita. Gli incendi possono essere spenti soffiandoci sopra: le persone si possono salvare semplicemente con l’uso di un polpastrello. Ogni cosa è sostenibile; ogni problema è risolvibile. Quello era il mondo come lo vedeva Oliver nei momenti in cui lo si sorprendeva sorridere; pensava a questo, le volte in cui la pioggia gli scrosciava addosso e lui rideva da solo di se stesso, perché ancora una volta si era dimenticato a casa cappotto e ombrello. Il suo blocco da disegni, la sua moto, gli aerei, non erano altro che scorciatoie che lo aiutavano ad accedere a quella prospettiva.

Ed era quello, che stava accadendo in quel momento; per nulla infastidito dai laccetti del casco che premevano sulla sua pelle, Oliver virò in direzione del parco, sorridendo dalla pressione del vento appoggiato sulle sue spalle. La sensazione di beatitudine trasparita dallo sfrecciare delle due ruote sull’asfalto non sfumò, nemmeno quando la corsa si interruppe. Il ragazzo scese dalla moto, si sfilò il casco e attraversò un cancelletto in legno che delimitava l’ingresso del parco pubblico. Sette o otto bambini erano sparpagliati per la distesa di prato, alcuni in fila per andare sullo scivolo, altri a contendersi un’altalena. C’erano anche diversi genitori, intenti a chiacchierare in piccoli gruppi. Oliver proseguì a camminare fino a quando non raggiunse i margini del parco; individuò uno degli alberi più in disparte e prese posto sull’erba appena umida, appoggiando la schiena al tronco della pianta. Si sfilò la tracolla e ne estrasse una matita e il suo album da disegno.  Sorrise, accorgendosi di non essere solo. Annabelle si sedette alla sua destra, ricambiando il sorriso del ragazzo.

“Venivo qui con tuo padre, qualche volta.” ammise, stringendosi le ginocchia al petto. Il suo sguardo rincorse per un po’ le corse impacciate di due bambini piccoli, prima di spostarsi nuovamente su Oliver. “è uno dei posti che preferisco di Mystic Falls”.

“Hai un luogo preferito in generale?” domandò il ragazzo, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e incastrando la matita dietro un orecchio. Annabelle annuì.

“La mia casa natale.” rivelò, tornando ad osservare i due bambini.  “L’ho detestata a lungo, perché nei due anni in cui sono stata malata non potevo mai uscirne. Ma mi rendo spesso conto che, dopo tutto questo tempo, è quello il posto che deciderei di visitare se mi fosse possibile tornare indietro. Mi manca quello che rappresenta, credo. Mi manca trascorrere le giornate a rincorrere gli altri bambini nei campi e rincasare solo per la cena o per aiutare mia madre con i lavori. Mi manca tutto ciò che c’era prima che mi ammalassi.” concluse, tornando ad osservare Oliver. “Qual è il tuo posto preferito?” chiese infine, rimbalzandogli la domanda. Oliver rifletté per qualche istante, immergendo lo sguardo nel nulla.

“La ruota panoramica al Six Flags di Denver.” rispose infine, sorridendo al ricordo della sua città preferita vista dall’alto, contornata dai sorrisi e dalle risate dei visitatori del parco. “O ovunque in cielo. Mi piacerebbe pilotare un aereo, un giorno. Sai, stare in alto mi fa sentire come se potessi avere più controllo sulle cose: è una bella sensazione.”

“Deve essere bello, volare.” commentò la ragazza, abbracciandosi le ginocchia. “Non ho mai preso un aereo in vita mia. …E nemmeno da morta, a dirla tutta.” Scherzò, abbozzando un sorriso.
“Lo prenderai il giorno in cui ne piloterò uno per la prima volta.” commentò il ragazzo, dando una scrollata di spalle. “Puoi seguirmi ovunque vada , giusto? ”

Annabelle continuò a sorridere, ma non rispose. Oliver recuperò la matita da dietro l’orecchio e prese a giocherellarci, facendola scorrere tra l’indice e il medio. “Hai scoperto qualcosa su Mase?” domandò infine. L’espressione di Anna si fece d’un tratto più titubante; infine annuì, prendendo a mordicchiarsi un labbro.

 “Credo di aver capito quale sia il suo problema.” concluse infine, voltandosi ad osservare Oliver ancora una volta. “Posso solo dirti che Mase non  è in pericolo e che non è solo. La sua famiglia lo aiuterà.”

“Immagino che non ci sia proprio modo di scoprire in cosa debba essere aiutato…” mormorò il ragazzo, assumendo un’espressione impensierita. Annabelle sospirò.

“Non sarebbe meglio che fosse Mason a parlartene, quando si sentirà pronto a farlo?” chiese. Oliver continuò a giocherellare con la matita, lo sguardo nuovamente disperso nell’andirivieni di bambini e biciclette.

“Che cosa posso fare per lui?” domandò infine, rassegnandosi a uno sguardo di resa. La giovane scosse il capo.

“Nulla di più che stargli vicino.” concluse, sorridendogli con dolcezza . “Specialmente in questi giorni.”

“In realtà credo che mi stia evitando.” ammise il ragazzo, abbandonando la matita sul blocco. La osservò rotolare fino a raggiungere un lembo della sua felpa e infine sospirò. “Probabilmente pensa che sia arrabbiato con lui; spero di riuscire a parlargli alla cerimonia di Miss Mystic Falls.”

L’espressione di Anna si fece d’un tratto più vivace.

“Si terrà questa settimana?”

Il ragazzo annuì.

“Questo sabato. Concorrono sia mia cugina che la sorella di Mase e Xander farà da cavaliere a Caroline. Tra l’altro, ora che ci penso, mio fratello mi ha chiesto di incontrarlo da Vicki, questo pomeriggio. Forse farei meglio ad incamminarmi verso casa…” commentò, sollevandosi rapidamente da terra e spolverandosi il dietro dei jeans. Annabelle sorrise.

“Lo sai…” incominciò la ragazza, alzandosi a sua volta. “…c’è stato un anno in cui avrei dovuto concorrere anch’io. Ero talmente entusiasta all’idea, che ho provato e riprovato l’abito da cerimonia per giorni.”

“Mi sarebbe piaciuto vederti…” dichiarò il ragazzo con un sorriso, prima di aggrottare leggermente le sopracciglia. “Che successe poi?”

La ragazza esitò con titubanza, per poi lasciar trasparire nel suo sguardo un barlume di malinconia.

“L’evento venne posticipato e non potei più partecipare.” accennò brevemente,  posandosi le mani sulle ginocchia. “Per chi farai il tifo?” domandò infine, in un’evidente tentativo di cambiare discorso. Oliver diede una scrollata di spalle. “Non saprei…” ammise, prendendo ad attraversare il parco. “So che Vicki ci tiene tanto… Ma sarei contento anche se vincesse Caroline. Penso che lei lo stia facendo più che altro per mio fratello… anche se Xander fatica ad accorgersene.”  spiegò, raggiungendo la sua moto con Annabelle al fianco.
“Sai molte cose.” considerò con un sorriso la ragazza, osservandolo mettersi il casco.  Oliver sorrise a sua volta, tornando a riporre il suo album da disegno nella tracolla.

