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Autore: Saritac1987    03/09/2007    8 recensioni
Dean. Luna. Una fuga. Un modo per trovarsi.
Attenzione! Questa storia contiene spoiler di "Harry Potter and the Deathly Hallows"!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Dean/Luna
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Attenzione! Questa storia contiene spoiler di “Harry Potter and the Deathly Hallows”!

Luna aprì gli occhi. Si trovava in una stanza che non aveva mai visto, accanto a Dean Thomas, Olivander, il fabbricante di bacchette, e ad un Elfo Domestico che ricordava solo si chiamasse Dobby che si Smaterializzò subito dopo. Gliel’aveva detto Harry, di tornare indietro… forse per andare a prendere anche loro.
La ragazza si guardò intorno; era in una camera da letto. Non era molto grande, ma dignitosa, e soprattutto accogliente. L’esatto opposto di quella orribile cella in cui si era ritrovata confinata.
“Dove… siamo?” Mormorò Dean Thomas, visibilmente spaventato.
“Non lo so…” Luna si avvicinò ad Olivander. “E’ svenuto… era lì da molto più tempo di me.”
Cercò di sollevarlo, ma non ci riusciva; era troppo pesante per lei.
Dean la aiutò, e lo misero sul letto, poi, si sedettero per terra.
Luna si guardò intorno, pensando a quella libertà che non aveva avuto per un tempo indeterminato, che a lei sembrava interminabile. La cella era buia, lei ed Olivander non sapevano mai se era giorno o notte.
“Cosa ci facevi… in quella cella?” Dean Thomas sorrideva. Luna non lo conosceva molto, sapeva solo che faceva parte dell’ES, ed era diventato il ragazzo di Ginny Weasley. Che carina quella ragazza, era sempre stata gentile con lei.
“Stavo tornando da mio padre, per Natale… e mi hanno presa… e tu? Eri con Harry Potter.”
“Sì… li avevo incrociati per caso… poi sono arrivati i cacciatori dei figli di Babbani… e hanno riconosciuto Hermione… ed eccomi qui.”
I due si guardarono, senza dire nulla. Non c’era nient’altro da dire.
“Ma che…” Una voce li distrasse. Era una voce che Luna aveva già sentito, non ricordava dove, però.
Non ricordava se fossero buoni o cattivi, Auror o Mangiamorte… terrorizzata, guardò Dean, prima di afferrargli la mano, improvvisamente. Erano entrambi atterriti.
Fissavano la porta, che improvvisamente si aprì, e una bellissima ragazza dai capelli biondi entrò nella stanza, seguita da un uomo dai lunghi capelli rossi.
“Bill? Bill Weasley?” Esclamò Luna. Ecco dove aveva già sentito quella voce. Era quella di Fleur, la ragazza francese che aveva sposato, la stessa del Torneo Tremaghi.
“Sì… e tu sei la figlia di Xenophilius Lovegood!” Probabilmente nemmeno loro si aspettavano che arrivasse qualcuno che fosse dalla loro parte. Bill guardò Dean, come per appurare che fosse anche lui con loro, prima di notare la persona che si trovava sul letto. “E quello è Olivander… ma… non l’avevano… da dove venite?”
Luna balbettò qualcosa, prima che Dean prendesse la parola.

“Eravamo al Maniero dei Malfoy, in una cella. Se tutto va bene, Harry, Ron e Hermione dovrebbero arrivare tra poco.”
Bill annuì, poi guardò quella che, ormai Dean aveva capito, era la moglie, prima di guardare di nuovo lui e Luna.
“Beh, benvenuti a Shell Cottage… casa nostra.” Fece ai due ragazzi un sorriso di circostanza, quando una richiesta di aiuto li distolse da ogni cosa.
Dean si alzò in fretta e furia, rendendosi conto che era ancora seduto per terra, e teneva per mano Luna Lovegood.
Dean, Luna, Bill e Fleur corsero in giardino, trovandosi davanti Ron, che teneva in braccio Hermione e camminava verso di loro, e Harry, in ginocchio, con un fagotto tra le braccia.
“State bene?” Mormorò Bill. Era l’unico in grado di dire qualcosa, in quel momento.
Fu Ron a rispondere. “Sì… è Harry… Dobby… è morto Dobby.” Disse poi, rivolto a Dean e Luna.

Luna non riuscì a trattenere un singhiozzo. Cercò la mano di Dean, e la prese di nuovo. Era come se il contatto con quel ragazzo riuscisse ad infonderle sicurezza, quella che aveva perso, mentre stava in quella cella.
“Ron… portala dentro, mettila sul divano… non è un problema. Starà bene.” Bill mise una mano sulla spalla del fratello, per incoraggiarlo.
Harry era ancora in ginocchio. Ora sapevano, quello non era un fagotto. Era solamente il corpo di Dobby. Dietro di lui, come per nascondersi, c’era Unci Unci, il Goblin che Dean aveva incontrato.
Harry alzò lo sguardo verso di loro. Sembrava sollevato, anche se addolorato.
“Hermione? Dov’è?” Era anche preoccupato per l’amica.
“Ron l’ha portata dentro. Starà bene.” Sembrava che Bill fosse l’unico in grado di parlare.
Dean si allontanò da lei, per andare da Unci Unci; anche il Goblin sembrava scosso, come tutti loro, del resto.
“Vieni dentro…” Prendendolo per la spalla, lo guidò verso la casa, seguito a breve distanza da Luna.
Fleur andò da loro, afflitta. Strano, Luna pensava fosse solo una spocchiosa, e invece era davvero carina.
“Mi prondo io cura di lui… voi andote pure.” Disse, con un pesante accento francese. “Di sopra, in fondo al coridoio sci sono due stonse libere… metetevi lì.”
Di sopra, i due ragazzi entrarono in una stanza. Era come se avessero bisogno l’uno dell’altra, come se la compagnia dell’altro riuscisse ad alleviare l’agitazione che avevano. Non avevano bisogno di parlare, solo di stare insieme.
“Sei molto gentile, Dean.” Luna fece un mezzo sorriso.
