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Autore: HamletRedDiablo    16/02/2013    3 recensioni
Un mondo dove gli esseri umani vivono arroccati nelle Cattedrali, sotto la protezione degli Esorcisti e la minaccia congiunta di angeli e demoni. Un legame che non sarebbe mai dovuto nascere, tra due uomini che non si sarebbero mai dovuti amare.
Dal primo capitolo:
Un essere umano non avrebbe dovuto amare un discendente di Lucifero. Specialmente un Esorcista.
Rimosse quel pensiero facendo scivolare le dita sullo sterno, dove il cuore caldo del diavolo batteva ad un ritmo accelerato. Era sicuro che, dei tanti amanti che aveva avuto durante la sua lunga vita, fossero stati in pochi ad emozionare tanto le sue membra demoniache.
[...]
«Deimos, tu mi ami, non è così?»
(Storia MOMENTANEAMENTE INTERROTTA, in fase di REVISIONE. Mi scuso per il disagio, l'Esorcista e il demone torneranno quanto prima su questi schermi)
Genere: Erotico, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo Quattro

Il Messo Infernale e laStella dell’Est

 

Gli occhi di Lastar non avevano bisogno delle lenti graduate: non avevano mai sofferto per gli sfocamenti della miopia, o per i bordi sovrapposti dell’astigmatismo. Il medico aveva dichiarato che la sua vista era pressoché perfetta: poteva risentire di abbassamenti temporanei in seguito ad eccessivo stress, ma nulla di permanente che richiedesse l’intervento degli occhiali. Eppure, Lastar li indossava da quando aveva cinque anni. Gli occhi non ne avevano bisogno, ma la sua anima necessitava di quello scudo trasparente.

Non possedeva ricordi troppo vividi della sua infanzia. I suoi primi anni di vita erano un impasto indistinto di sensazioni spiacevoli e giornate uggiose. Si stupiva della gente che parlava con gioia della propria puerizia: lui aveva trascorso quel periodo isolato tra le mura di una Abbazia, molto più piccola della Cattedrale di Elohim e dalle difese assai più scarse. Era il luogo in cui era nata sua madre, da cui era stata rapita e cui aveva fatto ritorno con il ventre gonfio.

Faticava ad assemblare nella sua memoria il viso della donna che lo aveva messo al mondo, ma ricordava perfettamente la sua schiena; aveva passato anni fissando le spalle che la madre gli rivolgeva con un’ostinazione venata di disgusto. Ricordava la curva delle scapole sotto la maglia, la forma stretta delle spalle, sempre lievemente inarcate, e la linea della spina dorsale, inalberata con boria. Aveva contato uno per uno tutti i riflessi nei capelli rossi della madre, dal ramato più sbiadito al cremisi più acceso, e aveva provato un pizzico di gioia nel ritrovare quelle stesse gradazioni sulla sua chioma scomposta, che nessun genitore aveva avuto la premura di pettinare.

La madre aveva fatto in modo che nemmeno la sua voce rimanesse impressa nei ricordi del figlio: conversare con lui le costava uno sforzo enorme, quasi dovesse sradicare le parole dal punto più profondo della propria gola e spingerle fuori dalle labbra a viva forza. Comunicava per lo più rispondendo a mugugni e vaghi cenni della mano ai tentativi di conversazione del suo bambino. Lastar aveva imparato a esprimersi ascoltando i suoi coetanei, ma la sua prima parola gli aveva fatto guadagnare solo un aggrottamento delle sopracciglia fulve della madre: le sue ciarle sarebbero state un altro fastidio da sopportare.

Aveva estrapolato la verità sulla sua nascita ascoltando i pettegolezzi degli adulti e le maldicenze dei ragazzi più grandi. Sua madre aveva chiesto più volte di abortire, ma la gravidanza era a uno stadio troppo avanzato, e avrebbe rischiato di morire di dissanguamento durante l’operazione. Circolavano voci più o meno fantasiose sulle maledizioni che la donna aveva lanciato mentre lo partoriva; la più accreditata era “uccidete questo figlio di Satana”.

La verità gli era piombata addosso come una pioggia di pietre, ed era stato quasi seppellito dal peso di quei macigni. Sua madre non aveva mai risposto alle domande su suo padre perché non voleva ricordare l’uomo che l’aveva torturata durante la prigionia. E non voleva guardare suo figlio in viso per lo stesso motivo: con il passare degli anni, i suoi lineamenti tondeggianti si erodevano sempre più nel calco di quelli del padre, e i suoi occhi sanguigni, oggetto delle chiacchiere di tutta l’Abbazia, urlavano la loro origine diabolica.