“Sono un buon ascoltatore…”  spiegò, liberando la moto dal lucchetto. “E sono bravo a custodire segreti degli altri.”
“E tu non ne hai di segreti?”

Oliver si issò sulla moto e diede una scrollata di spalle.

“Tutti hanno dei segreti.”  costatò infine, frugandosi in tasca, alla ricerca della chiave di accensione. Non si meravigliò nemmeno quando, tornando  a volgere lo sguardo verso la ragazza, non la trovò più al suo fianco. Sorrise, mettendo in moto e avviandosi in direzione di casa sua: Annabelle era senza dubbio parte di uno dei segreti più grandi che avesse mai avuto.

***

 "Did your family journals tell you what happened to Emily?

What about my grams? It never ends well for people like me.”

Episodio 2x07. Masquerade

Richmond, Virginia Commonwealth University.

“Ti va un caffè?”

Era la seconda settimana di fila che Julian attendeva l’arrivo di Aria all’ingresso dell’aula di biologia, per proporle di prendere qualcosa assieme. Dopo il primo disastroso incontro che avevano avuto il giorno della rivelazione della ragazza, le cose avevano incominciato a migliorare lievemente. Arielle continuava a comportarsi in maniera scorbutica e diffidente, ma nel corso dell’ultima settimana aveva incominciato ad abbandonare un po’ di ostilità, lasciandosi andare a qualche saluto amichevole e perdendosi in conversazioni articolate che il più delle volte vertevano sullo stesso argomento: la magia.

Quel pomeriggio in particolare, Julian sperava di poter ascoltare qualche altro particolare a proposito dei conflitti tra Walcot e Bennet; nei giorni precedenti Aria gli aveva menzionato più volte l’astio tra le due famiglie, spiegandogli che le motivazioni legate a quel rancore erano legate a qualcosa accaduto in passato. Ma non era ancora riuscito a scoprirne il perché.

Quando Julian le venne incontro, Aria era occupata a cercare di infilare due spessissimi tomi di biologia nella borsa.

“è giorno di riposo per entrambi al pub.” specificò il ragazzo, osservandola trafficare con i libri. “…e ci sono ancora diverse cose che mi devi raccontare a proposito di…” si interruppe appena in tempo, prevedendo l’imminente minaccia di un’occhiata di fuoco da parte dell’amica. La ragazza si limitò a uno sguardo torvo, prima di annuire lentamente.

“Ok.” acconsentì, sistemandosi una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio. “Va bene; ma il posto lo scelgo io.” concluse, strattonando la borsa e spingendoci dentro uno dei due libri di testo. Julian sorrise.

“Se vuoi posso…”

“No, grazie.” Arielle lo interruppe prontamente, incominciando a camminare per il corridoio. Il ragazzo si strinse nelle spalle.

“…mettere quei libri nel mio zaino. Va bene, non fa niente.”

Concluse alzando le mani in cenno di resa. Seguì la ragazza  in direzione delle scale e poi fuori dall’edificio.

“Dove stiamo andando?” chiese infine, notando che si stavano dirigendo verso l’Art Center, una delle strutture più estese del campus. Finalmente, Arielle abbozzò un lieve sorriso.

“Hai detto che volevi prendere un caffè...Il Globe Cafè dell’Art center è probabilmente il posto che preferisco in tutto il campus.” spiegò. Julian sembrò sorpreso.

“Non sapevo ci fosse un bar qui dentro…” osservò. Per quanto ne sapeva, l’edificio ospitava solo uno Starbucks e una tavola calda al piano terra. La ragazza diede una scrollata di spalle, stringendosi il libro che non era riuscita ad infilare nella borsa contro il petto. “è all’ultimo piano…Lo frequentano in pochi. È più tranquillo rispetto allo Starbucks e ha le vetrate…Sembra quasi di essere sul tetto. Allora, vieni?” lo incitò, prendendo a salire le scale. Julian le rivolse un’occhiata poco convinta.

“Non possiamo prendere l’ascensore?” domandò, abbozzando un sorrisetto speranzoso. Aria strinse le labbra e continuò a salire.

“Non vado esattamente matta per gli ascensori: mi sento soffocare…” ammise, mentre sospirando, Julian recuperava qualche gradino per stare al suo passo. “…Anche per mia nonna e mia sorella è così. Forse è una cosa che ha che fare con…” si interruppe, scoccandogli un’occhiata eloquente. “…hai capito, no? Con l’essere una strega.”

Julian estese il suo sorriso.

“Oh, giusto. Probabilmente voi preferite le scope agli ascensori.” scherzò, superando finalmente l’ultimo gradino. L’occhiataccia bieca di Arielle, lo fece scoppiare a ridere.

“Non farmi nemmeno rispondere, Bennett.”

 “Va bene…Arielle.”

“è Aria!” si impuntò la ragazza, indicando l’entrata del bar alla loro destra. Julian estese il suo sorriso.

“E io sono Julian, Julian Morgan: non Bennett.”   le fece notare, incominciando a cercare con lo sguardo un tavolo libero. La ragazza sospirò, seguendolo fino a raggiungere le vetrate.

"..E va bene…Julian.” Si arrese, prendendo posto su uno degli sgabelli liberi. Quindici minuti più tardi, Aria incominciò a raccontare qualcosa a proposito della discendenza Walcot. Julian ascoltava con attenzione, deciso ad assorbire ogni dettaglio di quella realtà che sentiva vicina, ma che era al contempo distante rispetto al modo in cui era cresciuto.

“Ci sono delle specie di ‘nozioni base’ che le streghe Walcot si tramandano di generazione in generazione…”stava spiegando la ragazza, facendo oscillare il contenuto della sua tazzina di caffè. “…Anche se ormai è difficile trovare dei Walcot che ancora si appoggino a quei paletti. In generale, i discendenti della nostra stirpe si sforzano di vivere il più possibile a contatto con la natura.”

“Perché?” la interruppe Julian, sorseggiando il suo caffè. Aria diede una scrollata di spalle.

“La magia non è un qualcosa di artificiale,” rispose. “è frutto della natura. E come tale, stare a contatto con ciò che l’ha generata dovrebbe accrescerla. Gli elementi della natura sono al tempo stesso una fonte da cui attingere energia e un sostegno a cui appoggiarsi. Le generazioni più anziane, in aggiunta, diffidano da tutto ciò che è artificiale e tecnologico. E stiamo parlando di ben più di un ascensore…”

 “…Non è un po’ stupido?” azzardò Julian, seppur con un po’ di titubanza. La ragazza strinse le labbra e scosse il capo, prima di proseguire con il discorso.

