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Autore: Elizabeth_Tempest    10/02/2013    6 recensioni
Nella Danimarca settecentesca, il destino di una testarda contessa e di un misterioso giovane venuto da lontano s'intrecceranno.
"Friederieke guardava fuori dalla finestra, annoiata, rigirandosi pigramente il lavoro tra le mani; il cucito non l’aveva mai entusiasmata, lo aveva sempre trovato noioso dato che non ne trovava una vera utilità pratica –del resto i suoi abiti arrivavano sempre da qualche sartoria della capitale, dove suo padre spendeva un vero e proprio patrimonio per farle avere sempre i modelli più in voga alla corte francese.
Si concentrò sul ricamo, tentando di ricordare cosa fosse di preciso… forse un usignolo? si chiese, lanciando un’occhiata perplessa ai fili azzurri.
Non le sovvenne nulla ed alzò lo sguardo, sperando di poter sbirciare il lavoro della signorina Bernstein che invece pareva tutta presa dalla sua opera e la teneva in modo tale che la fanciulla non potesse vedere cosa stesse ricamando." [dal primo capitolo]
La storia è ambientata prima degli eventi di The Lost Canvas, ed è collegato ad uno dei gaiden.
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo Personaggio, Pisces Albafica
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Capitolo XII
Jens sorrise. –Bene! Un’alleata in più, signor Van Dijk: un’alleata giovane, scaltra e anche piuttosto bella, no, signorina Iedike?- disse alla sua giovane amica, facendole l’occhiolino, poi si mise a ridere, quando questa arrossì lievemente.
La giovane contessa abbassò lo sguardo sulle sue mani: ma a Jens parevano cose da dire? Soprattutto davanti ad un giovane uomo –tra parentesi più bello di qualsiasi altro essere umano? Schiarendosi la gola, cambiò discorso. –Farò ciò che potrò, ma prima di tutto devo sapere cosa sospettate di preciso.
Albafica, dopo aver ignorato, più per delicatezza che per altro, il commento di Jens Andersen, sospirò. Sì, se la contessa doveva aiutarli, avrebbe dovuto essere messa al corrente di un bel po’ di cose, forse molte di più rispetto ai già grandi segreti di cui era stata messa a parte nella spiegazione di qualche minuto prima.
-Avete ragione… ci sono molte cose di cui parlare, forse dovreste mettervi comoda…
-Ah no, cari ragazzi.- disse Jens –Anche se sono una roccia, beata grappa, ormai sono anziano e dovrei riposare un poco, ultimamente mi sono strapazzato troppo… e la signorina deve tornare a casa, prima che qualcuno si accorga che è scomparsa.
-In realtà, ho detto che sarei andata a cavalcare.- intervenne Iedike.
-Sì, ma bisogna stare attenti, la Stella ha occhi e orecchie ovunque, se si accorgesse di ciò che state facendo, potreste essere in pericolo.- disse l’anziano. Albafica dovette convenire con lui. –Dunque, visto che io sono stanco e la signorina deve tornare a casa, direi che potreste scortarla per un po’ di strada, signor Van Dijk e parlare con lei. Dopotutto due giovani nel fiore degl’anni che chiacchierano amabilmente attirano meno sospetti di due ragazzi di una certa levatura sociale che si nascondono nella casa di un povero anziano.
Sia Iedike che Albafica dovettero convenire e Jens li sospinse fuori, sorridendo. –Su, fingetevi in confidenza e tornate al maniero: meno la Stella sospetterà, più questa recita potrà andare avanti.
-Se fossimo troppo in confidenza- intervenne la giovane contessa –tutti potrebbero pensare che il signor Van Dijk sia un mio pretendente.- a quel pensiero, arrossì lievemente. Certo, il pensiero dei pretendenti che ogni tanto si presentavano in visita a suo padre la infastidiva –che giovani e che uomini sciocchi infestavano la sua casa!-, ma se fosse stato il giovane straniero a presentarsi a suo padre… oh, doveva togliersi certe sciocchezze dalla mente! Ma che mai andava a pensare? Di sicuro era colpa delle parole di Jens.
Jens sorrise furbescamente. –Meglio ancora, mia giovane ragazza! Un giovane innamorato ha più libertà di un ospite, soprattutto se deve ficcanasare in casa della sua bella!
Albafica non era certo meno imbarazzato della giovane nobildonna, ma non arrossì, riflettendo: sì, era un ottimo piano davvero e gli avrebbe dato una notevole capacità di movimento, sia nel maniero che al villaggio e poi nessuno si sarebbe mai insospettito se due giovani innamorati avessero passato molto tempo a discorrere… e la sua condizione di “mercante” avrebbe di certo aiutato a dissimulare le preoccupazioni di Friederieke: tutti avrebbero pensato che la contessa fosse in pena perché di condizioni diverse e dunque ritenesse il matrimonio improbabile, non certo che i suoi dolori fossero frutto della consapevolezza.