Aveva compreso anche la ragione per cui, al contrario di tutti i suoi compagni, lui non aveva un nome: la gente aveva coniato in suo onore un variopinto ventaglio di epiteti, bisbigliati con malizia alle sue spalle; i bambini lo chiamavano “occhi rossi”, e sua madre non lo chiamava affatto. Credeva che lei avesse semplicemente bisogno di più tempo rispetto alle altre per scegliere un nome adatto al proprio figlio.

L’acido di quelle scoperte si era coagulato nelle sue viscere, e lui lo aveva spurgato dando di stomaco per i tre giorni successivi. Aveva sfiorato la disidratazione: era talmente nauseato dalla sua nascita e dal suo sangue sudicio che quella sensazione ripugnante gli risaliva l’esofago ed esondava dalle sue labbra continuamente; i nervi a pezzi gli avevano pompato le lacrime fuori dalle palpebre mentre si nutriva a forza da solo. Aveva tagliato il groviglio di capelli annodati passandosi una lama di rasoio sulla testa, sperando così di diminuire la somiglianza con l’uomo che aveva fatto soffrire sua madre, e, con le stesse intenzioni, aveva nascosto le iridi vermiglie dietro gli occhiali.

Gli anni avevano sbiadito le sue speranze e alimentato la convinzione di non essere al suo posto nell’Abbazia. Ed era giunta quella sera.

«Me ne vado» annunciò alla schiena della madre. Le spalle di lei si contrassero, ma non una parola volò nell’aria. «Non sarò più un peso per nessuno. E tu potrai smetterla di nasconderti per la vergogna di avere un figlio mezzosangue.»

L’aria si condensò in ghiaccio a quell’accusa, e nessuno dei due trovò parole abbastanza calde da sciogliere quel gelo.

Lastar aveva afferrato la coperta in cui aveva raccolto i propri averi e se l’era caricata in spalla. Sua madre gli parlò per la prima volta in due mesi, senza però guardarlo:

«Mi dispiace.»

Il ragazzo non mosse nemmeno un muscolo. Se quella scusa fosse arrivata anni prima, quando era ancora un bambino speranzoso, probabilmente si sarebbe messo a piangere dalla gioia, e si sarebbe gettato ad abbracciare quelle spalle refrattarie. Ma il bambino aveva abdicato in favore dell’adolescente cinico.

«Ti sei accorta che porto gli occhiali?»

«Li hai messi oggi?» raspò la madre.

«Li porto da quando avevo cinque anni. Da otto anni» specificò; non nutriva l’illusione che sua madre si ricordasse addirittura la sua età. «E tu non li hai mai notati. Non hai notato nemmeno che mi rasavo sempre la testa per non farti vedere i tuoi capelli sul viso dell’uomo che odi. Mi sono sempre curato da solo i tagli che mi facevo quando ancora non sapevo usare il rasoio. E scommetto che non sai se i miei capelli siano ricresciuti o no» un silenzio colpevole si dipanò nella distanza incolmabile tra di loro, e Lastar terminò, adamantino: «Per cui non dire che ti dispiace. Sii sincera, e dì che sei felice che finalmente “il figlio di Satana” sparisca dalla tua vita.»

«Mi dispiace…»

«Non è vero. Se davvero ti fosse dispiaciuto, ti saresti voltata per salutarmi. Ti saresti voltata per guardarmi, almeno una volta in tredici anni. Se non puoi darmi affetto, almeno sii onesta con me.»

Abbandonò sua madre nel modo in cui lei lo aveva sempre trattato: in silenzio, senza guardarla, voltandole le spalle, mentre lei farfugliava qualcosa che non avrebbe ottenuto risposta.

Le guardie della Abbazia non lo avevano fermato quando aveva varcato i cancelli: perfino loro si erano sentite sollevate al pensiero di essere liberate dalla maledizione di quegli occhiacci rossi. Avevano lasciato che si addentrasse nel bosco che sommergeva la fortezza, sperando che il demone o l’angelo che si sarebbe cibato di lui non lo facesse soffrire troppo nell’ucciderlo.

Lastar aveva cominciato a camminare senza una meta e senza uno scopo: la sua testa era occupata da una confusione letale, così densa da non permettergli di capire se desiderasse vivere o morire. Aveva vagabondato finché non era stato davvero raccolto da un demone. Il più irrazionale di tutti.

