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Autore: Alex e Finger    10/02/2013    1 recensioni
— Non mi sono mai sentito così poco Mentore come vicino a lui. —
— Diceva che sei così disposto ad imparare. Diceva che gli ricordavi Ishak, in qualcosa, anche se siete profondamente diversi. —
Lo sguardo di Ezio scivolò verso il tumulo e si velò per un attimo, mentre percepiva gli occhi di lei fissi sul suo viso.
— Perché mi cercavi? —
Ràhel si prese un attimo prima di rispondere, come se stesse raccogliendo le forze.
— Perché lo amavo. E perché sento che in questo breve tempo, anche tu lo hai amato. Vorrei parlarti di lui. —
Genere: Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ezio Auditore, Nuovo personaggio, Sofia Sartor, Yusuf Tazim
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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e sei davvero chi dici di essere…— Amir saltò sulla branda e si allungò a pescare tra i libri impilati con ordine sullo scaffale un panno colorato, che poi sbatté per liberarlo dalla polvere. Yusuf lo degnò solo di un mezzo sguardo interrogativo, tenendosi a distanza e immobile al centro della grande stanza che come Recluta avrebbe condiviso con lui e il resto degli Apprendisti.

Scoppio dalla gioia, pensò con una smorfia. Chissà quanto tempo sarebbe passato prima che i crampi per la nostalgia della sua piccola tana cominciassero a farsi sentire. Settimane? Giorni? Si chiese.

— …questa dovresti ricordartela, — concluse Amir mentre, agile come un gatto, scendeva dal proprio letto con un balzo. Dopodiché tornò da lui e gli porse la stoffa con un'espressione indecifrabile. Yusuf inarcò un sopracciglio senza muovere un muscolo e per un po' si limitò a studiare l’oggetto dalla mano dell’altro.

Aveva tutta l’aria di una sciarpa, a righe gialle e arancioni, di stoffa grezza ma resistente.

Vuoto totale.

— Devi avermi scambiato con qualcun altro. —

— Era di tuo padre, — ribatté Amir, arrogante.

Poche ore, si corresse.

Yusuf gli rivolse un sorriso esagerato e fece per agguantare la stoffa, ma Amir ritrasse la mano di colpo.

— Non ho detto che puoi prenderla. —  

La fronte del turco si riempì di rughe, il suo sguardo si fece cagnesco.

— Ma hai appena detto che era di mio padre. —  

La tensione era palpabile e quasi involontariamente Yusuf si ritrovò a comparare la stazza del siriano alla propria.

Amir sogghignò, come se se lo fosse aspettato.

— Sì, l’ho detto. Ma era addosso a mio padre, al momento del suo ultimo respiro. —  

“Durante la missione tuo padre tentò di fasciargli una ferita, ma quella si era già infettata.”

Le parole di Ishak e la rivelazione di Amir insieme lo paralizzarono e per un lungo istante i due rimasero a fissarsi, a valutarsi reciprocamente come due abili giocatori d’azzardo: chi fra loro poteva meritare la compagnia del passato più dell’altro? E cosa poteva stabilirlo? Ma soprattutto, valeva la pena spargere sangue, proprio alla sua prima notte nel Covo e nella camerata comune degli Apprendisti, per un pezzo di lana?

No, c’era dell’altro.

Quel merlo ombroso era tutto il giorno che lo provocava. Dal loro primo incontro tra le strade di Istanbul all’appuntamento alla Torre di Galata, tutto ciò che Amir aveva mostrato di sé era solo una pungente arroganza che Yusuf ancora non riusciva a spiegarsi. Ishak aveva provato a rassicurarlo dicendo che Amir era un povero complessato, ma il Mentore l’aveva detto col tono di chi, come un padre fiero delle qualità del proprio figlio, promette che un giorno tutta quella struggente apatia sboccerà in una genuina saggezza. Yusuf non osò dubitare, toccato il fondo non si può che risalire, ma ciononostante Amir restava uno scorbutico e intrattabile compagno di stanza.