“Teoricamente, le streghe Walcot sono anche piuttosto reticenti all’utilizzare la magia per stupidaggini. Per questo ho cercato di ostacolarti con la storia dell’allarme anti-incendio.”  Aggiunse.

“Ma ostacolandomi, non hai anche tu utilizzato la magia per stupidaggini?” le fece notare il ragazzo. Aria  roteò gli occhi.

“Per quello ho detto “ teoricamente.” gli ricordò, facendo spallucce. “Ma in generale, c’è l’intenzione di sfruttare la magia solo per ciò che è positivo ed estremamente essenziale: curare qualcuno o aiutare qualcun altro... E i Walcot, in generale, sono molto rigidi e categorici per carattere…”

“Non me ne ero accorto…” scherzò a bassa voce  il ragazzo, abbozzando un sorriso.

“...una tempo non era esattamente così. Sono sempre stati molto fedeli al Grimorio e ai suoi principi, ben decisi a non abusare troppo dei propri poteri, ma in passato c’era più collaborazione tra varie famiglie. Fino a quando i Bennett non hanno deciso di invischiarsi in faccende che non li riguardavano...”

“Ti va di spiegarmi che cosa è successo tra Walcot e Bennett?” chiese il ragazzo, impaziente di scoprire la verità. Aria prese fiato e proseguì con il discorso.

“Anzitutto bisogna dire che tra la mia famiglia e la tua non è mai corso buon sangue. I Walcot sono molto discreti e attenti, i Bennett erano meno restii a mantenere il proprio dono segreto. Spesso hanno confidato nelle persone sbagliate e sono stati traditi, mettendo a rischio anche le altre discendenze. Ciò che maggiormente ha segnato l’astio tra le nostre due famiglie è stato il principio di collaborazione dei Bennett con i vampiri…”

La ragazza si costrinse a interrompersi, notando l’espressione allibita dell’amico.

“Vampiri.” ripeté Julian, abbozzando un sorrisetto divertito. “Questa è buona.” commentò. Aria inarcò un sopracciglio e si chinò sul tavolo, per raggiungerlo.

“Credi davvero di poter essere l’unico ‘diverso’, Julian Morgan?” mormorò, per poi tornare a drizzare la schiena. “I vampiri esistono. E non sono nemmeno pochi.” aggiunse, estendendo il sorriso nel notare un accenno di preoccupazione nello sguardo del ragazzo.  “Le streghe per istinto diffidano da loro, perché la transizione da umano a vampiro è qualcosa che non dovrebbe esistere in natura. Ma non i Bennett, ovviamente.” aggiunse, prima di terminare il suo caffè e di spingere la tazzina di lato.

“Alcune streghe Bennett hanno stretto patti di alleanza con i vampiri. Li hanno protetti, hanno creato dei talismani per far sì che non fossero ostacolati dal sole. I vampiri hanno intuito presto quanto quel genere di alleanza avrebbe potuto rivelarsi utile e hanno cercato di trarne beneficio. Cercandole, provando a scendere a patti con loro, talvolta corrompendole, talvolta minacciandole. Diverse streghe vennero uccise, ma il vero massacro avvenne in seguito, nella seconda metà del 1800.” Si interruppe momentaneamente, per riprendere fiato.
“Hai detto di essere nato a Mystic Falls, vero? è lì che accadde. Intorno alla metà del secolo, viveva una tua antenata di nome Emily. Uno dei vampiri la tradì: informò il Consiglio della cittadina a proposito della discendenza Bennett. Rivelò loro che Emily era una strega. Quell’episodio scatenò la più violenta caccia alle streghe mai avuta in Virginia.” rivelò ad un ormai completamente rapito Julian. “Diverse donne vennero bruciate al rogo, la prima delle quali fu Emily: molte di esse erano Walcot. Non tutte le donne uccise erano streghe.” concluse, chinando lo sguardo a cozzare contro la superfice nivea della tazzina da caffè. “Molte famiglie di streghe, quelle sopravvissute alla caccia, si sono spostate in altri stati per sfuggire al pericolo. Gli stessi Walcot lo hanno fatto; mia nonna è stata la prima strega della nostra stirpe a tornare in Virginia dal 1870.” rivelò, stringendosi nelle spalle. “L’astio nei confronti della stirpe Bennett risale a quel massacro.”

Julian rimase in silenzio durante l’intero racconto della ragazza. Quando Aria terminò il discorso, continuò a meditare sulle sue parole, mentre con il polpastrello raggruppava i granelli di zucchero sperperati sul piattino. Stralci del discorso della giovane giravano in tondo nella sua testa in maniera tutt’altro che positiva: non era poi più così convinto di aver fatto la scelta giusta, addentrandosi nel passato della sua famiglia. Non sapeva un bel niente di quel mondo. Cinque o sei formulette apprese da un vecchio libro non erano sufficienti a renderlo uno stregone. Sì, c’era quel prurito ai polpastrelli, la sensazione di poter controllare e plasmare le cose a suo favore se solo avesse l’voluto, ogni volta che era agitato per qualcosa: c’era il fruscio. Ma per il resto? Era davvero pronto ad affrontare quei poteri come aveva sempre pensato? C’era ancora troppo che non sapeva. Ma era arrivato a un punto di non ritorno: ormai, anche quello che sapeva era diventato troppo per poter mettere tutto da parte e tornare al punto di partenza.

“Adesso devo andare.” concluse infine Aria, raccogliendo la borsa ed alzandosi in piedi. “Sono indietro con lo studio e nemmeno di poco.”

Julian annuì.

“Aria?”  la richiamò infine alzandosi a sua volta, per recuperare il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans. “Cambierai mai idea su di me?” domandò infine, rivolgendole un’occhiata esitante.

La ragazza lo analizzò con attenzione.

“Veramente penso di avere già incominciato a farlo…” ammise infine, seppur evitando il suo sguardo. Julian le rivolse un sorriso di gratitudine. “Meglio che non lo dica troppo forte, però.” proseguì la ragazza, abbozzando a sua volta un lieve sorriso. “Non vorrei finire prima o poi a dovermi rimangiare tutto.” aggiunse, fingendo un’occhiata di ammonimento. Julian la osservò allontanarsi verso l’uscita del bar, per poi accorgersi all’ultimo che il libro di testo della ragazza erano rimasti sul tavolino.

“Aria! Il libro!” la richiamò, raccogliendo il volume e seguendola fino all’ingresso del locale. Nel porgerglielo, le loro mani si sfiorarono e Julian si sorprese nel ritirare bruscamente indietro la sua, assumendo un’espressione allarmata.

 “Qualcosa non va?” domandò la ragazza, recuperando il libro e ritirando lentamente il braccio. Julian scosse il capo, sfregandosi le mani con fare pensieroso.