Lastar si svegliò di soprassalto con il viso di Deimos marchiato a fuoco nelle pupille.

Si passò una mano sugli occhi, e allungò l’altra verso il comodino per recuperare le lenti da vista. In tanti anni, non era mai riuscito a buttarle. Osservò il suo riflesso bombato sugli occhiali prima di inforcarli. Le spine acri dell’affetto che aveva continuato a provare per la madre, nonostante tutto, gli impedivano di rinunciare alla sua barriera di vetro: se, quella notte, avesse davvero abbandonato ogni speranza all’Abbazia assieme alla genitrice, non si sarebbe fermato dopo qualche metro per piangere contro un albero. Aveva cercato di uccidere ogni germe di illusione dentro di lui, ma qualche bacillo era rimasto: fino all’ultimo, aveva sperato che la madre si voltasse finalmente verso di lui e gli chiedesse di restare.

Non nutriva più quei desideri puerili da tempo: gli occhiali erano diventati un espediente per non costringere gli altri a fissare troppo direttamente le sue iridi spaventose. E un modo per ricordare a se stesso che quei giorni, per quanto orribili, facevano parte del suo passato: non li avrebbe rinnegati come sua madre aveva fatto con lui per tredici anni.

Lo specchio lo colpì a tradimento con un’immagine perfettamente sana del suo viso e del suo corpo, ad eccezione della stella di pelle cauterizzata sulla spalla. Alla luce del giorno, l’opera di Deimos appariva ancora più prodigiosa: la guancia era perfettamente intonsa, come se nulla l’avesse mai scalfita. Nessuna medicina umana avrebbe potuto replicare un simile effetto.

Non rimase troppo tempo a rimirare la cicatrizzazione miracolosa: si affrettò anzi a recuperare la medicazione che Deimos gli aveva strappato la sera prima, e la applicò nuovamente sul viso. Non voleva fornire spiegazioni riguardo alla sua straordinaria guarigione.

Si drappeggiò addosso la tunica del suo Ordine, e sistemò velocemente tutti i lacci e i bottoni. Alexander aveva indetto una riunione generale per quella mattina. Non poteva tardare in alcun modo.

Uscì dalla stanza, lasciando dietro di sé i ricordi gravosi del passato e le memorie conturbanti della sera precedente.

 

***

 

Il cuore si schiacciava su se stesso, come sottoposto a una pressione troppo forte, nel petto di coloro che percorrevano il pavimento marmoreo della Navata.

Con i vari piani di file, troni e seggi, scolpiti in legno indeformabile e scrupolosamente distanziati tra di loro, la gigantesca sala trasmetteva un’idea di perfetto ordine mummificato nel tempo: ogni nicchia era ben separata dalle altre, a rimarcare le differenze incolmabili di ruolo e rango tra i diversi occupanti; la sua struttura robusta e severa emanava un’aura di fissità quasi soffocante.

Lastar prese posto nel suo compartimento – quarta fila a partire dall’alto, primo posto a destra – e si servì un’occhiata del panorama.

La megalomania dell’artista che aveva affrescato la Cattedrale sarebbe rimasta impressa nei secoli grazie al dipinto che rivestiva l’intera Navata, ad esclusione delle colonne e delle pareti interne delle nicchie: la storia del mondo veniva ripercorsa nelle sue date più salienti, dall’avvento dei Grandi Saggi e dei Grandi Stregoni fino alla loro degenerazione in angeli e demoni. Avrebbe portato i mocciosi alla Navata, per la lezione successiva: sarebbero rimasti tutto il tempo con il naso per aria e la bocca aperta, e lui avrebbe potuto evitare di tenere una di quelle urticanti lezioni di storia elementare.

Perfino la disposizione delle luci era stata ideata in modo da rimarcare l’inflessibile gerarchia secondo cui la Cattedrale era organizzata: le ombre erano ricacciate negli anfratti della Navata dalle polverose lampade a olio, sorrette da pomposi lampadari; candele più modeste rischiaravano le nicchie degli strati più bassi.

Lastar osservò i suoi colleghi di piano: Cy stava zoppicando lentamente verso il seggio di Capo Scienziato, mentre le altre tre Stelle Cardinali sedevano perfettamente composte contro gli scomodi schienali di legno massiccio, indirizzando sguardi di granito alle file superiori, dove stavano prendendo posto i Messi, il Cardinale, il Diacono e infine, al primo livello, il Monsignore.