“Beh… siamo in guerra… almeno tra noi alleati, dobbiamo sostenerci, no?”

Era strano ritrovarsi in una stanza a parlare con Luna Lovegood, dopo mesi di fughe, nascondigli improvvisati, notti passate nelle foreste.
Lo sguardo di Dean si allontanò, mentre pensava a Ted Tonks, a quanto era stato gentile con lui, a come si erano sostenuti, ognuno in pensiero per la propria famiglia. Era incredibile che la moglie di quell’uomo fosse la sorella di quelle due pazze che li avevano imprigionati e avevano torturato Hermione. Era assurdo che fosse parente dei Malfoy. Poi, gli venne in mente il momento in cui si erano divisi per cercare cibo, a quando, quella sera, lo aveva cercato nei dintorni, trovandolo morto. Non era molto che si conoscevano, ma è in quei momenti in cui ti leghi maggiormente ad una persona, no? Forse era anche per quello che, per la prima volta nella sua vita, non provava disprezzo per Luna “Lunatica” Lovegood.
“A cosa pensi?” Gli occhi sporgenti della ragazza lo scrutavano, come se già sapesse a cosa stava pensando. Che Luna Lovegood sapesse leggere nel pensiero?
“A niente in particolare… un amico.” Già. Perché questo, per lui, era diventato Ted Tonks, quel signore che avrebbe benissimo potuto essere suo padre.
“Io sto pensando a mio padre… dev’essere preoccupatissimo, non trovi?” Dean notò in quel momento che Luna era rimasta la ragazza che aveva conosciuto due anni prima, solo più spaventata. Stesso sguardo stralunato, che le conferiva un nonsoché di dolcezza; stessa voce da bambina, il momento prima squillante, quello dopo misteriosa; e lo stesso, particolare, carattere, quello che le aveva conferito il soprannome di Lunatica.
“Sicuramente… è tanto che non lo senti, vero?”
Stavolta, fu lo sguardo di Luna ad allontanarsi.
“Già… mi manca molto. E’ l’unica persona che mi rimane, da quando la mamma se n’è andata. Era una strega molto capace, sai? Un’abile pozionista… è morta facendo uno dei suoi esperimenti. Io l’ho vista, è stato orribile.”
Se fosse stato a Hogwarts, insieme a Seamus, in quel momento Dean le avrebbe detto che non gli importava cos’era successo a sua madre, o se le mancasse il padre. Ma in quel momento non era a Hogwarts, e tantomeno con Seamus. Era in una casa che non aveva mai visto, a parlare con Luna Lovegood. Chi l’avrebbe mai detto?
“Io, invece, non ho mai conosciuto mio padre.” Ammise, infine. “E’ andato via prima che io nascessi, o quando ero piccolo. So solo che ho sempre vissuto con mia madre. Lei è Babbana, non sa se mio padre lo era, oppure no… quindi, non so nemmeno se potrei essere ricercato o no. Sai perché ti cercavano?”
“Beh… pensavano che sapessi dove si trovava Harry Potter. Ma chi lo sapeva? Io ero a Hogwarts, loro no.”
“Hai visto Seamus?” Quella domanda gli uscì di getto. Sentiva la nostalgia dell’amico: gli mancavano i pomeriggi passati a scherzare, invece che a studiare… quando lo prendeva in giro, dicendo che il calcio era uno sport stupido, mentre il Quidditch era molto più divertente… oppure quando stavano fino a tardi a parlare a bassa voce, mentre Harry, Ron e Neville gli dicevano di stare zitti, perché volevano dormire. Gli mancava, e non vedeva l’ora che tutto finisse per vederlo di nuovo.
“Sì… sai, io, Neville e Ginny abbiamo voluto continuare l’ES… è stato bello.” Luna sorrise. “Mi sembrava di avere di nuovo degli amici, come l’altra volta.”
Silenzio. Dean si alzò, per guardare fuori dalla finestra; giù c’era Harry, con una vanga in mano. Scavava, forse voleva dare una sepoltura decente all’Elfo Domestico che aveva salvato la vita a tutti loro. La stessa sepoltura che, probabilmente, avrebbe avuto Ted. Aveva pensato lui di riportarlo alla moglie: non avrebbe mai dimenticato la sua espressione, mentre vedeva il marito, morto. Ted gli aveva detto che per lui, la moglie aveva deciso di essere diseredata dalla famiglia; gli rimanevano solo lui e la figlia Ninfadora. Doveva essere stato un colpo tremendo, probabilmente si sentiva come si sarebbe sentito lui se avesse saputo della morte di sua madre. Col suo patrigno non sarebbe affatto andata bene, si sarebbe ritrovato solo in mezzo alla strada… un po’ come, comunque, si era trovato negli ultimi mesi, da quando Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato era salito al potere.
“Hai paura?” Per la seconda volta, la voce di Luna lo distolse dai suoi pensieri.
“Non immagini neanche…” E, per la seconda volta, aveva deciso di essere sincero.
“Anche io ho paura, sai? Non di morire… ma ho paura per mio padre. Se non ci sono io, chi gli rimane?” Disse questo come se fosse stata la cosa più naturale del mondo.
“Non hai paura di morire?” Chiese lui, stupito. Quella era la paura che lo attanagliava, più delle altre.
“No… perché so che se morirò, vuol dire che doveva succedere.”
“Sei davvero particolare, Luna Lovegood.”

Luna guardò Dean per l’ennesima volta. Non era la prima volta che qualcuno le diceva che era particolare, a scuola tutti la chiamavano Lunatica; ma era un particolare detto in modo diverso, non la stava disprezzando, come facevano tutti gli altri.
“Dico solo quello che io e mio padre pensiamo. Sempre.” Questa era la verità. “Anche Dobby… doveva morire. Probabilmente questo ci sta aiutando ad andare avanti… un po’ come con gli scacchi, però è molto più dura da sopportare.”
I due rimasero in silenzio, a guardare Harry che scavava. Era la prima volta che Luna vedeva qualcuno che scavava una fossa a mano, le sembrava stranissimo.
