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Autore: Melanyholland    07/08/2004    5 recensioni
Per non perdere per sempre la sua Ran, stavolta Shinichi dovrà combattere la battaglia più dura: quella contro se stesso
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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10. Clues, Deductions, Suspicions 

 

Ran Mouri era seduta per terra, le piante dei piedi poggiate sul pavimento, il viso nascosto fra le braccia incrociate sulle ginocchia unite, la schiena contro la porta della camera chiusa a chiave. I lunghi capelli scuri le ricadevano disordinatamente sulle spalle simili ad una cascata di caffè, coprendo buona parte degli avambracci e del suo candido profilo. Singhiozzava sommessamente, il suo cuore era straziato da tormenti diversi, quasi in conflitto fra loro. Era arrabbiata, triste, in preda ai rimorsi ma anche una vittima, in effetti; tutte le cose che le stavano intorno e che le erano sembrate così belle al suo risveglio ora erano cupe e smorte. Ma perché proprio non riusciva ad essere felice? Perché doveva sempre piangere, soffrire, per quale motivo? Il suo petto venne scosso da un singhiozzo violento e improvviso, scosse lentamente la testa sentendo i battiti del suo cuore accelerare. Si sentiva davvero male, una brutta sensazione interna, come se il suo corpo non riuscisse più a tollerare la presenza del suo spirito...

Shinichi

Quel pensiero...l’immagine del suo amico d’infanzia si fece largo nella sua mente, vide il suo sguardo determinato, il sorriso che per anni l’aveva rincuorata, e per un attimo smise di singhiozzare, anche se le lacrime scendevano involontarie a rigarle le guance arrossate.

Shinichi...lui era sempre con me anche quando succedeva da piccola...

Sorrise nostalgica, asciugandosi le lacrime con le dita. Il suo sguardo si posò sulla grande finestra della sua stanza, dove un piccolo merlo saltellava allegramente sul suo davanzale: era davvero carino, con gli occhietti neri e vispi che si guardavano prudentemente intorno e quelle zampette gracili. Ran rimase a guardarlo per un po’, chinando il capo di lato e posando l’orecchio sulle braccia invece del suo viso, riprendendo pian piano il suo respiro regolare.

Si quand’ero piccola e papà e mamma litigavano urlavano si dicevano un sacco di cattiverie pensando che io non sentissi o non capissi ma io sentivo e capivo e soffrivo e non gli ho mai detto niente tutte quelle sere passate cercando di addormentarmi con la testa sotto il cuscino per non sentirli mentre si insultavano e le lacrime e fingere davanti a loro e fingere davanti ai compagni di classe dicendo a tutti quanto i miei genitori si volessero bene non sopportando che non fosse la verità perché a sei anni non puoi pensare che non tutte le coppie vadano d’accordo perché a sei anni una delle poche cose che hai imparato e in cui credi è che una volta sposati si vive felici e contenti per sempre a sei anni hai il diritto di credere in questo e non è giusto tornare a casa e vedere che per l’ennesima volta i tuoi genitori evitano di guardarsi negli occhi e dormono in camere separate...

I suoi occhi blu cielo cominciarono di nuovo a luccicare. I suoi genitori si erano separati quando era piccola, e ricordava ancora tutto quello che aveva provato, quanto ci era stata male...e anche chi l’aveva aiutata.

Shinichi...non avevo detto niente a nessuno mi ero sempre tenuta tutto dentro perché mi vergognavo troppo e non volevo ammetterlo eppure lui è riuscito a capirmi come sempre ha capito tutto e quel giorno a scuola senza che gli dicessi niente mi è venuto vicino e mi ha sorriso...

Sì, aveva sfoggiato un sorriso ingenuo, da bambino, che però già infondeva sicurezza e serenità. Il piccolo Shinichi aveva estratto dalla tasca dei calzoncini un pupazzetto a forma di orso e aveva detto con voce squillante: "Ecco, Ran, adesso non hai niente di cui preoccuparti. Qualsiasi cosa succeda, lui sarà sempre con te, e io anche. Così saremo in tre. Se stiamo insieme, nessuno di noi resterà mai solo, ma avrà l’altro. Ogni volta che ti senti abbandonata stai con me, e se io non ci sono stai con Teddy.  Nessuno di noi due ti lascerà mai, perciò smettila di essere triste!" Le aveva infilato l’orsetto fra le mani guardandola negli occhi, finché lei non aveva ricambiato il sorriso annuendo con decisione. E adesso, la stessa Ran, ma di undici anni più grande, sorrise di rimando a quel ricordo. Come sempre era stato lui a rincuorarla, a capire ciò che provava senza che ci fosse bisogno che lei glielo rivelasse. Shinichi aveva mantenuto la parola e gli era stato vicino, tenendole la mano mentre Eri confidava abbattuta a Yukiko di voler mollare ogni cosa una volta per tutte, consolandola la sera dopo che suo padre le aveva comunicato la brutta notizia. Di nuovo si ritrovò a pensare a quanto fosse stata sciocca a voler buttare all’aria tutto senza nemmeno dargli un’altra occasione, anche considerando che lui aveva fatto tantissime cose per lei, ma al contrario lei non aveva fatto quasi nulla per lui. Conosceva il carattere del suo amico d’infanzia, sapeva che se anche avesse avuto un problema grandissimo, qualcosa che lo faceva veramente soffrire, non gliel’avrebbe mai confidato, per non farla star male per lui. Infatti in tantissimi anni che erano amici non ricordava di averlo mai visto piangere, o anche solo triste. Le venivano in mente mille situazioni in cui Shinichi l’aveva consolata, ma neppure una in cui i ruoli fossero stati all’inverso...

E se anche stavolta fosse così? Se Shinichi non è lontano per risolvere un caso complicato ma perché è in qualche brutto guaio? Qualcosa di cui non mi vuole parlare ma che lo fa stare male?

La sua fronte si corrugò: non era un’ipotesi così assurda. Dando sempre la caccia ai criminali, era logico che prima o poi si imbattesse in qualcosa più grande di lui. Cominciò a riflettere preoccupata, gli occhi bassi fissi sul pavimento: tutto era cominciato quel pomeriggio al Tropical Land...erano andati su qualche attrazione, poi c’era stato quell’omicidio sull’otto volante e lui l’aveva risolto brillantemente. Era davvero improbabile che fosse quella la causa dei suoi guai, la colpevole era una ragazzina col cuore infranto, non costituiva alcun pericolo, e poi era ancora in prigione. Dopo la soluzione del caso stavano tornando a casa, ma lui si era allontanato...tutto qui. O forse no...c’era qualcos’altro, qualcosa che non riusciva a focalizzare, qualcosa che aveva attirato l’attenzione di Shinichi...qualcosa...o qualcuno....

Ma certo! Due uomini! Uno basso e tarchiato e l’altro alto, con lunghi capelli biondi...erano entrambi vestiti di nero...

Sobbalzò: ricordò gli occhi spietati del più alto, uno sguardo di ghiaccio e carico d’odio verso il mondo: lo sguardo di chi è abituato a uccidere. Improvvisamente ebbe paura, tanto che gli venne la pelle d’oca mentre un brivido gelido le percorreva la schiena e si esauriva in un sussulto. Di nuovo aveva l’impressione che il suo cuore insistesse per saltar fuori dal petto. E se Shinichi si fosse messo nei guai con quelli? Se avesse ficcato il naso nei loro affari e ora fosse costretto a nascondersi da loro per non essere ucciso?

Nascondersi?