— Perché mostrarmelo, allora? — si sentiva di nuovo bambino mentre desiderava con tutto se stesso di strappargli dalle zampe il bavero di suo padre. — Potevi continuare a nascondermelo, tirandolo fuori solo la notte e alzandoti le coperte fino al naso per non far vedere come ti ciucci il pollice. —  

Amir sollevò un po’ il mento, in un gesto che Yusuf sospettava sarebbe diventata una noiosa abitudine, in sua presenza. — La tua lingua ti precede… e se la tua testa è altrettanto veloce, potrò contare sulla rapidità del tuo apprendimento: l’Ordine ha dei ranghi, e come hai detto tu, io sono al massimo un Discepolo del Maestro, ma comunque più in alto di te adesso. — 

Yusuf fece un passo indietro, esageratamente celebrativo. — Ooooh! Come ho fatto a non accorgermene? Non sai quanto mi dispiace. — Si astenne dall’unirvi un inchino.

Amir lo superò puntando verso l’uscita. — Per ‘sta notte ti sarà concesso di riposare, — disse e si voltò. — Ma da domani riceverai un turno di guardia e lo rispetterai assiduamente; sole, luna, pioggia o neve che sia. — Gli lanciò la sciarpa di suo padre come se fosse un disco e Yusuf l’afferrò al volo senza staccare gli occhi dai suoi.

— È inutilizzabile come bavero, — aggiunse Amir, — ma puoi farci una gonnellina, o se preferisci mettertelo in testa. Non m’interessa. —  

Yusuf lo guardò lasciare la camerata e una volta solo andò verso il suo letto, dove buttò il bagaglio e il fodero con la spada che aveva vinto ad Ishak. Quindi vi si lasciò cadere anche lui, con un gran sospiro e l’indolenza di un grosso sacco di farina. Sentiva l’elsa della scimitarra persiana perforargli un fianco, ma per un po’ resistette al dolore e si limitò a fissare le capriate lignee del soffitto avvolto dall’oscurità. La camerata era illuminata solo da qualche candela, e la più vicina era ben tre letti dopo il suo. Yusuf non vedeva perciò più in là di due spanne dal suo naso. Il suo bel naso.

La modestia era una virtù non diversa da tutte le altre e a lui mancava, ma gente come Amir forse neppure conosceva il significato della parola.

Il giro illustrativo per le sale del Covo non era durato molto. Amir aveva ostentato senza riserve tutta l’insofferenza alla sua presenza che, guarda caso, Yusuf ricambiava con gli interessi. Quando lui e Zuhre erano usciti dalla biblioteca, dopo il muto congedo di Ishak, la donna gli aveva fatto presente di non poter protrarre oltre la sua assenza dal campo e con questa scusa aveva affidato il compito di scarrozzarlo per il Covo al primo Assassino.

Uno a caso, davvero! Yusuf scoppiò in una risata nervosa.

Lo avevano trovato nella sala delle armi, ampia e ben illuminata, ad esaminare con accortezza il taglio della sua sciabola.

E poi, logicamente, le presentazioni ufficiali.

— Amir, lui è Yusuf, un nuovo… — 

— Ci siamo già conosciuti, — aveva detto il siriano senza staccare gli occhi dalla lama.

— Abbaia ma non morde: tranquillo, sei in buone mani, — gli aveva mormorato Zuhre prima di defilarsi, e finché anche l’ultima eco dei suoi passi sulla passerella non si era dissolta, nessuno aveva fiatato.

Poi Amir aveva rinfoderato la sciabola con uno scatto secco e si era alzato dai cuscini.

— Seguimi. — 

Aiuto.

Con un po’ di sforzo Yusuf tornò seduto e si tolse la spada del Greco da sotto la coscia. Parve ricordarsi solo allora del bavero di suo padre, che aveva tenuto stretto tra le dita fino a quel momento. Incrociò le gambe e cominciò un lavoro da certosino, stirando le pieghe, soffiando via la polvere e scrostando la sporcizia varia.

Farci una gonnellina, Yusuf scosse la testa, ridendo.

Spiegando la stoffa per lungo da un ginocchio all’altro si accorse che c’era uno squarcio circa a due terzi della fascia. Aggrottò le sopracciglia e il primo pensiero fu di non poter più compiacere il suo superiore con un qualche spettacolino danzante. Il secondo fu rivolto a Yalìm, che immaginò nell’atto di strappare coi denti e poi annodare ben stretto il suo affezionato fazzoletto alla coscia di Saad, improvvisandovi una disperata quanto inutile fasciatura…

Con uno sbadiglio Yusuf tornò disteso a fissare le capriate. Il bavero ripiegato sul petto.