Ad un certo punto, qualcuno bussò alla porta.
“Avanti.” Mormorò Dean, fissando un punto imprecisato dalla finestra.
Luna rivolse il suo sguardo verso il nuovo arrivato. Capelli rossi, un’espressione determinata. Ron Weasley.

“Dean… vieni con me… da Harry?”
Il ragazzo fissò Luna. Stava per dirgli di no, per stare con la ragazza, ma alla fine acconsentì. Sussurrò un “Torno tra poco” a Luna, prima di scendere con l’amico.
“Come sta Hermione? E Olivander?”
“Hermione sta bene… Olivander si è svegliato, credo che Harry voglia parlargli.” Da come stava dicendo queste parole, sembrava che Ron non volesse continuare il discorso. Anzi, pareva che lo avesse chiamato solo per avere un sostegno morale, lo stesso che gli avrebbe potuto dare Hermione. L’amico gli passò una vanga, poi si diressero insieme in giardino.
Harry aveva appena smesso di scavare; sospirò, prima di guardare Ron.
“Come sta Hermione?” Le stesse parole che gli aveva detto poco fa lui.
“Meglio. Fleur si sta occupando di lei.” Chissà perché, con Harry aveva un’altra espressione. Dean decise di non pensarci, iniziando a scavare. Era un lavoro che non aveva mai fatto prima, in un certo senso era gratificante, lo aiutava a non rimuginare su quello che era successo, soprattutto su Ted Tonks.
Harry continuava a guardare l’Elfo Domestico, poi gli mise la sua giacca; Ron si sedette sul bordo della fossa, togliendosi le scarpe, e mettendo ai piedi dell’Elfo le calze. Per non essere da meno, Dean fece apparire un berretto di lana, che Harry gli mise in testa.
“Dovremmo chiudergli gli occhi.” Era una voce che Dean aveva imparato a conoscere, una voce che gli sembrava ormai dolcissima.
Luna si inginocchiò davanti all’Elfo e gli chiuse gli occhi. Non sorrideva, sembrava che cercasse di trattenere le lacrime. Doveva essere veramente riconoscente verso l’Elfo Domestico che aveva salvato la vita a tutti loro.
“Ecco.” Disse dolcemente. “Ora potrà dormire.”
Poi si alzò, e si avvicinò al ragazzo; non gli afferrò la mano, ma sembrava che avesse veramente bisogno della sua presenza. Probabilmente, avevano imparato a fidarsi l’uno dell’altra.
“Penso che dovremmo dire qualcosa.” Disse poi, guardando Dean, cercando il suo sostegno. “Inizio prima io, posso?”
Sembrava che fosse tornata la Luna Lovegood che Dean aveva conosciuto a Hogwarts. Era davvero una ragazza dolce.
“Grazie mille, Dobby, per avermi salvata da quella cella. E’ ingiusto che tu sia morto, perché eri gentile e coraggioso. Ricorderò per sempre quello che hai fatto per noi. Spero che tu sia felice, adesso.”
Tornò da Dean, poi guardò Ron, come se si aspettasse qualcosa da lui.
“Già… grazie, Dobby.” Sussurrò.
“Grazie.” Mormorò Dean, per poi tornare nella stanza, insieme a Luna. Si davano sostegno a vicenda, perché negarlo?
Non c’era bisogno di chiedere se si dessero fastidio, perché non era assolutamente vero; semplicemente, stavano bene insieme.
Luna si sedette sul letto. Dean guardava dalla finestra il cielo riempirsi di stelle. Un altro giorno era passato.
“Avevi ragione, sai?” Le disse, dopo un lungo sospiro. “E’ dura da superare.”
Non capiva il paragone che la ragazza aveva fatto con gli scacchi. Non amava quel gioco, ma le poche volte in cui Seamus l’aveva sfidato, aveva notato che, per vincere, l’amico gli faceva mangiare qualche pezzo. E, immancabilmente, Seamus vinceva. Per quanto Dean cercasse di capire la sua strategia, però, non ci riusciva. Perché farsi mangiare un pezzo, magari importante? Perché, se non lo faceva, avrebbe perso, mentre, facendolo, l’amico vinceva sempre? Lui non l’avrebbe mai fatto, non avrebbe mai sacrificato uno dei suoi pezzi per vincere una partita.
E ora, Lunatica Lovegood gli faceva lo stesso ragionamento, dicendogli semplicemente che era molto più doloroso; Dean non ci capiva più nulla.
Luna sospirò.
“Sono sicura che la sua morte ci aiuterà ad andare avanti.”
La stessa frase che gli aveva detto prima.
Manca solo il paragone con gli scacchi.
“Non capisco.” Ammise Dean, girandosi verso la ragazza, ancora seduta sul letto. “In che modo può aiutarci ad andare avanti? Io lo trovo solo un modo per farci soffrire.”
“Non capisci? E’ così semplice.” I grandi occhi di Luna lo fissavano, increduli.
“No, non lo trovo affatto semplice. Forse è per questo che a scacchi perdo sempre.” Ridacchiò, anche se non ci trovava niente di comico. Forse Seamus avrebbe capito di più questa similitudine.
“E’ semplice… negli scacchi, se sacrifichi un tuo pezzo è per salvarne uno più importante. Lo stesso qui, se non fosse arrivato Dobby, Harry, Ron e Hermione sarebbero morti. E anche noi.” Luna sorrise. “E poi, è uno stimolo in più per andare avanti, per combattere. Tu vuoi combattere, Dean?”
Dean non disse nulla. Si sedette sul letto, accanto alla ragazza, cercando di ragionare su quello che gli aveva detto. Nessuno sarebbe mai stato così chiaro e conciso con lui, tantomeno Seamus.
Chissà come stava. Sapeva che sarebbe tornato a Hogwarts, ma, da quando aveva iniziato a darsi alla macchia, i due ragazzi avevano perso ogni contatto. Poteva anche essere morto. E, se il suo migliore amico fosse morto, lui sarebbe stato in prima fila a combattere.
