Chapter 10.
There Goes the Neighborhood.
“Alexander! Xander, a casa, per favore.”
“Alexander”
ripeté Jeremy con un guizzo divertito nello sguardo.
“Allora
è così che ti chiami!”
Il
piccolo scosse cocciutamente il capo, nascondendosi sotto la panchina.
“No,
non mi chiamo così.” ribatté, infilando le dita nelle scanalature del legno.
Jeremy rise.
Da Pyramid.
University of Colorado
(Boulder, Colorado) .
Alexander Davies scoccò un’occhiata distratta ai pedoni che stavano
attraversando sulle strisce e sbadigliò. Si sistemò con la mano i capelli
arruffati per poi far scorrere un dito sui bottoni dell’autoradio, deciso a
trovare una canzone decente da ascoltare. Aveva lo sguardo meno vispo del solito
solo perché aveva deciso di sfidare il piagnisteo esasperato della sveglia fino
all’ultimo, rinunciando così alla sua dose quotidiana di caffeina. Aveva
cominciato a bere caffè quando era poco più che uno sbarbatello vivace e
perditempo; a lungo andare l’abitudine si era trasformata in effettiva
dipendenza, seconda solo al suo interesse per le donne. E le scommesse, forse.
Quel mattino, tuttavia, non poteva concedersi più minuti di ritardo rispetto a
quelli che si era già ritagliato, perciò si era alzato di controvoglia, aveva
arraffato una maglietta e dei jeans e si era fiondato in macchina. I
quarantacinque minuti che separavano Denver da Boulder avevano costituito la
parte più tediosa della sua mattinata: detestava stare fermo troppo a lungo e
le attese lo rendevano ancora più impaziente e irrequieto. Non che non ci fosse
abituato, ai lunghi viaggi. Fare il paleontologo richiedeva spostamenti
continui, innumerevoli giornate spese in aereo e capatine ai luoghi più
impensabili del globo, spesso per assistere a convegni barbosissimi che non
destavano in lui il minimo interesse. Se si tratteneva più di due mesi in un
posto, Lex incominciava a sentirsi pressato, spremuto tra due lembi di terra,
sopraffatto dalle abitudini che stavano iniziando a costruirsi attorno a lui. E
così si spostava; anche solo per un paio di giorni. Fortunatamente i suoi
impieghi lo tenevano di rado inchiodato da qualche parte troppo a lungo; aveva
imparato a convivere con quello stile di vita giusto l’indispensabile, in
maniera da potersi godere a pieno l’altro aspetto della medaglia: il
vagabondaggio in giro per il mondo senza preoccupazione alcuna oltre al lavoro.
Il non avere radici, né aspettative. L’esserci e basta. Se non altro, si
trovava a pensare spesso, l’immobilità non sarebbe mai stata una costante nella
sua vita.
Lex incominciò a rallentare solo una quindicina di minuti dopo essere
arrivato a Boulder. Sorrise istintivamente quando riconobbe l’ingresso al
campus principale della University of Colorado, prima di attraversarlo.
Parcheggiò infine di fronte a uno degli edifici più vecchi, non troppo distante
da quello di geologia. Scese dall’auto e si concesse un minuto per guardarsi
attorno, un sorriso accattivante ad arricciargli le labbra: in quell’università
aveva trascorso cinque dei suoi anni migliori. Era piacevole scoprire che non
fosse cambiata poi più di tanto, rispetto all’ultima volta che ci aveva messo
piede. Dieci minuti dopo stava già bighellonando nella Lecture Hall
dell’edificio principale, strofinandosi le mani fra loro. Analizzò
l’esposizione di reperti archeologici con scarso interesse, per poi spostare lo
sguardo in direzione di una coppia di studentesse a un paio di teche di
distanza. Sorrise, quando le due ragazze rivolsero una rapida occhiata nella
sua direzione; una delle due si lasciò sfuggire un risolino, parlottando a
bassa voce con l’altra. Lex era sul punto di esordire con una delle sue
classiche frasi di adescamento, quando una terza persona si introdusse nel
salone.
“Alexander! Ti stavo aspettando.” esclamò il nuovo arrivato, porgendogli
la mano con un sorriso amichevole. Lex la strinse. “Professor Harlow….” lo
salutò, sorridendo affabile.
Harlow era uno dei docenti di archeologia della facoltà. Da quando Lex era
tornato a Denver, l’insegnante gli aveva proposto di passare a trovarlo almeno
cinque volte, e all’ultimo invito il ragazzo aveva deciso di accettare. I due conversarono
del più e del meno per una decina buona di minuti, fino a quando Harlow non si
decise a tirar fuori il motivo del suo invito.
“Forse converrebbe spostarci nel mio ufficio…” costatò a voce bassa,
analizzando con espressione insicura la studentessa che stava osservando le
teche in fondo al salone: la sua amica doveva essere uscita mentre loro due
parlavano. Nuovamente, Lex intercettò lo sguardo della giovane e abbozzò un
sorriso accattivante.
“Mi piace qui.” dichiarò infine
con fare sornione, mettendosi a braccia conserte. Rivolse all’uomo un’occhiata
attenta, per invitarlo a proseguire con il discorso. Harlow scoccò un’occhiata
innervosita alla ragazza, ma infine sospirò, arrendendosi alla sua presenza.
Estrasse il suo iPad da una cartellina che portava sotto il braccio e prese a
frugarne il contenuto.
“Queste foto sono state scattate
ieri sera da un collega in Virginia.” borbottò infine a bassa voce, passando
l’oggetto a Lex. L’uomo analizzò le immagini con attenzione: erano fotografie di
alcuni reperti recuperati da uno scavo archeologico a Saltville – così diceva
la didascalia. Le ultime foto, tuttavia, non ritraevano oggetti, ma parte di un
cranio umano.
“Non mi occupo di
primati.” commentò, notando che diverse fotografie testimoniavano la
riesumazione di ossa umane. L’unica cosa che riuscì a intuire era che fossero
decisamente più recenti rispetto ai reperti archeologici delle prime foto.
Harlow fece scorrere un paio di volte il dito sullo schermo, fino a quando non
trovò le foto che cercava.
“È su queste ultime
immagini che volevo chiederti un parere.” commentò infine, additandone una.
Conteneva una schiera di ossa che ricordavano dei denti, ma dopo averla
osservata per una manciata di secondi, aggrottò le sopracciglia, perplesso:
c’era qualcosa che non quadrava in quella fotografia. Alcuni dei reperti
sembravano completamente fuori posto in mezzo agli altri, quasi fossero stati
ritratti assieme a serie di denti appartenenti ad individui diversi. O
addirittura a specie distinte. “Che cosa ne pensi?” domandò a quel punto
Harlow, indicandogli un punto della fotografia. “Hai mai visto dei canini così
pronunciati in un essere umano?”
Lex non rispose.
“Dove hai detto che
sono state scattate queste foto?” domandò invece. Harlow gli rivolse
un’occhiata esitante da sopra le lenti degli occhiali.
“A Saltville,
in Virginia.”
“Ci andrò.” si limitò a
dichiarare il ragazzo. “Puoi girarmi queste foto via e-mail?”
Un paio di minuti più
tardi, il docente fu costretto a congedarsi, per andare a tenere una lezione.
Lex estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans e digitò un tasto di chiamata
rapida, prima di avvicinarsi il ricevitore all’orecchio; nell’udire la voce del
suo interlocutore, le sue labbra si incresparono a formare un sorrisetto
beffardo.
“Parlo con un certo
signor architetto?” esordì infine, incominciando a frugare nel taschino del
giubbotto, “Chiamo per proporti una piccola rimpatriata: ho una cosetta da fare
in Virginia e mi manca la mia famiglia di tonti preferita…”
Continuò a parlare al
telefono per una decina di minuti. Quando infine tornò a riporre il cellulare
nella tasca si stiracchiò, sorridendo compiaciuto: lo attendevano più di
quattro ore di viaggio, sommando macchina, aereo e autobus; doveva
assolutamente procurarsi quel caffè. Ma sarebbe partito l’indomani, rifletté,
mentre con un ghigno raggiungeva la studentessa all’altro capo del salone.
Quella sera avrebbe avuto ben altro di cui occuparsi. E da come la giovane gli
sorrideva, Lex convenne compiaciuto che
fosse pienamente d’accordo con lui.
***
Jeremy Gilbert chiuse
la chiamata, accennando un lieve sorriso divertito. Appoggiò il cordless sulla
scrivania e tornò a focalizzare la sua attenzione sul progetto di cui si stava
occupando; la voce di Lex ancora gli solleticava la mente, rievocando ricordi
che non avevano nulla di spigoloso o di appuntito. Erano i ricordi migliori
della sua adolescenza: quelli legati all’anno trascorso a Denver, la città in
cui aveva conosciuto Hazel. Il luogo in cui aveva ricominciato a pianificare, a
fare progetti: a vivere. Tante cose non avrebbero mai trovato posto nella sua
vita, se Denver non ci fosse stata. Il matrimonio con Hazel; la nascita di
Xander e Oliver. Per non parlare del suo lavoro: senza quell’anno trascorso
nella metropoli, nulla l’avrebbe mai spinto a riesumare la vecchia passione per
il disegno. Ricordava ancora in maniera più che nitida il pomeriggio in cui
Alaric gli aveva fatto piovere sulle gambe una serie di brochure universitarie
sulle facoltà di architettura degli Stati Uniti. Era stato Rick a guidarlo
verso quella che riteneva essere la strada migliore da percorrere per uno come
lui; ma Jeremy dubitava che sarebbe mai riuscita a intraprenderla senza aver
conosciuto la luce e l’ispirazione di Denver. Senza aver trascorso almeno un
pomeriggio su una delle panchine disseminate per il parco in cui aveva visto
Hazel per la prima volta. Senza Howie e Demetria, i due coniugi che, seppur
anziani, erano riusciti a dimostrargli che c’era ancora qualcuno disposto a
prendersi cura di lui. E, soprattutto, senza quel ragazzino che un giorno,
notando il suo album da disegno, gli aveva chiesto di disegnargli una piramide.