Scosse la testa. Era improbabile che si stesse nascondendo, visto che solo pochi mesi prima era apparso tronfio davanti ad una folla numerosa di studenti e adulti, alla sua recita. Dubitava che potesse essere così stupido da farsi vedere da tutta quella gente con uomini del genere alle calcagna...sarebbe stato imprudente, illogico, qualcosa che la mente razionale e calcolatrice di Shinichi Kudo non avrebbe mai potuto concepire. Sicuramente stava divagando, rise di se stessa immaginandosi la faccia che avrebbe fatto il suo amico d’infanzia se gli avesse raccontato i suoi sospetti. Probabilmente l’avrebbe derisa dicendo che come detective non valeva un fico secco... anche se, a dire il vero, tutta quella faccenda le lasciava addosso una strana sensazione: Shinichi non si faceva vedere da mesi. Poi era ricomparso tutt’a un tratto, giusto in tempo per disilluderla dalla convinzione che lui e Conan fossero la stessa persona. Infine era sparito di nuovo, all’improvviso com’era arrivato.

E Conan kun...

Sì, Conan...ecco un altro punto in questione. La somiglianza fra lui e Shinichi era...terrificante. Ogni volta che ci pensava quasi rabbrividiva. Conan era un bambino normale, per certi versi: andava alle elementari, aveva il suo gruppo di amichetti con cui usciva nei week-end per andare al parco giochi, durante i pasti si sbrodolava puntualmente e lei era costretta a togliergli i chicchi di riso bianco dalla faccia...un normale, regolare, stereotipato bambino di sette anni. Nulla da eccepire.

A parte forse quel suo interesse quasi maniacale per il lavoro di suo padre: per quanto Kogoro lo sgridasse o picchiasse Conan continuava imperterrito a mettere il naso nei casi che gli si presentavano. E questo poteva essere contestabile ad un vero bambino delle elementari...tuttavia, sembrava che attualmente il giallo fosse di moda fra i ragazzini: Conan e i suoi amici avevano formato un gruppo di giovani detective, tutti insieme, ed era improbabile che Ayumi, Genta e Mitsuhiko fossero altri tre adulti rimpiccioliti.

Rimpiccioliti...è a questo che mi sono ridotta? A pensare che qualcuno possa regredire invece di crescere? Sono diventata matta?

Eppure...quando qualche volta aveva lanciato a Conan un’occhiata in tralice senza che lui se ne accorgesse, aveva colto un’espressione che mai avrebbe potuto vedere sul viso di Ayumi o di qualsiasi altro bambino, giovane detective o no. Era...seria, fin troppo, corrucciata ma allo stesso tempo fredda e indifferente, come se fosse concentrato su qualcosa di davvero importante, profondo, vitale...e allora in quei momenti la figura che si trovava davanti non era più quella del piccolo Conan kun con i chicchi di riso sul mento...era una figura altera e imperscrutabile, avvolta da un alone di mistero...una figura capace di metterla a disagio. Tutte le volte che succedeva lei restava lì a fissarlo incredula, finché il bambino accorgendosene si voltava verso di lei, sfoggiando un sorriso sereno e innocente, liberando gli occhi da quell’ombra scura e chiamandola con l’appellativo dolce e affettuoso di *Ran neechan* con la sua vocetta acuta e calda, donandole tepore e calma, facendole dimenticare tutti i suoi pensieri e costringendola a ricambiare il sorriso con tenerezza. Conan tornava ad essere Conan kun e la questione era chiusa. Chi mai avrebbe potuto sospettare oltre di quel tesorino? D’altra parte...

Conan allo stabile mi ha mentito di questo sono sicura non so perché ma è così e adesso è sparito e non ho più potuto chiederglielo però l’ha fatto e stavolta non posso davvero tapparmi gli occhi devo andare a fondo della questione una volta per tutte

Il merlo volò via dal davanzale della finestra con un fragoroso sbatter d’ali e qualche penna in meno. Ran lo guardò allontanarsi finché non divenne una sagoma nera inghiottita dal celeste dell’orizzonte, sbadigliando. Dopo tutto quel pensare, erano solo due i punti che aveva ben chiari in testa: uno, Conan stava nascondendo qualcosa.  Due, Shinichi si stava nascondendo da qualcuno.      

Forse di quest’ultimo punto non era molto sicura, sperava di essersi sbagliata, ma aveva provato una brutta sensazione a quel pensiero, davvero brutta. E lo stesso Shinichi non sosteneva forse che il ragionamento era importante, ma a volte bisognava dare retta anche all’istinto? Comunque, con quest’ultimo avrebbe parlato quella sera. Con Conan, avrebbe dovuto parlare prima, magari sarebbe stato meglio che dopo facesse una capatina a casa del dottor Agasa.

Stava ancora riflettendo su questo quando udì una bussata indecisa e timida alla porta. I suoi pensieri si erano spostati tanto su Shinichi che quasi si era dimenticata della difficile situazione che si era creata attorno a lei. "Chi è?" Chiese rivolgendosi alle sue spalle.

"S...Sono io, Ran chan...posso entrare? Ho bisogno...di dirti...una cosa..." Ran riconobbe nella voce esitante dietro la porta lo strano accento del Kansai. Le tornò in un solo istante la rabbia verso Kazuha, anche se sembrava leggermente più affievolita, una cosa ormai appartenente al passato... "Che devi dirmi?" sbottò, sentendosi subito in colpa per essere stata tanto brusca. Ci fu un attimo di silenzio e seppure attraverso la porta, Ran percepì il disagio della ragazza: "Ehm...ecco...io...volevo chiederti scusa." Un sospiro attutito da legno "Ho...combinato un casino." Ran si alzò lentamente, le ossa delle gambe che scricchiolarono con i muscoli indolenziti; Kazuha si era resa conto di quello che aveva fatto ed era venuta a scusarsi...sembrò quasi che il suo cuore si stesse svuotando della collera che fino ad ora l’aveva riempito, tornando ad essere leggero. Non aveva senso continuare a tenerle il broncio, in fondo era una delle sue migliori amiche, era stata lei a convincerla a non  buttare tutto all’aria con Shinichi, le doveva qualcosa di davvero grande. Ran aprì la bocca per dirle che andava tutto bene, che non faceva niente e che ora avrebbe aperto la porta, ma Kazuha la precedette: "Scusami, scusami tanto, Ran chan...è che quella storia con Heiji...so che a te non interessa, che ti piace Kudo, ma io non ho saputo resistere. Mi dispiace, mi sono lasciata prendere dalla gelosia senza motivo, ti ho messo nei guai con tuo padre...non volevo, ma ero arrabbiata e..."  La porta della camera si aprì con un lamentoso cigolio; Ran guardò negli occhi verdi la ragazza del Kansai, sorridendo: "È tutto a posto, Kazuha chan" disse dolcemente: "Non fa niente, so che non volevi...e forse anch’io avrei reagito in quel modo se tu avessi passato del tempo sola con Shinichi."