“Ho preso la scossa…” buttò lì, per nulla convinto delle sue parole. La sensazione provata ricordava più il tremolio avvertito quando aveva formulato l’incantesimo di riconoscimento. Ma una volta ritratta la mano aveva continuato a pulsare per un po’, come se fosse effettivamente stato colpito o punto da qualcosa. Come se quel contatto gli fosse costato una sorta di ammonimento; quella era la sensazione che il suo corpo aveva recepito. Tornò a sorridere ad Aria, che sembrava confusa dalla sua reazione.

 “Ci vediamo domani.” esclamò infine il ragazzo, tornando a parlare in tono di voce amichevole. La ragazza annuì, seppur esibendo un’espressione un po’ interdetta. Si strinse  il libro di testo al petto e
puntò alle scale dell’edificio.

Quando, dopo aver pagato il conto, Julian si allontanò a sua volta dal bar, decise di ignorare le scale e di prendere l’ascensore. Mentre premeva il bottone per scendere al piano terra, la sua attenzione era ancora completamente assorbita dal racconto di Aria. Per questo impiegò almeno una trentina di secondi, prima di accorgersi che l’ascensore non si stava muovendo: dopo quasi un minuto era ancora all’ultimo piano. Premette ancora una volta il pulsante di partenza, ma notò che le luci che contornavano i tasti erano spente, così come  il display del quadrante con i vari bottoni.

“Forse allora sono agli ascensori che non piacciono le streghe e non viceversa…” borbottò fra sé, appoggiando scocciato le mani sulle due lastre di metallo.  Cercò di aprire le porte con l’intenzione di raggiungere le scale, ma non successe nulla.

“…No…”

Avvertendo le prime avvisaglie di panico, Julian prese pigiare bottoni a caso, accanendosi in particolare con quello da premere in caso di emergenza; non ottenendo alcun risultato, si sforzò di fare perno su quel fruscio che tormentava i suoi polpastrelli dal momento in cui aveva sfiorato la mano di Aria. Proprio nel momento in cui incominciò ad esercitarlo, sforzando si di tramutarlo in magia, quello scomparve. Non avvertiva nulla, quasi qualsiasi cosa lo stesse trattenendo in quell’ascensore avesse neutralizzato tutto ciò che lo rendeva diverso dai coetanei.

E infine, quando il ragazzo era ormai sul punto di gridare, per farsi sentire da qualcuno, l’ascensore tornò in funzione. All’improvviso, come se nulla fosse successo. Il bottoncino con lo “zero” si illuminò e meno di un minuto dopo Julian era al piano terra, fuori dall’ascensore e da quell’infernale momentaccio. Una volta fuori dall’edificio, prese ad aprire e a chiudere in fretta le mani, sperando di veder affiorare il regolare pizzicore ai polpastrelli. Accidentalmente, appiccò fuoco a una carta di gomma da masticare per terra: estinse la fiamma e schiacciò ciò che rimase della carta con il tallone, tirando un sospiro di sollievo: il fruscio era tornato.

Scoprì tuttavia che la cosa non lo rasserenava poi così tanto come aveva immaginato: che cosa cavolo gli era successo in quell’ascensore’

***

 

You're so teaching me how to do the hand jive!”

Episode 1x12. Unpleasantville.

Prima di raggiungere il fratello e la cugina dai Donovan, Oliver fece un salto un salto in casa per posare il suo album da disegno. Quando si introdusse nella sua stanza, trovò qualcuno ad aspettarlo: Jasper, il cucciolo di casa Gilbert, gli corse incontro scodinzolando, per poi accoccolarsi sui suoi piedi. Il piccolo di Golden Retriever era arrivato di recente in famiglia, in seguito al quindicesimo compleanno di Oliver; gli era stato regalato da Mason che l’aveva personalmente ribattezzato “Ollie due” per via del carattere mite e solare che ricordava quello del padroncino. Jasper era dolce e fedele come il più piccolo dei fratelli Gilbert, ma anche vivace e giocherellone come Xander: un autentico mix dei due giovanotti di casa. Era completamente devoto a Oliver, e lo seguiva ovunque, fuorché non ci fossero dei gradini troppo alti da superare: a quel punto piangeva fino a quando il padroncino non accorreva in suo aiuto.

Oliver sorrise e si accovacciò, permettendo al cucciolo di premere il muso contro il suo ginocchio.

“Buon pomeriggio anche a te, Jasper.” Lo salutò con dolcezza, dandogli una grattatina dietro le orecchie. “Ti va di fare una passeggiata?”

Dal modo frenetico in cui il cucciolo agitava la coda intuì facilmente che la risposta fosse “sì”.

Dieci minuti più tardi Oliver e Jasper attendevano sul pianerottolo di casa Donovan che qualcuno venisse ad aprire la porta: arrivò una trafelata Vicki; la ragazza sorrise sorpresa, quando vide il cagnolino.

“Quando ti ho detto che potevi portarti dietro anche l’altro piccoletto, mi riferivo a Mase…” scherzò, inginocchiandosi e battendosi le mani sui polpacci. Jasper le andò incontro, mordicchiandole entusiasta un lembo dei jeans. “…Ma anche questo cucciolotto qui va benissimo; quanto sei bello, eh, piccolino? Dillo alla zia Vick!” Jasper si lasciò coccolare per una buona manciata di minuti, prima di fiondarsi in casa, riconoscendo la voce di Xander.

“Cuginona, io sono pronto!” esclamò il maggiore dei fratelli Gilbert, quando Vicki e Oliver raggiunsero lui e Autumn in soggiorno. Appallottolò la carta della sua merendina, e la buttò nello zainetto appoggiato sul divano, prima di stiracchiarsi vistosamente. “Mi stai salvando la vita, sappilo!”

“Super Vicki al tuo servizio, cuginetto!” dichiarò Vicki, prendendo a saltare sul posto, prima di spingere una poltrona di lato con il piede. “Ma vedi di trattare bene Caroline alla cerimonia, o dovrai vedertela con le mie strabilianti piroette rotanti! Dunque…” proseguì poi, abbozzando una giravolta. “…ci serve una pista da ballo!” valutò, sistemando un tavolino di fianco alla poltrona.
Incrociò le braccia sul petto e osservò i mobili del soggiorno con aria critica. “Spostiamo i divani di lato e dovremmo essere a posto!” concluse, additando il divano più distante. “Ollie e ‘Tumn, mi date una mano con quello lì? Xander, muovi il sederino e sposta questo.”  concluse, picchiettando con la mano sull’imbottitura del secondo divano e tirando fuori l’iPod dalla tasca.  Quando il soggiorno fu libero,  Xander e Vicki si sistemarono al centro della pista con Jasper che trotterellava loro attorno.
“Dobbiamo ballare anche noi?” domandò un confuso Oliver, voltandosi in direzione di Autumn. La ragazza si sistemò su uno dei divani e gli fece segno di sedersi accanto a lei. “Noi facciamo da supporto morale…credo.”  commentò, battendo il piede a ritmo di musica.“Ehy, la conosco questa canzone!”

Vicki batté le mani con aria soddisfatta.

