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Autore: JoeyCe    03/09/2007    0 recensioni
Era cominciato tutto l’anno precedente. Il primo fine settimana dopo lo Scherzo (quando Marlene ne parlava, la S maiuscola si percepiva distintamente) Severus si stava godendo la biblioteca semideserta, immerso in un polveroso tomo di Pozioni ed Elisir Livello III. Come sempre durante il sabato, Hogwarts si era svuotata e lui poteva finalmente studiare in santa pace senza i bisbigli, gli sbuffi, le penne tamburellanti sui banconi e il rumore delle sedie spostate sul pavimento. Non gli sembrava vero. Dopo un’ora era ormai talmente abituato al silenzio che il tonfo di un libro appoggiato all’improvviso accanto a lui lo fece quasi cadere dalla sedia. Alzò gli occhi e si trovò accanto Marlene. Tipico. Seguito de "L'alleanza".
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Severus Piton
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Different ways'
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IL BIVIO

PREMESSA: le vicende descritte in questo racconto cominciano subito dopo la fine de "L'alleanza", che vi consiglio (un po' di pubblicità non guasta mai...) di leggere per comprendere meglio l'evoluzione della situazione e alcuni riferimenti ad avvenimenti già accaduti.
Solo un brevissimo chiarimento cronologico: l'inizio si svolge il 1 settembre del settimo anno a Hogwarts di Severus Piton ma dopo poche righe comincia un flash back ambientato l'anno precedente, il sesto anno di Piton.
A voi quindi la seconda parte della storia.


Severus raccolse le valigie e lanciò un ultimo sguardo dietro di sé per salutare Malfoy ancora una volta. Ma appena poggiato il piede sulla predella dell’espresso, la voce dell'amico lo raggiunse: "Non vai a dare un osso al tuo cucciolo?” Lo sguardo grigio di Malfoy lo penetrò con la consueta espressione estremamente divertita e beffarda. Se c’era una cosa che Severus gli invidiava era proprio quel modo di riuscire a trovare ogni volta il lato ironico delle cose e di non permettere loro, anche alle più drammatiche, di scalfire lo sguardo pieno di fiducia e di divertimento con cui Lucius osservava il mondo.
Severus immaginava che questa fosse una caratteristica naturale per qualcuno come Lucius, che aveva alle spalle una famiglia solida nei suoi privilegi e di fronte un futuro luminoso, che lo attendeva senza bisogno che nemmeno alzasse un dito per prenderselo. A Piton al massimo era concesso il sarcasmo, mai l’ironia, mai.
Severus ricambiò lo sguardo dell’amico con la sua consueta espressione, quella che lo faceva sembrare sempre sommamente infastidito. Ma non era in grado di sostenerla a lungo di fronte a Lucius e difatti venne presto sostituita da un sorriso complice.
“Non è un cucciolo e di certo non il mio!” esclamò.
“Ma come, Severus! Ma se per metà dello scorso anno ti ha scodinzolato dietro ovunque tu andassi! Guarda, sta giusto arrivando un gruppetto di Tassorosso, sono certo che non appena ti vedrà ti verrà incontro per farti festa!”
Era ormai diventato un gioco per Lucius, da quando, dopo lo scherzo, Marlene aveva preso l’abitudine di considerare Severus non più l’alleato di un giorno ma l’amico di cui aveva bisogno. Era stata una cosa piuttosto irritante, sulle prime, ma poi Piton aveva ammesso che, grazie a lei, non appena si era sparsa la voce che era lui l’artefice della figuraccia della Potter-gang, gli altri Serpeverde del sesto e del settimo anno avevano cominciato a guardarlo con rispetto. La cosa ovviamente gli aveva fatto conquistare un sacco di punti agli occhi di Malfoy che, nonostante si fosse diplomato anni prima, continuava a capitanare da lontano i Serpeverde a Hogwarts e, in qualche strano modo, era al corrente di ogni cosa accadesse dentro la scuola.
Era Marlene che doveva ringraziare se Lucius aveva cominciato ad invitare anche lui alle riunioni che i Serpeverde tenevano ad Hogsmeade durante i fine settimana. Ma doveva ringraziare solo se stesso se col tempo quelle riunioni, per volontà di Lucius, si erano trasformate in incontri ristretti a pochissimi, tra cui Severus.
Strano come due persone così diverse tra loro potessero essere diventate entrambe quelle più vicine a lui, le uniche vicine a lui.