"Ma...ma io...tuo padre..." balbettò incerta Kazuha, il cuore colmo di sensi di colpa: non avrebbe mai immaginato che Kogoro Mouri potesse reagire in quel modo brusco, le sembrava un uomo così mite, indifferente a certe cose...e non l’aveva mai sentito dare ordini alla figlia. Prima era infuriata con Ran, certo, ma sentendo la reazione del padre si era subito sentita male per quello che aveva causato, e per tutto quel tempo non aveva fatto altro che provare a mente le scuse da presentarle, stando immobile davanti alla porta per almeno dieci minuti prima di decidersi a bussare. Adesso, continuava a fissare a disagio le ginocchia di Ran evitando accuratamente il suo sguardo. Quest’ultima le posò delicatamente una mano sulla spalla: "Oh, non preoccuparti per papà; l’avrebbe scoperto comunque, in un modo o nell’altro, e..." Kazuha alzò la testa: "Se vuoi ci parlo io! So essere molto convincente, non sai quante volte sono riuscita a farmi dare il permesso da mio padre anche se lui all’inizio era contrario!" Ran scosse la testa, sempre sorridendo rassicurante: "Ci penso io, Kazuha chan. Solo, vorrei parlargli da sola...potresti..?" Senza che ci fosse bisogno che terminasse la frase, la ragazza del Kansai annuì e si diresse verso l’ingresso: "Vorrà dire che andrò a vedere qualche negozio qui intorno, magari, se sono fortunata, incrocio Heiji che torna a casa!" La salutò con un cenno della mano; Ran stette ad aspettare finché non sentì la porta d’ingresso chiudersi, poi si posò una mano sul petto e cominciò a fare dei lunghi e profondi respiri. Ora veniva la parte più difficile, perché era lei che doveva fare le sue scuse a qualcun altro; suo padre le aveva proibito di uscire con Shinichi, e questo continuava a sembrarle ingiusto, tuttavia niente poteva giustificare le cattiverie che gli aveva riversato contro. In fondo capiva che l’aveva fatto con buone intenzioni, perché era protettivo nei suoi confronti, e non per uno schiribizzo del momento. Non poteva più permettersi di odiare un genitore perché le proibiva qualcosa, non era più una bambina!

Una bambina...La mia bambina....

Sussultò, quelle ultime parole erano apparse nella sua mente senza che potesse fermarle, ripetute con una voce maschile, che non le apparteneva. Quello che era successo undici anni prima, la separazione dei suoi genitori...non era stato solo Shinichi a darle conforto, ma anche...

Anche papà sì mi ricordo era venuto a prendermi a scuola ed era così triste però mi ha sorriso e mi ha portato a prendere il gelato e poi dopo mi ha abbracciato e mi ha detto che mi voleva bene e che sarebbe stato sempre così e che non gli importava se avessi scelto di stare con la mamma perché lui sarebbe sempre stato il mio papà e per me e la mia felicità avrebbe fatto qualsiasi cosa che ero la sua bambina e qualsiasi cosa accadesse si sarebbe preso cura di me per sempre...

Sentì che gli occhi le si riempivano di lacrime...come aveva potuto essere così fredda e spietata nei confronti di suo padre? Sì, aveva dei difetti, forse non avrebbe mai vinto il premio per il genitore più responsabile del mondo, aveva i suoi vizi e tutto il resto...ma nonostante tutto le voleva davvero bene, e lei l’aveva ferito solo perché per una volta nella sua vita si era permesso di darle un ordine. Cominciò a correre verso lo studio, dove trovò Kogoro appollaiato sulla sedia, in mano il quotidiano della sera prima (probabilmente lo stesso che aveva comprato Heiji) e un’espressione abbattuta sulla faccia. Si fermò a pochi centimetri da lui e rimase a guardarlo, schiudendo le labbra per parlare ma non riuscendo a proferire nessuna parola, a disagio come non lo era mai stata in vita sua davanti a suo padre. Lui alzò lo sguardo, si accorse di lei e tentò di mascherare il suo stato d’animo sussurrando in modo distaccato: "Cosa vuoi?" con il tono più freddo che gli riusciva. Ran continuò a boccheggiare senza riuscire a rispondere, adesso che la stava guardando le sembrava ancora più complicato parlare, intanto le lacrime che erano affiorate sotto i suoi occhi cominciavano ad appannarle la vista. "Papà io volevo..." una lacrima le rigò il viso, suo padre la guardò per un attimo, l’espressione severa vacillò di nuovo ma stavolta nascose il volto dietro il quotidiano ed evitò che Ran se ne accorgesse. "Io..."

"È inutile che vieni qui a piangere...non esci." La interruppe, la sua voce fredda tradiva incertezza e malinconia. Ran alzò gli occhi luccicanti di lacrime: "Papà, vuoi un po’ di gelato?" Kogoro riemerse da dietro il giornale con un’espressione incredula, dimenticandosi di sembrare severo: "Come hai detto?" Guardava fisso negli occhi la figlia, e anche se ancora piangeva silenziosamente, lei riuscì a fargli un sorriso, dolce e carico di tepore come una giornata di mezza estate: "È stato così l’ultima volta che tu mi hai dovuto dire una cosa difficile. Adesso che tocca a me, volevo fare lo stesso..." Kogoro restò a guardarla per un po’, in silenzio, poi si nascose di nuovo dietro il giornale. Ran non avrebbe potuto giurarlo, ma le sembrava di aver visto gli occhi del padre luccicare allo stesso modo dei suoi. Poi lui parlò, e la sua falsa freddezza divenne evidente per chiunque: "Un gelato. No, non va bene. Io sono un ubriacone, l’hai detto tu...un bicchiere di Whisky, forse..." era risentito, e ferito. Ran percepì chiaramente questi due sentimenti e di nuovo si sentì in colpa. "Papà, io...non volevo dire quelle cose, giuro, ero arrabbiata..."

 "Ma è la verità, no? Perché ti scusi allora? Finalmente hai trovato il coraggio per dirmi quel che pensi veramente di me, e ti scusi?" stavolta Ran scoppiò in singhiozzi, si coprì il viso con le mani: "No, non dire così...non è così..." cercò di dire, ma fra le lacrime uscirono solo balbettii confusi, Kogoro riprese: "Se la pensi così, Ran, forse è meglio che vai a vivere da tua madre...so che non avrebbe nulla in contrario, e a questo punto, neanch’io." Concluse, posò il giornale, si alzò e superò la figlia singhiozzante senza una parola. I suoi occhi guizzarono per un attimo verso di lei, solo un momento fugace, ma per il resto evitò di guardarla. Si infilò la giacca e si avviò verso l’uscita, ma ad un tratto sentì che qualcuno gli si aggrappava alla schiena, piangente. Ran posò il viso fra le scapole del padre, continuando a singhiozzare disperata, lui rimase immobile, le braccia lungo i fianchi, la testa china. "No papà! Non dire così ti prego...io voglio bene alla mamma, ma voglio vivere con te! Perché non importa se hai dei difetti, o come passi le tue giornate, nei momenti più brutti riesci ad essere un padre formidabile, il migliore!" Kogoro si voltò verso di lei, Ran lo guardò con gli occhi lucidi di lacrime e continuò: "Quel giorno, avrebbe potuto crollarmi il mondo addosso da un momento all’altro, ma tu sei riuscito a farmi sentire meglio, a dirmi l’inevitabile senza ferirmi. E in fondo conta quello che sei e non quello che fai, sei d’accordo?" Di nuovo riuscì a sorridergli, l’espressione severa si sciolse definitivamente e anche gli occhi di suo padre ora luccicavano: "Figliuola..." disse in un sussurro e l’abbracciò stretta, Ran smise di piangere pian piano lasciandosi confortare dal tepore del suo abbraccio, che le dava un senso di protezione e sicurezza. Rimasero stretti per un po’, lei con gli occhi chiusi e lui che le accarezzava dolcemente la testa in modo paterno, proprio come in quel tiepido pomeriggio d’Aprile di undici anni prima.