Il pomeriggio in cui Jeremy conobbe Alexander Davies, risaliva ormai a quasi
vent’anni prima. Doveva molto a quel ragazzino chiacchierone e iperattivo,
ormai diventato uomo. Lex faceva riecheggiare in Jeremy la parte migliore di
sé, oltre ai suoi figli. Riportava alla luce per lui Denver e quell’anno
meraviglioso in cui aveva ricostruito la propria vita da capo, allo stesso modo
in cui, nel suo studio, dava origine ai suoi progetti.
“Chi era al telefono?”
Hazel si introdusse nel
suo studio, prelevandolo da quel rimestare di ricordi. Recuperò il cordless e
prese posto sull’unico angolo della scrivania che non era ricoperto di fogli.
Jeremy le sorrise.
“Era Lex. Pare che
riceveremo presto visite da parte sua.”
La donna inarcò un
sopracciglio, pur non riuscendo a nascondere un sorrisetto divertito.
“Ma non lavora mai quel
ragazzo?”
Jeremy sospirò.
“Ha detto che ha delle
faccende da sbrigare in Virginia…Quindi a meno che non si riferisse al nome di
qualche nuova fiamma… Suppongo che si tratti di lavoro.” concluse, sorridendo
del modo in cui la moglie aveva preso a far ciondolare le gambe dalla scrivania
come una ragazzina. Tuttavia, la sua espressione si fece d’un tratto più
apprensiva, come si fosse appena ricordato di qualcosa.
“Haze,
ho bisogno di un favore…” dichiarò a quel punto, guardando la donna negli
occhi.
“Spara.”
“Sarebbe possibile
rispostare la cerimonia di Miss Mystic Falls a domenica sera?” domandò il marito, sforzandosi di apparire il
più rilassato possibile. “Elena, sabato, ha un impegno di lavoro urgente che
gli è impossibile rimandare. Sarebbe piuttosto brutto se non si presentasse,
visto l’importanza delle famiglie fondatrici per queste cerimonie…”
“Jer…”
Hazel gli rivolse un’occhiata esasperata. “La data è appena stata cambiata
sotto richiesta dello sceriffo, andrà su tutte le furie se con così poco
preavviso mi ostinassi a…”
“… e poi c’è Vicki tra
le candidate.” proseguì l’uomo, osservandola con insistenza. “Sai bene quanto
sia importante questo concorso per tua nipote…”
“…ehy,
non arruffianarmi, ragazzino!” lo rimbeccò, inarcando pericolosamente un
sopracciglio. Infine sospirò. “Parlerò con gli altri del comitato.” si arrese,
passandosi il cordless da una mano all’altra. “…se ci incontriamo oggi può
anche darsi che si riesca a posticipare di nuovo la data. Ma per la sera è
impossibile, il salone è già prenotato, l’unica sarebbe rimandare a domenica
mattina.”
“Sarebbe già un
qualcosa.” le garantì Jeremy, leggermente più sollevato. Si chinò in avanti per
baciare la moglie. “Grazie, tesoro.”
La donna, tuttavia,
continuò ad osservarlo con fare impensierito.
“Perché è così
importante che questa cerimonia venga spostata?” domandò infine, mantenendo lo
sguardo puntato sul marito. Jeremy aggrottò le sopracciglia.
“Te l’ho detto: Elena
ha un impegno, quella sera.”
“E io ti ho sentito, ma
non sei suonato convincente.” rispose la donna, e assumendo d’un tratto
un’espressione meno rilassata: per un attimo aveva riconosciuto nello sguardo
del marito, la stessa espressione distante e malinconica dell’adolescente sperduto
di Denver. Quella del Jeremy che disegnava piramidi e che la ritraeva di
nascosto, cercando di scacciare via con quei disegni preoccupazioni ben più
grandi di lui.
“…Che succede,
ragazzino?” domandò, addolcendo il tono di voce e accarezzandogli una guancia.
La conversazione venne
interrotta da una rapida sequenza di passi e una trafelata richiesta di
attenzioni da parte di Xander.
“Papà!” il ragazzo si
intrufolò nello studio del padre senza nemmeno bussare. “Papà, ti devo parlare
urgentemente, in gran privato e da uomo a uomo. Ok, la mamma può restare….”
aggiunse infine, accorgendosi della presenza di Hazel. La donna rivolse
un’occhiata ammonitrice a Jeremy, lasciandogli intuire che la conversazione fra
i due non fosse conclusa, per poi spostare la sua attenzione al figlio. Jeremy
sospirò, voltandosi a sua volta verso il ragazzo.
“Dimmi tutto, Xander
bello.”
Alexander, che a
giudicare dal borsone che reggeva sulla spalla doveva essere appena tornato
dagli allenamenti, si sgranchì la voce.
“Diciamo che avrei
bisogno di un aiutino per via di Miss Mystic Falls…” spiegò, prima di
appoggiare a terra il borsone e di lasciarsi ricadere con aria stanca su una
delle sedie. “…Emh, vabbè, per farla breve, non so
ballare.” ammise infine, sistemandosi il
polsino che gli fasciava l’avambraccio sinistro. “Il che è un guaio grosso visto che dovrò
farlo, se voglio fare da cavaliere a Caroline.”
La madre gli rivolse
un’occhiata a metà tra il divertito e l’intenerito.
“Se lo vieni chiedere a
tuo padre sei proprio diseparato, bello mio.” obiettò, dandogli un buffetto
sulla guancia. Il marito si accigliò.
“Ma perché mi devi
sminuire così?” commentò, fingendosi offeso. Hazel gli diede una gomitata
scherzosa.
“Ma guardalo! Se l’è
presa, il ragazzino!” ribatté, scoccando un’occhiata complice al figlio. Jeremy
abbozzò un sorriso.
“Già, e adesso mi
prendo anche qualcos’altro.” dichiarò infine, prima di avvicinarsi alla moglie
per darle un bacio. Xander sbuffò, facendo poi ciondolare stancamente il capo.
“Seh,
seh, molto carini, ma il mio grande problema rimane.”
Borbottò, appoggiando la fronte sul legno fresco della scrivania del padre.
Hazel fece mente locale per una manciata di secondi.
“Beh, Oliver se la cava
con il ballo.” ricordò, appoggiandosi al bracciolo della sedia di Jeremy.
“Scusa, ma perché non
chiedi a tua cugina?” propose invece il padre, voltandosi in direzione del
ragazzo. “Fa danza da quando era piccolina ed è una testa dura, vuoi che non
riesca ad insegnarti qualche passo?”
Xander si sollevò di
scatto a sedere e si batté una mano sulla fronte.
“Vicki!” esclamò ad
alta voce, recuperando la sua sacca da hockey. “Come ho fatto a non pensarci
prima?” osservò, precipitandosi fuori dallo studio. “Grazie papà!”
“Ehy,
Xander bello!” gli gridò dietro il padre, mentre Hazel rideva, sollevandosi a
sua volta dalla scrivania. “Lo sai che alla cerimonia non potrai andare con
quei capelli, vero?” aggiunse, osservando la moglie rivolgergli un’occhiata di
sfida. “Io e te facciamo i conti dopo.” dichiarò la donna decisa. Gli fece una
carezza sulla schiena e seguì il figlio in corridoio. Jeremy annuì in silenzio
per poi sospirare, cercando di tornare a concentrarsi sui suoi progetti; in
cuor suo sperava che quel ‘dopo’ arrivasse il più tardi possibile.
***
Quando Oliver era molto
piccolo, aveva creduto a lungo che i
punti del vicinato oltre i quali non gli fosse concesso addentrarsi,
delimitassero i confini del mondo. Si concludeva tutto lì: all’angolo fra South
Road e il vicolo che ospitava la sua casa e quella dei Donovan. Con l’inizio
della scuola, i suoi orizzonti si erano ampliati: una sequenza di villette
allineate di fronte alla strada, il parco, le scuole, la chiesa e il campetto
dietro il Mystic Grill. Questo era il mondo dal punto di vista dell’Oliver di
quattro anni. Crescendo, erano arrivate le prime capatine a casa Lockwood con
suo fratello, e poi i giri dell’isolato in bicicletta assieme a Mason. Il mondo
di Oliver si era esteso in fretta, guadagnando terreno ogni volta che il
bambino otteneva il permesso di recarsi da solo in un nuovo punto della
cittadina. In quei momenti Oliver sorrideva, felice di poter andare e venire da
quei luoghi come volesse, senza dover dipendere dai suoi genitori. Ad ogni
nuova meta raggiunta sentiva di possedere una porzione sempre più grande del
suo mondo, anche se in fondo sapeva bene di essere lui stesso parte di ciò che
lo circondava. La sua prospettiva partiva dall’alto, perché in fondo lui, con
la testa, era sempre rivolto alle nuvole, agli aerei e alle stelle. Guardare le
cose a modo suo aveva il dono di farlo sentire leggero, spensierato e libero.
