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Autore: Quebello    30/08/2007    2 recensioni
"Coloro che desiderano la pietra, a loro volta sono da essa stessa desiderati."
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Niente transito pubblico durante il giorno della parata in onore del Console." ripetè il soldato meccanicamente, assomigliando sempre più ad un ordine registrato ripetuto da una vocalite.

"E' un peccato" fece Vaan come per rassegnarsi "si dà il caso che il cerimoniere di stasera mi ha mandato a prendere roba di prima scelta per, uhm, il piacere del vostro Console, e vuole tutto quanto prima. Ecco, il lasciapassare. Vedi? Firmato: Migelo."

Pensò tra sè e sè che il soldato sarebbe stato un'ottima statua a giudicare da come rimaneva inamovibile e muto davanti alla Porta Orientale. D'altronde, al soldato Vaan non poteva che fare una pessima impressione: era mezzo ricoperto di sabbia e il sudore gli appiccicava i capelli. Stringeva un mazzo di fiori rossi sgualciti con un pugno dalle nocche insanguinate e sul petto, dove il gilet lasciava scoperto, aveva una striscia di puntini rossi come se fosse stato punto innumerevoli volte da aghi finissimi.

"Mi spiacerebbe che il vostro Console mangiasse tardi. E che se la prendesse con voi." alluse con un sorriso insolente.

Se l'energumeno non diede segni di reazione, reagì invece il suo camerata che, evidentemente, aveva il ruolo di quello più intelligente o informato.

"Non sai niente del Console!" ammonì ad alta voce, e tutti gli altri rabanastresi che cercavano di rientrare dalla chiusura delle porte si voltarano a guardarli "è un grand'uomo, simili piccolezze non lo toccano-" entrambi i soldati si fecero da parte e Vaan vide entrare una carrozza trainata da un chocobo dal piumaggio nerissimo.

Era una cosa abbastanza rara, perchè ciascun chocobo era diverso nel carattere a seconda del colore. Quelli gialli erano tendenzialmente socievoli, mentre quelli verdi, abili scalatori capaci di rimanere in equilibrio su un ramo, erano schivi; gli azzurri, che frequentavano le rive di fiumi e laghi, erano volubili e dispettosi; infine i neri ed i rossi erano agressivi con l'uomo, ma i neri tra questi erano considerati più rari e indomiti.

"Wow" si lasciò scappare, mentre i due soldati spalancavano il portone alla creatura color ebano.

"Ehi ehi... che storia è? Fate passare il chocobo e noi no?"

"E' un purosangue da parata. Diecimila gil, è costato, più di quanto voi paesani costereste tutti ammucchiati. E anzi-" concluse spintonandolo staccandosi un attimo dalla porta "stagli lontano, o puzzerà di paesano come te."

"Che hai detto?" ringhiò, e passò i tre fiori nell'altra mano, cercando con quella dolorante il pugno-di-ferro nella tasca.

"Oh-ho!" interruppe una voce così roca da essere quasi un gorgoglio "un gran bel chocobo, quello. Dai ranch di Tchita o sbaglio?"

Vaan cercò di mettere il suo corpo tra Migelo e i soldati, per tagliarlo fuori, ma appena si mosse qualcosa lo circondò. Erano due braccia piccole e calde, che lo stringevano in qualcosa che assomigliava ad un abbraccio, ma che in realtà era una stretta.

"Penelo-"

"Zitto." ordinò e supplicò al contempo.

"Già, già, già, cambia il suolo cambia il chocobo. E cambiano anche i sapori!" e ciò detto, alzò verso i soldati un fiasco di vetro rosso.

"Gradite del Barose dalmasco? Non è profondo o profumato come i vini arcadiani, ma ha un suo carattere. Non è male se ci si abitua, davvero, e" dato che i soldati fecero un passo indietro, Migelo ne fece uno avanti come per stringerli al muro "sarei felice se ne prendeste, ce n'è per tutti."

Il soldato sembrava aver cambiato piglio. Con un gesto delicato prese in mano la bottiglia e fece un cenno di assenso a Migelo. Poi si voltò verso il camerata.

"Facciamo passare anche il bottegaio e i suoi ragazzi, poi chiudi le porte come ci è ordinato."

Penelo dovette letteralmente trascinare Vaan e appena le porte si chiusero il ragazzo fissò con odio il chocobo nero salire le gradinate della Piazza delle Quattro Porte.

"E gli altri restano fuori." concluse amareggiato.