“È di Grease: ‘Born to hand jive’ ”, spiegò, alzando il volume delle casse. “Xander bello, sei fortunato. Giusto ieri ho preparato una coreografia per i bimbetti del corso di danza di questa sera.”

“Aspetta, aspetta, aspetta…” la interruppe il cugino, scoccandole un’occhiata sconcertata. “…Vuoi farmi imparare un balletto per bambini?”

A lato della pista da ballo improvvisata, Oliver e Autumn si scoccarono un’occhiata divertita. Vicki si sfilò via un ciuffo di capelli dagli occhi e portò con decisione le braccia sul petto.

“Xander bello, non sei qui per imparare come si balla!” spiegò, scrutandolo con una serietà incredibile. Il ragazzo le rivolse un’occhiata confusa.

“Ah, no?”

 “No! Sei qui per imparare a capire che tu in realtà sai già come si balla!”

“Intricato!” commentò Oliver, sorridendo ai maldestri tentativi di Jasper di balzare sul divano. Prese il cucciolo in braccio e lo depositò fra lui e Autumn, permettendogli di zampettare avanti e indietro per un po’.

Xander si portò le braccia al petto, aggrottando le sopracciglia con fare pensieroso. Infine scosse il capo. “Non ho capito.” ammise infine, intrecciando le dita dietro la nuca. “Ma tutte queste parole mi stanno facendo venire fame.”

Victoria sospirò, appoggiandosi le mani sui fianchi. Infine, andò ad abbassare il volume della musica.

“Vedi, cuginetto…” spiegò, tornando al centro della “pista”. “…ballare non significa solo oscillare a destra e a sinistra, fare qualche piroetta su se stessi e far sballonzolare seni e chiappe, come pensa qualcuno.” aggiunse quasi casualmente, appoggiandosi allo schienale della poltrona. Autumn accennò un sorrisetto divertito.

“Primo riferimento a Ricki del pomeriggio!” dichiarò, fingendosi seria e sollevando il dito indice. Victoria le fece la linguaccia e proseguì con il suo discorso.

“È una disciplina: è uno sport!” enfatizzò l’ultima parola, mimando il gesto di agitare una mazza da baseball. “Come il tuo hockey, Xander, o l’atletica di ‘Tumn…O il calcio…”

 “Secondo riferimento a Ricki…” si trovò in dovere di sottolineare nuovamente Autumn. Victoria prese un cuscino dalla poltrona e lo lanciò in testa alla migliore amica.

“Nel momento in cui ti accorgerai che ballare non è poi così diverso dal praticare uno sport qualunque…” riprese, chinandosi, per evitare di venire a sua volta colpita. “…Allora ti sentirai più a tuo agio nel farlo e sarai pronto per le prove ufficiali della cerimonia! I passi di danza te li insegnano poi lì.” concluse, balzando giù dalla poltrona e raggiungendo Xander, che ancora stava ascoltando con le dita intrecciate dietro la nuca.

“Adesso è più chiaro, porcospino?” domandò, facendo strisciare il palmo della mano sul crestino del ragazzo.

“Chiarissimo!” dichiarò il ragazzo, dandole uno schiaffetto sul polso, per poi prendere a sistemarsi i capelli con la mano. “Ma lascia stare il mio povero crestino.”

 “Come farai a sopravvivere un’intera giornata senza cresta, sabato?” domandò la cugina. “Ehy, a proposito, dovremmo darle un nome! Vediamo, umh…”

“Ernesta la cresta!” le venne in aiuto Autumn. Oliver si mise a ridere.

 “O Tino il crestino se è maschio!” aggiunse il giovane.

“Tino!” ripeté ad alta voce Xander, circondandosi la cresta con le mani, come se volesse proteggerla. “Mi piace Tino! D’ora in poi si chiamerà così!”.

“Aggiudicato!” esclamò allegramente Vicki, raggiungendo un’ultima volta le casse e il suo iPod. Alzò il volume e fece partire la canzone da capo.

“Allora, Tino crestino, Xander il cugino…” incominciò, voltandosi verso il ragazzo. “…E Jasper il cagnolino…” aggiunse, notando il cucciolo acquattato proprio al centro della pista da ballo improvvisata. “…siete pronti?”

Jasper abbaiò, improvvisamente interessato a uno dei laccetti dei pantaloni di Vicki.

“Lo prenderò come un sì.” Concluse la ragazza dandogli una grattatina dietro le orecchie e sistemandosi di fronte a Xander.“E allora incominciamo!”

***

Take me where I've never been,

Help me on my feet again.

Show me that good things come to those who wait.

 

You can. David Archuleta

 

Xander, Oliver e Autumn erano rincasati ormai da almeno un paio d’ore, quando il campanello di casa Donovan suonò per la quarta volta in un pomeriggio. Elena andò ad aprire, una penna rossa in mano e il tema di un alunno nell’altra, convinta che uno dei suoi nipoti si fosse dimenticato qualcosa in soggiorno. Trovò invece Ricki ad attendere sul pianerottolo.

“Buonasera!” esclamò in tono di voce allegro il ragazzo “Disturbo?”

“Ricki!” lo salutò la donna con un sorriso, prima di aggrottare leggermente le sopracciglia. “Ma non sei ancora partito per Jacksonville?”

Il ragazzo scosse il capo.

“Pensavo di restare a Mystic Falls ancora per qualche tempo…” ammise, prima di abbassare leggermente la voce. “…per papà. E per Mase.”

Quando Ricki aveva rivelato al padre di voler sospendere gli studi, Tyler si era opposto in maniera piuttosto brusca. Le discussioni tra i due e gli eccessi di collera del capofamiglia si erano fatti particolarmente frequenti nel corso degli ultimi giorni, ma il ragazzo non aveva ceduto.

Elena sembrò sul punto di aggiungere qualcosa, ma Ricki parlò per primo.

“Vic è in casa? Volevo parlarle…” domandò, sbilanciandosi leggermente all’indietro. Sbirciò in direzione delle finestre al piano di sopra, come se si aspettasse di trovare Vicki che li spiava dal vetro. Sperava che quello che stava per fare avrebbe per lo meno alleviato la collera del padre nei suoi confronti; dopotutto era stato proprio Tyler a proporgli la cosa per primo.

“L’hai mancata per dieci minuti.” rispose la donna, rivolgendogli un’occhiata dispiaciuta. “È appena andata alla scuola di danza. E si è anche dimenticata i panini per la cena…” aggiunse, scuotendo il capo in cenno di rassegnazione. “…la solita pasticciona. Non tornerà prima delle dieci, comunque.”

“Nessun problema!” la tranquillizzò il ragazzo, esibendo un sorriso rilassato. Elena si stupì nel notarlo quasi sollevato. “Passo un’altra volta...”

“Sei con la macchina, Ricki?” domandò la donna osservandolo fare dietrofront e puntare al vialetto; il giovane si fermò.

“Sì…Perché?”

“Me lo faresti un favore?”