Se si è sulle nuvole e si guarda verso il basso, è piuttosto difficile sentirsi
turbati: sembra tutto incredibilmente piccolo che il cuore quasi si riempie al
pensiero di avere il controllo sulle cose. I fiumi che straripano si possono
contenere pizzicandoli con due dita. Gli incendi possono essere spenti
soffiandoci sopra: le persone si possono salvare semplicemente con l’uso di un
polpastrello. Ogni cosa è sostenibile; ogni problema è risolvibile. Quello era
il mondo come lo vedeva Oliver nei momenti in cui lo si sorprendeva sorridere;
pensava a questo, le volte in cui la pioggia gli scrosciava addosso e lui
rideva da solo di se stesso, perché ancora una volta si era dimenticato a casa
cappotto e ombrello. Il suo blocco da disegni, la sua moto, gli aerei, non
erano altro che scorciatoie che lo aiutavano ad accedere a quella prospettiva.
Ed era quello, che
stava accadendo in quel momento; per nulla infastidito dai laccetti del casco
che premevano sulla sua pelle, Oliver virò in direzione del parco, sorridendo
dalla pressione del vento appoggiato sulle sue spalle. La sensazione di beatitudine
trasparita dallo sfrecciare delle due ruote sull’asfalto non sfumò, nemmeno
quando la corsa si interruppe. Il ragazzo scese dalla moto, si sfilò il casco e
attraversò un cancelletto in legno che delimitava l’ingresso del parco
pubblico. Sette o otto bambini erano sparpagliati per la distesa di prato, alcuni
in fila per andare sullo scivolo, altri a contendersi un’altalena. C’erano
anche diversi genitori, intenti a chiacchierare in piccoli gruppi. Oliver
proseguì a camminare fino a quando non raggiunse i margini del parco; individuò
uno degli alberi più in disparte e prese posto sull’erba appena umida, appoggiando
la schiena al tronco della pianta. Si sfilò la tracolla e ne estrasse una matita
e il suo album da disegno. Sorrise,
accorgendosi di non essere solo. Annabelle si sedette alla sua destra,
ricambiando il sorriso del ragazzo.
“Venivo qui con tuo
padre, qualche volta.” ammise, stringendosi le ginocchia al petto. Il suo
sguardo rincorse per un po’ le corse impacciate di due bambini piccoli, prima
di spostarsi nuovamente su Oliver. “è uno dei posti che preferisco di Mystic
Falls”.
“Hai un luogo preferito
in generale?” domandò il ragazzo, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e
incastrando la matita dietro un orecchio. Annabelle annuì.
“La mia casa natale.”
rivelò, tornando ad osservare i due bambini.
“L’ho detestata a lungo, perché nei due anni in cui sono stata malata
non potevo mai uscirne. Ma mi rendo spesso conto che, dopo tutto questo tempo,
è quello il posto che deciderei di visitare se mi fosse possibile tornare
indietro. Mi manca quello che rappresenta, credo. Mi manca trascorrere le
giornate a rincorrere gli altri bambini nei campi e rincasare solo per la cena
o per aiutare mia madre con i lavori. Mi manca tutto ciò che c’era prima che mi
ammalassi.” concluse, tornando ad osservare Oliver. “Qual è il tuo posto
preferito?” chiese infine, rimbalzandogli la domanda. Oliver rifletté per
qualche istante, immergendo lo sguardo nel nulla.
“La ruota panoramica al
Six Flags di Denver.”
rispose infine, sorridendo al ricordo della sua città preferita vista
dall’alto, contornata dai sorrisi e dalle risate dei visitatori del parco. “O
ovunque in cielo. Mi piacerebbe pilotare un aereo, un giorno. Sai, stare in
alto mi fa sentire come se potessi avere più controllo sulle cose: è una bella
sensazione.”
“Deve essere bello, volare.” commentò la ragazza, abbracciandosi le ginocchia.
“Non ho mai preso un aereo in vita mia. …E nemmeno da morta, a dirla tutta.”
Scherzò, abbozzando un sorriso.
“Lo prenderai il giorno in cui ne piloterò uno per la prima volta.” commentò il
ragazzo, dando una scrollata di spalle. “Puoi seguirmi ovunque vada , giusto? ”
Annabelle continuò a
sorridere, ma non rispose. Oliver recuperò la matita da dietro l’orecchio e
prese a giocherellarci, facendola scorrere tra l’indice e il medio. “Hai
scoperto qualcosa su Mase?” domandò infine. L’espressione di Anna si fece d’un
tratto più titubante; infine annuì, prendendo a mordicchiarsi un labbro.
“Credo di aver capito quale sia il suo
problema.” concluse infine, voltandosi ad osservare Oliver ancora una volta.
“Posso solo dirti che Mase non è in
pericolo e che non è solo. La sua famiglia lo aiuterà.”
“Immagino che non ci
sia proprio modo di scoprire in cosa debba essere aiutato…” mormorò il ragazzo,
assumendo un’espressione impensierita. Annabelle sospirò.
“Non sarebbe meglio che
fosse Mason a parlartene, quando si sentirà pronto a farlo?” chiese. Oliver continuò
a giocherellare con la matita, lo sguardo nuovamente disperso nell’andirivieni
di bambini e biciclette.
“Che cosa posso fare
per lui?” domandò infine, rassegnandosi a uno sguardo di resa. La giovane
scosse il capo.
“Nulla di più che
stargli vicino.” concluse, sorridendogli con dolcezza . “Specialmente in questi
giorni.”
“In realtà credo che mi
stia evitando.” ammise il ragazzo, abbandonando la matita sul blocco. La
osservò rotolare fino a raggiungere un lembo della sua felpa e infine sospirò.
“Probabilmente pensa che sia arrabbiato con lui; spero di riuscire a parlargli
alla cerimonia di Miss Mystic Falls.”
L’espressione di Anna
si fece d’un tratto più vivace.
“Si terrà questa
settimana?”
Il ragazzo annuì.
“Questo sabato.
Concorrono sia mia cugina che la sorella di Mase e Xander farà da cavaliere a
Caroline. Tra l’altro, ora che ci penso, mio fratello mi ha chiesto di
incontrarlo da Vicki, questo pomeriggio. Forse farei meglio ad incamminarmi
verso casa…” commentò, sollevandosi rapidamente da terra e spolverandosi il
dietro dei jeans. Annabelle sorrise.
“Lo sai…” incominciò la
ragazza, alzandosi a sua volta. “…c’è stato un anno in cui avrei dovuto
concorrere anch’io. Ero talmente entusiasta all’idea, che ho provato e
riprovato l’abito da cerimonia per giorni.”
“Mi sarebbe piaciuto vederti…” dichiarò il ragazzo con un sorriso, prima di
aggrottare leggermente le sopracciglia. “Che successe poi?”
La ragazza esitò con
titubanza, per poi lasciar trasparire nel suo sguardo un barlume di malinconia.
“L’evento venne
posticipato e non potei più partecipare.” accennò brevemente, posandosi le mani sulle ginocchia. “Per chi
farai il tifo?” domandò infine, in un’evidente tentativo di cambiare discorso.
Oliver diede una scrollata di spalle. “Non saprei…” ammise, prendendo ad
attraversare il parco. “So che Vicki ci tiene tanto… Ma sarei contento anche se
vincesse Caroline. Penso che lei lo stia facendo più che altro per mio
fratello… anche se Xander fatica ad accorgersene.” spiegò, raggiungendo la sua moto con
Annabelle al fianco.
“Sai molte cose.” considerò con un sorriso la ragazza, osservandolo mettersi il
casco. Oliver sorrise a sua volta,
tornando a riporre il suo album da disegno nella tracolla.
“Sono un buon
ascoltatore…” spiegò, liberando la moto
dal lucchetto. “E sono bravo a custodire segreti degli altri.”
“E tu non ne hai di segreti?”
Oliver si issò sulla
moto e diede una scrollata di spalle.
“Tutti hanno dei
segreti.” costatò infine, frugandosi in tasca,
alla ricerca della chiave di accensione. Non si meravigliò nemmeno quando, tornando a volgere lo sguardo verso la ragazza, non la
trovò più al suo fianco. Sorrise, mettendo in moto e avviandosi in direzione di
casa sua: Annabelle era senza dubbio parte di uno dei segreti più grandi che
avesse mai avuto.
***
"Did your family journals tell you what
happened to Emily?
What about my grams? It
never ends well for people like me.”
Episodio
2x07. Masquerade
Richmond,
Virginia Commonwealth University.
“Ti va un
caffè?”
Era la seconda
settimana di fila che Julian attendeva l’arrivo di Aria all’ingresso dell’aula
di biologia, per proporle di prendere qualcosa assieme. Dopo il primo
disastroso incontro che avevano avuto il giorno della rivelazione della ragazza,
le cose avevano incominciato a migliorare lievemente. Arielle continuava a
comportarsi in maniera scorbutica e diffidente, ma nel corso dell’ultima
settimana aveva incominciato ad abbandonare un po’ di ostilità, lasciandosi
andare a qualche saluto amichevole e perdendosi in conversazioni articolate che
il più delle volte vertevano sullo stesso argomento: la magia.
Quel
pomeriggio in particolare, Julian sperava di poter ascoltare qualche altro
particolare a proposito dei conflitti tra Walcot e Bennet; nei giorni
precedenti Aria gli aveva menzionato più volte l’astio tra le due famiglie,
spiegandogli che le motivazioni legate a quel rancore erano legate a qualcosa
accaduto in passato. Ma non era ancora riuscito a scoprirne il perché.