I suoi occhi purpurei scrutarono le file sotto di lui, in cui le tenebre andavano infittendosi man mano che si procedeva verso il basso: gli ultimi livelli parevano un mare di pece in cui erano affondate per sbaglio alcune perle di luce morente.

Esattamente sotto i suoi piedi, Esorcisti e Scienziati affollavano il quinto piano; coloro che ricoprivano i ranghi più elevati sedevano su seggi rialzati, che perdevano altezza ed eleganza fino a diventare normali panche per gli Scienziati e gli Esorcisti comuni. Più sotto ancora si trovavano i Maghi: la rampa degli Stregoni era simmetrica a quella degli Scienziati, come quella dei Saggi lo era alla fila degli Esorcisti. All’ultimo livello, inginocchiati sulle gradinate imbottite, stavano gli Ordini Supplicanti, visibili dall’alto come una fila puntiforme di cappucci grezzi e umili veli ingrigiti dall’oscurità. I Mestieri e il popolo non erano autorizzati a presenziare alle riunioni di quel tipo.

A ogni classe era stato assegnato un colore, per rimarcare ulteriormente l’appartenenza a una determinata casta e l’obbligo di accettare tutti i privilegi e le proibizioni che il proprio ruolo prevedeva. Gli Ordini Supplicanti erano spartiti tra i sai marroni dei Fratelli e le tonache bianche delle Sorelle; il verde distingueva gli Stregoni dai Saggi vestiti di blu, i camici grigi disgiungevano gli Scienziati dalle divise nere degli Esorcisti. Ai piani più elevati spiccavano il viola e l’argento del Messo Divino, contrapposti all’arancione striato di bronzo del Messo Infernale; l’opulenza aumentava nello zafferano venato di rame del Cardinale e del Diacono, per raggiungere il proprio apice nel rosso e oro che caratterizzavano le vesti del Monsignore.

Alcuni dettagli permettevano di discernere il grado rivestito all’interno del proprio Ordine: Cy, in quanto Scienziato Capo, indossava una magnifica spilla le cui spire di platino si annodavano attorno ad un piccolo diamante, ben diversa dai metalli semi preziosi e mal lavorati degli accessori dei suoi sottoposti; allo stesso modo, i bottoni che chiudevano le divise di Lastar e delle altre Stelle Cardinali erano piccoli capolavori di oreficeria, mente i loro subordinati dovevano accontentarsi di rifiniture assai meno pregiate. Inoltre, ognuna delle Stelle era distinguibile tra i suoi pari grazie al colore dei citati bottoni e di qualunque orpello presente nel proprio vestiario: gli ornamenti spartani di Lastar rispecchiavano il rosso pallido del sole che sorge a Est.

L’attenzione maniacale per i dettagli e le suddivisioni era spiegata nei Codici come la precauzione necessaria a identificare immediatamente il proprio interlocutore, per sapere a chi rivolgersi durante un’eventuale situazione di emergenza. Più di una volta, Lastar aveva ritenuto misera quella giustificazione così vaga.

Il Monsignore sollevò il proprio stemma – un leone d’oro che stringeva tra le fauci un rubino acuminato - e batté sul parapetto per tre volte con la pietra.

Sulla Navata calò il silenzio, e la riunione cominciò.

L’architetto che aveva progettato la Navata aveva riservato una cura particolare all’acustica: la voce del Monsignore riecheggiava con la stessa nitidezza in tutti i livelli, rendendogli possibile parlare senza sforzarsi eccessivamente.

Lastar rischiò di addormentarsi mentre i piani superiori discutevano con gli Ordini Supplicanti di questioni soporifere inerenti al clero. Alexander gli lanciò uno sguardo di rimprovero dall’alto della sua postazione di Messo Celeste, che la Stella ignorò con enorme impertinenza: era per colpa della sua negligenza nel trattare i pazienti se si era affidato alle cure di un demone.

«Ordine degli Esorcisti, Grado Stella Cardinale dell’Est, Lastar Godgrace.»

La sua qualifica si allungò sfarzosa sulle labbra del Monsignore. Lastar chinò la testa prima di alzarsi in piedi.

«Ordine degli Scienziati, Grado Scienziato Capo, Cy» annunciò cerimoniale il Monsignore.