Era troppo sfilacciato per essere ricucito e assolutamente fuori questione che vi si applicasse una toppa, nel rischio di rovinare quell’allegra bicromica. Lo si poteva chiudere in un cassetto e lasciare al tempo e agli insetti il compito di farlo sparire, oppure…

Un gruppo di Assassini entrò in un sottofondo scampanellante di armi e cinghie. Yusuf sollevò appena la testa per sbirciarli, ma nessuno di loro sembrava averlo notato mentre si dirigevano ai propri letti.

— Oggi è davvero strano, — commentò il primo slacciandosi il cinturone e buttandolo sulla branda. — Avreste dovuto vedere la sua faccia quand’è rientrato al Covo dopo di noi. Era pallido come… come un morto. — 

— Ma Amir è un po’ morto, — ridacchiò un secondo, — perché di umano ha ben poco. —  

— Bhé, a parer mio è stato molto umano congedarci tutti e prendersi i nostri turni di guardia, non credete? — chiese un terzo.

— Infatti c’è qualcosa che mi puzza, — borbottò il primo.

— Sì, Serdar, i tuoi stivali! — 

Le risate riempirono la stanza.

— Sei un idiota, Kasim! — sbottò Serdar lanciandogli il cuscino, che arrivò a colpirlo dritto in faccia; quello se lo strinse forte al petto ed esultò: — Ahahah! ‘Sta notte dormirò come un Pasha! — e quindi si sdraiò, evidentemente senza l’intenzione di restituirlo.

Prima che potesse volare qualche dente rotto, uno degli Apprendisti disse:

— A proposito di morti… Vedat è tornato dalla tomba o cosa? — 

Ci fu un improvviso silenzio, poi tutti assieme si voltarono nella sua direzione e il cuore di Yusuf ebbe un singhiozzo. Vide quello che si chiamava Serdar prendere la candela dal mobile accanto al suo letto, venendo verso di lui, e quando Yusuf sedette sul bordo della branda ancora avvolto dall’oscurità, in fondo alla camerata qualcuno che lo aveva scambiato per lo spettro di un loro compagno soffocò un grido di spavento.

— Spero di non aver interrotto nulla, — disse il figlio di Yalìm con un sorriso, mentre il calore della candela gli scaldava un po’ il viso.

Dopo averlo guardato meglio Serdar ricambiò. — Semmai prenditene il merito, e piuttosto perdonaci tu se abbiamo interrotto il tuo sonno. Benvenuto nella Confraternita. — 

Yusuf si alzò per stringergli il braccio fino al gomito.

Ecco: questa è accoglienza! Pensò allargando il sorriso.

— Non ha il sonno un po’ troppo pesante per fare l’Assassino? — commentò Kasim con una risata, comodamente sdraiato tra il cuscino di Serdar e il proprio.

— Alla prossima parola altro che piume! Ti lancio addosso tanto di quel metallo che ti ci tappo la bocca. —  

— Non stavo dormendo, — confessò Yusuf avvicinandosi agli altri.

Serdar lo superò con la candela per andare a rimetterla al suo posto. — Allora sei un po’ timido, — constatò allegramente sedendosi sul bordo del proprio letto.

Yusuf finse di pensarci su. — No, neanche quello. —  

— Perché ti sei unito all’Ordine? — chiese d’un tratto uno degli Apprendisti. — Ti ha trovato Ishak, vero? —  

Fu spiazzato da quella domanda, che racchiudeva una mezza verità difficile da inghiottire, ma non lo diede a vedere e, con molta sicurezza, mentì: — Veramente vi ho seguiti. Oggi. Nel Distretto Imperiale. —  

Kasim si sollevò di colpo a mezzo busto e Yusuf poté vederlo per quello che era: niente più di un ragazzino. — Eri tu!? —  

Yusuf annuì. — Volevo unirmi a voi già da un po’, ma il Discepolo con la sciabola stava riuscendo a farmi cambiare idea. — 

Tra i letti si diffuse un’altra fragorosa risata.

— Sì, Amir ha questo potere, — disse Serdar, l’unico che invece di spalancare la bocca si era limitato a stirare le labbra. Negli occhi lo stesso sguardo di Ishak, la stessa muta compassione di chi sa. — Come ti chiami? — gli domandò; nell’improvviso silenzio che si era creato la sua voce rappresentava in realtà la curiosità di tutti i presenti. Senza contare Amir, sul quale tra gli Apprendisti si era diffuso un parere comune, sembrava il più alto in grado.

