Era il 27 Agosto
e Don Camillo era
pronto per una stupenda gita parrocchiale che avrebbe portato lui ed un
bel po’
di fedeli a Venezia, dove poter ammirare la città, le
stupende opere d’arte che
essa conteneva e le varie chiese. Non era stato molto difficile
coinvolgere i
fedeli, anche perché, si sa, se ricevi una lettera con un
messaggio
intimidatorio, un proiettile, un coltello insanguinato ed il pisello di
un
chierichetto, di certo non puoi non dire di si a tale iniziativa. Don
Camillo
se ne portò una cinquantina, distribuendoli come bestiame al
pascolo dentro il
pullman noleggiato per il viaggio. Il parroco salì per
ultimo, dicendo al
conducente che doveva sbrigarsi, perché né lui,
né gli altri
(sotto forzato
acconsentimento)
volevano perdersi un secondo di quella splendida gita.
Un bambino
alzò una bottiglia di
aranciata in aria ed esclamò: << Questa gita
sarà FANTAstica! >>.
Don Camillo gli
sparò seduta stante,
poiché il marmocchio, ormai cibo per cani randagi, aveva
violato il primo
comandamento parrocchiale della gita, scritto dal Don in persona:
“Non crederti
divertente dopo una battuta squallida, a meno che tu non sia Don
Camillo”.
La carcassa fu
gettata giù dal
finestrino, mentre una coppia di anziani stava allegramente parlando in
fondo
al pullman.
<<
Tesoro, presto vedremo
Venezia >>. Disse l’uomo, che baciò
la sua dolce e quasi marcia metà. Don
Camillo sparò anche a lui, avendo violato il settecentesimo
comandamento
parrocchiale: “Non bacerai nessuno, a meno che tu non sia Don
Camillo”.
Anche questa
carcassa, già circondata
da mosche e piena di vermi, fu gettata dal finestrino. Ora che gli
inconvenienti erano risolti, il pullman poté partire.
Ma il parroco,
annoiato dopo i primi
cinquecento kilometri di viaggio, decise di dedicarsi allo sport
estremo del
surf su veicolo, mostrano una forma atletica così
invidiabile, che in molti si
chiesero del perché non avesse rappresentato lo Stato del
Vaticano nelle scorse
Olimpiadi.
Raggiunta
Venezia, Don Camillo ed il
bestiame scesero dal furgone, andando incontro ad un tizio che
sembrava tanto
il becchino, visto che era vestito tutto di nero, dacché il
parroco disse:
<<
Mi scusi, caro, ma le
carcasse le abbiamo lasciate a Boscotrecase >>.
L’uomo
rise, sistemandosi la giacca
nera: << Ma no mio caro, io sono il proprietario
dell’albergo! >>.
I due si
strinsero la mano.
<<
E’ un vero piacere averla
qui con noi. La sua fama la precede >>.
Don Camillo, che
aveva un vocabolario
piuttosto limitato in testa, rispose: << La ringrazio, ma
ho già mangiato
>>.
L’uomo
rimase terribilmente
imbarazzato, ma preferì non farlo notare e cambiò
discorso. Portò i vari ospiti
nell’albergo: Don Camillo ebbe la camera numero 17, mentre il
resto della
mandria ebbe una stalla appositamente costruita per
l’occasione (oddio, gli
animali erano fatti di cartone e la zona in questione era una cantina
di circa
settanta metri quadri).
La prima
giornata passò alla grande,
col parroco che sistemò tutte le sue cose ( stiamo parlando
della splendida
scrivania in mogano, del tappeto di daino cacciato in zona protetta,
del
portagioie di Luigi XIV misteriosamente scomparso dalla reggia di
Versailles e
di una fornitura di incenso tanto grande da poter benedire tutta la
città
[???]).
Il pomeriggio
seguente Don Camillo,
dopo aver visitato due musei e quattro locali sconci, portò
le bestie a
pascolare in un fast food, quando, ad un tratto, un uomo lo
avvicinò.
<<
Don Camillo! >>.
Il parroco si
girò: << Satana??
>>.
<<
Ma no, sono il sindaco di
Venezia. E’ un grande onore averla nella nostra splendida
città. Appena ho
saputo, l’ho cercata dappertutto, per farle inaugurare la
nave Angelus, la più
grande nave che sia mai stata costruita in Italia >>.
Don Camillo,
sentendo la parola
Angelus, pensò che lui fosse la persona più
idonea nell’inaugurare quella
barca. Decise di andare al porto, ma il proprietario del locale chiese
il conto
e il parroco, per pagare quattro panini, due Coca Cola e cinque chili
d’erba
freschissima (uno per nutrire le bestie, quattro per far rifocillare il
nano
che nascondeva sotto la tonaca), gli diede la bellezza di venti
splendidi
esemplari compresi tra gli undici ed i trentatré anni.