"Non ho la responsabilità degli altri, solo la vostra, anche se farei volentieri a cambio" ribattè Migelo fissandolo con i due globi marroni e lucidi e la lingua gli saettò due volte prima di riprendere parola, così alterato che sembrava che gracidasse "Non t'azzardare a farmi prendere più un simile spavento! Ringrazia che è finita bene!"

Curiosamente, Penelo abbassò la testa come se il rimprovero fosse per lei. Vaan, invece, si limitò a fissare altrove.

Guardando verso il basso, la ragazza vide cosa il suo amico aveva in mano e trasalì. Ricordava bene il significato dei fiori rossi... Allungò la mano come per accarezzarne i petali o stringere quella di Vaan. Ma il ragazzo reagì allontanando i fiori da lei.

"Comunque" continuò Migelo e calmandosi la sua voce prese un timbro più umano "la parata inizia a breve ed io devo rendere omaggio. Faccio meglio a darmi una mossa." e ciò detto voltò le spalle a Vaan con un'irruenza tale che per poco la coda non sferzò in faccia al ragazzo come una frustata.

"Bè, allora..." iniziò Penelo allungando una mano sul petto martoriato dell'amico. Ma anche lui si voltò di scatto e prese a correre via.

"Vaan? Vaan che ti prende? Ehi!"

Il tono implorante di Penelo non era una cosa a cui Vaan era sempre stato abituato. Per essere esatti, non l'aveva mai sentito fino a prima che morisse suo fratello. Dopo, ogni volta che si cacciava in un guaio serio la risentiva con quella voce. Ed era straziante, perchè sembrava che da un secondo all'altro potesse scoppiare a piangere e poi, nel giro di pochi secondi, tornava quella di sempre, e lui rimaneva consapevole del dolore di lei ma impotente, incapace di misurarsi con quel dolore e di confrontarcisi. E frustrato, perchè era certo che nessuno dei due avrebbe avuto qualcun'altro a cui rivolgersi e nulla sarebbe mai cambiato.

Vedendola alle calcagna, approfittò di una bancarella senza telone, si prese i fiori rossi in bocca e spiccò un salto. Con un volteggio alla sbarra, arrivò su un cornicione e da lì sparì definitivamente dal campo visivo di Penelo.

"Insopportabile." sospirò lei.

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Il rumore della folla sembrava come il respiro di un gigantesco animale. Stavano tutti lì, accalcati, con le ginocchia in acqua, a fissare le volte azzurre ed i giochi di luce sulla liquida superficie, e ad aspettare ascoltando le vibrazioni lungo la pietra.

"Quanta gente ci sarà? Si sente lo scalpitio fin quaggiù..." bisbigliò uno, ma lo suardo fiammeggiante di Vossler lo zittì.

Lui rimaneva silenzioso, mentre i suoi compagni producevano appena qualche sussurro. L'unica a fare veramente rumore, con il respiro affannoso, era lei.

"Sua maestà dovrebbe calmarsi." suggerì un altro soldato a bassissima voce, e puntualmente Vossler fissò anche lui, per poi tornare a fissare il tetto.

Ashe si sentì tremendamente inadeguata.

Il rumore si fece più intenso, quasi come degli enormi tamburi. Finalmente Vossler aprì bocca.

"La calca muove verso la Piazza."

"Il Console... è... arrivato?" chiese lei non riuscendo a smettere di ansimare.

"Così pare. Anche con la minima sorveglianza ci sarà da tirar di spada. Sua maestà è certa di voler guidare il secondo gruppo?"

"Non..." la sua voce mutò d'un tratto, s'indurì e alzò di volume "...non discutete le mie decisioni!"

"Certamente no." annuì Vossler, com'era suo dovere fare.

Mai niente avrebbe tolto dalla sua mente l'immagine esatta degli occhi della principessa quando, a diciassette anni, aveva ucciso per la prima volta...

Un vecchio doganiere arcadiano l'aveva riconosciuto, la loro identità era svelata. Vossler aveva messo mano alla spada per primo, ma un secondo soldato si avventava su di lui. Anzichè stare indietro come avrebbe dovuto, Ashe si era gettata nella mischia in suo aiuto ed era stata immediatamente atterrata dall'avversario, un più abile schermidore. Lei aveva dovuto colpire per non essere colpita per prima: magia del tuono, Thundara. Il soldato era stato carbonizzato dentro la sua stessa armatura ed era caduto a terra diventando una piccola brace. Lei era caduta in ginocchio ed era rimasta lì, con gli occhi sgranati a riflettere quelle fiamme generate dalla carne che bruciava, contorcendosi e scoppiettando. Era incerto se negli occhi di lei, in quel momento, ci fosse orrore, disperazione o semplicemente l'euforia che molti provano dopo il primo omicidio.