Yusuf rispose precisando di chi era figlio e la reazione dell’altro fu immediata, nonché davvero insolita: adombrandosi, Serdar diede l’ordine di spegnere tutte le candele e ficcarsi sotto le coperte senza un’altra parola.

— Ci è stato concesso del riposo, — disse. — Tanto vale non sprecarlo. —  

Yusuf tornò seduto sul suo letto e per un po’ rimase immobile a lasciarsi inghiottire dall’oscurità. Prese il quadrato di stoffa che aveva fatto del bavero di Yalìm e se lo rigirò tra le mani, accarezzandolo coi pollici. Quando i suoi occhi si furono abituati, riuscì a distinguere una ad una le sagome sdraiate nelle brande dei suoi nuovi compagni.

Aveva sentito spesso Yalìm chiamarli fratelli, ma lui non riusciva ancora a vedere così avanti. Piuttosto guardò indietro, ripesando a Bursa, agli allenamenti con le spade di legno nel cortile del retrobottega di Teoman, e si chiese se suo padre sarebbe stato fiero di lui nel sapere che aveva scelto di unirsi alla sua causa.

Se era stata una scelta, quella.

"Tu invece non sei né carne né pesce, e vivi giorno per giorno senza costruirti un futuro."

E se avesse agito per ripicca?

All'improvviso il dubbio gli inondò la mente, costringendolo a stendersi con la speranza di diluirlo nel resto del corpo. All'inizio sembrò funzionare, chiuse anche gli occhi e per un istante fu quasi certo di aver ceduto al sonno, ma poi il ricordo dell'incontro con Dönek tornò a rosicchiargli l'anima.

"Dopo la scomparsa di mio padre in missione, ho rifiutato di unirmi al suo maledetto Ordine e ho deciso di vivere la mia vita."

Era stato così forte nelle sue convinzioni, e allora perché adesso, perché anche adesso vacillava?

Yusuf si girò dall'altra parte dando le spalle alla camerata e appiccicò il naso alla parete.

"La sola cosa che non deve condurre nessuna delle tue azioni o fare alcuna delle tue scelte è l’ignoranza. O ciò che ne deriva: la paura. L’odio. La vendetta."

Le voci del suo passato gli si alternavano spasmodicamente nella testa, finché non si accavallarono del tutto l'una sull'altra e Yusuf non riuscì più a distinguere la propria da quella di suo padre o del suo amico d'infanzia.

"Nulla è reale. Tutto è lecito."

Forse la risposta, la cura per i suoi tormenti era in quelle parole che ricordava appena sussurrate da suo padre. Forse anche Yalìm, come avrebbe fatto Yusuf adesso se ne avesse saputo il significato, vi si appellava in momenti d'incertezza.

"Indifferentemente dall'essere un Assassino… o un fabbro."

Nel bel mezzo di quei pensieri lo fulminò l'immagine di Amir che lavorava alla fucina, e cominciò a ridere senza ritegno finché qualcuno non venne a scuoterlo.

— Ti senti bene? — gli chiese l'Assassino.

Yusuf si mise seduto. — Devo fare una cosa, — disse aprendo il bavero di suo padre e sfilandosi la fascia azzurra dalla fronte. — Puoi portarmi ago e filo? —

Quello inclinò la testa da un lato e i suoi occhi si fecero piccoli come semi.

— È urgente, ti prego! — lo supplicò Yusuf.

L'Assassino si allontanò nell'oscurità della stanza e s'inginocchiò ai piedi del letto di Serdar, dove trascinò fuori sulle assi del pavimento, senza fare rumore, un bauletto. Quindi tornò indietro, porgendogli ciò che aveva chiesto.

— Ci avrei scommesso che eri un tipo… particolare. Sei solito fare cucito nel bel mezzo della notte? —

Yusuf si guardò attorno.

Effettivamente…

 — Puoi lasciami la candela? — domandò.

L'Assassino acconsentì con una scrollata di spalle. — Ma non fare chiasso, dai, siamo stanchi. —

— Non mi metterò a ballare sul soffitto, promesso. —

"O se preferisci mettertelo in testa. Non m'interessa."