 

 

Conan Edogawa si voltò di scatto verso la finestra, allarmato dallo strepitare improvviso di un clacson;  restò immobile per qualche minuto, il piccolo torace che si alzava e si abbassava velocemente, ascoltando i rumori del traffico e fissando il vuoto davanti a sé, riflettendo su quello che aveva appena trovato e soprattutto su cosa poteva significare. Riabbassò lo sguardo, infastidito da uno squarcio luminoso che adesso vedeva dovunque guardasse, a causa del contrasto fra la luce della finestra e la semi oscurità della stanza: quello che aveva attirato la sua attenzione era una cartelletta di cartone, di un giallo sporco, da cui fuoriuscivano fogli scritti fittamente, ritagli di giornale e fotografie. Sul davanti della cartella Mori aveva attaccato una targhetta con su scritto, in inchiostro nero, il suo vero nome: Kudo Shinichi. Probabilmente si trattava di tutte le informazioni che aveva raccolto su di lui e, data la consistenza, doveva essere da molto tempo che era sulle sue tracce. Aprì la cartelletta, il primo documento che trovò era un ritaglio di giornale, una prima pagina su cui spiccava una sua fotografia, in cui sorrideva orgoglioso e un po’ ammiccante; riguardava un caso di cui si ricordava molto bene, l’omicidio che aveva risolto al Tropical Land, l’ultima vittoria prima della catastrofe. Sentì una dolorosa stretta al cuore e una strana sensazione alla bocca dello stomaco, ricordando quel giorno, l’appuntamento con Ran, la serenità e il benessere che aveva provato ignaro che di lì a poco la sua vita sarebbe stata segnata per sempre. Scosse la testa: l’ultima cosa da fare adesso era crogiolarsi nel rimpianto. Sopra la sua foto in bianco e nero lesse il titolo a caratteri cubitali: "Lo studente detective colpisce ancora. Un altro criminale arrestato grazie al geniale Kudo Shinichi."   L’articolo conteneva un riassunto abbastanza dettagliato del caso e della sua risoluzione, con numerosi riferimenti alla giovane età del detective e un commento dell’autore, secondo cui si trovava al Luna Park con quella che era certamente una delle sue ammiratrici. Conan ridacchiò, pensando divertito a quello che avrebbe fatto Ran se avesse letto quell’articolo: probabilmente avrebbe rintracciato il giornalista in questione e gliel’avrebbe fatto ingoiare. Voltò pagina con ancora stampato un sorrisetto: stavolta era il ritaglio di una rivista femminile, di quelle che si trovano nelle sale d’aspetto dei parrucchieri; invece della foto c’era la sagoma nera del suo profilo, una cosa alla Hitchcock, con un punto interrogativo gigantesco. Il titolo: "Missing! Kudo Shinichi scomparso. Centinaia di studentesse in crisi." L’articolo aveva decisamente un tono melodrammatico, l’autrice pensava con sconforto alle ragazze insoddisfatte della sua sostituzione con Kogoro Mouri, di altrettanta intelligenza ma non bellezza, (Conan rise di nuovo, stavolta abbastanza sguaiatamente, lanciando uno sguardo orgoglioso alla foto della pagina precedente) e incitava lo studente detective a farsi vivo, per non far soffrire ulteriormente le sue fan. Conan si asciugò una lacrima con il dito indice, tutto rosso in faccia e guardò la pagina accanto: era sempre un articolo sulla sua scomparsa, tuttavia con tinte piuttosto forti: il giornalista, che scoprì essere lo stesso Mori, ipotizzava la sua implicazione in un caso pericoloso e numerose volte comunicava la sua convinzione che fosse rimasto ucciso. Pronosticava addirittura che di lì a poco si sarebbe trovato il suo cadavere nascosto da qualche parte, probabilmente sepolto per nascondere le tracce. Il sorriso di Conan scomparve lasciando spazio ad un’espressione irritata quando lesse le ultime righe, in cui Mori affermava che c’era da aspettarselo, in fondo Kudo non era altro che un ragazzino inesperto che credeva di essere un detective, un bamboccio viziato che a forza di ficcare il naso nelle faccende della polizia era incappato in qualcosa più grande di lui. Con una smorfia di disappunto e uno sbuffo Conan voltò pagina e trovò l’ennesimo articolo di giornale, sempre scritto da Mori, ma che stranamente non riguardava né lui né la sua scomparsa: conteneva una sintesi di un caso di omicidio avvenuto in una baita di montagna, la vittima era un maestro di musica ucciso da una collega. Conan sapeva di che si trattava: quella volta, impossibilitato ad usare Kogoro o Sonoko per risolvere il caso, aveva chiamato Ran con il cellulare a forma di orecchino e l’aveva convinta a spiegare come si erano svolti i fatti mentre glieli suggeriva. Infatti il titolo era: "Studentessa risolve un caso di omicidio. La figlia del famoso detective Kogoro Mouri sembra essere all’altezza del padre. Fortunatamente per lui Mori non aveva detto nulla di offensivo nei confronti di Ran nell’articolo, tuttavia, scritto a penna in fondo, Conan trovò quest’appunto: Chiamato Kudo per avere suggerimenti, può essere? 

Il piccolo detective aggrottò la fronte e assunse un’aria meditabonda: ma se Mori credeva che fosse morto, perché adesso ipotizzava che avesse parlato con Ran? Cosa poteva avergli fatto cambiare idea? Ripensò intensamente a quello che era accaduto alla baita...ammesso che non sbagliasse, ad un tratto il discorso era caduto su di lui...sì, non si sbagliava, Ran l’aveva nominato alla professoressa Yonehara, Mori era comparso all’improvviso sostenendo la sua ipotesi che fosse morto, ma poi

Ran l’ha contraddetto gli ha urlato che sono vivo io ho cercato di zittirla ma non ho fatto in tempo di certo Mori ha recepito il messaggio e ha pensato che lei ne potesse sapere più di lui dato che è una mia amica ma non essendo sicuro nell’articolo non ha scritto nulla tuttavia se ho capito il tipo deve aver cominciato a seguire Ran

Capì subito che la sua deduzione era esatta infatti, alla pagina dopo, invece del solito ritaglio trovò una fotografia che lo fece sussultare: ritraeva  lui, Ran e Kogoro, in un pomeriggio di poco tempo prima; Kogoro camminava un po’ curvo, le mani in tasca e lo sguardo annoiato, con una sigaretta in bocca, accesa da poco; Ran era sorridente e bellissima come al solito, i lunghi capelli scompigliati da vento, con una mano reggeva tre buste con su scritti i nomi di un negozio d’abbigliamento, con l’altra stringeva delicatamente la mano del bambino che le stava accanto, che sfoggiava lo stesso sguardo annoiato di Kogoro. Sorrise con rassegnazione, ricordava bene quel giorno: Ran li aveva costretti a svegliarsi prestissimo per accompagnarla ad una svendita di vestiti; naturalmente loro avevano cercato in tutti i modo di sottrarvisi ma, quando Ran Mouri si mette in testa che devi fare qualcosa per lei, stai pur certo che troverà il modo di costringerti ad accontentarla, con le buone o con le cattive. Ricordava vagamente la sua mano stretta a pugno che colpiva il muro lasciando delle crepe nell’intonaco...

Notò che Mori aveva cerchiato di rosso il viso di Ran...