Un rapido bisbiglio sfrecciò sulle bocche dei meno abituati a quella sala, e si spense l’istante successivo. L’assenza del cognome dello Scienziato Capo destava sempre meraviglia: si riferiva che i suoi genitori detestassero a tal punto lui e la sorella da non aver voluto lasciare loro nemmeno il cognome, per troncare ogni legame con quei fagotti indesiderati; quella leggenda da sobborghi giustificava la mancanza di nome familiare dello Scienziato Capo e del Messo Infernale, Drew. Lastar aveva evitato lo stesso destino grazie ad Alexander, che aveva inventato un cognome apposta per lui tanti anni prima.

«Vogliate spiegarci le modalità dell’intrusione verificatasi nella giornata di ieri» lo pregò imperativo il Monsignore.

«Siamo stati aggrediti da Aamon l’Alchimista e Pruslas l’Assassina, rispettivamente Primo e Secondo Assistente di Astaroth, demone superiore di estrazione nobiliare» scandì Cy, solenne nonostante le gambe malferme e le nocche sbiancate sull’impugnatura delle stampelle.

«Avete riportato alcun tipo di danno?» s’informò atono il Monsignore.

«La Stella Cardinale dell’Est è stata ferita alla guancia dal pugnale dell’Assassina, e alla spalla dalla freccia che ha infranto la vetrata nel corridoio ovest del primo piano» riferì lo Scienziato Capo.

Lastar sostenne impavido lo sguardo rapace con cui il Cardinale frustò il bendaggio sul suo volto.

«Siete stato aggredito da demoni temibili, Stella dell’Est. Lodo la vostra mirabile capacità di ripresa» si complimentò l’uomo, con il tono pruriginoso delle insinuazioni. Il Cardinale non aveva mai nutrito particolari simpatie per lui. Le sue parole, specie quelle non pronunciate, trasudavano pensieri malevoli: un essere con il sangue sporco come quell’ibrido non avrebbe mai dovuto avere il diritto di vivere insieme agli esseri umani, tantomeno di sedere su uno degli scranni più alti della Navata. Se il mezzosangue fosse stato ucciso mentre difendeva la Cattedrale, il Cardinale non avrebbe sprecato nemmeno una stilla di rammarico per compiangerlo.

«Vi ringrazio» si schermì Lastar. «Ma è merito del pronto intervento del Messo Divino, Alexander Holycross, se ho potuto riprendermi così in fretta.»

Il Cardinale sembrò rinfrancato dal poter rivolgere i suoi elogi altrove, e il Diacono proseguì nell’inchiesta:

«Come hanno potuto valicare le protezioni della Cattedrale?»

«Riteniamo che Astaroth li abbia aiutati» ammise Cy.

Le fronti dei tre piani più alti si corrugarono per il risentimento.

«Ma Astaroth, Duca del Terrore, ha stretto un patto con il nostro Messo Infernale» replicò il Diacono.

«Ordine dei Messi, Grado Messo Infernale, Drew» citò il Cardinale. «Avete omesso di informarci dello scioglimento del patto?»

La ragazza si issò con maestosità nella sua esigua statura: non arrivava alle spalle del più basso degli uomini, ma il potere che scorreva silenzioso nelle sue vene inceneriva ogni possibile scherno sulla lingua dei suoi interlocutori.

«Non peccherei mai di una simile mancanza» si discolpò lei. «Il patto è vivo e solido come il giorno in cui è stato stipulato. Se permettete, interrogherò personalmente il Duca del Terrore a riguardo.»

«Siete certa che vi risponderà?»

«I demoni non concepiscono sentimenti speculari ai nostri, ma sono vincolati da un rigido codice d’onore. Un demone non lascia mai un interrogativo in sospeso, e risponde sempre con la verità» proclamò Drew.

«Ma è comunque possibile che ometta ciò che potrebbe metterlo in difficoltà» insistette il Cardinale.

«Sono stata scelta per questo ruolo proprio perché so come strappare confessioni ai demoni» ricordò con cortese fermezza la ragazza. «Non temete: vi fornirò le spiegazioni che cercate, entro questa sera stessa.»

Il Monsignore accolse la sua proposta con un cenno affermativo della testa, e le restanti file non poterono che seguire la sua decisione e approvare a loro volta.

«Siete a conoscenza delle cause di questo increscioso attacco?» indagò il Diacono.

Le croci metalliche di Lastar sfregarono tra di loro quando il giovane sciolse le braccia dalla posizione conserta.

«Hanno affermato che due ladri presenti nella Cattedrale hanno rubato il vero Aamon al loro signore» rispose, secco.

Il Diacono lo fissò con perplessità.