Forse era anche questo che intendeva Luna. Quando si perde qualcuno di caro, non c’è niente che possa fermarti: devi vendicarlo.
E Dean Thomas doveva vendicare, doveva combattere. Doveva farlo per Dobby, che gli aveva salvato la vita; ma soprattutto, doveva farlo per Ted, per la sua famiglia, per sua moglie.
“Sì. Voglio combattere.” Era deciso. Voleva, doveva andare avanti. Anche se fosse dovuto morire.
Luna gli sorrise, prendendogli la mano.
“Sarà dura, lo sai?”
Dean annuì; lo sapeva, fin da quando aveva visto il corpo di Ted Tonks in quel bosco.
“Ma noi ce la faremo.” Concluse, al posto della ragazza.
Con il passare dei giorni, Dean si rendeva conto che, in quella casa, l’unica persona su cui poteva contare era proprio Luna Lovegood.
Harry, Ron e Hermione erano sempre isolati, chiusi in una stanza, parlavano di qualcosa che Dean e Luna avevano identificato come spade, Hor-qualcosa e Reliquie. Nascondevano qualche segreto, e sicuramente non volevano rivelarlo a persone estranee al loro gruppo. Quando litigavano, li sentivano discutere di un metodo, e di parlare con Unci-Unci; non potevano fare a meno di ascoltarli, le loro camere erano accanto a quelle del trio.
Poi, c’era Olivander, che era ancora debilitato, ma che, appena si fosse ripreso sarebbe stato mandato a casa di una certa zia Muriel; gli altri umani che abitavano quella casa erano il fratello di Ron e la moglie.
Gli doleva ammetterlo, ma a volte trovava gli ex compagni Grifondoro insopportabili: sembrava che lui e Luna fossero considerati meno importanti di loro, perché loro avevano l’arduo compito di liberare il Mondo Magico da Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato.
Ogni tanto, il ragazzo si sfogava con Luna riguardo questo: loro, in fondo, potevano contare sull’aiuto degli altri, Hermione, pur essendo figlia di Babbani esattamente come lui, non era andata a nascondersi nei boschi, con l’ansia di essere catturata ed uccisa che la attanagliava. E anche gli altri due se l’erano sicuramente passata meglio. Inoltre, senza l’aiuto di Luna, Ginny e Neville, sicuramente non sarebbero usciti vivi dal Ministero della Magia, quella notte di due anni prima. Poteva capire lui, in fondo, era stato solo un membro dell’ES. Ma perché tagliare fuori Luna dalle loro discussioni? Dean non credeva che fosse per salvarle la vita.
“Non ci pensare.” Lo ammonì una sera Luna. “Perché lo fai, se non ci penso nemmeno io?”
“Mi da fastidio. Si credono i maghi più importanti, solo perché uno di loro ha una cicatrice sulla fronte. Però, al Ministero non erano da soli, due anni fa, e nemmeno l’anno scorso quando è morto Silente.”
Erano in giardino, la ragazza aveva insistito per andare ad onorare la memoria di Dobby, come tutti i giorni, del resto. Piovigginava.
“Non ci pensare… non mi da fastidio. Magari lo fanno per proteggermi.” Luna alzò le spalle, spensierata. Riusciva sempre a difendere tutti, a non prendersela.
“Come fai?” Le chiese ad un certo punto.
“Come faccio… cosa?”
“A non irritarti. Anche a scuola, lo sapevi che tutti ti chiamavano Lunatica… eppure hai sempre una parola gentile, anche con la persona che più ti disprezza al mondo.”
Luna lo guardò. I suoi occhi si erano fatti improvvisamente seri.
“Non mi da fastidio che mi disprezzino. Devono solo imparare a conoscermi, a non vergognarsi di stare con me. Sai, di tutta l’ES le uniche persone che hanno continuato a parlarmi sono stati Neville, Ginny… e a volte Harry, mi ha anche invitata ad una festa, sai? Però credo che preferisca non farsi vedere in giro con me o Neville. Forse per lui non siamo abbastanza… forti.” Disse, dopo aver rimuginato sulla parola da usare. “Tu sei l’unico che non si vergogna a parlare così tanto con me.”
La ragazza sorrise; era un sorriso semplice, spontaneo. Uno di quei sorrisi che molte persone spesso non fanno, anzi, forse Luna era la prima persona che Dean vedeva sorridere così.
“Non penso che a scuola l’avrei fatto.” Ammise.
“Però l’hai fatto, ora. A me va bene, vuol dire che hai deciso di distruggere le barriere.”
Dean non rispose; improvvisamente, si rese conto di quanto Luna avesse ragione.
Mentre la ragazza si avvicinava alla tomba, mettendo in un vaso i fiori che aveva appena raccolto, Dean pensava.
Pensava a quando aveva dovuto lasciare sua madre e i suoi fratelli, a Ted, a quando era stato catturato con Harry, Ron e Hermione… a quella cella, quell’orribile cella…
“Non c’è il sole, oggi… magari riusciremo a vedere un Ricciocorno Schiattoso!”
Dean alzò lo sguardo, perplesso.
“Ricciocorno Schiattoso?”
I due ragazzi iniziarono ad avvicinarsi alla casa, ormai era ora di pranzo.
“Cos’è un Ricciocorno Schiattoso?”
“E’ un animale, si fa vedere nei giorni grigi, senza sole. Ha la testa grande e delle orecchie piccole. Papà dice che sembrano quelle di un ippopotamo, solo che sono pelose e viola. E se vuoi chiamarli, devi canticchiare. Loro preferiscono il valzer, niente di troppo veloce…”
Harry guardò Dean, che rispose allo sguardo con una scrollata di spalle. A volte, Luna Lovegood gli sembrava completamente pazza.
“…e se mai verrai a casa mia, ti farò vedere il loro corno, papà mi ha scritto di averlo trovato, ma non l’ho ancora visto, perché i Mangiamorte mi hanno presa quando sono scesa dall’Espresso per Hogwarts, e non sono tornata a casa per Natale.”