Ricki si strinse nelle spalle, infilandosi le mani in tasca.

“Che genere di favore?”

Elena rientrò in casa e ne uscì poco dopo con una busta in mano.

“Sono i panini di Vicki…” spiegò, porgendoli al ragazzo. “...Se facessi un salto a portarglieli mi faresti un favore immenso. Lo farei io, ma ho ancora una valanga di temi sulla prova di evacuazione di ieri da correggere prima di cena…”

“Che noia!” commentò scherzosamente Ricki, prima di sospirare, tendendo la mano per afferrare la busta. Sospirò,  “E va bene, dà qui!” acconsentì infine, abbozzando un mezzo sorriso. “Lo farò; ma solo perché sei la moglie del mio stratosferico padrino!”

Elena si mise a ridere.

“Grazie, tesoro. La scuola di danza sai dov’è?”

Il ragazzo si strofinò i capelli con la mano, assumendo un’espressione pensierosa.

“Credo di sì, mi pare di averci portato Ruby qualche volta.” ammise, ricordando i saggi di danza della cuginetta a cui aveva assistito più volte. “Scappo a portarglieli!” dichiarò infine, esibendo la busta e scendendo i gradini di fronte a casa.

“Ricki…” lo richiamò ancora una volta la donna, prima che Ricki raggiungesse la sua auto.

“Sì?”

Elena sospirò, prima di proseguire.

“So che sei convinto che restare vicino alla tua famiglia sia la cosa più giusta da fare. Ed è comprensibile, ma penso che tuo padre si sentirebbe più tranquillo se tornassi a scuola.” ammise, cercando di parlare con delicatezza. “…è preoccupato per te quanto lo è per Mase.”

Ricki rimase in silenzio per qualche istante, giocherellando con le chiavi dell’auto. “Lo so…” rivelò, prima di raggiungere la macchina, voltandosi un’ultima volta in direzione della donna. “Ci vediamo!”. concluse infine, infilandosi nella vettura. Non impiegò molto a raggiungere la scuola di danza, mentre si trovò in difficoltà nel momento in cui si trovò nell’atrio, non avendo idea di quale corso seguisse Vicki. A dirla tutta non sapeva nemmeno che ballasse al di fuori del cheerleading. Infine, decise di chiedere informazioni alla segretaria della palestra, La donna gli indicò una stanza, spiegandogli che Vicki aveva quasi concluso la lezione. Dapprima Ricki fu sul punto di abbandonare i panini sul bancone, spiegandole la situazione. Gli ci vollero meno di dieci secondi per cambiare idea, notando il viavai di ragazze che entravano e uscivano dagli spogliatoi. Intuì all’istante che la stanza in cui si stava allenando Vicki doveva probabilmente essere piena di belle ragazze dalle gambe lunghe in tutù e body attillati.

“Sa, penso che porterò i panini a Vicki personalmente…” dichiarò alla segretaria, sistemandosi i capelli con la mano, prima di socchiudere la porta della palestra. Si era aspettato che il suo ingresso imprevisto nella sala avrebbe attirato l’attenzione di tutti su di sé; tuttavia, ciò che non aveva minimamente previsto, era che quel “tutti” avrebbe compreso una dozzina di paia di occhietti curiosi che lo scrutavano da sotto in su.

Erm, mi sa che ho sbagliato stanza…” commentò, sorridendo al gruppetto di bambine sedute per terra che lo osservavano stranite.

 “Ricki?” esclamò una stupita Vicki, riconoscendolo sulla porta. “Che ci fai qui?” Teneva per mano una delle bambine più grandi del gruppetto, che il ragazzo riconobbe all’istante come la sua cuginetta.

 “Ricki!” cinguettò Ruby, correndogli in contro. Il giovan si chinò per prenderla in braccio.

“Ciao, principessa!” la salutò con un sorriso, per poi rivolgere un’occhiata interrogativa a Victoria.

“Carucce, le piccoline, ma io cercavo quelle un po’ più grandicelle…Dove le posso trovare?” domandò, porgendo alla ragazza la busta. “Tua madre mi ha chiesto di portarti i panini… L’avrebbe fatto lei ma era in ritardo con i temi da correggere.”


Vicki afferrò la busta senza dire nulla, un sorriso sorpreso ad arricciarle gli angoli delle labbra. Era strano trovarla a corto di parole, ma la ragazza si riprese quasi subito.

“Sei stato carino, grazie.” ammise infine, appoggiando i panini sul davanzale della finestra. Ruby, che era ancora in braccio al cugino, gli fece cenno con la mano di chinare il capo, per dirgli qualcosa a bassa voce nell’orecchio.

“Sei il principe azzurro di Vicki?” domandò, mettendosi a giocare con il colletto della sua maglia. Ricki le rivolse un’occhiata sorpresa.

“Ehm, non esattamente.” rispose, posandola a terra per permetterle di raggiungere le altre bambine.

 Victoria si mise a ridere.

“Stanno preparando una canzone di Cenerentola per il saggio di fine anno…” la giustificò, mentre Ruby tornava a sedersi assieme alle compagne di corso. “…è da un paio di settimane che ogni volta che entra un ragazzo in palestra gli domandano se sia il principe azzurro di qualcuno.”

 “Lo sai? Non sapevo mica che studiassi danza…” ammise Ricki a quel punto, incrociando le braccia sul petto.

“In realtà al momento non la studio…Insegno solo.” rivelò Victoria, prima di raggiungere i bambini seduti a terra, che stavano incominciando ad agitarsi un po’ troppo: solo in quel momento Ricki si accorse che c’erano anche un paio di maschietti, nel gruppo.

“Bimbi, questo è Ricki!” Vicki presentò il ragazzo, cercando di non lasciare che l’attenzione dei ragazzini si disperdesse. “è venuto a vedere come ballate, perché ha sentito dire che siete tutti bravissimi!”

“Lui è mio cugino!” esclamò prontamente Ruby, indicandolo alle sue amichette.

“Io sono bravissimo!” stava strillando al contempo uno dei due maschietti, alzando la mano.

“E anche io!” commentò un’altra bambina in risposta.

Richard si mise a ridere.

“Mi sa che siete addirittura più bravi della vostra maestra!” commentò, accovacciandosi, per essere alla loro altezza. Sua cugina scosse vigorosamente il capo.

“No, la maestra Vicki è bravissima!” ribatté, incrociando le braccia sul petto. Il bimbo alla sua destra sollevò il braccio, come a voler chiedere la parola.  “Ed è anche bellissima!” dichiarò, stropicciandosi i capelli biondi con la manina libera. Vicki rise di nuovo, accarezzando il capo del bambino.

“Grazie, Anton! Tu sì che sei un vero principe azzurro!” dichiarò, facendo cenno ai bambini di alzarsi in piedi.

“Facciamo vedere a Ricki la canzone che abbiamo imparato oggi?” propose, per cercare di mantenerli tranquilli. “Ti dispiace? Hanno un po’ di problemi a ballare di fronte al pubblico.” aggiunse poi, voltandosi in direzione del ragazzo. Richard diede una scrollata di spalle, appoggiandosi alla sbarra con la schiena.