Quando Julian le venne incontro, Aria era occupata a cercare di infilare due
spessissimi tomi di biologia nella borsa.
“è giorno di
riposo per entrambi al pub.” specificò il ragazzo, osservandola trafficare con
i libri. “…e ci sono ancora diverse cose che mi devi raccontare a proposito
di…” si interruppe appena in tempo, prevedendo l’imminente minaccia di
un’occhiata di fuoco da parte dell’amica. La ragazza si limitò a uno sguardo
torvo, prima di annuire lentamente.
“Ok.”
acconsentì, sistemandosi una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio. “Va
bene; ma il posto lo scelgo io.” concluse, strattonando la borsa e spingendoci
dentro uno dei due libri di testo. Julian sorrise.
“Se vuoi
posso…”
“No, grazie.”
Arielle lo interruppe prontamente, incominciando a camminare per il corridoio.
Il ragazzo si strinse nelle spalle.
“…mettere quei
libri nel mio zaino. Va bene, non fa niente.”
Concluse
alzando le mani in cenno di resa. Seguì la ragazza in direzione delle scale e poi fuori
dall’edificio.
“Dove stiamo
andando?” chiese infine, notando che si stavano dirigendo verso l’Art Center,
una delle strutture più estese del campus. Finalmente, Arielle abbozzò un lieve
sorriso.
“Hai detto che
volevi prendere un caffè...Il Globe Cafè dell’Art
center è probabilmente il posto che preferisco in tutto il campus.” spiegò.
Julian sembrò sorpreso.
“Non sapevo ci
fosse un bar qui dentro…” osservò. Per quanto ne sapeva, l’edificio ospitava
solo uno Starbucks e una tavola calda al piano terra. La ragazza diede una
scrollata di spalle, stringendosi il libro che non era riuscita ad infilare
nella borsa contro il petto. “è all’ultimo piano…Lo frequentano in pochi. È più
tranquillo rispetto allo Starbucks e ha le vetrate…Sembra quasi di essere sul
tetto. Allora, vieni?” lo incitò, prendendo a salire le scale. Julian le
rivolse un’occhiata poco convinta.
“Non possiamo
prendere l’ascensore?” domandò, abbozzando un sorrisetto speranzoso. Aria strinse
le labbra e continuò a salire.
“Non vado
esattamente matta per gli ascensori: mi sento soffocare…” ammise, mentre sospirando,
Julian recuperava qualche gradino per stare al suo passo. “…Anche per mia nonna
e mia sorella è così. Forse è una cosa che ha che fare con…” si interruppe,
scoccandogli un’occhiata eloquente. “…hai capito, no? Con l’essere una strega.”
Julian estese
il suo sorriso.
“Oh, giusto.
Probabilmente voi preferite le scope agli ascensori.” scherzò, superando
finalmente l’ultimo gradino. L’occhiataccia bieca di Arielle, lo fece scoppiare
a ridere.
“Non farmi
nemmeno rispondere, Bennett.”
“Va bene…Arielle.”
“è Aria!” si
impuntò la ragazza, indicando l’entrata del bar alla loro destra. Julian estese
il suo sorriso.
“E io sono
Julian, Julian Morgan: non Bennett.” le
fece notare, incominciando a cercare con lo sguardo un tavolo libero. La
ragazza sospirò, seguendolo fino a raggiungere le vetrate.
"..E va
bene…Julian.” Si arrese, prendendo posto su uno degli sgabelli liberi. Quindici
minuti più tardi, Aria incominciò a raccontare qualcosa a proposito della
discendenza Walcot. Julian ascoltava con attenzione, deciso ad assorbire ogni
dettaglio di quella realtà che sentiva vicina, ma che era al contempo distante
rispetto al modo in cui era cresciuto.
“Ci sono delle
specie di ‘nozioni base’ che le streghe Walcot si tramandano di generazione in
generazione…”stava spiegando la ragazza, facendo oscillare il contenuto della
sua tazzina di caffè. “…Anche se ormai è difficile trovare dei Walcot che
ancora si appoggino a quei paletti. In generale, i discendenti della nostra
stirpe si sforzano di vivere il più possibile a contatto con la natura.”
“Perché?” la
interruppe Julian, sorseggiando il suo caffè. Aria diede una scrollata di
spalle.
“La magia non
è un qualcosa di artificiale,” rispose. “è frutto della natura. E come tale,
stare a contatto con ciò che l’ha generata dovrebbe accrescerla. Gli elementi
della natura sono al tempo stesso una fonte da cui attingere energia e un sostegno
a cui appoggiarsi. Le generazioni più anziane, in aggiunta, diffidano da tutto
ciò che è artificiale e tecnologico. E stiamo parlando di ben più di un
ascensore…”
“…Non è un po’ stupido?” azzardò Julian,
seppur con un po’ di titubanza. La ragazza strinse le labbra e scosse il capo,
prima di proseguire con il discorso.
“Teoricamente,
le streghe Walcot sono anche piuttosto reticenti all’utilizzare la magia per
stupidaggini. Per questo ho cercato di ostacolarti con la storia dell’allarme
anti-incendio.” Aggiunse.
“Ma
ostacolandomi, non hai anche tu utilizzato la magia per stupidaggini?” le fece
notare il ragazzo. Aria roteò gli occhi.
“Per quello ho
detto “ teoricamente.” gli ricordò, facendo spallucce. “Ma in generale, c’è
l’intenzione di sfruttare la magia solo per ciò che è positivo ed estremamente
essenziale: curare qualcuno o aiutare qualcun altro... E i Walcot, in generale,
sono molto rigidi e categorici per carattere…”
“Non me ne ero
accorto…” scherzò a bassa voce il
ragazzo, abbozzando un sorriso.
“...una
tempo non era esattamente così. Sono sempre stati molto fedeli al Grimorio e ai
suoi principi, ben decisi a non abusare troppo dei propri poteri, ma in passato
c’era più collaborazione tra varie famiglie. Fino a quando i Bennett non hanno
deciso di invischiarsi in faccende che non li riguardavano...”
“Ti va di
spiegarmi che cosa è successo tra Walcot e Bennett?” chiese il ragazzo,
impaziente di scoprire la verità. Aria prese fiato e proseguì con il discorso.
“Anzitutto
bisogna dire che tra la mia famiglia e la tua non è mai corso buon sangue. I
Walcot sono molto discreti e attenti, i Bennett erano meno restii a mantenere
il proprio dono segreto. Spesso hanno confidato nelle persone sbagliate e sono
stati traditi, mettendo a rischio anche le altre discendenze. Ciò che
maggiormente ha segnato l’astio tra le nostre due famiglie è stato il principio
di collaborazione dei Bennett con i vampiri…”
La ragazza
si costrinse a interrompersi, notando l’espressione allibita dell’amico.
“Vampiri.”
ripeté Julian, abbozzando un sorrisetto divertito. “Questa è buona.” commentò.
Aria inarcò un sopracciglio e si chinò sul tavolo, per raggiungerlo.
“Credi
davvero di poter essere l’unico ‘diverso’, Julian Morgan?” mormorò, per poi
tornare a drizzare la schiena. “I vampiri esistono. E non sono nemmeno pochi.”
aggiunse, estendendo il sorriso nel notare un accenno di preoccupazione nello
sguardo del ragazzo. “Le streghe per istinto
diffidano da loro, perché la transizione da umano a vampiro è qualcosa che non dovrebbe
esistere in natura. Ma non i Bennett, ovviamente.” aggiunse, prima di terminare
il suo caffè e di spingere la tazzina di lato.
“Alcune
streghe Bennett hanno stretto patti di alleanza con i vampiri. Li hanno
protetti, hanno creato dei talismani per far sì che non fossero ostacolati dal
sole. I vampiri hanno intuito presto quanto quel genere di alleanza avrebbe
potuto rivelarsi utile e hanno cercato di trarne beneficio. Cercandole,
provando a scendere a patti con loro, talvolta corrompendole, talvolta
minacciandole. Diverse streghe vennero uccise, ma il vero massacro avvenne in
seguito, nella seconda metà del 1800.” Si interruppe momentaneamente, per
riprendere fiato.
“Hai detto di essere nato a Mystic Falls, vero? è lì che accadde. Intorno alla
metà del secolo, viveva una tua antenata di nome Emily. Uno dei vampiri la
tradì: informò il Consiglio della cittadina a proposito della discendenza Bennett.
Rivelò loro che Emily era una strega. Quell’episodio scatenò la più violenta
caccia alle streghe mai avuta in Virginia.” rivelò ad un ormai completamente
rapito Julian. “Diverse donne vennero bruciate al rogo, la prima delle quali fu
Emily: molte di esse erano Walcot. Non tutte le donne uccise erano streghe.” concluse,
chinando lo sguardo a cozzare contro la superfice nivea della tazzina da caffè.
“Molte famiglie di streghe, quelle sopravvissute alla caccia, si sono spostate
in altri stati per sfuggire al pericolo. Gli stessi Walcot lo hanno fatto; mia
nonna è stata la prima strega della nostra stirpe a tornare in Virginia dal
1870.” rivelò, stringendosi nelle spalle. “L’astio nei confronti della stirpe
Bennett risale a quel massacro.”