Erano solo gli occhi sbarrati di una ragazzina.

Mentre i soldati si distribuivano sui canali, lui le si avvicinò e le parlò piano all'orecchio.

"Il vessillo sventola dalle mura del castello... non viene gettato in battaglia sotto le scarpe dei nemici."

"Il vessillo posto alla guida dell'esercito infonde coraggio a chi per esso combatte. Inoltre..." si avvincinò ancora di più a lui "...se discuterai di nuovo il mio volere, ordinerò che tu sia frustato."

"Come comandate, maestà."

I tentativi di Ashe di incutere terrore, lui li vedeva esattamente per quello che erano: manifestazioni del terrore che lei stessa provava. Chiedeva rispetto perchè sentiva di non meritarlo. Lui, del resto, aveva imparato a rispettarla come principessa, e come donna, ma come poteva rispettarla come guerriera? Come poteva dimenticare quegli occhi, quel giorno?

Eppure, come sempre era stato, non poteva che giocare con le carte che il destino gli aveva servito.

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Più che una casa, si sarebbe dovuto chiamare un sottotetto. Ma i suoi genitori ne andavano fierissimi.

"E perchè tingi tutto di bianco?" chiedeva suo padre.

"Il colore della purezza! Tutto sembra più bello e importante in bianco!" rispondeva sua madre.

"Ma ci vuole un tocco di personalità, di passione!" ribatteva lui e in contrasto col bianco virginale del legno dipinto, delle lenzuola, dei vasi, spargeva in ogni dove tutti i fiori rossi che trovava.

Una strana cosa, che fosse il padre di famiglia a comprare i fiori. Reks avrebbe preso da lui la stessa passione.

Secondo Vaan, il tempo che aveva ingrigito con la polvere il legno bianco, e rinsecchito i fiori fino a farli diventare delle tristi macchie color mogano, non aveva fatto altro che mostrare quel sotto tetto per ciò che realmente era: un patetico buco.

Seduto sul vecchio letto da bambini che lui e Reks dovevano dividersi, le ginocchia al petto, contemplava silenzioso il vecchio attico ormai disabitato. Ed i fiori che lui aveva portato, sgualciti durante la mattinata movimentata, eppure così vividamente rossi. Chissà perchè continuava a portarli, si chiese, una specie di riflesso condizionato.

"Pareti bianche e fiori rossi" si disse a bassa voce "ecco per cosa avete lavorato fino alla fine. Stupidi."

Immaginò se stesso alla prua di una nave volante, il vento che gli accarezzava i capelli, e oro sfavillante in quantità sufficienti da nuotarci in mezzo. Una casa per Penelo, e solo la nave per lui. Ricchezza e fama: chi diceva che non contano? Quel vecchio lucertolone imbecille. Chissà se gli affari gli vanno bene? Magari gli tiro addosso qualche manciata di gil, così vedrà che anche per me il denaro non conta, ma solo quando ne ho a palate.

Dalla finestra giunse un brusio crescente. La parata, certamente.

Per quanta rabbia potesse provare, non era mai sufficiente a togliergli la voglia di vedere altre persone, di fare un pò lo scemo in giro. Vaan era un animale sociale. Il pensiero della città riunita era come un richiamo irresistibile, una musica familiare che metteva allegria.

"Perchè no?"

Corse verso la finestra e ci si tuffò attraverso come ci fosse stata acqua.

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"VOCAL!" urlò il giudice Klimt, con le due mani tese verso il trio di vocaliti.

Queste si accesero di una luce color malva e Klimt si pose al centro del triangolo. Vayne Solidor, il Console, era ancora sulla piattaforma che fluttuava al lato della balconata.

"Avremo ordine!" disse con tono normale, ma le vocaliti lo fecero rimbombare per tutta la piazza gremita di gente "Arcadia dona a questa città il suo nuovo Console: sua altezza imperiale Vayne Solidor, comandante delle armate imperiali d'oriente e-"

Vayne scese con un piccolo salto dalla pedana e mosse un passo dentro il triangolo. Il suo volto era come stizzito, e Klimt fu preso da una strana senzazione, come se muovendosi quell'uomo generasse un'onda irresistibile che gli imponeva di spostarsi e lasciargli il podio.

"Gente di Rabanastre!" tuonò accusativo "Guardate con odio il vostro Console? E' con odio, che guardate all'Impero?"