Così aveva detto Amir.

Dovette soffocare un'altra risata prima di bucarsi un dito.

 

 

Il cortile degli allenamenti era lungo circa cinquanta passi e largo una trentina. Un ciliegio cresceva poco discosto dal centro e il perimetro era circondato da una tettoia dai cui spioventi le lampade a olio, appese ai quattro angoli e sulla metà dei lati lunghi, fornivano la sola illuminazione, ondeggiando nella brezza.

Il cortile era deserto a quell’ora di notte, eccetto che per la presenza di Yusuf, che vi si era recato tentando di sfuggire all’insonnia e all’inusuale comodità del suo nuovo letto.

Se ne stava seduto sulla panca sotto la tettoia, dal lato opposto alla porta d’accesso, le ginocchia strette al petto e la sciarpa di suo padre, unita alla sua fascia azzurra da un attento lavoro di cucito, avvolta attorno alla mano destra. Nella tasca dei pantaloni, i dadi truccati veterani della sua infanzia, rappresentavano l’altra direzione della sua vita.

Era stata soltanto sua la decisione di far convergere bruscamente quelle due linee che per anni avevano viaggiato l’una accanto all’altra, osservandosi guardinghe, ma ancora una parte di lui stentava ad adattarsi.

La porta d’ingresso si aprì con un cigolio e la figura inconfondibile del Maestro Ishak attraversò lo spazio di terra battuta, provocando nel figlio di Yalìm il rammarico di aver scelto la posizione che gli permetteva di tenere d’occhio l’accesso, sacrificando quella che gli avrebbe fornito una rapida via di fuga.

— Mi piace questo posto di notte. — disse Ishak appoggiandosi con le spalle al pilastro che sosteneva la tettoia, i pollici infilati dietro al cinturone.

— E’ tranquillo quanto è concitato durante il giorno. —

Yusuf rimase in silenzio.

— Questo cortile ha molte storie da raccontare. — continuò il Maestro. — Oltre al sudore, la fatica e l’impegno di Fratelli e Sorelle di ogni rango ed età, ha visto dirimersi controversie, amicizie cementarsi, conflitti palesarsi, ragazze disputarsi un uomo, incontri segreti al chiaro di luna. Non mi stupirei se vi fosse stato anche concepito qualche bambino…— ridacchiò, mentre Yusuf faceva indugiare lo sguardo nelle poche zone d’ombra lasciate dalle lampade.

— Ora potrà raccontare un’altra tua vittoria. — disse sarcastico.

— Preferisco vederla come un premio alla mia pazienza. —

— In un modo o nell’altro hai ottenuto ciò che volevi. —

Evet. È così. Anche se non ho fatto molto in realtà. —

Ishak sorrise fissando il ragazzo, che sostenne il suo sguardo con l’espressione di chi ha perso, ma è ben lontano dal sentirsi sconfitto. Il silenzio si protrasse finché Yusuf si decise a spezzarlo: aveva negli occhi un lampo di sfida.

— I dadi erano truccati. — disse con un sogghigno.

— Lo so. — rispose il Maestro, godendo per un attimo dello stupore che si era dipinto sul volto del giovane.

— Latif me li ha sfilati dalla tasca e te li ha dati prima che potessi accorgermene. —

— Un amico leale. —

Yusuf era sempre più incredulo: quell’uomo sembrava non reagire mai come si sarebbe aspettato.

— Se lo sapevi, perché non te li sei fatti cambiare? —

— Sfidare la sorte non richiede alcuna abilità. — disse Ishak con calma. — Avrei potuto perdere comunque, ma ho perso grazie all’astuzia e alla prontezza del tuo amico. Dopo che tu ti eri umiliato davanti a me, lui ha saputo cogliere l’occasione e correre il rischio di favorirti. Non capita spesso di avere al proprio fianco qualcuno disposto a tanto. Anche tu avresti potuto fare qualcosa quando ti sei accorto di cosa stava succedendo, ma non l’hai fatto, per due motivi. —

— Uno è che sono un ladro senza onore. L’altro? —

La risata del Maestro rimbombò per tutto il cortile, lasciando Yusuf ancora una volta spiazzato.