Julian
rimase in silenzio durante l’intero racconto della ragazza. Quando Aria terminò
il discorso, continuò a meditare sulle sue parole, mentre con il polpastrello
raggruppava i granelli di zucchero sperperati sul piattino. Stralci del
discorso della giovane giravano in tondo nella sua testa in maniera tutt’altro
che positiva: non era poi più così convinto di aver fatto la scelta giusta,
addentrandosi nel passato della sua famiglia. Non sapeva un bel niente di quel
mondo. Cinque o sei formulette apprese da un vecchio libro non erano
sufficienti a renderlo uno stregone. Sì, c’era quel prurito ai polpastrelli, la
sensazione di poter controllare e plasmare le cose a suo favore se solo avesse l’voluto,
ogni volta che era agitato per qualcosa: c’era il fruscio. Ma per il resto? Era davvero pronto ad affrontare quei
poteri come aveva sempre pensato? C’era ancora troppo che non sapeva. Ma era
arrivato a un punto di non ritorno: ormai, anche quello che sapeva era
diventato troppo per poter mettere tutto da parte e tornare al punto di
partenza.
“Adesso devo
andare.” concluse infine Aria, raccogliendo la borsa ed alzandosi in piedi.
“Sono indietro con lo studio e nemmeno di poco.”
Julian
annuì.
“Aria?” la richiamò infine alzandosi a sua volta, per recuperare
il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans. “Cambierai mai idea su di me?”
domandò infine, rivolgendole un’occhiata esitante.
La ragazza
lo analizzò con attenzione.
“Veramente penso
di avere già incominciato a farlo…” ammise infine, seppur evitando il suo
sguardo. Julian le rivolse un sorriso di gratitudine. “Meglio che non lo dica
troppo forte, però.” proseguì la ragazza, abbozzando a sua volta un lieve
sorriso. “Non vorrei finire prima o poi a dovermi rimangiare tutto.” aggiunse,
fingendo un’occhiata di ammonimento. Julian la osservò allontanarsi verso
l’uscita del bar, per poi accorgersi all’ultimo che il libro di testo della
ragazza erano rimasti sul tavolino.
“Aria! Il
libro!” la richiamò, raccogliendo il volume e seguendola fino all’ingresso del
locale. Nel porgerglielo, le loro mani si sfiorarono e Julian si sorprese nel
ritirare bruscamente indietro la sua, assumendo un’espressione allarmata.
“Qualcosa non va?” domandò la ragazza,
recuperando il libro e ritirando lentamente il braccio. Julian scosse il capo,
sfregandosi le mani con fare pensieroso.
“Ho preso la
scossa…” buttò lì, per nulla convinto delle sue parole. La sensazione provata
ricordava più il tremolio avvertito quando aveva formulato l’incantesimo di
riconoscimento. Ma una volta ritratta la mano aveva continuato a pulsare per un
po’, come se fosse effettivamente stato colpito o punto da qualcosa. Come se
quel contatto gli fosse costato una sorta di ammonimento; quella era la
sensazione che il suo corpo aveva recepito. Tornò a sorridere ad Aria, che
sembrava confusa dalla sua reazione.
“Ci vediamo domani.” esclamò infine il ragazzo,
tornando a parlare in tono di voce amichevole. La ragazza annuì, seppur
esibendo un’espressione un po’ interdetta. Si strinse il libro di testo al petto e
puntò alle scale dell’edificio.
Quando, dopo
aver pagato il conto, Julian si allontanò a sua volta dal bar, decise di
ignorare le scale e di prendere l’ascensore. Mentre premeva il bottone per scendere
al piano terra, la sua attenzione era ancora completamente assorbita dal
racconto di Aria. Per questo impiegò almeno una trentina di secondi, prima di accorgersi
che l’ascensore non si stava muovendo: dopo quasi un minuto era ancora all’ultimo
piano. Premette ancora una volta il pulsante di partenza, ma notò che le luci
che contornavano i tasti erano spente, così come il display del quadrante con i vari bottoni.
“Forse
allora sono agli ascensori che non piacciono le streghe e non viceversa…”
borbottò fra sé, appoggiando scocciato le mani sulle due lastre di
metallo. Cercò di aprire le porte con
l’intenzione di raggiungere le scale, ma non successe nulla.
“…No…”
Avvertendo
le prime avvisaglie di panico, Julian prese pigiare bottoni a caso, accanendosi
in particolare con quello da premere in caso di emergenza; non ottenendo alcun
risultato, si sforzò di fare perno su quel fruscio
che tormentava i suoi polpastrelli dal momento in cui aveva sfiorato la mano di
Aria. Proprio nel momento in cui incominciò ad esercitarlo, sforzando si di
tramutarlo in magia, quello scomparve. Non avvertiva nulla, quasi qualsiasi
cosa lo stesse trattenendo in quell’ascensore avesse neutralizzato tutto ciò
che lo rendeva diverso dai coetanei.
E infine,
quando il ragazzo era ormai sul punto di gridare, per farsi sentire da
qualcuno, l’ascensore tornò in funzione. All’improvviso, come se nulla fosse
successo. Il bottoncino con lo “zero” si illuminò e meno di un minuto dopo
Julian era al piano terra, fuori dall’ascensore e da quell’infernale momentaccio.
Una volta fuori dall’edificio, prese ad aprire e a chiudere in fretta le mani,
sperando di veder affiorare il regolare pizzicore ai polpastrelli.
Accidentalmente, appiccò fuoco a una carta di gomma da masticare per terra:
estinse la fiamma e schiacciò ciò che rimase della carta con il tallone,
tirando un sospiro di sollievo: il fruscio
era tornato.
Scoprì
tuttavia che la cosa non lo rasserenava poi così tanto come aveva immaginato: che
cosa cavolo gli era successo in quell’ascensore’
***
“You're
so teaching me how to do
the hand jive!”
Episode
1x12. Unpleasantville.
Prima di raggiungere il
fratello e la cugina dai Donovan, Oliver fece un salto un salto in casa per
posare il suo album da disegno. Quando
si introdusse nella sua stanza, trovò qualcuno ad aspettarlo: Jasper, il
cucciolo di casa Gilbert, gli corse incontro scodinzolando, per poi
accoccolarsi sui suoi piedi. Il piccolo di Golden Retriever era arrivato di
recente in famiglia, in seguito al quindicesimo compleanno di Oliver; gli era
stato regalato da Mason che l’aveva personalmente ribattezzato “Ollie due” per
via del carattere mite e solare che ricordava quello del padroncino. Jasper era
dolce e fedele come il più piccolo dei fratelli Gilbert, ma anche vivace e
giocherellone come Xander: un autentico mix dei due giovanotti di casa. Era
completamente devoto a Oliver, e lo seguiva ovunque, fuorché non ci fossero dei
gradini troppo alti da superare: a quel punto piangeva fino a quando il
padroncino non accorreva in suo aiuto.
Oliver sorrise e si
accovacciò, permettendo al cucciolo di premere il muso contro il suo ginocchio.
“Buon pomeriggio anche
a te, Jasper.” Lo salutò con dolcezza, dandogli una grattatina dietro le
orecchie. “Ti va di fare una passeggiata?”
Dal modo frenetico in
cui il cucciolo agitava la coda intuì facilmente che la risposta fosse “sì”.
Dieci minuti più tardi
Oliver e Jasper attendevano sul pianerottolo di casa Donovan che qualcuno
venisse ad aprire la porta: arrivò una trafelata Vicki; la ragazza sorrise
sorpresa, quando vide il cagnolino.
“Quando ti ho detto che
potevi portarti dietro anche l’altro piccoletto, mi riferivo a Mase…” scherzò,
inginocchiandosi e battendosi le mani sui polpacci. Jasper le andò incontro,
mordicchiandole entusiasta un lembo dei jeans. “…Ma anche questo cucciolotto
qui va benissimo; quanto sei bello, eh, piccolino? Dillo alla zia Vick!” Jasper
si lasciò coccolare per una buona manciata di minuti, prima di fiondarsi in
casa, riconoscendo la voce di Xander.
“Cuginona, io sono
pronto!” esclamò il maggiore dei fratelli Gilbert, quando Vicki e Oliver
raggiunsero lui e Autumn in soggiorno. Appallottolò la carta della sua
merendina, e la buttò nello zainetto appoggiato sul divano, prima di
stiracchiarsi vistosamente. “Mi stai salvando la vita, sappilo!”
“Super Vicki al tuo
servizio, cuginetto!” dichiarò Vicki, prendendo a saltare sul posto, prima di
spingere una poltrona di lato con il piede. “Ma vedi di trattare bene Caroline
alla cerimonia, o dovrai vedertela con le mie strabilianti piroette rotanti!
Dunque…” proseguì poi, abbozzando una giravolta. “…ci serve una pista da
ballo!” valutò, sistemando un tavolino di fianco alla poltrona.
Incrociò le braccia sul petto e osservò i mobili del soggiorno con aria
critica. “Spostiamo i divani di lato e dovremmo essere a posto!” concluse, additando
il divano più distante. “Ollie e ‘Tumn, mi date una mano con quello lì?
Xander, muovi il sederino e sposta questo.” concluse, picchiettando con la mano
sull’imbottitura del secondo divano e tirando fuori l’iPod dalla tasca. Quando il soggiorno fu libero, Xander e Vicki si sistemarono al centro della
pista con Jasper che trotterellava loro attorno.
“Dobbiamo ballare anche noi?” domandò un confuso Oliver, voltandosi in
direzione di Autumn. La ragazza si sistemò su uno dei divani e gli fece segno
di sedersi accanto a lei. “Noi facciamo da supporto morale…credo.” commentò, battendo il piede a ritmo di
musica.“Ehy, la conosco questa canzone!”