“Luna, te l’abbiamo detto.” Si intromise Hermione. “Quel corno è esploso. Era di un Erumpent, non di un Ricciocorno Schiattoso…”
“No, era di un Ricciocorno Schiattoso.” Rispose Luna, come sempre serenamente. “Me l’ha detto papà. Probabilmente si è già riformato, hanno la capacità di farlo, sai?”
Hermione non rispose. In quel momento, Olivander entrò nella stanza, con una valigia. Lui e Luna sapevano che stava per andarsene, l’aveva detto loro quella mattina, dando una nuova bacchetta a Luna.
“Mi mancherà, signor Olivander.” Disse Luna.
“E tu a me, mia cara.” Disse lui, dando dei colpetti sulla sua spalla. “E’ stato un piacere stare con te in quel posto orribile.”
“Quindi, au revoir, signor Olivander.” Disse Fleur, dandogli due baci sulle guance. “E mi chiedevo se Lei può farmi il piascere di portare un paccheto alla sia di Bill, Muriel? Non le ho ancora ridato il suo diadema.”
“Sarà un onore. Il minimo che posso fare per la Sua generosa ospitalità.”
Fleur diede un pacchetto a Olivander, prima che Bill, dopo aver mormorato qualcosa a Unci-Unci, lo portasse via.
I ragazzi e Fleur pranzarono; ad un certo punto, Bill tornò.
Mentre l’uomo dava notizie da casa, l’appetito di Dean cessò.
Nonostante fosse passato quasi un anno, la rabbia nel sentire il nome di Ginny Weasley si faceva sempre più viva, così come quella per Harry. Lo sapevano tutti che a Ginny piaceva Harry, eppure aveva deciso di uscire con altri ragazzi. Lui, era stato il suo secondo ragazzo. Aveva mollato Corner perché continuava a parlarle di come la squadra di Corvonero fosse più forte, e aveva mollato lui perché diceva che era troppo gentile. Però, si era consolata subito, con Harry. C’era da aspettarselo.
Come sempre, fu la voce di Luna a distrarlo.
“Papà ha creato un diadema. Beh, più una corona, in verità.”
Non era ancora riuscito a capire la capacità della ragazza di intromettersi in ogni discorso. Lui non ne sarebbe mai stato capace.
“Sì, sta cercando di ricreare il diadema perduto di Corvonero.” Continuò. “Pensa di aver identificato gran parte degli elementi ormai. L’aggiunta delle ali di Billywig ha fatto davvero la differenza…”
Fu interrotta da un’esplosione. Tutti si girarono verso la porta, mentre Dean allungava la mano verso Luna. Non voleva che le facessero del male, non a lei.
“Chi è?” Chiese Bill.
“Sono io, Remus John Lupin.” Rispose la voce, pacata. “Sono un Licantropo, sposato con Ninfadora Tonks, e tu sei il Custode Segreto di Shell Cottage, mi hai detto tu l’indirizzo e anche di venire in caso di emergenza!”
Dean fece un sospiro di sollievo, senza mollare la mano di Luna. Qualunque cosa dovesse dire, doveva essere veramente importante.
“Lupin.” Bill aprì la porta; di fronte a lui c’era Remus Lupin, il suo ex insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure, che, dopo aver guardato in viso ogni persona che era presente in quella stanza, urlò:
“E’ un maschio! L’abbiamo chiamato Ted, come il padre di Dora!”
I suoni nelle orecchie di Dean si fecero ovattati. Sapeva che la figlia di Ted fosse incinta, non era quello ad averlo stupito.
Era il ricordo che aveva di quell’uomo, l’affetto che provava per lui…
Ogni tanto riviveva il momento in cui l’aveva incrociato. Entrambi pensavano che l’altro fosse un Mangiamorte che cercava i figli di Babbani come loro. Bastò un’occhiata per rendersi conto che l’altro era spaventato tanto quanto era lui. Da quel giorno, erano diventati inseparabili.
Dean non pensava che Lupin decidesse di chiamare il figlio proprio così, a dir la verità, pensava che, se mai avesse avuto un figlio, l’avrebbe chiamato proprio Ted.
Qualcuno, forse Bill, gli cacciò in mano un calice, che alzò come stavano facendo gli altri. Fecero un brindisi, e poi un altro, e un altro ancora. La testa di Dean iniziava a farsi leggera, ma non aveva intenzione di ubriacarsi: preferiva rimanere sobrio, con la testa sulle spalle.
Era felice per la figlia di Ted e per il professor Lupin, era come se quella guerra non fosse mai cominciata… gli dispiaceva solo che quel bambino non avrebbe mai conosciuto il grand’uomo che era suo nonno, ma in quel momento non doveva pensarci: voleva dimenticare, almeno quella sera, tutto quello che stava succedendo intorno a loro.
Quando Lupin se ne andò, nella casa ci fu un chiacchiericcio allegro, come quelli che animavano ogni sera la Sala Comune di Grifondoro.
Era come essere tornati ai vecchi tempi, solo che ora erano in una villetta in riva al mare e non a Hogwarts, e poi, invece di Seamus, c’era Luna Lovegood accanto a lui.
Dean si guardò intorno. Dall’altra parte della stanza, Ron e Hermione chiacchieravano; si sorridevano, guardandosi come se fossero complici, come se nascondessero un segreto. Che stessero insieme? In quel caso, il ragazzo non si sarebbe stupito: c’erano troppi segni, fin dall’anno prima, che facevano capire che quei due si sarebbero fidanzati, presto o tardi. Più avanti, Fleur Delacour sistemava il tavolo, mentre il marito e Harry avevano portato via i bicchieri.
Erano tutti felici, come Dean non li aveva mai visti in quella casa.
“Io vado di sopra… vieni anche tu?”
Luna gli sorrideva, evidentemente era felice anche lei.
Dean non disse nulla, semplicemente la seguì in quella che ormai era diventata la loro camera. Stavano sempre lì, insieme, magari solo in silenzio, ma sollevati perché avevano uno la compagnia dell’altro.