Certo oh come ti ho capito hai iniziato a sorvegliare Ran perché credevi che in qualche modo ti avrebbe condotto a me d’altronde è la figlia di Kogoro male che vada avresti avuto parecchi spunti per un articolo su di lui e così facendo sei arrivato ad uno scoop che mai avresti immaginato perché lei ti ha condotto subito a me anche se tu non te n’eri accorto e così mi hai mentito allo stabile mi hai nascosto il fatto di esserti messo sulle tracce di Ran beh ti è convenuto visto che adesso che lo so mi viene ancora di più la voglia di spaccarti quel brutto muso

Voltò pagina in un modo così brusco che il foglio quasi si strappò :c’era un’altra fotografia, che probabilmente il giornalista aveva trafugato dall’archivio del liceo superiore Teitan, che ritraeva la sua classe del primo anno. In mezzo alla marea di ragazzi e ragazze vestiti di azzurro sparpagliati sul prato due, uno accanto all’altra, spiccavano particolarmente, cerchiati di rosso: una era sempre Ran, lo sguardo limpido e un sorriso radioso che avrebbe fatto innamorare chiunque, la gonna a pieghe che le sfiorava le cosce come una lieve carezza; l’altro era lui stesso, nella sua forma adulta, che sorrideva beato alla macchina fotografica senza atteggiarsi in alcun modo, un normale, anonimo adolescente di sedici anni. Conan rimase per un po’ a fissare la fotografia, facendo scorrere un dito sul profilo di Ran: Mori aveva notato il grande legame che c’era fra loro due, aveva sfruttato la sua ingenuità, l’affetto che lei provava nei suoi confronti, e l’aveva fatto cinicamente e spietatamente, senza il minimo rimpianto, con un ghigno soddisfatto stampato sulla faccia. Mori aveva visto il suo viso sconvolto dalla paura, i suoi occhi pieni di lacrime, eppure non aveva avuto un attimo di esitazione, nemmeno il suo tremito disperato aveva scalfito la dura corteccia del suo cuore. L’aveva legata a quella trave, consapevole di quanto fosse pericoloso, noncurante del fatto che sarebbe anche potuta morire, e aveva solo diciassette anni. L’aveva fatto, e probabilmente ancora adesso si crogiolava nel ricordo della sua astuzia, del modo in cui era riuscito a sfruttare i sentimenti di una ragazza solo per scrivere qualcosa di interessante su un pezzo di carta. Probabilmente ancora adesso sorrideva soddisfatto mostrando i denti simili a lapidi ingiallite...un ghigno di semplice perfidia. Conan aggrottò la fronte, lo sguardo fisso su un punto imprecisato del tavolo davanti a lui. Sapeva che uno dei requisiti essenziali per essere un bravo detective era riuscire ad immedesimarsi nei criminali a cui si dava la caccia, essere in grado di penetrare la loro mente in modo da riuscire quasi a prevedere le loro mosse. Dovette ammettere che su questo frangente aveva ancora molto da imparare, infatti, per quanto si sforzasse, non riusciva a capire cosa avesse spinto Mori a diventare una persona così orribile. Conan non aveva mai creduto che esistessero persone assolutamente buone e persone assolutamente  cattive per definizione. Il mondo non era una fiaba o un racconto scadente, non era bianco e nero. Una persona non nasceva assassino, o ladro, o terrorista, ci diventava.

Ma perché? Come può un uomo farsi scudo con il corpo di una bambina pur di non essere preso dalla polizia? Come può una persona entrare in metropolitana deciso a far fuori un mucchio di gente con una bomba? Perché perché perché?

Gli psichiatri più geniali di questo mondo potevano anche scrivere fiumi d’inchiostro, cercando di spiegare i motivi di certe azioni: forse la persona in questione aveva subito maltrattamenti e molestie da piccolo, forse viveva una difficile situazione e non aveva trovato altro sfogo se non togliere la vita a qualcuno e rovinarla a quelli che vogliono bene a quel qualcuno. Sì perché c’è anche da contare l’effetto eco di certe azioni. Gli psichiatri possono anche parlare e parlare...ma la verità è che nessuno ne sa nulla. Nessuno, forse nemmeno coloro che queste azioni le compiono. Momentanea infermità mentale? Conan scosse la testa chiudendo gli occhi: personalmente non aveva mai creduto a questa storia. Forse meno della metà delle persone che la invocavano nei tribunali ci è davvero passata, gli altri lo fanno per evitare pene troppo grandi. Si uccide consapevolmente nella maggior parte dei casi ed è questa la cosa terribile. Forse essi stessi un giorno della loro vita se ne renderanno conto. E allora cercheranno di convincersi che la bugia sulla momentanea infermità mentale sia la verità, cercheranno di discolparsi nascondendosi dietro questa scusa...cercheranno, e forse qualcuno di loro ci riuscirà. Gli altri probabilmente moriranno. Non nello stesso modo delle loro vittime, ma succederà. Saranno morti dentro.

Conan voltò pagina con un sapore amaro in bocca, sempre una foto di gruppo, ma stavolta risalente alle elementari. Lui se ne stava tutto sorridente in mezzo ad un gruppo di bambinetti altrettanto sorridenti, mentre Ran era più lontana, seduta sull’erba, e Conan notò con lieve sorpresa che portava i capelli corti. Se l’era quasi dimenticato, abituato a vedere la lunga cascata di capelli scuri che le incorniciavano il volto. In fondo era comprensibile, aveva cominciato a farseli crescere dall’ultimo anno delle elementari e non li aveva più tagliati, a quanto ne sapeva. Trovò che era molto carina già a sei anni, e che chiunque l’avesse guardata bene avrebbe capito subito che crescendo sarebbe diventata una bellissima ragazza. Sorrise, poi fece scorrere lo sguardo sui suoi ex compagni di classe: ricordava i nomi di tutti, ad eccezione di una bambina con lunghe treccine nere sulla destra. A quanto ricordava, aveva cambiato scuola dopo il primo anno. Doveva essere qualcosa tipo Akie, o Akiko... Scosse di nuovo la testa, scacciando quei pensieri e rimproverandosi mentalmente per essersi distratto. Stavolta solo intorno alla sua testa Mori aveva tracciato un circolo, tirando poi una freccia che aveva dipinto di rosso la faccia e una parte del corpo di due suoi ex amici. Sotto, dove avrebbe dovuto esserci il prato verde, il giornalista aveva incollato il ritaglio di una foto del suo aspetto attuale, e probabilmente a quel punto aveva fatto due più due. Il collegamento non era difficile: Shinichi Kudo scompare, Kogoro Mouri diventa un geniale investigatore, mentre a casa sua si aggira un bambino assolutamente identico a Kudo quando aveva la stessa età. Se si aggiunge il legame fra lo studente detective e la figlia di Mouri, e i suggerimenti del piccolo Conan sul luogo del delitto...l’addizione è semplice anche per un ebete. Probabilmente all’inizio Mori aveva avuto delle esitazioni, magari aveva cominciato a chiedere in giro, ad ospedali, cliniche, uffici dell’anagrafe se avevano mai sentito parlare di un bambino di nome Conan Edogawa e non avendo risultati positivi aveva dovuto ammettere alla fine che la questione era una sola: Shinichi Kudo aveva sfidato ogni legge della natura ed era regredito invece di crescere. Conan chiuse con un tonfo la cartelletta e scese dalla sedia, mentre sulle ginocchia si erano formati degli strani cerchi rossi. Sbuffò scocciato pensando che non aveva ancora trovato il nastro e che probabilmente avrebbe dovuto cercare e cercare fino alla nausea, di nuovo ebbe un moto di avversione verso Hattori che si stava godendo la parte migliore. Poteva evitare la fatica e concludere che se l’era portata con sé, ma non aveva cercato proprio dappertutto e quindi non ne poteva avere la certezza matematica. Socchiuse gli occhi e sbuffò di nuovo, come se continuare a farlo potesse in qualche modo facilitargli il compito. Fece per dirigersi in camera da letto per rovistare nei cassetti e al pensiero di dover mettere le mani fra la sua biancheria represse un conato di vomito, poi ad un tratto uno strano oggetto attirò la sua attenzione; si avvicinò con passo strascicato e lo prese in mano: era una scatola di fiammiferi piuttosto grande, nera lucida, di un locale non lontano da lì. Sopra c’era la pubblicità del bar e l’indirizzo con numero di telefono. Il tavolo su cui l’aveva trovata non era lontano dall’ingresso, quindi ipotizzò che Mori l’avesse buttata lì con noncuranza appena rientrato. Era un locale notturno, quindi probabilmente ce l’aveva lasciata una sera.