Vicki batté le mani con
aria soddisfatta.
“È di Grease: ‘Born to hand jive’ ”, spiegò, alzando il
volume delle casse. “Xander bello, sei fortunato. Giusto ieri ho preparato una
coreografia per i bimbetti del corso di danza di questa sera.”
“Aspetta, aspetta,
aspetta…” la interruppe il cugino, scoccandole un’occhiata sconcertata. “…Vuoi
farmi imparare un balletto per bambini?”
A lato della pista da
ballo improvvisata, Oliver e Autumn si scoccarono un’occhiata divertita. Vicki
si sfilò via un ciuffo di capelli dagli occhi e portò con decisione le braccia
sul petto.
“Xander bello, non sei
qui per imparare come si balla!” spiegò, scrutandolo con una serietà incredibile.
Il ragazzo le rivolse un’occhiata confusa.
“Ah, no?”
“No! Sei qui per imparare a capire che tu in
realtà sai già come si balla!”
“Intricato!” commentò
Oliver, sorridendo ai maldestri tentativi di Jasper di balzare sul divano. Prese
il cucciolo in braccio e lo depositò fra lui e Autumn, permettendogli di
zampettare avanti e indietro per un po’.
Xander si portò le
braccia al petto, aggrottando le sopracciglia con fare pensieroso. Infine
scosse il capo. “Non ho capito.” ammise infine, intrecciando le dita dietro la
nuca. “Ma tutte queste parole mi stanno facendo venire fame.”
Victoria sospirò,
appoggiandosi le mani sui fianchi. Infine, andò ad abbassare il volume della
musica.
“Vedi, cuginetto…”
spiegò, tornando al centro della “pista”. “…ballare non significa solo
oscillare a destra e a sinistra, fare qualche piroetta su se stessi e far sballonzolare seni e chiappe, come pensa qualcuno.”
aggiunse quasi casualmente, appoggiandosi allo schienale della poltrona. Autumn
accennò un sorrisetto divertito.
“Primo riferimento a
Ricki del pomeriggio!” dichiarò, fingendosi seria e sollevando il dito indice.
Victoria le fece la linguaccia e proseguì con il suo discorso.
“È una disciplina: è
uno sport!” enfatizzò l’ultima parola, mimando il gesto di agitare una mazza da
baseball. “Come il tuo hockey, Xander, o l’atletica di ‘Tumn…O il calcio…”
“Secondo riferimento a Ricki…” si trovò in
dovere di sottolineare nuovamente Autumn. Victoria prese un cuscino dalla
poltrona e lo lanciò in testa alla migliore amica.
“Nel momento in cui ti
accorgerai che ballare non è poi così diverso dal praticare uno sport
qualunque…” riprese, chinandosi, per evitare di venire a sua volta colpita. “…Allora
ti sentirai più a tuo agio nel farlo e sarai pronto per le prove ufficiali
della cerimonia! I passi di danza te li insegnano poi lì.” concluse, balzando
giù dalla poltrona e raggiungendo Xander, che ancora stava ascoltando con le
dita intrecciate dietro la nuca.
“Adesso è più chiaro,
porcospino?” domandò, facendo strisciare il palmo della mano sul crestino del
ragazzo.
“Chiarissimo!” dichiarò
il ragazzo, dandole uno schiaffetto sul polso, per poi prendere a sistemarsi i
capelli con la mano. “Ma lascia stare il mio povero crestino.”
“Come farai a sopravvivere un’intera giornata
senza cresta, sabato?” domandò la cugina. “Ehy, a
proposito, dovremmo darle un nome! Vediamo, umh…”
“Ernesta la cresta!” le
venne in aiuto Autumn. Oliver si mise a ridere.
“O Tino il crestino se è maschio!” aggiunse
il giovane.
“Tino!” ripeté ad alta
voce Xander, circondandosi la cresta con le mani, come se volesse proteggerla.
“Mi piace Tino! D’ora in poi si chiamerà così!”.
“Aggiudicato!” esclamò
allegramente Vicki, raggiungendo un’ultima volta le casse e il suo iPod. Alzò
il volume e fece partire la canzone da capo.
“Allora, Tino crestino,
Xander il cugino…” incominciò, voltandosi verso il ragazzo. “…E Jasper il
cagnolino…” aggiunse, notando il cucciolo acquattato proprio al centro della
pista da ballo improvvisata. “…siete pronti?”
Jasper abbaiò,
improvvisamente interessato a uno dei laccetti dei pantaloni di Vicki.
“Lo prenderò come un
sì.” Concluse la ragazza dandogli una grattatina dietro le orecchie e
sistemandosi di fronte a Xander.“E allora incominciamo!”
***
Take
me where I've never been,
Help
me on my feet again.
Show
me that good things come to those who wait.
You can. David Archuleta
Xander, Oliver e Autumn
erano rincasati ormai da almeno un paio d’ore, quando il campanello di casa
Donovan suonò per la quarta volta in un pomeriggio. Elena andò ad aprire, una
penna rossa in mano e il tema di un alunno nell’altra, convinta che uno dei
suoi nipoti si fosse dimenticato qualcosa in soggiorno. Trovò invece Ricki ad
attendere sul pianerottolo.
“Buonasera!” esclamò in
tono di voce allegro il ragazzo “Disturbo?”
“Ricki!” lo salutò la
donna con un sorriso, prima di aggrottare leggermente le sopracciglia. “Ma non
sei ancora partito per Jacksonville?”
Il ragazzo scosse il
capo.
“Pensavo di restare a
Mystic Falls ancora per qualche tempo…” ammise, prima di abbassare leggermente la
voce. “…per papà. E per Mase.”
Quando Ricki aveva
rivelato al padre di voler sospendere gli studi, Tyler si era opposto in
maniera piuttosto brusca. Le discussioni tra i due e gli eccessi di collera del
capofamiglia si erano fatti particolarmente frequenti nel corso degli ultimi
giorni, ma il ragazzo non aveva ceduto.
Elena sembrò sul punto
di aggiungere qualcosa, ma Ricki parlò per primo.
“Vic è in casa? Volevo
parlarle…” domandò, sbilanciandosi leggermente all’indietro. Sbirciò in
direzione delle finestre al piano di sopra, come se si aspettasse di trovare
Vicki che li spiava dal vetro. Sperava che quello che stava per fare avrebbe
per lo meno alleviato la collera del padre nei suoi confronti; dopotutto era
stato proprio Tyler a proporgli la cosa per primo.
“L’hai mancata per
dieci minuti.” rispose la donna, rivolgendogli un’occhiata dispiaciuta. “È
appena andata alla scuola di danza. E si è anche dimenticata i panini per la
cena…” aggiunse, scuotendo il capo in cenno di rassegnazione. “…la solita
pasticciona. Non tornerà prima delle dieci, comunque.”
“Nessun problema!” la
tranquillizzò il ragazzo, esibendo un sorriso rilassato. Elena si stupì nel
notarlo quasi sollevato. “Passo un’altra volta...”
“Sei con la macchina,
Ricki?” domandò la donna osservandolo fare dietrofront e puntare al vialetto; il
giovane si fermò.
“Sì…Perché?”
“Me lo faresti un
favore?”
Ricki si strinse nelle
spalle, infilandosi le mani in tasca.
“Che genere di favore?”
Elena rientrò in casa e
ne uscì poco dopo con una busta in mano.
“Sono i panini di
Vicki…” spiegò, porgendoli al ragazzo. “...Se facessi un salto a portarglieli mi
faresti un favore immenso. Lo farei io, ma ho ancora una valanga di temi sulla
prova di evacuazione di ieri da correggere prima di cena…”
“Che noia!” commentò
scherzosamente Ricki, prima di sospirare, tendendo la mano per afferrare la
busta. Sospirò, “E va bene, dà qui!” acconsentì
infine, abbozzando un mezzo sorriso. “Lo farò; ma solo perché sei la moglie del mio
stratosferico padrino!”
Elena si mise a ridere.
“Grazie, tesoro. La
scuola di danza sai dov’è?”
Il ragazzo si strofinò
i capelli con la mano, assumendo un’espressione pensierosa.
“Credo di sì, mi pare
di averci portato Ruby qualche volta.” ammise, ricordando i saggi di danza
della cuginetta a cui aveva assistito più volte. “Scappo a portarglieli!”
dichiarò infine, esibendo la busta e scendendo i gradini di fronte a casa.
“Ricki…” lo richiamò
ancora una volta la donna, prima che Ricki raggiungesse la sua auto.
“Sì?”
Elena sospirò, prima di
proseguire.
“So che sei convinto
che restare vicino alla tua famiglia sia la cosa più giusta da fare. Ed è
comprensibile, ma penso che tuo padre si sentirebbe più tranquillo se tornassi
a scuola.” ammise, cercando di parlare con delicatezza. “…è preoccupato per te
quanto lo è per Mase.”
Ricki rimase in
silenzio per qualche istante, giocherellando con le chiavi dell’auto. “Lo so…” rivelò,
prima di raggiungere la macchina, voltandosi un’ultima volta in direzione della
donna. “Ci vediamo!”. concluse infine, infilandosi nella vettura. Non impiegò
molto a raggiungere la scuola di danza, mentre si trovò in difficoltà nel
momento in cui si trovò nell’atrio, non avendo idea di quale corso seguisse
Vicki. A dirla tutta non sapeva nemmeno che ballasse al di fuori del cheerleading.