Nah, tanto ormai sono qui.” commentò, mettendosi nuovamente a braccia conserte. La ragazza sorrise. “Fidati, ballano meglio loro di Xander!” dichiarò, battendo le mani, prima di raggiungere lo stereo, per far partire la musica.

“Siete pronti? Guardate che comincia subito!” avvertì i bambini sistemandosi di fronte a loro, davanti agli specchi. I piccoli allievi si guardarono l’un l’altro, ridendo entusiasti, prima di incominciare a ballare, imitando le mosse della loro insegnante.

Richard si sforzò di seguire i movimenti buffi e dolci dei bambini, ma finì ben presto per spostare lo sguardo verso la loro maestra, osservandola interagire con i piccoli attraverso lo specchio. Non era la prima volta che vedeva Vicki ballare, eppure c’era qualcosa di diverso nel modo in cui si muoveva a ritmo di musica in quella palestra. E non era per via della coreografia a misura di bimbo,– Ricki si divertì da matti nell’immaginare Xander intento a ballarla –  che stava eseguendo per i suoi piccoli allievi. Non aveva nemmeno a che fare con la mancanza della gonnellina corta da cheerleader che la ragazza era solita sfoggiare alle partite. La Vicki in pantaloni di tuta e coda di cavallo che aveva di fronte in quel momento era una Vicki diversa rispetto alla ragazzina logorroica e insistente che era abituato ad avere intorno in altri contesti. Aveva messo da parte i suoi modi stravaganti e spesso forzati per stare dietro a quei bambini, pur mantenendo la vivacità contagiosa e l’energia che esibiva sempre in tutto ciò che faceva. Era davvero una buona insegnante, e gli bastarono pochi minuti per rendersene conto. In quella palestra, di fronte a quei ragazzini, Vicki gli sembrò più donna di quanto non gli fosse mai capitato di pensare, osservandola eseguire uno dei suoi numeri di cheerleading.
Quando la coreografia terminò, sia Vicki, sia Ricki, batterono le mani. Sentendosi incoraggiati, i bambini presero a saltellare con entusiasmo.

“Ma siete fenomenali” dichiarò il ragazzo, annuendo convinto. “Voglio un autografo!”

Victoria sorrise. Raggiunse lo stereo, per abbassare il volume della musica, e infine tornò da Ricki.

“Grazie per i panini!” esclamò, appoggiandogli una mano sull’avambraccio. “è stata una bella sorpresa…E grazie per essere rimasto a guardarli. Gli hai fatti felici, sai?” dichiarò, sorridendo in direzione dei bambini, che avevano già incominciato a scorrazzare per la palestra. Ricki minimizzò con un cenno della mano.

“Senti, Vic…” incominciò, prima di interrompersi bruscamente, imbarazzato dalla mezza dozzina di testoline voltate verso di lui. “…puoi chiedere ai ragazzini di non guardarmi così? Insomma, lo so che sono un figo…Ma ci vorrà ancora una decina d’anni prima che anche queste bimbe imparino ad apprezzare la cosa…”

Vicki si mise a ridere.

“Ok, bimbi, facciamo una cosa!” esclamò poi, tornando ancora una volta allo stereo, per far partire la canzone. “Visto che ormai siete diventati davvero bravissimi, perché non provate un po’ la coreografia da soli, così poi la facciamo vedere a Eric e agli altri maestri prima di andare a casa?”

I piccoli sembrarono entusiasti della proposta.

“Chi è Eric?” domandò invece Ricki. Victoria fece spallucce, andando alla sbarra e recuperando la felpa della tuta.

“Un amico…Insegna anche lui ai bambini qui alla scuola.” spiegò, prima di sgranare gli occhi, colta da un’illuminazione improvvisa. “Verrà alla cerimonia di Miss Mystic Falls!” si ricordò, tirando fuori il cellulare dalla tasca. “Devo avvertirlo del cambio data...”

“Ecco, sì, era a proposito di quello che ti volevo parlare…” buttò lì Ricki, sentendosi stranamente impacciato. Vicki lasciò il messaggio a metà e distolse lo sguardo del display, perdendo subito interesse in quello che stava facendo. Tornò ad osservare Ricki, che aveva preso a sfregarsi le mani l’una contro l’altra.

“Sì, insomma, volevo ringraziarti per la storia dello sceriffo Fell…con quell’ingranaggio di non so cosa. Mio padre dice che ci sei stata di grande aiuto e visto che ho deciso di non tornare in Florida, almeno per ora…”
“Davvero non parti più?” lo interruppe la ragazza, estendendo il suo sorriso. “Devo fare un grande sforzo per non mettermi a saltellare per la gioia, lo sai questo, vero?”

 “E comunque…” Il ragazzo si sfregò il capo con la mano, intenzionato a concludere in fretta il suo discorso. Più impiegava tempo e più aumentava il suo imbarazzo. “Adesso non metterti in testa strane idee. Ma pensavo, visto che sarò comunque qui per la cerimonia di Miss Mystic Falls, che magari potrei farti da cavaliere. Sarebbe una specie di ‘grazie’ per quella questione di Fell.” concluse, tornando a infilarsi le mani in tasca.
Victoria lo osservò allibita per un po’, incapace di proferir parola. Infine la sua espressione si fece seria, e la giovane gli puntò un dito contro.


“Non mi stai prendendo in giro, vero?” si assicurò, mordicchiandosi nervosamente un labbro.
Ricki scosse il capo.

“No…sono serio.” ammise. “Ma come ti ho già detto poco prima, non devi metterti in testa strane idee. Sarebbe una cosa da ami…” si interruppe a metà discorso, sorpreso dalla reazione della ragazza. Vicki lo abbracciò con slancio, non facendo caso ai bambini che avevano preso a osservarli incuriositi.  
“Grazie…” mormorò Vicki, prima di lasciarlo andare, recuperando il telefonino dalla tasca.

Ricki scoccò un’occhiata impacciata ai ragazzini, riprendendo a sfregarsi le mani.

Emh…Prego?”

“E adesso fuori di qui.” lo intimò infine Victoria, incominciando a digitare freneticamente sul tastierino dell’apparecchio. “…devo chiamare ‘Tumn, devo chiamare tua sorella…In pratica devo chiamare il mondo intero, e non posso farlo se ci sei tu.” concluse, accorgendosi a malapena della presenza di Ruby al suo fianco.

“Visto? L’avevo detto che eri il suo principe azzurro!” cantilenò la bambina, indicando il cugino con l’indice.

Ricki scrollò il capo con fare contrario, incamminandosi verso il corridoio della palestra. Se non altro, si trovò a pensare una volta raggiunta la macchina, fare da cavaliere a Vicki si sarebbe rivelato forse un po’ meno traumatico rispetto a come l’aveva immaginato al principio.