Raggiunto il
porto, Don Camillo
arrivò nel mezzo di una folla, accompagnato dal sindaco. Tra
gli ospiti
eccezionali c’erano madama Coppola, un pc di ultimissima
generazione ed un lama
parlante (si, aveva sniffato due broccoli prima di raggiungere la
zona…).
Fu accolto con
applausi e ragazze che
si denudavano. Il sindaco prese in mano il pc e lo aprì,
mostrando al padre chi
si nascondesse dietro lo schermo: Papa Benedetto XVI.
Don Camillo si
inginocchiò, spalancando
le braccia.
<<
Caro Camillo, questo è un
giorno davvero importante per tutto il mondo. Questa nave è
l’inizio di un
cambiamento per tutti. Inaugurala, caro fratello >>.
Don Camillo,
ancora incredulo di
fronte al nuovo lifting cibernetico del Papa, prese la bottiglia di
spumante e,
invece di lanciarla contro la nave, la usò per colpire la
testa della madama, provocandole
un ictus cerebrale.
<<
Ma padre >>. Disse il
sindaco << Perché?? >>.
Don Camillo lo
guardò rabbioso e
confuso: << Perché mi sentivo in imbarazzo,
ok?? Ma adesso posso
incominciare >>.
<<
E allora vada >>.
Aggiunse il Papa.
Prese una
bottiglia dalla sua tonaca
e la lanciò contro la nave. L’incenso
squagliò il metallo, facendola affondare.
Tutti scapparono
via, mentre il Papa
lo guardava deluso: << Camillo, sarò franco
con te… >>.
Don Camillo
prese il pc ed iniziò ad
urlare: << Ma allora tu non sei il Papa! Lo sapevo, il
Papa non è fatto
di plastica e fili elettrici! Questa è la tua fine!
>>.
Lo chiuse e lo
lanciò via, come un
frisbee, un frisbee che raggiunse la Jugoslavia, decapitando quindici
persone.
Cavalcò
il lama e raggiunse l’hotel. Passarono
così altri quattro giorni, per poi riprendere il pullman e
ripartire per casa. Ma
dopo cinquecento kilometri (un’altra volta), si
sentì un tonfo provenire dall’alto.
Il padre saltò, sfondando il tetto del pullman e
ritrovandosi di fronte ad un
tizio con una valigia nera in mano. Don Camillo iniziò a
ringhiare: era un
testimone di Geova.
<<
Parroco, ascolta la vera
voce! Fai la carità! >>.
Don Camillo
alzò la tonaca, facendo
uscire fuori il nano che aveva nascosto (c’era per
davvero!!!). Pigmeo nato in
Madagascar, addestrato sulle falde del Kilimangiaro (il programma della
RAI,
si) ed esperto di tutte le arti dell’uccisione, Grotjambortzo
(nome che gli fu
dato dai genitori probabilmente inebriati dall’alcol),
tirò fuori dalle
minuscole tasche due katana e le agitò al cielo, urlando
parole incomprensibili.
Il testimone gli
lanciò la valigia
addosso, ma il piccolo schivò, gettandosi contro di lui e
tagliandolo in due.
Tutto sembrava
finito, ma il
testimone si duplicò, sghignazzando come non mai:
<< Fammi la doppia
carità! >>.
Don Camillo
intervenne, gettando un
crocifisso al collo di uno dei due, indebolendolo sensibilmente, poi
incensò l’altro.
Il rimanente
nemico fu spazzato via
da un’onda energetica sparata da entrambi, che lo
polverizzò (la TV influenza
parecchio…).
Il nano
tornò al suo posto, Don
Camillo si sentì sollevato. Scampato anche
l’ultimo pericolo, il pullman poté
finalmente ritornare a Boscotrecase.
Le quindici
persone che erano riuscite
a tornare a casa poterono dire:
<<
Miei cari, sembrava
impossibile, ma ce l’ho fatta! >>.
Ma fu allora che
tutte le loro teste
esplosero, avendo peccato di orgoglio e presunzione.
Intanto Don
Camillo si diresse in
camera sua, contento per essere riuscito ad estirpare nuovamente il
male su
questo schifo di pianeta.
Cercò
il lama, ma non lo trovò, poi
realizzò; sniffò due cavolfiori ed ecco che
apparve magicamente: <<
Mortimer pulisci pavimento e finestre, che domani ho la messa
>>.
Mortimer
obbedì, anche se, in mente,
un pensiero se lo fece:
“Ma
questo deve allucinarmi solo
quando gli servo??”.
E
SIAMO COSI’ GIUNTI AL
SETTIMO CAPITOLO! =) RINGRAZIO TUTTI COLORO CHE CONTINUANO A SEGUIRE IL
PARROCO
PIU’ PAZZO DEL MONDO E SPERO VIVAMENTE CHE ANCHE QUESTO
CAPITOLO VI SIA
PIACIUTO. ASPETTO CON ANSIA QUALCHE VOSTRA RECENSIONE: SONO CURIOSO DI
SAPERE
IL VOSTRO GIUDIZIO :D
CI
VEDIAMO AL PROSSIMO
CAPITOLO, CIAO! :3