Infine, decise di chiedere informazioni alla segretaria della palestra, La
donna gli indicò una stanza, spiegandogli che Vicki aveva quasi concluso la
lezione. Dapprima Ricki fu sul punto di abbandonare i panini sul bancone,
spiegandole la situazione. Gli ci vollero meno di dieci secondi per cambiare
idea, notando il viavai di ragazze che entravano e uscivano dagli spogliatoi.
Intuì all’istante che la stanza in cui si stava allenando Vicki doveva
probabilmente essere piena di belle ragazze dalle gambe lunghe in tutù e body
attillati.
“Sa, penso che porterò
i panini a Vicki personalmente…” dichiarò alla segretaria, sistemandosi i
capelli con la mano, prima di socchiudere la porta della palestra. Si era
aspettato che il suo ingresso imprevisto nella sala avrebbe attirato
l’attenzione di tutti su di sé; tuttavia, ciò che non aveva minimamente
previsto, era che quel “tutti” avrebbe compreso una dozzina di paia di
occhietti curiosi che lo scrutavano da sotto in su.
“Erm,
mi sa che ho sbagliato stanza…” commentò, sorridendo al gruppetto di bambine
sedute per terra che lo osservavano stranite.
“Ricki?” esclamò una stupita Vicki,
riconoscendolo sulla porta. “Che ci fai qui?” Teneva per mano una delle bambine
più grandi del gruppetto, che il ragazzo riconobbe all’istante come la sua
cuginetta.
“Ricki!” cinguettò Ruby, correndogli in
contro. Il giovan si chinò per prenderla in braccio.
“Ciao, principessa!” la
salutò con un sorriso, per poi rivolgere un’occhiata interrogativa a Victoria.
“Carucce, le piccoline,
ma io cercavo quelle un po’ più grandicelle…Dove le posso trovare?” domandò,
porgendo alla ragazza la busta. “Tua madre mi ha chiesto di portarti i panini… L’avrebbe
fatto lei ma era in ritardo con i temi da correggere.”
Vicki afferrò la busta senza dire nulla, un sorriso sorpreso ad arricciarle gli
angoli delle labbra. Era strano trovarla a corto di parole, ma la ragazza si
riprese quasi subito.
“Sei stato carino,
grazie.” ammise infine, appoggiando i panini sul davanzale della finestra.
Ruby, che era ancora in braccio al cugino, gli fece cenno con la mano di
chinare il capo, per dirgli qualcosa a bassa voce nell’orecchio.
“Sei il principe
azzurro di Vicki?” domandò, mettendosi a giocare con il colletto della sua
maglia. Ricki le rivolse un’occhiata sorpresa.
“Ehm, non esattamente.”
rispose, posandola a terra per permetterle di raggiungere le altre bambine.
Victoria si mise a ridere.
“Stanno preparando una
canzone di Cenerentola per il saggio di fine anno…” la giustificò, mentre Ruby
tornava a sedersi assieme alle compagne di corso. “…è da un paio di settimane
che ogni volta che entra un ragazzo in palestra gli domandano se sia il
principe azzurro di qualcuno.”
“Lo sai? Non sapevo mica che studiassi danza…”
ammise Ricki a quel punto, incrociando le braccia sul petto.
“In realtà al momento
non la studio…Insegno solo.” rivelò Victoria, prima di raggiungere i bambini
seduti a terra, che stavano incominciando ad agitarsi un po’ troppo: solo in
quel momento Ricki si accorse che c’erano anche un paio di maschietti, nel
gruppo.
“Bimbi, questo è
Ricki!” Vicki presentò il ragazzo, cercando di non lasciare che l’attenzione
dei ragazzini si disperdesse. “è venuto a vedere come ballate, perché ha
sentito dire che siete tutti bravissimi!”
“Lui è mio cugino!”
esclamò prontamente Ruby, indicandolo alle sue amichette.
“Io sono bravissimo!”
stava strillando al contempo uno dei due maschietti, alzando la mano.
“E anche io!” commentò
un’altra bambina in risposta.
Richard si mise a
ridere.
“Mi sa che siete addirittura
più bravi della vostra maestra!” commentò, accovacciandosi, per essere alla
loro altezza. Sua cugina scosse vigorosamente il capo.
“No, la maestra Vicki è
bravissima!” ribatté, incrociando le braccia sul petto. Il bimbo alla sua
destra sollevò il braccio, come a voler chiedere la parola. “Ed è anche bellissima!” dichiarò,
stropicciandosi i capelli biondi con la manina libera. Vicki rise di nuovo,
accarezzando il capo del bambino.
“Grazie, Anton! Tu sì
che sei un vero principe azzurro!” dichiarò, facendo cenno ai bambini di
alzarsi in piedi.
“Facciamo vedere a
Ricki la canzone che abbiamo imparato oggi?” propose, per cercare di mantenerli
tranquilli. “Ti dispiace? Hanno un po’ di problemi a ballare di fronte al
pubblico.” aggiunse poi, voltandosi in direzione del ragazzo. Richard diede una
scrollata di spalle, appoggiandosi alla sbarra con la schiena.
“Nah,
tanto ormai sono qui.” commentò, mettendosi nuovamente a braccia conserte. La
ragazza sorrise. “Fidati, ballano meglio loro di Xander!” dichiarò, battendo le
mani, prima di raggiungere lo stereo, per far partire la musica.
“Siete pronti? Guardate
che comincia subito!” avvertì i bambini sistemandosi di fronte a loro, davanti
agli specchi. I piccoli allievi si guardarono l’un l’altro, ridendo entusiasti,
prima di incominciare a ballare, imitando le mosse della loro insegnante.
Richard si sforzò di
seguire i movimenti buffi e dolci dei bambini, ma finì ben presto per spostare
lo sguardo verso la loro maestra, osservandola interagire con i piccoli
attraverso lo specchio. Non era la prima volta che vedeva Vicki ballare, eppure
c’era qualcosa di diverso nel modo in cui si muoveva a ritmo di musica in
quella palestra. E non era per via della coreografia a misura di bimbo,– Ricki
si divertì da matti nell’immaginare Xander intento a ballarla – che stava eseguendo per i suoi piccoli allievi.
Non aveva nemmeno a che fare con la mancanza della gonnellina corta da cheerleader
che la ragazza era solita sfoggiare alle partite. La Vicki in pantaloni di tuta
e coda di cavallo che aveva di fronte in quel momento era una Vicki diversa
rispetto alla ragazzina logorroica e insistente che era abituato ad avere
intorno in altri contesti. Aveva messo da parte i suoi modi stravaganti e
spesso forzati per stare dietro a quei bambini, pur mantenendo la vivacità
contagiosa e l’energia che esibiva sempre in tutto ciò che faceva. Era davvero
una buona insegnante, e gli bastarono pochi minuti per rendersene conto. In
quella palestra, di fronte a quei ragazzini, Vicki gli sembrò più donna di
quanto non gli fosse mai capitato di pensare, osservandola eseguire uno dei
suoi numeri di cheerleading.
Quando la coreografia terminò, sia Vicki, sia Ricki, batterono le mani.
Sentendosi incoraggiati, i bambini presero a saltellare con entusiasmo.
“Ma siete fenomenali”
dichiarò il ragazzo, annuendo convinto. “Voglio un autografo!”
Victoria sorrise.
Raggiunse lo stereo, per abbassare il volume della musica, e infine tornò da
Ricki.
“Grazie per i panini!”
esclamò, appoggiandogli una mano sull’avambraccio. “è stata una bella sorpresa…E
grazie per essere rimasto a guardarli. Gli hai fatti felici, sai?” dichiarò,
sorridendo in direzione dei bambini, che avevano già incominciato a scorrazzare
per la palestra. Ricki minimizzò con un cenno della mano.
“Senti, Vic…”
incominciò, prima di interrompersi bruscamente, imbarazzato dalla mezza dozzina
di testoline voltate verso di lui. “…puoi chiedere ai ragazzini di non
guardarmi così? Insomma, lo so che sono un figo…Ma ci vorrà ancora una decina
d’anni prima che anche queste bimbe imparino ad apprezzare la cosa…”
Vicki si mise a ridere.
“Ok, bimbi, facciamo
una cosa!” esclamò poi, tornando ancora una volta allo stereo, per far partire
la canzone. “Visto che ormai siete diventati davvero bravissimi, perché non
provate un po’ la coreografia da soli, così poi la facciamo vedere a Eric e
agli altri maestri prima di andare a casa?”
I piccoli sembrarono
entusiasti della proposta.
“Chi è Eric?” domandò
invece Ricki. Victoria fece spallucce, andando alla sbarra e recuperando la
felpa della tuta.
“Un amico…Insegna anche
lui ai bambini qui alla scuola.” spiegò, prima di sgranare gli occhi, colta da
un’illuminazione improvvisa. “Verrà alla cerimonia di Miss Mystic Falls!” si
ricordò, tirando fuori il cellulare dalla tasca. “Devo avvertirlo del cambio
data...”
“Ecco, sì, era a
proposito di quello che ti volevo parlare…” buttò lì Ricki, sentendosi
stranamente impacciato. Vicki lasciò il messaggio a metà e distolse lo sguardo
del display, perdendo subito interesse in quello che stava facendo. Tornò ad
osservare Ricki, che aveva preso a sfregarsi le mani l’una contro l’altra.