E proprio ieri sera sei rientrato tardi e ho notato che avevi un’andatura piuttosto barcollante quindi è successo ieri sera vero?

Sì, la sua ipotesi venne confermata quando aprì la scatola: i fiammiferi erano tutti lì, e dato che Mori era un fumatore accanito, era difficile credere che se fosse rimasta lì per giorni e giorni non fosse capitata un’occasione in cui, non trovando l’accendino o vedendo che era scarico, il giornalista ne avesse usato uno per accendersi una sigaretta. Sulla scatola Conan vide un indirizzo, scritto con un rossetto di un vermiglio piuttosto evidente, di un posto che conosceva molto bene. Sicuramente Mori era uscito per dirigersi lì, probabilmente per incontrarsi con la donna che aveva usato quel rossetto per scrivere l’indirizzo. Conan non sapeva perché, ma guardando quelle parole scritte con un’elegante calligrafia un brivido gelido gli percorreva la schiena. Chiuse la scatola e se la infilò in tasca. Adesso era sicuro al 90% che Mori avesse portato via il nastro; ipotizzò che quella donna fosse la redattrice di un qualche importante giornale e gli avesse chiesto di sentire la cassetta prima di pubblicare l’articolo. Tuttavia, c’era qualcosa che strideva in quell’ipotesi, qualcosa che lo metteva a disagio. Era strano che Mori non avesse cercato di scoprire le cause della sua trasformazione, prima di gridarla ai quattro venti...

Bah forse era solo ansioso forse l’ho sopravvalutato forse è meno intelligente di quanto sembra forse si è stufato di indagare e ha inventato di sana pianta una storia che giustificasse la situazione i giornalisti spesso lo fanno

Tanti forse e poca sostanza, non andava bene. Sherlock Holmes ne sarebbe stato disgustato. Decise di svolgere una piccola indagine per scoprire chi fosse quella donna; non ci sarebbe voluto molto, doveva solo andare in quel locale e chiedere al proprietario e al barista se l’avevano notati. Aveva un brutto presentimento, gli sembrava vitale scoprire l’aspetto di quella donna. Si diresse verso l’uscita, ma prima tirò fuori il cellulare e compose un numero con l’indice destro.

 

 

Heiji Hattori sbadigliò, calcandosi il berretto da baseball sulla fronte, un po’ per coprire gli occhi infastiditi dal sole, un po’ per rendersi meno riconoscibile a chiunque avesse posato distrattamente lo sguardo su di lui. L’uomo che stava pedinando si era fermato almeno cinque volte da quando era uscito, senza combinare niente di strano o sospetto, e lui era stufo di seguirlo a piedi per le vie affollate di Tokyo. Era peggio che accompagnare Kazuha a fare shopping, dannazione! Se almeno avesse preso una macchina lui avrebbe potuto saltare su un taxi, pronunciare concitatamente la frase standard da film poliziesco "Insegua quella macchina!" e far rilassare le sue estremità comodamente seduto sui sedili posteriori. Invece no, passeggiava beato fermandosi ogni minuto a prendersi un caffè, a comprare un pacchetto di sigarette...Heiji sbuffò: offrendosi di pedinare Mori credeva di essersi aggiudicato la parte migliore del caso, ma si era sbagliato di grosso. Il suo supponente migliore amico l’aveva raggirato alla grande, probabilmente a quest’ora aveva già trovato il nastro ed era tornato felice e beato a dormire, rifacendosi della levataccia di quella mattina. Tutto sommato, poteva cedere alle sue proteste ed evitare di fare di tutto per convincerlo che il pedinamento era compito suo, dato che il giornalista avrebbe avuto più difficoltà a riconoscerlo e quindi ad accorgersi di lui. Infilò le mani in tasca e sentì il bordo freddo del cellulare: come se non bastasse Kazuha l’aveva tartassato di telefonate ansiose chiedendogli dov’era, quando sarebbe tornato a casa...Heiji sorrise pensando che Kudo probabilmente era costretto a subire quegli interrogatori e a rispondere ogni volta che telefonava a Ran con la sua voce adulta. Doveva essere straziante per lui, essere costretto a mentire ogni giorno alla persona a cui teneva di più al mondo, eppure non dava segni di cedimento, non si buttava mai giù. L’ammirava molto per questo. Kudo non era solo grande come detective; era grande anche come persona. Sentì il cellulare vibrare ed emise un gemito sommesso di sconforto. Guardò Mori che camminava tranquillamente davanti a lui e accostò il telefono al viso:

 "Pronto?" disse scocciato, la voce inghiottita dai rumori della folla non rischiava di essere udita dal giornalista, che camminava ad una decina di passi di distanza.

 "Heiji!! Insomma!! Ti decidi a tornare all’agenzia del padre di Ran? Dove diavolo sei?!" Heiji sospirò: la voce tanto familiare della sua amica d’infanzia era insistente e concitata. Perché non smetteva una buona volta di assillarlo?

 "Uffa Kazuha! Ti ho già detto che non posso. Sto, ehm...facendo una commissione per mio padre. Me l’ha chiesto ieri, quando ha saputo che venivo a Tokyo" rispose con voce monotona. Si sentiva un po’ in colpa per averle mentito, senza contare che i loro genitori erano amici e quindi c’erano buone probabilità che in un futuro prossimo scoprisse che non c’era stata alcuna commissione. Rabbrividì: far arrabbiare Kazuha era molto, molto, molto pericoloso.

"Ancora!? Ma se Ran mi ha detto che sei uscito all’alba questa mattina! Quanto ti ci vuole?" domandò quasi urlando. Heiji socchiuse gli occhi in un’espressione seccata, una parte della sua mente continuava a pensare all’analogia con la situazione del suo migliore amico; cavoli, se avesse dovuto anche lui sopportare le assillanti e fuori luogo richieste di Kazuha per quasi un anno, probabilmente sarebbe arrivato ad odiarla. "Allora?" ripeté insistente la ragazza. Heiji sorrise. No, probabilmente non sarebbe mai successo.

"A proposito di Ran, perché invece di chiamarmi ogni due minuti non passi del tempo con lei, è tua amica, no? Ti pare bello ignorarla così per telefonare ad uno che vedi tutti i santi giorni?" Domandò in tono di rimprovero, esultando mentalmente quando scoprì che il suo tentativo di cambiare discorso era andato a buon fine.

 "Oh, se è per questo è lei che sta ignorando me." La sua voce tradì una punta quasi impercettibile di risentimento.

 "Che vuoi dire?" chiese, davanti a lui Mori aveva gettato per terra un mozzicone di sigaretta ancora fumante e non si era preso la briga di spegnerlo.