***

Era cominciato tutto l’anno precedente.
Il primo fine settimana dopo lo Scherzo (quando Marlene ne parlava, la S maiuscola si percepiva distintamente) Severus si stava godendo la biblioteca semideserta, immerso in un polveroso tomo di Pozioni ed Elisir Livello III. Come sempre durante il sabato, Hogwarts si era svuotata e lui poteva finalmente studiare in santa pace senza i bisbigli, gli sbuffi, le penne tamburellanti sui banconi e il rumore delle sedie spostate sul pavimento. Non gli sembrava vero. Dopo un’ora era ormai talmente abituato al silenzio che il tonfo di un libro appoggiato all’improvviso accanto a lui lo fece quasi cadere dalla sedia.
Alzò gli occhi e si trovò accanto Marlene.
Tipico.
Non si erano più parlati dopo il pomeriggio allo stadio di Quiddich, si erano soltanto incrociati qualche volta in Sala Grande, ma senza quasi neppure salutarsi. Oddio, lei la prima volta gli aveva anche sorriso ma Severus aveva immediatamente frenato i suoi entusiasmi con una mezza smorfia di saluto che le aveva fatto intendere che quello era il massimo della familiarità che le avrebbe concesso.
Non che a lui dispiacesse ricordare quello che avevano vissuto insieme, tutt’altro. Era proprio perché era stato piacevole che non aveva intenzione di continuare.
Le cose belle finiscono. Il loro momento di gloria c’era stato ed era passato. Che cos’altro potevano condividere ancora? Tanto valeva conservarne il ricordo, senza rischiare di prolungare qualcosa che non avrebbe potuto che peggiorare. Sono leggi di natura.
Lei sembrava avere capito.
Fino ad ora.
“Non hai imparato proprio niente, vero? Lo sapevo che ti saresti sentita in colpa!” esclamò Severus con sguardo minaccioso.
Marlene sembrò non farci caso più di tanto. Si sistemò sulla sedia, tirò fuori dalla borsa penna, inchiostro e pergamene e aprì il libro. “Non sapevo che durante il fine settimana la biblioteca diventasse di tua proprietà.” disse noncurante, con lo sguardo fisso sulla pagina.
Peccato, gli piaceva di più quando era spontanea. Severus cominciò a raccogliere le sue cose dal tavolo.
La ragazzina lo osservava con la coda dell’occhio, fingendo di essere altamente concentrata sullo studio. L’ultima pergamena finì dentro la borsa di Piton.
“E va bene, hai ragione, mi sentivo in colpa!” confessò infine.
“Così va meglio!” E assomigliava quasi ad un sorriso quello che il ragazzo aveva sulle labbra.
“Ero lì, ad Hogsmeade, con le mie amiche, stavamo comprando quei magnifici dolci, e all’improvviso mi è venuto in mente che tu eri qua, da solo, e tutto per colpa mia! Si, l’ho capito che non ti dispiace nemmeno un po’ rinunciare ad Hogsmeade, ma sento che anche io dovrei essere punita per lo Scherzo. E così…”
“E così sei stata più spietata con te stessa di quanto Silente non lo sia stato con me!” Si, ora rideva davvero.
Marlene ebbe l’impressione di essere presa in giro.
“E comunque devo studiare un sacco per lunedì, quindi probabilmente sarei tornata prima dal Villaggio lo stesso…” si giustificò.
La risata di Severus ora echeggiò sonora tra gli scaffali.
Marlene non si offese. E la cosa le apparve stranissima, dal momento che qualsiasi cosa somigliasse anche lontanamente ad una presa in giro la faceva immediatamente chiudere a riccio e la lasciava depressa a crogiolarsi nella sua bassa autostima per giorni. Ma con lui era diverso. Non sapeva perché e nemmeno le importava.
Poter parlare con una persona senza preoccuparsi di quello che pensava di lei e delle stupidaggini che diceva! Non le importava fare figuracce con Piton perché non aveva mai nemmeno contemplato la possibilità che lui potesse davvero considerarla e quindi non doveva preoccuparsi troppo di apparirgli simpatica e sveglia. Ma allora che ci faceva lì? Marlene smise di porsi domande.
Finché durava andava bene così.
Studiarono per un’ora, senza parlarsi, finché la ragazza non cominciò a mordicchiare la penna con lo sguardo fisso nel vuoto.
“Nessuno ti trattiene. Non è troppo tardi per tornare ad Hogsmeade” La voce di Severus ruppe il silenzio.
“Che? Ah…oh…cioè, si lo so” farfugliò Marlene, colta alla sprovvista. In effetti era già un buon quarto d’ora che aveva cominciato a pentirsi di aver dato retta ai suoi sensi di colpa. A quest’ora le sue amiche erano sicuramente ai Tre Manici di Scopa a bere una burrobirra traboccante di schiuma, magari erano anche riuscite a parlare con quei ragazzi dell’ultimo anno di Corvonero che avevano adocchiato la settimana precedente…Accidenti Marlene, sei proprio una scema! Vai, alzati, che se corri forse le trovi ancora lì!
Ma, senza preavviso, l’espressione sul volto di Severus la tenne inchiodata alla sedia.
Per un attimo, per un istante talmente infinitesimale da non essere nemmeno sicura di non averlo immaginato, le attraversò il cervello la fulminea certezza che quel ragazzo era molto più simile a lei di qualsiasi altra persona conoscesse. Non c’era ragione, non c’erano spiegazioni, era semplicemente così, lampante, logico, naturale.
E spaventoso.
Anche in seguito, ritornando col pensiero a quell’istante, non avrebbe mai saputo trovare nessun’altra ragione che potesse averla spinta a restare lì seduta, solo che era la cosa più naturale da fare in quel momento. Punto.
Così rimase. Così fu naturale alzarsi più tardi insieme a lui. E sempre insieme a lui uscire nel parco e sedersi vicino al lago.
E stare in silenzio a guardare gli insetti con un filo d’erba in bocca.
Quel giorno non ci furono parole.

