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Autore: MegJung    12/02/2013    2 recensioni
Come reagireste alla sola idea di scoprire che la vostra migliore amica, in realtà è un extraterrestre, inconsapevole di esserlo? Sophie, una liceale qualunque, avrà a che fare con una ragazza particolare e insieme a lei e alle persone vicine dovranno affrontare un'impresa immensa, scopriranno segreti inconfessabili e entità misteriose, il tutto con avventura e, ogni tanto, anche a suon di risate!
Genere: Azione, Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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(Dal punto di vista di Esther)
Erano appena passati due giorni dalla scomparsa di Sophie, ancora non riuscivo a credere che fosse sparita così di punto in bianco. L’ultima volta che la vidi stava scendendo nel grande sgabuzzino dove Sidus metteva gli strani marchingegni che arrivavano da Antea. Sophie quel periodo andava spesso a rifugiarsi là, per rinchiudersi nel suo misterioso mondo mentale. Non ci fu buon sangue fra noi tre da quando i Grigi arrivarono sulla Terra: Sophie era costantemente imbronciata e Nathalie era attaccata ad Aster peggio di una cozza allo scoglio.
Non facevo che pensare ad una persona, forse questa non meritava tutte quelle mie preoccupazioni, ma non potevo far a meno di struggermi: Josh. Probabilmente lui aveva le piene intenzioni di mollarmi, ma la sorte aveva voluto che forze di ordine maggiore lo impedissero. Era così tanto tempo che non lo vedevo, mi mancava così tanto, non sapevo nemmeno che fine avesse fatto. Era diventato uno schiavo dei Grigi? Si era ribellato? Quei bastardi lo avevano ucciso? Domande del genere assillavano in continuazione la mia mente, non trovando puntualmente una risposta ad esse. Soffrivo perché non potevo sapere.
Se durante la strage dei Grigi fossi stata vicino a Josh, avrei voluto morire con lui.
Questo non sopportava Sophie, il fatto che mi affliggevo per quel maledetto ragazzo e non volevo mettermi l’anima in pace. Ero sempre così triste, ero stanca di soffrire.
Sophie doveva essere assolutamente salvata, avevo molto probabilmente perso per sempre il mio ragazzo, non potevo perdere anche una mia amica. Sarebbe stato un dolore troppo grande anche la sua mancanza.
Per quanto riguardava Nathalie, provavo un odio allergico nei suoi confronti, vederla con Aster mi faceva salire la bile alla bocca. Ero invidiosa, ma l’orgoglio mi impediva di trapelarlo fuori. Non poteva capire cosa potesse significare avere amato una persona che non avrebbe potuto rivedere mai più. Spesso avevo atteggiamenti scorbutici nei suoi riguardi, ma quelle reazioni erano più forti di me, sapevo che non era colpa sua. Per tale ragione tenevo sempre le distanze da Nat, per il bene di entrambe, se non volevamo finire per fare una rissa all’ultimo sangue.
Finalmente arrivò il giorno in cui avremo fatto la ricerca, il giorno in cui insomma avrei visto di nuovo il mondo esterno. Mi ero quasi dimenticata di quale aspetto avesse.
Ci diedero delle strane tute spaziali, erano blu, con strani inserti metallici e un cinturone con fondina per infilarci qualche stravagante arma.
Arrivò il grande momento quello in cui finalmente avremo rivisto dopo così tanto tempo la luce del sole. Ritornammo sulla superficie, nel mondo conosciuto, ma l’unica cosa che brillava era il riflesso dei macchinari di metallo. Era una realtà triste e grigia, come i suoi padroni. Camminare per quella immensa fabbrica suscitava un senso di desolazione a chiunque.
Camminavamo cauti e vicini, con i fucili al plasma sempre pronti, ci avevano insegnato qualche giorno prima come utilizzarli. Le armi pleiadiane erano una figata, tuttavia esse venivano utilizzate solo in casi estremi.
Non eravamo certi di dove poteva essere finita Sophie, ma fra le varie ipotesi, c’era quella di infiltrarci nella prigione e controllare là. Dovevamo stare attenti a non far scattare nessun allarme, fortunatamente il nostro aspetto ci faceva confondere con gli altri umani schiavizzati. Vedevo i corpi di amici, parenti, conoscenti senza anima, che lavoravano interrottamente, privi di qualunque facoltà mentale. Josh non era fra loro. E se era morto? Almeno lo aveva fatto con una buona causa e soprattutto senza lasciarsi rubare la dignità.
Riuscimmo a prendere una navetta e arrivare nelle vicinanze dell’immenso carcere dei Grigi, distava decine di chilometri dal nostro rifugio, ci avremo messo giorni ad arrivarci a piedi. La prigione era super sorvegliata, non ci saremo entrati facilmente, gli unici umani ed essere là dentro erano i ribelli nelle loro relative celle.
Non so come Sidus riuscì a trovare un passaggio sotterraneo non visibile dai sofisticati radar dei nemici. Era una lunghissima galleria, probabilmente una vecchia cava abbandonata ai tempi della Terra dominata dagli umani. Era un passaggio buio e tortuoso, ma non potevamo prendere altre strade. Stavamo sempre tutti all’erta, con il costante timore che un Grigio ci avesse attaccato alle spalle. Per grandissima fortuna andò tutto bene, arrivammo in una stanza circolare, illuminata da strani neon blu. I colori delle luci nelle prigioni dei Grigi indicavano che genere di galeotti vi fossero: conoscevo il verde per i criminali minori, come i ladri, l’arancione per i truffatori, ma il blu non avevo la più pallida idea a che cosa corrispondesse.