 "Beh, c’è stato un po’ di...ehm...scompiglio qui all’agenzia, in parte anche per colpa mia. Capisco che prima non volesse parlarmi, poi però abbiamo fatto pace, insomma..." si gettò a capofitto nel racconto di tutto quello che era accaduto. Heiji sbadigliò, tuttavia trovò rilassante quella situazione: adesso non doveva fare altro che assentire ogni tanto, lasciando la mente libera di concentrarsi su Mori. Aveva un’andatura strascicata, non sembrava affatto in buona salute; più volte l’aveva sorpreso a premersi la mano sulla bocca, come a voler reprimere un conato di vomito. I capelli erano unti, incollati l’uno all’altro, e quando si era voltato di profilo per attraversare la strada, Heiji aveva notato anche che era molto pallido. Ogni tanto si passava una mano fra i capelli, sporcandoseli ancora di più, strizzando gli occhi: quasi sicuramente doveva avere un’emicrania da record. Postumi di una sbornia? Sì, decisamente.

 "Così torno all’agenzia, la trovo che posa una tazza di caffè sulla scrivania davanti a Mouri san, lui la guarda e le sorride gentilmente, infine acconsente a farla uscire a patto che si vesta in modo...beh, lui l’ha definito decente. Credendo che sia tutto a posto le chiedo dove possiamo passare la mattinata, lei dice al Luna Park."

 Heiji alzò gli occhi al cielo: "Kazuha, taglia corto, più sto al telefono con te, più impiegherò a fare quella commissione."

Uno sbuffo scocciato dall’altra parte: "Okay, okay...beh, in parole povere ha detto che prima di andare al...mi pare l’abbia chiamato Tropical Land, doveva passare a prendere il piccolo Conan dal professore. Mi sono offerta di accompagnarla, ma lei ha rifiutato, insistendo per andarci da sola, e ha aggiunto che potevo precederla la parco di divertimenti insieme a Sonoko, una sua amica che sarà qui fra poco..." Heiji trasalì: Ran era andata a prendere Conan dal professore, e aveva insistito per andarci da sola. La cosa non gli piaceva per niente.

"Non ti ha detto per quale motivo doveva andarlo a prendere senza di te?" Chiese, sperando di aver bene nascosto l’ansia e di aver parlato in tono noncurante. Kazuha quasi gridò:

"No!! È per questo che sono convinta che stia cercando di ignorarmi. Speravo che tu tornassi prima di questa Sonoko perché mi sentirei assolutamente a disagio a rimanere da sola con lei. L’ho vista sì e no una volta di sfuggita!" Si lamentò, stizzita, cercando un po’ di comprensione nel suo amico d’infanzia. Peccato che lui non stesse badando affatto a quelle inezie da femminuccia, era concentrato su un altro punto. Primo: cosa avrebbe pensato la ragazza di Kudo quando non avesse trovato il bambino a casa del dottor Agasa; secondo, perché diavolo voleva vederlo da sola; terzo: che cavolo poteva fare lui per migliorare la situazione.

"Ohi, Heiji, ci sei? Pronto?" domandò esitante la ragazza al di là della cornetta. Lui sobbalzò.

"Oh, sì, devo andare Kazuha, tornerò il prima possibile, ma smettila di chiamarmi, d’accordo? Divertiti con questa Sonoko..."

"Come? Ma hai sentito quello che ho det.." Heiji interruppe la chiamata e si infilò di nuovo il cellulare in tasca. Il comportamento di Mouri era strano; eppure, dalla conversazione avuta quella mattina, non sembrava che avesse dei sospetti sull’identità di Conan. A meno che non fosse un’attrice perfetta, Heiji era quasi sicuro che non nutrisse alcun dubbio sul fatto che il bambino con cui abitava era un normale studente delle elementari. Certo, ne erano passate di ore da quell’insolita colazione, e a quanto ne diceva Kazuha Ran aveva avuto molto tempo per riflettere con calma sulla faccenda. Senza contare il commento che aveva fatto la sua amica d’infanzia la sera prima, dopo che gli aveva riversato addosso mille lamentele per essere sparito senza dire niente mentre tornavano a casa dal ristorante: rivolta verso Ran, aveva sussurrato: "A quanto pare Ran chan, dovrai aspettare un po’ per parlargli." Lì per lì non aveva dato peso alle sue parole, dato il mal di testa che Kazuha gli aveva causato con la sua voce stridula e la leggera stizza per il modo in cui l’aveva trattato Kudo. Adesso però capiva la gravità di quelle parole, e aveva un brutto presentimento, davvero brutto. Mori si sedette alla fermata dell’autobus, si infilò un’altra sigaretta in bocca e la accese. Heiji pensò divertito che forse di lì a poco avrebbe potuto pronunciare la famosa frase standard per i tassisti. D’un tratto, percepì di nuovo il vibrare del cellulare, sbuffò con aria contrariata e strizzò gli occhi:

"Insomma basta! Mi hai proprio rotto le scatole!! Non me ne frega niente dei tuoi stupidi problemi, ho di meglio da fare che farti da balia tutta la vita!! Stai con quella Sonoko o con chiunque altro ma smettila di assillarmi! Sono occupato!" Si aspettò che Kazuha cominciasse ad urlare infuriata, ma con sua immensa sorpresa, non accadde. La voce al di là della cornetta sembrava molto turbata:

"Oh, beh, io non credevo...sei stato tu a...insomma, con quella storia del migliore amico eccetera...certo non è per niente onesto piantarmi in asso così, a questo punto" aggiunse alla fine con una punta di risentimento. Heiji sussultò sbiancando.

"Kudo? Ciao, ehm..." Non aveva mai gridato contro Kudo in quel modo, doveva essere quello che aveva turbato maggiormente il detective dell’est. Senza contare che si rese conto  di quanto equivoche fossero le sue parole...si rimproverò mentalmente di non aver letto il nome sul display prima di rispondere, tuttavia non riuscì a non vedere il lato comico della faccenda e ridacchiò, avendo la vaga impressione che attraverso la cornetta Kudo gli lanciasse un’occhiataccia:

"Non prendertela, non mi riferivo a te, ma a quella rompiscatole di Kazuha. Mi ha chiamato almeno un milione di volte stamattina...giuro, non era rivolto a te, mi piace aiutarti" concluse, udì uno dei caratteristici sbuffi lievemente ironici del detective dell’est, poi gli domandò con la sua voce infantile e atona:

 "Beh, equivoci a parte, come sta andando il pedinamento?"

 "Ti dirò, mi sto annoiando a morte e non ce la faccio più a camminare. Meno male che finalmente Mori si è deciso ad aspettare l’autobus. Fra l’altro, se continua a fumare in quel modo, credo che morirà di cancro ai polmoni prima di riuscire a trovare le risposte necessarie a scrivere il suo articolo." Sorrise diabolico, lanciando un’occhiata all’uomo, seduto su una panchina di plastica arancione.

"E a te invece come è andata?" chiese, appoggiando la schiena alla vetrina di un negozio di scarpe.

"Il nastro non è da nessuna parte, in compenso però ho trovato una traccia." Disse con voce fredda e profonda, un tono che un vero bambino non avrebbe mai potuto eguagliare. Heiji sorrise e aggrottò la fronte in un’aria attenta e concentrata, pronto ad ascoltare quello che Kudo aveva scoperto: "Dimmi tutto." Sussurrò, e gli sembrò che dall’altro capo del telefono l’amico sorridesse;

 "Hattori, sei all’incrocio con via Beika, non è così?" chiese ironico, Heiji rimase interdetto per un secondo, poi domandò a sua volta:

"Okay, come fai a saperlo?"