Un boato di dissenso si levò dalla folla. Le voci erano troppe e confuse per intenderle, ma era chiaro il tono offensivo. In quel momento, in Klimt svanì tutta la fiducia e l'ammirazione, e si chiese se l'intento di Vayne Solidor non fosse semplicemente di scatenare una ribellione e un conseguente bagno di sangue.

Poi accadde una cosa strana: Vayne non aggiunse nulla, lasciò che il vociare continuasse in silenzio, e tacque finchè non si placò.

"Non c'era neanche da chiederlo." ricominciò a voce bassa, ma subito parve riaccendersi "Sappiatelo però!" e il repentino cambio di tono fu per la folla come una scossa elettrica "Non nutro vane speranze di placare il vostro odio." e qui calò un silenzio tombale, ed inquietante.

"E nemmeno chiederò a voi fedeltà."

Seppur incerto su quale piega le cose stessero per prendere, Klimt sorrise nervosamente, fortunatamente nascosto dall'elmo, perchè finalmente iniziava a capire. Contrariamente a quanto si credeva, un giudice non è solo un boia: le sue decisioni dovevano essere motivate da lunghe sentenze, perchè la folla le comprenda e non le senta come mera tirannia. L'eloquenza non poteva essere insegnata, ma era ciononostante un requisito necessario.

E Klimt conosceva l'eloquenza abbastanza da riconoscere un maestro all'opera. Ogni frase lasciava un interrogativo, un vuoto che era colmato dalla frase successiva la quale a sua volta giungeva imprevista, e così la folla non poteva che pendere dalle labbra di Vayne, incerta su dove volesse andare a parare.

"La vostra fedeltà va giustamente al vostro defunto sovrano." e qui di nuovo si fermò a tutti il cuore in gola.

"Raminas amava il suo popolo e lottò per portargli pace. Anche adesso è tra voi e vi protegge. Non si sperde il suo ardore per la pace e per il benessere di Dalmasca!" rapidamente come si era formato, il gelo si scioglieva e la folla si increspò come una superficie d'acqua quando tutti assunsero una postura più rilassata.

"Ed ecco cosa vi chiedo: onorate il vostro Re," di nuovo rizzavano le orecchie e Klimt iniziava a rilassarsi e a divertirsi guardando un burattinaio tanto abile "che si possa insieme abbracciare la pace che sua maestà desiderava!"

Ora era chiaro cosa credeva e i sussurri di dissenso iniziavano a circolare di nuovo: chiedeva un atto di sottomissione nel nome del loro vecchio Re. Ma quando tutti si aspettavano un tono più pressante, la voce del Console si fece flebile e scoraggiata. Anzichè ostentare la sua forza, sembrava ora mettere a nudo la sua paura: una paura che era anche la loro.

"Ci separano due anni dall'amara fine della guerra. Eppure, la sua ombra incombe su di noi e ammutolisce la pace ancora in fasce." e mentre tutti sembravano condividere lo scoraggiamento del Console, all'improvviso di nuovo la sua voce si alzò di volume e forza.

"Una minaccia che solo voi potete combattere! Riusciamo in questo... e il vostro odio per me, per l'Impero, non mi peserà!"

Pur sembrando impossibile, la sua voce salì ancora e la piazza parve tremare.

"Rimarrò con voi! Sopporterò il vostro odio, gli insulti e le frecce! Difenderò Dalmasca, lo giuro qui e adesso! Pagherò così il mio debito!"

Dopo essersi fermato, sembrava avere il fiato corto, come se si fosse lasciato andare ad uno sfogo. Di nuovo sembrò fragile, ed umano.

"Re Raminas e Lady Ashe non ci sono più. Onorando la pace, onorate la loro memoria. Quanto chiedo, l'ho chiesto apertamente. E adesso ripongo in voi la mia fiducia." e provocando unisone urla di sgomento, il Console imperiale chinò la testa innanzi alla gente che era venuto a governare.

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"Rabanastre vi aggrada, mio signore?" chiese Klimt, ormai rilassato, mentre scendevano placidi le scale.

"La trovo magnifica! Per esempio questa cattedrale... elegante, eppure di inusuale fattura..." commetò saltando con lo sguardo da un'arcata all'altra.

"Un'incredibile esempio di architettura galteana... spero Sua Eccellenza L'Imperatore Gramis possa un giorno vederla da sè."