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Angolo Link pre-polpettone:

Il gruppo facebook con foto, informazioni,spoiler,sondaggi  e quant’altro a proposito di History Repeating.


Il canale youtube con tutti i video dedicati a  HR e la playlist della colonna sonora. (Y)

Angolino pubblicitario pre-polpettone.

Nel periodo natalizio ho scribacchiato un paio di storie legate a History Repeating, se vi va date un’occhiata!

We can be heroes. One-shot dedicata a Mason, Oliver e alla loro amicizia.

Pillole di Quotidianità. Una piccola raccolta di dieci drabble incentrate sui protagonisti di History Repeating

A very...Lockwood…Christmas. Ovvero, le 10 cose che si verificano ogni anno la vigilia di Natale in casa Lockwood.

History Repeating – Gli spin offs. Questa è la serie in generale che contiene tutti quanti gli spin off legati a History Repeating,

 

Nota dell’autrice. – Aka: il polpettone nel polpettone -

Buongiorno! Sono tornata in vita dopo due mesi, alè! Purtroppo il tempo è quello che è, come immagino ormai sappiate bene tutti. Ma passiamo subito a noi, che voglio cercare di essere breve e concisa (ahah…che bella battuta! XD)

Allora…Capitolo, questo, che è il capitolo di transizione più ‘transizionoso’ nella storia dei capitoli di transizione, perché non succede praticamente nulla! Ho voluto distanziarmi un po’ dal filone principale della trama (la faccenda della luna piena) per concentrarmi su altri personaggi e filoni narrativi, comunque essenziali per portare avanti il tutto. Ma, come al solito, procediamo con ordine!


1. Finalmente, dopo aver dato il falso allarme nel capitolo scorso, è arrivata l’introduzione di Alexander (Lex) Davies. Per chi segue Pyramid (che tra l’altro ho intenzione di riprendere i prima possibile, perché  è da troppo ferma in cantiere) lo conosceva come Xander, il piccolo monello iperattivo che Jeremy conobbe una volta traferitosi a Denver. Ebbene, ora Lex è cresciuto e ho pensato di buttarlo in mezzo al calderone di HR, come se non avessi già abbastanza personaggi da sfamare a suon di filoni narrativi…Ma questi sono dettagli, torniamo a noi! Ho deciso che Lex sarebbe diventato paleontologo perché mi sembrava un lavoro adatto a lui e, cosa più importante, gli avrebbe permesso di viaggiare, e ho sempre immaginato il Lex adulto che sviaggia di qua e di là, perché lo stare fermo troppo a lungo lo annoierebbe. E poi mi sembrava una buona alternativa all’archeologo e ai rimandi con le piramidi del passato di Lex.

2. Per quanto riguarda la comparsa di Lex nel capitolo, ho qualche informazione inutile da aggiungere. La Boulder University l’ho scelta perché sembra essere una delle università migliori del Colorado. Non è troppo distanze da Denver dove vive/viveva Lex e c’è un reparto di geologia. Altra informazione inutile: il professor Harlow non ci serve a molto, in realtà,  serviva solo per menzionare l’arrivo di Lex in Virginia e quelle foto che forse vogliono dire qualcosa e forse no. Il nome l’ho fregato a Harry Harlow, un ricercatore che ha effettuato degli esperimenti legati all’attaccamento su piccoli primati.

3. Come accennato prima, Lex come personaggio è nato in Pyramid, che racconta dell’anno che Jeremy ha trascorso a Denver da adolescente, e di come lui e Hazel si sono conosciuti. Tutti i pensieri di Jeremy legati al suo passato nella scena con Hazel sono ancorati a quella storia.

4. Passiamo all’Annaver! Anzi tutto mi sono resa conto che si è creato un lieve parallelismo tra le battute finali della scena Masoline alla riserva e le parole di Anna e Oliver al parco in merito al fatto di avere dei segreti). Ma questa è un’informazione inutile >.< Le cose importanti da dire a riguardo sono due: a) i riferimenti alla casa natale di Annabelle sono completamente inventati, non sono riuscita a trovare molto sul suo passato in giro per la rete. Mentre per quanto riguarda il fatto che dovesse partecipare a miss Mystic Falls nel 1864, è tutto vero: vi riporto ciò che c’è scritto nella wikipedia di TVD (aka, la mia bibbia)
The pageant was meant to be held in 1864, but the hunt and capture of
vampires in the town postponed the event. Anna, a vampire, was supposed to have entered, but when all the vampires got taken to the tomb, she couldn't.

5. Aria e Julian. Finalmente scopriamo qualcosina di più riguardo ai Walcot e a questa strana discordia che aleggia tra le due famiglie. Anche in questa occasione, alcune delle cose raccontate con Aria coincidono con la trama di TVD: Emily Bennett è stata effettivamente tradita da Katherine che ha rivelato al Consiglio il fatto che fosse una strega. Successivamente la donna è stata uccisa, e sono incominciate le persecuzioni. §Per quanto riguarda l’episodio dell’ascensore possiamo trarre due ipotetiche conclusioni; a) o Julian è sfigato come la sottoscritta con la tecnologia b) c’è ancora qualcosa che ci sfugge. Vedremo!

6. La scena con i due Gilbert, Vicki e ‘Tumn non aveva una vera e propria funzione all’interno della trama,ma mi sembrava carina come scena. Finalmente ho avuto la possibilità di inserire anche qui Jasper, il cagnolino di Oliver, che è apparso per la prima volta in A very…Lockwood…Christmas”. La canzone che Vicki insegna prima a Xander e poi a Vicki, tra l’altro, , è “Born to Hand Jive” di Grease XD Ci tenevo a dirlo perché Grease prima o poi tornerà in questa storia – e qualcuno sa anche già com.

7. Concludiamo con il Rictoria – beh, ma qui non c’è molto da dire. Ruby, la cuginetta di Ricki, è un altro personaggio che ha fatto per la prima volta comparsa in uno spin off attualmente in corso, A Very Lockwood Christmas e che mi sembrava carino introdurre anche qui. Ovviamente, se abbiamo la principessina, non potrà mancare quell’uragano di suo fratello minore: Damian “Twister” Blackwell arriverà tra un paio di capitoli e farà qualche comparsa qua e là.

8. Per concludere, un paio di accenni al prossimo capitolo: finalmente arriverà la luna piena. E come tale, il nuovo capitolo sarà interamente dedicato a Tyler, Caroline, Mason e Ricki (con lievi sprazzi di Jeffrey) che in fondo sono un po’ i protagonisti principali di HR. A quella parte tengo molto, perché sta per volgere al termine la prima parte della storia e tutti i capitoli precedenti vertono a quello, quindi vorrei che ne uscisse fuori qualcosa di decente xD
Basta ho straparlato!

Io vi ringrazio infinitamente come al solito se siete riusciti a leggere tutto il polpettone senza collassare!
Un abbraccio forte!

Laura

 

   
 
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