— Il primo motivo non è che sei un ladro senza onore, ragazzo, anzi, non intervenendo hai voluto preservare il tuo amico da un’accusa infamante. Il secondo è che eri pronto a sfruttare l’occasione di mantenere la tua indipendenza. Entrambe ragioni piuttosto… onorevoli. —

Yusuf era rimasto senza parole.  Di quella partita ricordava solo il vociare della taverna, le scommesse, la tensione e il sapore del raki; non si era mai soffermato a riflettere sul significato di quella sfida, troppo preso dal sollievo di essersela in qualche modo cavata. Si accorse di aver infilato la sinistra nella tasca e di stringere i dadi nel pugno.

Ishak si sedette accanto a lui e gli posò una mano sulla spalla.

— Perché sei qui, Yusuf? —

Il ragazzo distolse lo sguardo, era come se avesse di colpo perduto tutta la sua usuale parlantina e non avere, per una volta, la risposta pronta lo faceva sentire a disagio.

— Non lo so, Maestro…— esitò, cercando di dare una forma ai suoi pensieri. — Sono sempre stato figlio unico, forse ora ho voglia di avere dei fratelli e delle sorelle. —

La mano sulla sua spalla si strinse in una morsa dolorosa e Yusuf resistette all’istinto di sottrarsi alla presa, rendendosi conto di non aver sbagliato la risposta, ma solo il tono con cui l’aveva pronunciata.

— Forse… non so più dove sto andando. —

Le parole aspre di Dönek gli risuonavano nella mente.

— E sono stanco dei combattere da solo. —

La stretta di Ishak si allentò quel tanto che bastava per far cessare il dolore, ma rimase comunque ben salda.

— E contro cosa staresti combattendo? —

Le labbra del giovane si stirarono in una smorfia che voleva assomigliare a un sorriso.

— Eh… non saprei proprio dirlo. —

Non riusciva a pensare a quei suoi anni come del tutto inconcludenti. Aveva lottato, all’inizio solo per trovare un po’ di cibo ogni giorno, poi per riuscire a vivere dignitosamente; non da molto tempo poteva dire di essersi garantito un certo benessere e di aver spostato la lotta dalla mera sopravvivenza al mantenimento della propria libertà da qualsiasi influenza, fosse questa esterna, o proveniente dal suo stesso sangue. Aveva avuto fame per anni e quando era riuscito a mangiare ogni giorno si era accorto di desiderare dell’altro: un paio di stivali nuovi, un mantello più pesante, armi più affilate, attrezzi da scasso migliori, più informazioni, libri, le carezze di una ragazza, e ora una nuova direzione.

Yusuf fece scivolare tra le dita la vecchia sciarpa sgualcita di suo padre: era una delle poche cose che gli erano rimaste di lui, insieme a quattro pugnali da lancio perfettamente bilanciati e la capacità di usarli al meglio.

— Ho sempre rispettato le tue scelte. — stava dicendo il Maestro. — Come ho rispettato quelle di tuo padre. —

— Mio padre è tornato da te alla fine, ma non da me. —

— Mi biasimi per questo? O biasimi lui? —

— Per un po’ ho fatto tutte e due le cose. —

— Lo capisco. E ora? —

— Ora no. — tese la sciarpa tra le mani, come per provarne la resistenza e riportò gli occhi negli occhi di Ishak, con il medesimo intento.

— Non voglio buttare via quello che mio padre e mia madre hanno costruito. —

— Te stesso? —

Evet. —

Ishak annuì in silenzio. Vedeva sul viso di quel ragazzo la testardaggine di Yalìm, stemperata però da una minore rigidità. Per un attimo, il Maestro riuscì a gettare uno sguardo nel futuro, ai problemi che il carattere del suo nuovo Adepto gli avrebbe creato e alle soddisfazioni che gli avrebbe portato: un lavoro duro e una splendida sfida.

— Non stai rinunciando alla tua libertà, Yusuf. Scoprirai presto che l’Ordine ha le sue regole, ma anche i suoi paradossi. —

Si alzò dalla panca  e si avviò verso l’uscita facendogli cenno di seguirlo. Yusuf obbedì, quasi sorpreso di sé stesso, e tenne dietro ai suoi lunghi passi , con la confusione che si attardava nella sua mente e una misteriosa serenità nel cuore.

Quando scomparvero dietro la porta, il cortile annotò un’altra storia.

 

  
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