Klimt si irrigidì per appena un secondo, ma non fece commenti. La natura dei rapporti tra Gramis Gana Solidor, l'Imperatore, e suo figlio, era da sempre un mistero per l'opinione pubblica arcadiana. E Vayne, gli sembrò, aveva un tono fin troppo rilassato per l'argomento.

La scappatoia per evitare un imbarazzante silenzio gli si presentò subito, sotto forma di grosso bangaa dalle squame blu. Mentre saliva le scale che loro scendevano, Vayne scoccò a Klimt un'occhiata di divertita curiosità, e lui potè spiegare.

"L'organizzatore del banchetto di stasera, che possa recar piacere a sua eccellenza."

Vayne e Migelo si trovarono l'uno di fronte all'altro.

"Io sono Migelo, altezza..." interruppe con un suono inquietante che poteva essere uno schiarirsi la gola "E' davvero un profondo onore dare il benvenuto al nostro futuro, altezza..." e qui emise un altro rumore roco "La gente di Rabanastre si unisce a me nell'darle il benvenuto e-"

"Basta con 'altezza'." interruppe Vayne, con irritazione percepibile.

Migelo guardò Klimt come per capire dove avesse sbagliato e Klimt a sua volta lo guardò come a dire: non ho idea.

"Sebbene" si spiegò calmo "io sia in effetti figlio del nostro Imperatore, non sono un principe. Arcadia vota liberamente il suo Imperatore. Io sono un ufficiale eletto e nient'altro che questo."

Non capendo bene dove il discorso dovesse andare a parare, a Migelo non restò che inginocchiarsi e farfugliare: "Non volevo mancare di rispetto."

"Ripensandoci" riflettè l'altro "non mi sembra opportuno nemmeno che mi si chiami Signor Console. In effetti sono un cittadino di Rabanastre, quindi che ne pensi di chiamarmi Vayne?"

L'effetto di quelle parole su Klimt e Migelo fu poco diverso da quello di un fulmine che li colpisse in pieno.

"Non- Non- Non" la voce del bangaa sembrava ora un gorgoglio sconnesso "Non potrei- Non- sarebbe... giusto."

Vayne piantò i suoi gli occhi nei lucidi globi bruni e appoggiò una mano sulla spalla del bangaa.

"Sei oltremodo affezionato alle formalità. Ho giusto il rimedio per questo" scherzò benevolo "al banchetto berremo insieme finchè non mi avrai chiamato per nome."

Migelo chinò la testa emettendo una specie di sibilo di stupore.

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"Come può inchinarsi a quel capellone in quel modo?"

"Non ci arrivi Vaan?" il ragazzo sobbalzò al sentire la voce di Penelo accanto a lui. Si sedette e gli sorrise come se non fosse successo niente.

"Non lo fa perchè vuole." puntualizzò lei, con autentico rimprovero nella voce "Sai cosa succederebbe non facesse così?"

"Certo che lo so!" ribattè lui come offeso "Però io-"

"Tu cosa? Faresti diversamente?"

Si zittì per un attimo, poi tornò all'attacco: "Non lo so, Pen. Qualcosa farei."

Seguì il silenzio che calava sempre tra loro due quand'erano in disaccordo, ma non volevano litigare. Poi lui fu come preso da un'illuminazione: "Pen!"

"Sì?" rispose lei con la tipica dolcezza di quando si è chiamati per nome da qualcuno di caro.

"Si va alla festa stasera?"

Lo guardò basita come si fosse mutato d'improvviso in un grosso cokatris.

"Sei scemo? E' una cerimonia esclusiva e siamo senza invito, se non te l'hanno detto."

"Quindi come si entra?"

"Perchè l'interesse improvviso, Vaan?" insinuò acida scostando la frangia color paglia come per pugnalarlo con gli occhi.

"Come ho detto" proclamò lui alzandosi in piedi, quasi volesse sembrare più grande "riprendere ciò che è nostro! Ridarlo a Dalmasca, io... ruberò qualcosa di valore e... la vendo ad un buon prezzo e, uhm... pago la cena per tutti!"

"Ma no, invece" suggerì lei con palpabile sarcasmo "vendi la patacca e comprati un'areonave! Salute a Vaan, aviopirata di Dalmasca! Fa figo, eh?"

Si alzò, e non doveva neanche spiegare perchè: lei, diversamente da lui, aveva qualcosa che gli occupasse la giornata. E mentre si allontanava con gli occhi alzati al cielo, si volto un'attimo verso Vaan, minacciosa ma composta, per aggiungere come ordine incondizionato:

"Stà fuori dai casini!"
  
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