“Non sei felice che sia nato il figlio di Lupin?”
La ragazza doveva aver notato la sua espressione, probabilmente non era poi così felice.
“Sì che lo sono.” Era la verità. Era felice per Lupin e per la moglie.
“E allora…? Ti conosco Dean Thomas.” Era vero anche quello. Ormai avevano imparato a conoscere ogni espressione dell’altro.
“Pensavo al padre della moglie di Lupin. Era un brav’uomo, ci siamo nascosti insieme per qualche tempo, prima che lo uccidessero. E’ stato come un padre per me, molto più del mio patrigno.”

Luna lo fissò, come per invitarlo ad andare avanti. Sapeva che i suoi fratelli erano figli del patrigno, ma non aveva mai approfondito l’argomento. Ma la ragazza era curiosa, voleva sapere. In fondo, lei gli aveva raccontato tutto della madre.
“Non c’è molto da dire sul mio patrigno.” Aggiunse lui, dopo un po’. “Mi ha sempre trattato bene, c’è da dire che, in un modo tutto suo, mi voleva bene. Però, era anche ovvio che preferisse stare con i miei fratelli, cioè i suoi figli. Quando ho scoperto di essere un mago non gli è importato molto, forse era felice che andassi un po’ via di casa… mia madre, invece, ha cercato notizie su mio padre, invano. Quando ho deciso di nascondermi, mi ha solo augurato buona fortuna. Mia madre, invece, è scoppiata a piangere, anche se le avevo detto che era l’unica cosa che potessi fare per salvare la vita a tutti loro.”
Dean si sdraiò sul letto e iniziò a fissare il soffitto.
Luna avrebbe dato di tutto pur di sapere cosa stava pensando, ma decise che era meglio lasciarlo solo con i suoi pensieri. Prese dal cassetto la monetina magica che usava quando ancora faceva parte dell’Esercito di Silente. Neville doveva essere preoccupato, forse era meglio fargli capire che stava bene.
Gli scrisse un breve messaggio, aggiornandolo su ciò che era accaduto negli ultimi tempi, raccontandogli del figlio di Lupin e di avvertire Seamus Finnigan che aveva incontrato Dean Thomas. Doveva esserne felice, i due ragazzi erano molto legati una volta; quando ancora erano a Hogwarts, Seamus parlava spesso dell’amico, di quanto gli mancasse lui e tutto quello che facevano insieme. Sperava che fosse vivo e che i Mangiamorte non l’avessero catturato. Probabilmente la notizia che Dean era con lei l’avrebbe tirato su di morale.

Luna gli dava le spalle, era rivolta verso la finestra. Sembrava che stesse facendo qualcosa che la tenesse impegnata. Poi, il suo sguardo andò verso il cielo, che, dopo la pioggia, aveva iniziato ad essere sereno. Pensava, probabilmente. Poi, di nuovo, tornava a guardare giù, verso qualcosa che aveva in mano.
“Cosa stai facendo?” Le chiese Dean, avvicinandosi. Poi, sorrise. Aveva in mano le monetine che gli aveva dato Hermione due anni prima, ai tempi dell’ES.
“Ho detto a Neville che stiamo bene… e di dire al tuo amico Seamus che sei qui.”
Dean sorrise. Ricordava vagamente dell’esistenza di quelle monetine; alla fine di quell’anno scolastico, aveva messo la sua in un cassetto, a casa, e non l’aveva più vista. Magari il suo fratellino Jonathan l’aveva presa per giocare, lui adorava giocare con le monetine, prendeva gli oggetti di tutti in casa e fingeva di avere un negozio, dove faceva pagare quegli oggetti per pochi penny, dando il resto. Jonathan preferiva prendere gli oggetti di Dean, compresi i soldi, perché diceva che le “cose da mago”, come le chiamava lui, erano più belle rispetto a quelle babbane. Dean non lo sapeva, non giocava con il fratellino da mesi, ormai.
Invece, Luna, aveva deciso di tenere quella monetina; forse sperava che l’ES si riformasse, cosa che, in fondo, era successa. Non era stata lei a dirgli, pochi giorni prima, che adorava l’ES perché le sembrava di avere degli amici?
Forse il mondo di Hogwarts non andava bene per Luna Lovegood: in una scuola, i ragazzi cercano di fare amicizia con chi è più popolare, importante, non con chi, come lei o Neville, sapeva dimostrarsi un buon amico. Era per quello che, infatti, tutti giravano intorno a persone come Harry Potter o Draco Malfoy.
“Pensavo che Hermione le avesse disattivate.” Mormorò, prendendo in mano la moneta. “Non la guardo da due anni, ormai.”
“Vuoi dire che l’anno scorso non l’hai portata a Hogwarts?” Chiese Luna, curiosa.
“No.”
“Ecco perché non ti sei fatto vedere, la notte in cui è morto Silente. Harry ci aveva chiamati, ma ci siamo presentati solo Ginny, Neville e io.”
“Si è fatta davvero coraggiosa Ginny Weasley.” Aggiunse Dean, sarcastico. “Una volta diventava rossa solo guardando Harry Potter.”
“Tu eri il suo ragazzo, vero?”
Wow. Era diventato parte dei pettegolezzi di Hogwarts, a quanto pare.
“Sì.” Rispose Dean amareggiato. “Mi ha mollato per Harry… ma si sapeva che l’avrebbe fatto, sono stato io il cretino.”
“A Ginny piaceva Harry.” Lo disse come se fosse la cosa più naturale del mondo, e probabilmente era così. Come dimenticare il primo anno della ragazza a Hogwarts, quei ridicoli auguri di San Valentino?
Dean non rispose a Luna. Se c’era una cosa di cui non gli andava di parlare, era proprio Ginny Weasley. Nei momenti di solitudine, pensava che era inutile piangersi addosso. E poi, Ginny diventava sempre più la copia di sua madre, probabilmente era stato meglio così.
“Quindi… tu sai che gli altri dell’ES stanno bene, giusto?”