Le parole arrivarono in seguito. E furono tante, e inarrestabili, e naturali.
Come naturale fu ritrovarsi il fine settimana successivo in biblioteca. Lo sapevano entrambi già dal lunedì, nonostante non si fossero dati alcun appuntamento e nemmeno si fossero parlati durante l’intera settimana.
Ma il sabato erano di nuovo lì. E anche il sabato successivo.
Severus si era chiesto solo una volta perché considerasse accettabile l'idea di trascorrere l’intera giornata con una Tassorosso, o meglio, trascorrere l’intera giornata con qualcuno. Non si era dato nessuna risposta perché non ce n’erano e quindi aveva smesso di domandarselo. E poi, perché doveva essere per forza così strano non stare solo? L’aveva forse scelto lui in tutti quegli anni? Non era forse arrivato a Hogwarts, ragazzino muto e spaventato, con la speranza, come tutti, di avere degli amici? Non aveva sognato di andare lontano da quella casa in cui da anni, dalla morte della madre, lui non scambiava una sola parola con nessuno? Non aveva forse sperato di conoscere qualcuno della sua età, compagni di scuola che gli raccontassero delle loro famiglie, di quello che le loro madri cucinavano, di come rimboccavano loro le coperte la sera prima di dormire, delle canzoni che canticchiavano in cucina? Se tutto questo non era successo era forse colpa sua? Colpa sua se lo avevano evitato quasi subito? Se li sentiva sussurrare alle sue spalle “ecco il nipote di Prince”?
Aveva smesso di cercare. Si era rifugiato nello studio, con un desiderio spasmodico di conoscenza, la sua unica via di fuga da una strada che sembrava già tracciata e che non lo avrebbe condotto da nessuna parte se non di nuovo a casa.
E ora c’era questa persona. Che stava seduta vicino a lui quando studiava. Che se voleva sapeva tacere. E che lo ascoltava parlare di pozioni e incantesimi con lo sguardo acceso dalla curiosità e dall’ammirazione. Quello sguardo lo aveva avuto anche lui, anni prima, quando ascoltava sua madre.

  
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