-         Siamo nella zona più controllata della prigione – disse Sidus.
Quando lessi i suoi pensieri capii bene il perché. Il colore blu era attribuito ai peggiori essere che potessero esistere nel universo, eravamo nell’area dei ribelli. Le nostre strane tute ci rendevano invisibili ai super tecnologici sensori presenti nella prigione.
Le celle erano blindate con strani materiali, non si riusciva nemmeno a vedere chi ci fosse dietro. Era un lunghissimo corridoio deprimente, costellato di innumerevoli innocenti, invisibili per il resto del mondo.
Notai una corsia nascosta, era spoglia, senza celle, in fondo vi era una grande porta con una scritta in una lingua sconosciuta.
-         Vado a controllare la – dissi – voi vedete se la trovate in altri corridoi -.
Acconsentirono, sapevano che potevo difendermi e mandare un messaggio telepatico di soccorso se ne avessi avuto bisogno.
La grande porta era chiusa, bisognava digitare un codice per avere l’accesso. Guardai il tastierino vicino con strani simboli, non avevo la più pallida idea di quale poteva essere. Chiusi un attimo gli occhi, l'aura azzurra era quella degli idealisti, di persone dotate di una grande volontà, capaci di vedere oltre il reale. Quando rividi il tastierino alcuni simboli diventarono luminosi e iniziarono a fluttuare nel aria, quasi come a Beautiful Mind, era quella la password? Tentare non poteva nuocere. Velocemente digitai quel codice.
Accesso Acconsentito
Mi stupii del grande potenziale che aveva la mia aura. Davanti a me si aprii una stanza di passaggio, c’era un'altra porta semi trasparente che faceva intravedere una sala ampia e chiara. Tuttavia sentivo che la dentro c’era qualcosa di brutto. Tenni stretto il fucile e andai avanti.
C’era una scritta il blu luminosa sul muro: Sala Esecuzione.
Stavo per entrare nel area destinata ai condannati a morte.
La porta traslucida si aprì automaticamente al mio avvicinamento. Apparve davanti a me un immagine troppo scabrosa per essere vera.
La sala era pullulante dei più macabri strumenti di tortura e piena di cadaveri emaciati e squartati in letti da ospedale. A un lato c’era la prossima vittima, aveva gambe e braccia paralizzate da strani congegni di metallo, pareva quasi crocifissa. Ma il vero sconcerto arrivò quando vidi quella persona in faccia. Trasalii, come avrei potuto non riconoscere quel volto abbronzato, i suoi capelli mossi e lunghi, i suoi occhi color cioccolato o quelle labbra?
Aveva il capo chino e stava fissando malinconico il pavimento grigio, aspettando la condanna. Ero giunta in quella stanza così silenziosamente da non essersi accorto della mia presenza. Lentamente mi avvicinai a lui.
-         Josh – lo chiamai a bassa voce dolcemente.
Lui alzò lo sguardo smarrito.
-         Esther? -.
Lo accarezzai, i guanti mi impedivano di sentire la sua pelle morbida.
-         Non alzare la voce – lo ammonii – perché ti hanno condannato? -.
-         Sono un ribelle – spiegò – sono riuscito a sfuggire al controllo mentale dei Grigi. Altri ed io stavamo aspettando che alieni buoni come i pleiadiani ci aiutassero, purtroppo mi hanno catturato e dopo diversi mesi dopo non essere riusciti a farmi il lavaggio del cervello, hanno deciso di giustiziarmi -.
Quando disse la parola pleiadiani c’era una certa amarezza.
-         Non sono mai arrivati – affermò triste – pensavo che non ti avrei mai più rivista -.
Mi guardò dispiaciuto.
-         Non volevo realmente lasciarti, mi dispiace -.
Gli sorrisi.
-         Tranquillo, ne parleremo in un altro momento – dissi rassicurante – però prima ti devo dire una cosa: i pleiadiani sono davvero fra noi -.
Mi fisso male.
-         Non si sono mai fatti vedere, non ci hanno mai aiutato -.
-         Ti stanno aiutando – dissi a tono.
Non vedo l’ombra di quegli alieni.
Mi guardò meglio dalla testa ai piedi e rimase stupito dal mio strano aspetto e dalla tuta spaziale di Antea. Aveva capito, avevo sentito i tuoi pensieri.
-         So che ora non mi vorrai vedere mai più – affermai amaramente – ma, si, è come hai pensato: sono una pleiadiana -.
Non vidi nemmeno la sua espressione, spedita, con testa china, andai a liberare i ragazzo da quelle manette all' avanguardia. Era libero, vivo e stava bene ed era quello che volevo.
Mogia andai verso la porta che dava nella corsia segreta, quando sentii alle mie spalle delle braccia che stringevano la mia vita. Percepivo sulla schiena il calore di un corpo umano, la mia testa posava sul petto, sentivo il suo battito cardiaco.
-         Chiariremo dopo certe cose – disse lui – ma Esther, sappi una cosa: non m’importa di quello che sei, voglio te. Amo Esther la mia ragazza, non la pleiadiana o l’umana -.
Palpitai, rimasi attonita dalle sue parole e non ebbi il tempo di voltarmi per guardarlo negli occhi che lui mi baciò. Dopodiché ci fissammo per una manciata di secondi, proprio come quando ci siamo dati il primo bacio.
Prese una strana arma a me sconosciuta e la caricò.
-         Adesso andiamo – disse serio – la Terra deve essere salvata -.
 
 
 
   
 
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