“Sì… beh, finché sono a scuola. Si sono rivelate utili queste monetine, ma l’unico che sento è Neville. E’ diventato il capo, da noi, ormai è solo… io e Ginny non ci siamo più.”
Però… chi se lo sarebbe aspettato dal timido e impacciato Neville Paciock?
“Non me lo aspettavo. Neville è sempre stato un po’ in ombra… non amava parlare con la gente, se stava con qualcuno eravamo io e Seamus. E poi, era il bersaglio preferito dei Serpeverde.” Raccontò. “Non se la cavava bene nemmeno a scuola, l’unica materia in cui aveva sempre voti alti era Erbologia… mi ha aiutato molto.”
“Seamus ha detto la stessa cosa, quando ha scoperto che gli organizzatori dell’ES eravamo noi tre. Gli manchi molto, sai? Diceva che, se ci fossi stato, anche tu ti saresti unito al nostro gruppo.”
Ci fu un lungo momento di silenzio. Dean e Seamus pensavano spesso le stesse cose, era anche quello che aveva fatto in modo che diventassero così uniti. Quando le loro strade si erano separate, Dean aveva sofferto molto, non sapeva, però, se Seamus provava la stessa cosa. Evidentemente era così, a meno che Luna non gli avesse detto una qualche bugia; cosa improbabile, perché la ragazza diceva sempre quello che le passava per la testa.
Gli occhi del ragazzo caddero sulla nuova bacchetta di Luna; la sua era andata perduta durante lo scontro con i cacciatori e Olivander non gliene aveva procurata un’altra. Si sentiva vuoto, senza la sua bacchetta. Era come se fosse diventata una parte di lui.
“Vuoi andare a provarla?” Dean fece un cenno verso la bacchetta, poi guardò Luna negli occhi.
“Ok, andiamo.”

Mentre Luna provava la bacchetta, Dean la guardava. Era seduto su una pietra, con la testa appoggiata alle mani. Alla ragazza sembrava parecchio avvilito, sapeva che la sua era sparita, doveva sentirsi molto triste, proprio come si sentiva lei.
Gli si avvicinò, cercando di usare il più tatto possibile.
“Vuoi provare ad usare la mia?” Gli sorrise, allungandogli la mano.

Dean alzò lo sguardo verso di lei, rispondendo al sorriso.
Era davvero carina ad offrirgli la sua bacchetta, sicuramente gli altri tre non l’avrebbero fatto, anche se, sia lui che Luna, sapevano che avevano più bacchette del necessario. Dovevano averle rubate mentre combattevano contro i Malfoy.
Luna gli passò la sua e iniziò a guardarlo mentre il ragazzo provava qualche semplice incantesimo; gli mancava l’usare la magia e, per la prima volta da quando era a Shell Cottage, un’ondata di euforia lo avvolse.
Passavano i giorni; Harry, Ron e Hermione erano partiti con Unci-Unci, ormai in quella casa erano rimasti solo Dean, Luna, Bill e Fleur. Ai due ragazzi non dispiaceva, non avevano il bisogno di stare in mezzo alla gente per sentirsi meglio.
Un pomeriggio, mentre Dean e Luna erano in giardino, sentirono un forte crack a pochi metri da loro; non sapendo se si trattasse di un amico o un nemico, i ragazzi corsero verso la scogliera, per nascondersi alla sua vista e, se avessero visto Bill in difficoltà, magari coglierlo di sorpresa. Ma ciò non accadde: pochi minuti dopo, Fleur li chiamò, invitandoli ad entrare in casa, perché l’ospite aveva alcune notizie da dare.
Dean non aveva mai visto quell’uomo: era vestito da Babbano, cosa strana per un mago, e aveva un singolare orecchino dorato. Era di colore, come lui, alto e calvo. Appena i due ragazzi entrarono, fissò Dean per un lungo istante, poi rivolse il suo sguardo verso Luna.
“Sei la figlia di Xenophilius Lovegood, giusto?”
Luna annuì; il suo sguardo era terrorizzato. Chi non si sarebbe spaventato? Anche Dean, che non conosceva il padre della ragazza, temeva il peggio.
“Sono Kingsley Shacklebolt. Mi dispiace essere portatore di cattive notizie…” Il mago sospirò, mentre Luna strinse la mano di Dean. “Remus, nell’euforia per la nascita di Teddy, non ha pensato a dirtelo. Tuo padre è stato catturato dai Mangiamorte.”
Sembrava che Luna non avesse capito. Guardava Shacklebolt con gli occhi sgranati, respirando lentamente.
“Non è morto, vero?” Dean capiva quanto ci stesse male. Era l’unica persona che le era rimasta, non avrebbe mai voluto perderla. Il mago, comunque, scosse lentamente la testa, poi tornò a fissare Dean.
“Sei uno dei figli di Babbani che si sta nascondendo?” Chiese, curioso.
“Sì.”
“Bene… stiamo facendo un censimento, per capire chi è ancora vivo, chi è sicuramente morto e chi è disperso. Tu chi sei?”
L’uomo prese un foglio e una semplicissima penna babbana. Sembrava non si vergognasse ad usare quelle cose, anche sotto il regime in cui vivevano.
“Mi chiamo Dean Thomas.” Disse semplicemente il ragazzo.
L’espressione di Shacklebolt cambiò. Se prima era gentile, amichevole, in quel momento diventò sorpresa.
“Posso parlarti un secondo in privato?” Gli chiese, alzandosi in piedi e rimettendosi la giacca.
Dean lo seguì in giardino, senza dire niente. Cosa poteva essere successo? Avevano ammazzato sua madre? I suoi fratelli? Aveva sentito di una famiglia babbana che era stata assassinata, ma sperava che non fossero i suoi.
“Sei il figlio di Andrew Thomas?”
Dean non si aspettava una domanda simile. Erano anni che non sentiva parlare del padre, di lui sapeva pochissime cose, sua madre aveva anche cercato di capire dove fosse finito, dopo che se ne fu andato, ma non aveva trovato nulla. E ora quest’uomo (un mago!) gli chiedeva se fosse suo figlio.