“Sì, insomma, volevo
ringraziarti per la storia dello sceriffo Fell…con quell’ingranaggio di non so
cosa. Mio padre dice che ci sei stata di grande aiuto e visto che ho deciso di
non tornare in Florida, almeno per ora…”
“Davvero non parti più?” lo interruppe la ragazza, estendendo il suo sorriso.
“Devo fare un grande sforzo per non mettermi a saltellare per la gioia, lo sai
questo, vero?”
“E comunque…” Il ragazzo si sfregò il capo con
la mano, intenzionato a concludere in fretta il suo discorso. Più impiegava
tempo e più aumentava il suo imbarazzo. “Adesso non metterti in testa strane
idee. Ma pensavo, visto che sarò comunque qui per la cerimonia di Miss Mystic
Falls, che magari potrei farti da cavaliere. Sarebbe una specie di ‘grazie’ per
quella questione di Fell.” concluse, tornando a infilarsi le mani in tasca.
Victoria lo osservò allibita per un po’, incapace di proferir parola. Infine la
sua espressione si fece seria, e la giovane gli puntò un dito contro.
“Non mi stai prendendo in giro, vero?” si assicurò, mordicchiandosi
nervosamente un labbro.
Ricki scosse il capo.
“No…sono serio.”
ammise. “Ma come ti ho già detto poco prima, non devi metterti in testa strane
idee. Sarebbe una cosa da ami…” si interruppe a metà discorso, sorpreso dalla
reazione della ragazza. Vicki lo abbracciò con slancio, non facendo caso ai
bambini che avevano preso a osservarli incuriositi.
“Grazie…” mormorò Vicki, prima di lasciarlo andare, recuperando il telefonino
dalla tasca.
Ricki scoccò
un’occhiata impacciata ai ragazzini, riprendendo a sfregarsi le mani.
“Emh…Prego?”
“E adesso fuori di qui.”
lo intimò infine Victoria, incominciando a digitare freneticamente sul
tastierino dell’apparecchio. “…devo chiamare ‘Tumn, devo chiamare tua
sorella…In pratica devo chiamare il mondo intero, e non posso farlo se ci sei
tu.” concluse, accorgendosi a malapena della presenza di Ruby al suo fianco.
“Visto? L’avevo detto
che eri il suo principe azzurro!” cantilenò la bambina, indicando il cugino con
l’indice.
Ricki scrollò il capo
con fare contrario, incamminandosi verso il corridoio della palestra. Se non
altro, si trovò a pensare una volta raggiunta la macchina, fare da cavaliere a
Vicki si sarebbe rivelato forse un po’ meno traumatico rispetto a come l’aveva
immaginato al principio.
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Angolo Link pre-polpettone:
Il gruppo facebook con foto, informazioni,spoiler,sondaggi e quant’altro a proposito di History Repeating.
Il canale youtube con tutti i video dedicati a HR e la playlist della colonna sonora. (Y)
Angolino
pubblicitario pre-polpettone.
Nel periodo natalizio ho scribacchiato un paio di
storie legate a History Repeating,
se vi va date un’occhiata!
We can be heroes. One-shot dedicata
a Mason, Oliver e alla loro amicizia.
Pillole di
Quotidianità. Una piccola raccolta di dieci drabble
incentrate sui protagonisti di History Repeating
A very...Lockwood…Christmas. Ovvero,
le 10 cose che si verificano ogni anno la vigilia di Natale in casa Lockwood.
History Repeating
– Gli spin offs. Questa è la
serie in generale che contiene tutti quanti gli spin off legati a History Repeating,
Nota dell’autrice. – Aka:
il polpettone nel polpettone -
Buongiorno! Sono tornata in vita dopo
due mesi, alè! Purtroppo il tempo è quello che è,
come immagino ormai sappiate bene tutti. Ma passiamo subito a noi, che voglio
cercare di essere breve e concisa (ahah…che bella
battuta! XD)
Allora…Capitolo, questo, che è il
capitolo di transizione più ‘transizionoso’ nella storia dei capitoli di transizione,
perché non succede praticamente nulla! Ho voluto distanziarmi un po’ dal filone
principale della trama (la faccenda della luna piena) per concentrarmi su altri
personaggi e filoni narrativi, comunque essenziali per portare avanti il tutto.
Ma, come al solito, procediamo con ordine!
1. Finalmente, dopo aver dato il falso allarme nel capitolo scorso, è arrivata
l’introduzione di Alexander (Lex) Davies.
Per chi segue Pyramid (che tra l’altro ho intenzione di
riprendere i prima possibile, perché è
da troppo ferma in cantiere) lo conosceva come Xander, il piccolo monello iperattivo che Jeremy conobbe una volta traferitosi a Denver. Ebbene, ora Lex è cresciuto e ho pensato di buttarlo in
mezzo al calderone di HR, come se non avessi già abbastanza personaggi da
sfamare a suon di filoni narrativi…Ma questi sono dettagli, torniamo a noi! Ho
deciso che Lex sarebbe diventato paleontologo perché mi sembrava un lavoro
adatto a lui e, cosa più importante, gli avrebbe permesso di viaggiare, e ho
sempre immaginato il Lex adulto che sviaggia di qua e
di là, perché lo stare fermo troppo a lungo lo annoierebbe. E poi mi sembrava
una buona alternativa all’archeologo e ai rimandi con le piramidi del passato
di Lex.
2. Per quanto riguarda la comparsa di
Lex nel capitolo, ho qualche informazione inutile da aggiungere. La Boulder University l’ho scelta perché
sembra essere una delle università migliori del Colorado. Non è troppo distanze
da Denver dove vive/viveva Lex e c’è un reparto di geologia. Altra informazione
inutile: il professor Harlow non ci serve a molto, in realtà, serviva solo per menzionare l’arrivo di Lex
in Virginia e quelle foto che forse vogliono dire qualcosa e forse no. Il nome l’ho fregato a Harry Harlow, un
ricercatore che ha effettuato degli esperimenti legati all’attaccamento su
piccoli primati.
3. Come
accennato prima, Lex come personaggio è nato in Pyramid, che racconta dell’anno che Jeremy ha
trascorso a Denver da adolescente, e di come lui e Hazel si sono conosciuti. Tutti i pensieri di Jeremy legati al suo passato nella scena con Hazel sono ancorati a
quella storia.
4.
Passiamo all’Annaver!
Anzi tutto mi sono resa conto che si è creato un lieve parallelismo tra le
battute finali della scena Masoline alla riserva e le parole di Anna e Oliver
al parco in merito al fatto di avere dei segreti). Ma questa è un’informazione
inutile >.< Le cose importanti da dire a riguardo sono due: a) i
riferimenti alla casa natale di Annabelle sono completamente inventati, non
sono riuscita a trovare molto sul suo passato in giro per la rete. Mentre per
quanto riguarda il fatto che dovesse partecipare a miss Mystic Falls nel 1864, è tutto vero: vi riporto ciò che c’è
scritto nella wikipedia di TVD (aka,
la mia bibbia)
The pageant was meant to be held in 1864, but the hunt and capture of vampires in the town
postponed the event. Anna, a vampire, was
supposed to have entered, but when
all the vampires got taken to the tomb, she couldn't.
5. Aria e Julian.
Finalmente scopriamo qualcosina di più riguardo ai Walcot e a questa strana discordia che aleggia tra le due famiglie.
Anche in questa occasione, alcune delle cose raccontate con Aria coincidono con
la trama di TVD: Emily Bennett è
stata effettivamente tradita da Katherine che ha rivelato al Consiglio il fatto
che fosse una strega. Successivamente la donna è stata uccisa, e sono
incominciate le persecuzioni. §Per quanto riguarda l’episodio dell’ascensore
possiamo trarre due ipotetiche conclusioni; a) o Julian è sfigato come la
sottoscritta con la tecnologia b) c’è ancora qualcosa che ci sfugge. Vedremo!
6. La scena con i due Gilbert, Vicki e ‘Tumn non aveva una vera e propria funzione all’interno della trama,ma mi sembrava carina come scena. Finalmente ho avuto
la possibilità di inserire anche qui Jasper,
il cagnolino di Oliver, che è
apparso per la prima volta in “A very…Lockwood…Christmas”.
La canzone che Vicki insegna prima a Xander e poi a Vicki, tra l’altro, , è “Born to Hand Jive”
di Grease XD Ci tenevo a dirlo perché Grease prima o poi tornerà in questa storia – e qualcuno sa
anche già com.
7. Concludiamo con il Rictoria –
beh, ma qui non c’è molto da dire. Ruby,
la cuginetta di Ricki, è un altro personaggio che ha fatto per la prima volta
comparsa in uno spin off attualmente in corso, “A Very Lockwood
Christmas” e che mi sembrava carino introdurre anche qui. Ovviamente,
se abbiamo la principessina, non potrà mancare quell’uragano di suo fratello
minore: Damian “Twister” Blackwell
arriverà tra un paio di capitoli e farà qualche comparsa qua e là.
8. Per concludere, un paio di accenni al
prossimo capitolo: finalmente arriverà la luna
piena. E come tale, il nuovo capitolo sarà interamente dedicato a Tyler, Caroline, Mason e Ricki (con lievi sprazzi di Jeffrey) che in fondo sono un po’ i
protagonisti principali di HR. A quella parte tengo molto, perché sta per
volgere al termine la prima parte della storia e tutti i capitoli precedenti
vertono a quello, quindi vorrei che ne uscisse fuori qualcosa di decente xD
Basta ho straparlato!
Io vi ringrazio infinitamente come al
solito se siete riusciti a leggere tutto il polpettone senza collassare!
Un abbraccio forte!
Laura