-Sì,- disse infine –Jens Andersen ha ragione, questa è la miglior soluzione. Nessuno sospetterà nulla, contessa.
-E sia.- convenne la giovane donna… sì, dopotutto non era un’idea così malvagia, si disse. E poi cos’erano mai i sussurri della gente, di fronte alla fine della sua famiglia e di Frydenjord? O era tanto sciocca da non riuscire a sopportare quelle voci e preferiva vedere il suo piccolo mondo spazzato via da un dio pagano malevolo e crudele? No, ella non era Sophia e poteva benissimo mettere il suo buon nome sotto ai piedi, se fosse stato necessario, per le persone che amava e quelle che i Frydendahl proteggevano da secoli, concluse, lo spirito battagliero dei vichinghi suoi antenati infiammato.

Uscirono dalla casa di Jens Andersen poco dopo e s’incamminarono verso Frydenjord camminando lentamente, tendendo i propri cavalli per la cavezza e per le redini. A vederli sarebbero parsi due amici o forse due innamorati intenti a passeggiare e chiacchierare amabilmente, ma la realtà era diversa: il cuore della povera fanciulla scoppiava di troppe emozioni e sentimenti –paura, rabbia, confusione…- e la sua testa le doleva fastidiosamente mentre tentava di raccapezzarsi in tutta quella lunga e complessa storia che il signor Van Dijk le stava raccontando.
E dunque Athena e Hades e Poseidone e lo stesso Zeus padre degli dei esistevano, non erano solo fantasie di popoli antichi che non avevano conosciuto la benevolenza del Cristo Nostro Signore e tra loro si facevano la guerra tanto spesso che più e più volte i due figli maggiori di Crono avevano quasi distrutto tutto ciò che Iedike sapeva esistesse al mondo. Athena, bella e gloriosa nella sua bontà, combatteva contro i suoi zii –ma anche contro i propri fratelli, quando era necessario- per salvare gli uomini, poiché ella riteneva che non fosse compito degli dei distruggerli in modo tanto arbitrario e per far questo si era fatta carne mortale –come Cristo, si trovò a pensare la fanciulla, forse era comune tra gli dei buoni diventare uomini per l’amore che portavano alle loro creature?- e si era attorniata di giovani coraggiosi a cui gli astri del cielo avevano fatto dono di capacità tanto singolari e speciali da renderli gli esseri più potenti dopo gli dei stessi.
-E dunque voi siete uno di questi giovani, signor Van Dijk?
Il cavallo di Iedike diede uno strattone infastidito appena entrarono nel villaggio, come se pure lui, che era solo una bestia, avvertisse il pericolo. La contessina gli accarezzò il muso umido, sussurrandogli di star tranquillo in danese.
Albafica la osservò, era stata dolce e gentile con il suo cavallo come lo era stata col bambino nei giardini del maniero, poi rispose. –Sì, lo sono, sono uno dei Saint della Diva Athena.
-E dunque proteggete il mondo.- la fanciulla rimase in silenzio per un istante, poi riprese. –E proteggete il mondo con coraggio. E con onore, ne sono certa.
Il giovane fece un triste sorriso. –Sì, con onore e coraggio, mia bella signora, ma di certo io, di tutti i miei compagni, sono colui con cui è meno consigliabile avere a che fare.
-Più della Stella che sta distruggendo la mia terra? Ne dubito.- rispose la fanciulla –E poi non mi parete poi così spaventoso o malvagio, sapete? Se lo foste stato, avreste cercato il vostro nemico spazzando via il villaggio e il maniero, se lo aveste ritenuto necessario. O sbaglio?
Quelle parole gli strapparono un piccolo sorriso e un lieve calore gli avvolse il cuore. -Chi sono io per commentare il mio animo, mademoiselle? Potrei ingannarmi e ritenermi migliore o peggiore di quanto non sia, com’è costume dell’essere umano, ma non è per questo che voi non dovreste essere qua con me.
-E perché, dunque? Se non siete malvagio o crudele, se non avete una passione per il vino e le donne e se non siete un nobile da corte –cosa che rende gli uomini più effeminati e smidollati di quei messeri francesi, come dice sempre Jens-, allora non ho nulla da temere.- affermò la ragazza. 
Ad Albafica la sua ingenuità fece tenerezza: il mondo era pieno di cose da temere, ma quella bambina ancora non le conosceva tutte e pregò che non avesse mai a conoscerle. Ma con lei doveva essere franco, almeno per quanto lo riguardava: una piccola disattenzione e quella povera creatura avrebbe potuto morirgli tra le braccia, avvelenata dal suo sangue maledetto. –Purtroppo la mia fedeltà ad Athena ha un prezzo, contessa. Un prezzo che pago ogni giorno, ma che sono felice di fare, se ciò serve a salvare persone come voi e la vostra gente.
-Un prezzo?- chiese la giovane. –Forse un’intera vita al suo servizio come fedele cavaliere non è abbastanza? Mettete a repentaglio la vostra vita per così tante persone e per la vostra dea, perché dovreste pagare lo scotto?