“Sì, ma…”
“…ma non sai che fine ha fatto, né perché se ne andò, tanto tempo fa.”
Dean annuì di nuovo.
“Conoscevo tuo padre.” Disse. “Era un mago molto capace. Non ha mai avuto il coraggio di dirlo a sua moglie, tua madre, però. C’era in corso una guerra, voleva proteggerla. Un giorno, è venuto da me, dicendo che Johanna era incinta. Sapeva che, se avesse continuato a vivere con voi, i Mangiamorte vi avrebbero preso. Quindi, ha organizzato tutto. Ha lasciato tua madre, sostenendo di non amarla più, e di non aver mai voluto un figlio. Ne ha sofferto molto, ma forse è stata la scelta migliore. Pochi mesi dopo la tua nascita, i Mangiamorte gli chiesero di unirsi a loro, e tuo padre rifiutò. A loro non bastò molto: un semplice Avada Kedavra.”
Dean rimase paralizzato; in poche frasi, aveva scoperto tutto sulle sue origini, sul proprio padre, sul perché avesse lasciato lui e sua madre da soli, e soprattutto se era un Mezzosangue o un figlio di Babbani.
Il ragazzo si sedette su una pietra, tenendosi la testa tra le mani. Suo padre, di cui non sapeva quasi nulla, era un mago. Suo padre li aveva lasciati solo perché aveva paura che gli facessero del male. Suo padre era stato ucciso dai Mangiamorte.
E, con suo padre, la lista di chi doveva vendicare era salita a tre; non voleva fare l’eroe, ma sapeva per certo che nessuno avrebbe dovuto soffrire quanto lo avevano fatto Dobby, Ted, suo padre e tutte le altre persone che erano morte in quell’inutile guerra.
Dean Thomas aveva deciso, e nessuno gli avrebbe più fatto cambiare idea. Non gli importava se Harry, Ron e Hermione non volevano che gli altri si impicciassero, lui avrebbe portato avanti la sua battaglia personale, sperando che ci fosse Luna al suo fianco. Lei doveva vendicare il suo, di padre.
Dean non sapeva da quanto tempo stava pensando, seduto su quella roccia. Ad un certo punto, sentì la mano di qualcuno sulla sua spalla, cosa che lo spaventò parecchio.
“Ehi… stai tranquillo.”
Era Luna. Shacklebolt doveva essersene andato. Guardandosi intorno, Dean si rese conto che ormai era tardo pomeriggio, dovevano essere passate circa due ore.
“Mio padre… era un mago.” Ripeté, per la prima volta ad alta voce.
“Lo so. Ce l’ha detto Kingsley. Ti stavi nascondendo per niente.”
“Sì… ma mi è servito.” Il ragazzo sorrise, come se Luna riuscisse a portare un po’ di sole in quei momenti.
“Non avresti preferito tornare a scuola, come abbiamo fatto noi?”
Dean scosse la testa.
“Ho fatto degli incontri che mi hanno cambiato la vita. Il padre di Tonks, prima di tutto. E’ stato il padre che non ho mai avuto.” Dean sospirò, con il cuore che gli faceva male, a parlare dell’uomo. “Poi, Dirk Cresswell, aveva un anno in più di me, ci siamo nascosti insieme per così poco tempo… poi, lui e due dei Goblin che si erano uniti a noi, si sono allontanati. Per giorni io, Ted e Unci-Unci li abbiamo cercati, invano. Quando abbiamo trovato i loro corpi, dovevano essere morti da pochi giorni.”
Dean fece una pausa. Aveva in mente un’altra persona, ma non sapeva se aggiungere quest’ultima frase. Dopo l’ennesimo sospiro, aggiunse:
“E poi, ho incontrato te. Ti ho rivalutata. Se fossi stato a Hogwarts, probabilmente avrei continuato a deriderti, chiamandoti Lunatica. E’ stato un bene anche questo.”
Gli occhi della ragazza si fecero stranamente luminosi.
“Davvero?”
Dean annuì, stupito dalla reazione di Luna. Erano amici, nient’altro. Semplici amici, che si sostengono e si vogliono bene. O forse qualcosa di più?
“Anche per me è la stessa cosa, sai? Sono stata fortunata ad essere stata catturata dai Mangiamorte, solo per aver conosciuto te. Sei la prima persona che dice di essere contenta di avermi conosciuto. Grazie.”
Fu in quel momento che Dean si rese conto che i loro visi erano terribilmente vicini, e gli occhi azzurri di Luna mai prima di quel momento gli erano sembrati più belli. Dean non provava per Luna attrazione fisica, lo sapeva. Era un’amica, la migliore amica che avrebbe mai potuto desiderare. Ma che ci fosse qualcosa sotto? Che, a poco a poco, si stesse innamorando di questa ragazza così diversa da lui? Cosa doveva fare, agire o allontanarsi?
In quel momento, Dean Thomas decise di non pensare.
Avvicinò le labbra a quelle della ragazza, dandole un bacio breve, casto, semplice. Fu la cosa migliore che gli era capitata negli ultimi mesi. In quel momento, Dean Thomas aveva dimenticato le fughe, i nascondigli, la rabbia, la paura.
Poi, improvvisamente, allontanò il suo viso da quello di lei, che lo fissava con quei suoi grandi occhi sporgenti.
“Non avevo mai baciato un ragazzo, prima d’ora.”
Sembrava che la ragazza l’avesse presa bene. Meglio, chissà cosa sarebbe successo se l’avesse allontanato di malo modo.
“Grazie, Dean.” Continuò.
Dean le strinse la mano; era un contatto che era solo loro, l’unica cosa che, da quando erano arrivati a Shell Cottage, riuscisse a farli stare bene.
Dean sapeva che intorno a loro c’era una guerra, che, probabilmente, presto avrebbero dovuto separarsi, ma non gli importava. Voleva solo vendicare le morti di quelle persone innocenti a cui, in un modo o nell’altro, era stato legato.
Per Dobby.
Per Ted.
Per suo padre.
E anche per Luna e per se stesso.

   
 
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