"Non è stato difficile. Ho trovato una scatola di fiammiferi con su scritto un indirizzo, e ho immaginato che fosse il luogo dove Mori si sta dirigendo. È un posto che conosco molto bene, e contando che è passata quasi un’ora da quando ve ne siete andati, e che l’unico autobus che ci va direttamente ha la fermata più vicina proprio a quell’incrocio..."

"Va bene, va bene, ho afferrato..." lo interruppe Heiji, alzando gli occhi al cielo.

"Hai capito anche perché sta andando lì?" lanciò un’occhiata a Mori, che se ne stava seduto scompostamente, un ghigno di impazienza sul volto pallido.

"Per quello ho formulato due ipotesi" continuò la voce da bambino meno infantile del mondo

"Di certo deve incontrarsi con una donna. L’indirizzo è scritto con il rossetto..."

"Oohh..." commentò Heiji ironico, Conan lo ignorò.

"Può darsi che sia la redattrice di un qualche giornale, a cui ha intenzione di proporre l’articolo...oppure...nel peggiore dei casi..."

"Un membro dell’Organizzazione?" chiese il detective dell’ovest, dando voce al timore represso del suo interlocutore. Conan sospirò: "Esatto. Ho deciso di andare a fondo della questione, perciò credo che farò una visitina al locale che distribuisce queste scatole di fiammiferi, nel caso li abbiano notati." Concluse, Heiji si aggiustò di nuovo il berretto da baseball:

"Ma, Kudo, se sai già dove sta andando, non serve più che io lo segua, no?" Domandò scocciato, gli occhi ridotti a fessure.

"No, immagino di no" rispose la voce in tono noncurante. "Ma è meglio che lo tieni d’occhio lo stesso. Per sicurezza...a meno che certo tu non voglia tornare di corsa dalla tua fidanzata..." insinuò, Heiji arrossì, ma subito sussultò, ricordandosi di una cosa:

"Non è la mia fidanzata...comunque poco fa, quando mi ha chiamato, mi ha riferito che Ran sta venendo a prenderti dal professor Agasa..."

"Che cosa?!?" La sua voce aveva perso tutta la freddezza di poco prima.

"Sì, e pare che abbia insistito per non farsi accompagnare da Kazuha. Credi che possa aver scoperto la tua identità?" Domandò, Conan quasi lo aggredì: "No!..Beh, credo di no..." si fece esitante, poi riuscì a riprendere il controllo di sé: "Beh, non importa, adesso non posso certo mollare tutto e andare a casa del professore. Spero solo che sia in grado di inventare una scusa plausibile per la mia assenza. È tutto nelle sue mani. Tu intanto continua a seguire Mori, io vado al locale; in questo momento mi sembra più urgente impedire al resto del mondo di scoprire la verità. Ci risentiamo..." fece per attaccare, Heiji lo bloccò alzando un po’ la voce: "Aspetta, non mi hai ancora detto dove sta andando Mori."

"Al Tropical Land."

              

Note dell'Autrice: bene, ecco concluso un altro capitolo... lo so, il ritmo è un po' lento, ma vi prometto che ci sarà un po' più di azione nei prossimi capitoli; don't worry! ^^ Il piccolo grande detective dovrà superare numerosi ostacoli da qui in poi, dopotutto è pur sempre il protagonista di un anime/ manga poliziesco ^ _ ~  invece voi che ne pensate di questo chap? Piaciuto? Datemi il vostro parere, mi fa davvero piacere ricevere recensioni, anche se avete qualcosa da obiettare! Penso sinceramente che si possa sempre migliorare, una volta che si capiscono i propri errori...beh, naturalmente non posso negare di preferire i complimenti alle critiche (e chi potrebbe?) però...diciamo che accetto entrambi. Comunque, ringrazio tutti i miei lettori e passo a rispondere agli ultimi commenti che ho ricevuto:

mareviola:   sono contenta che il capitolo nove ti sia piaciuto...io non ne ero molto soddisfatta, come avevo già detto in precedenza. Come avrai visto, anche la prima parte del decimo è piuttosto riflessiva...(non era per farti un dispetto, giuro! ^^") ma spero comunque di non averti annoiata. Mi chiedi di Ai...(brava! bis! Se c'è una cosa che adoro è quando mi si fanno domande su detective Conan...*smack*) allora, direi che come l'hai messa tu è un po' semplificata...nel manga Ai è un personaggio enigmatico, con un carattere pieno di sfaccettature: è quasi sempre fredda e distaccata, eppure alle volte si scioglie, sfoggiando un senso dell'umorismo che potremmo definire 'diabolico' ^^"...ti faccio un esempio: nella sua prima apparizione, quando rivela a Conan la sua identità, gli dice di aver ucciso il professor Agasa per impedirgli di preparare i congegni che lo aiutano a risolvere i casi, e Conan scopre che si stava prendendo gioco di lui solo dopo essere corso fino a casa dello scienziato e averlo trovato vivo e vegeto! E non sarà l'unica volta...hai capito cosa intendo con 'diabolico'? Comunque, tornando alla tua domanda, nel manga 'sembra' che le piaccia Conan, da come si comporta con lui (dicendogli frasi tipo: "ho 18 anni, quindi sono giusta per te") ma non c'è niente di sicuro (infatti conclude con uno "scherzavo") e quindi è difficile da stabilire con certezza...diciamo che ognuno può interpretarlo come preferisce...nella mia fic, effettivamente, Ai è attratta da lui e un po' in astio con Ran...ma non perché ne sia innamorata. Uhm...è un po' difficile da spiegare adesso...ma ho intenzione di far trasparire il mio punto di vista sulla questione in uno degli ultimi capitoli, quando la situazione sarà meno 'incasinata'...così potrai sentire il mio parere dalla mente della stessa Ai. Capisco che sarai un po' delusa, ma devi avere un pochino di pazienza, okay? Se dopo quel capitolo avrai ancora qualche dubbio, basta che tu me lo dica! Sono sempre disponibile a rispondere a questo genere di domande. Per il resto, spero di aver reso bene l'idea di come Ai è nel manga e nell'anime, ho fatto il possibile! Anche se lei è uno dei personaggi più misteriosi di Gosho Aoyama, a mio parere. Grazie ancora per la recensione, mi ha fatto piacere risentirti...un bacio.

Elly-chan:  meno male che il "non ho dubbi" era in quel senso...mi sarei sentita un po' abbattuta, altrimenti! ^^" Di nuovo grazie per la tua recensione, una mia fan, addirittura!! ^//^ Sei carinissima, ma così mi fai montare la testa!  Mi spiace che non riesci a mettere le tue fic qui, é __ è comunque sei pur sempre su un sito, e l'importante è avere l'occasione di farle leggere!! ^ _~ ti è piaciuto il capitolo 10? Fammi sapere!! Baci.

Ora qualche precisazione: avrete capito che i riferimenti all'ultimo caso di Shinichi prima della trasformazione erano tratti dal vol.1...quando Ran ricorda del momento in cui è apparso tronfio davanti a migliaia di studenti invece è durante la sua recita, nel vol.26; il caso del cottage in cui Ran ha risolto il caso sotto suggerimento di Shinichi era nel vol.15 giapponese, ma è stato pubblicato dalla Comic Art in Italia nel vol.22. (prima di chiudere definitivamente le pubblicazioni, i loro volumetti erano decisamente più bassi di quelli nipponici - _ -").

Dovrebbe essere  tutto...

Bye

-Mel

 

  
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