Non le parve affatto giusto, era come se il grande Carlo Magno, che Dio l’avesse in gloria, avesse chiesto al suo caro e fedele Orlando, che infine era morto in battaglia, per difendere il suo signore, di tagliarsi una mano o di umiliarsi davanti alla sua illustre corte ogni dì come ringraziamento per essere uno dei suoi!
-Un prezzo, mia signora. Io sono il cavaliere dei Pesci, presiedo l’ultimo tempio, al Santuario della Pallade, prima della dimora della stessa dea e così devo essere il più grande ostacolo ai suoi nemici, se mai questi riuscissero a sconfiggere tutti i miei compagni d’arme. E dunque ho dovuto accettare il rosso legame.
-Il rosso legame?- chiese la ragazza, l’animo completamente catturato dalle parole calme del giovane straniero.
-A Piscis, Atena Glaucopide, che ogni genere d’arma disprezza, fece dono di rose letali per fermare i nemici.- spiegò.
-Rose?!- Iedike era incredula: quel giovane cavaliere combatteva con delle rose? Ma come potevano quei fiori tanto belli quanto fragili –quante volte da bambina aveva pianto perché le sue rose appena colte avevano iniziato subito ad appassire e perdere i loro bei petali?- abbattere gli dei e i loro guerrieri?! Che la stesse prendendo in giro? No, era mortalmente serio. 
-Sì, contessa, rose. Ma di un genere particolare, che nessuna persona normale può cogliere o annusare, a meno che non voglia morire tra sofferenze atroci: sono rose pregne del più letale dei veleni. E io, per poterle usare, ho dovuto avvelenare il mio stesso sangue, che ora è mortifero quanto uno dei miei fiori. Dunque, mia signora, dovete badare bene a non toccare mai il mio sangue, una sola goccia e voi morrete. 
Iedike rimase in silenzio a lungo, poi annuì. –Per questo portate quei guanti?
Albafica l’aveva osservata per tutto il tempo, sentendosi triste; il viso della ragazza era impassibile e freddo, non esprimeva nessuna emozione e gliene fu grato: non avrebbe sopportato di leggere della pietà nei suoi occhi. Quella strada l’aveva scelta egli stesso tempo prima, privandosi inconsapevolmente del suo amato maestro e del calore della pacca di un amico o del corpo morbido di una donna, ma non desiderava la pietà o la compassione di nessuno, soprattutto quella della contessa. Non ne sapeva il motivo, ma era certo che quello l’avrebbe ferito più di ogni altra cosa. Sospirò. –Sì, è per questo.
-Siete stato molto coraggioso, signor Van Dijk.- disse dunque Iedike. Sì, coraggioso e forse era ancora troppo poco: quante persone avrebbero rinunciato all’umanità intera per proteggere gli ideali di una dea? 
Lo sguardo e la voce di Friederieke Frydendahl erano fermi, non v’era pietà in essi. –Vi ringrazio.
-Non dovete ringraziare quando qualcuno vi dice la verità. Ringraziate se vi rivolgono vane parole e complimenti lusinghieri.- affermò la contessa, guardandosi attorno. Poca gente era per strada, molta era chiusa nell’osteria, da cui però non provenivano né risate né canti di ubriachi né le urla di una rissa, mentre donne e bambini stavano nelle loro case, in silenzio. Eppure non era poi così tardi, malapena era l’ora del desinare, pensarono entrambi i giovani.
All’improvviso la campana della chiesa suonò a messa e tutte le porte si spalancarono: nelle stradine polverose si riversarono donne e uomini, giovani e adulti, anziani e bambini, tutti vestiti di nero, i visi di cera pallida, gli occhi febbricitanti e fissi. Camminavano lentamente, come se fossero stanchi, nessuno parlava e il rumore dei passi nella polvere erano l’unico a risuonare a Frydenjord. Nessuno parve accorgersi di Albafica e Iedike.
-Paiono morti che camminano.- disse la fanciulla. –Il cavaliere della Morte è passato tra noi e si è preso la mia gente, signor Van Dijk.
I due cavalli nitrirono e iniziarono a muovere la coda, come innervositi da uno sciame di mosche invisibili, poi il rumore di zoccoli al galoppo fece voltare la folla morta e nera: Ludvig Frydendahl era giunto.
Il giovane uomo smontò da cavallo e sorrise alla gente, che gli si faceva attorno come se fosse il re o il Messia. Iedike sentì un gran freddo e la testa prese a girarle come la trottola di un bambino.
Albafica si voltò verso di lei: la contessa era pallida e un velo di stanchezza le offuscava gli occhi, pareva uno di quei morti che camminavano. Ludvig alzò lo sguardo verso di loro e sorrise, levandosi il tricorno a mo di saluto, poi, in testa alla folla, entrò in chiesa e il pesante portone di legno si chiuse dietro di loro. 
-Venite contessa, vi riporto a casa.- disse alla giovane, che annuì lievemente.

   
 
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