«Perdonatemi, ma non è Aamon il nome del Costrutto contro cui avete combattuto?» vacillò.

«Sono confuso quanto voi» dichiarò sincero Lastar. «Ma hanno insistito su questo punto.»

«Hanno rivelato perlomeno il nome di questi presunti ladri?» si innervosì il Cardinale.

Le stampelle di Cy batterono un colpo contro il rivestimento di legno della nicchia.

«Pruslas l’Assassina ha additato me come uno dei due ladri. Ma posso giurarvi sulla mia stessa vita che non ho mai sottratto nulla ad Astaroth» annunciò Cy, la voce ferma nonostante il pallore del viso. «E hanno affermato che il secondo ladro si intrometterebbe in un eventuale chiarimento tra me e il Duca del Terrore.»

«Per quale motivo?»

«Le ragioni mi sono oscure» rivelò sconsolato lo Scienziato Capo.

Gli sguardi dell’intera Navata ruotarono verso il Monsignore, che si rilassò in qualche secondo di silenzio prima di sentenziare:

«Maghi della Quinta Cerchia, Stregoni e Saggi, ripristinate le difese attorno alla Cattedrale. Rinforzate gli scudi, moltiplicate gli emblemi di allarme, costruite trappole magiche: elaborate un piano di difesa e presentatelo al Diacono entro questo pomeriggio. Esigo che i lavori siano cominciati entro sera, e finiti entro la mattina. Scienziati, pretendo da voi la medesima serietà: elaborate nuovi sistemi difensivi, e presentateli al Cardinale quanto prima. Stelle Cardinali, riorganizzate i turni di pattuglia dei vostri Esorcisti e intensificate gli allenamenti dei Discepoli. Ordini Supplicanti, sgomberate le vecchie aule inutilizzate e rendetele fruibili come postazioni di pronto soccorso in caso di attacco. E fate in modo che nulla di tutto ciò trapeli nel volgo: se Elohim cade nel panico, trascinerà con sé tutte le Cattedrali e le Abbazie ancora esistenti.»

I tre colpi di rubino sancirono la fine della riunione.

Lastar cercò di abbandonare la sua postazione più in fretta possibile, ma Alexander prevenne la sua strategia di fuga.

«Tu stai nascondendo qualcosa» l’accusa saettò tagliente verso l’Esorcista.

La Stella dell’Est non poté fare a meno di chiedersi come Alexander potesse essere così veloce con la divisa da Messo Celeste addosso: sebbene la tunica ametista non costituisse un grosso peso, nemmeno sommata ai calzoni o alla tiara argentata che gli stringeva la fronte, i rinforzi in metallo degli stivali, la cotta di maglia e i guanti ferrati avrebbero dovuto rallentare i suoi movimenti.

«La vecchiaia ti sta facendo diventare paranoico» lo insultò velocemente Lastar.

«Togliti la benda. Se non lo farai, la considererò un’ammissione di colpevolezza.»

Era così abituato all’immortale sorrisetto sul volto scultoreo di Alexander che l’improvvisa serietà delle iridi olivastre lo atterrì tanto da convincerlo ad obbedire. Poche volte il Messo Celeste ricorreva al divario che si apriva tra di loro per ottenere disciplina, e, quando ciò avveniva, quell’abnorme baratro lasciava Lastar abbastanza disorientato da renderlo mansueto.

L’Esorcista staccò piano una porzione di benda, mettendo a nudo la pelle compatta. La mano di Alexander calò sulla sua, e coprì la gota compromettente.

«Immagino che sia superfluo chiederti di mostrarmi anche la spalla» mormorò grave.

«È così problematico che io sia guarito?» sgroppò Lastar, ma il tono di Alexander polverizzò il suo spirito di ribellione:

 «Sì, lo è. Queste ferite non guariscono in un giorno solo» il Messo gonfiò il petto in un vistoso sospiro, che sfruttò per sommergerlo di critiche quando espirò: «Non ti rendi conto della tua posizione, Lastar? Il Cardinale sfrutterebbe ogni occasione per buttarti fuori dalla Cattedrale, in pasto ai demoni o agli angeli, e tu gliene stai servendo un’infinità.»

«Non ho fatto nulla per cui il Cardinale potrebbe condannarmi» replicò Lastar.

«Invitare un demone ad Elohim è un reato punibile con la morte» sibilò a denti stretti Alexander. «Lo hai incontrato svariate volte, e ha addirittura trascorso una serata qui, nella nostra Cattedrale. E lo hai fatto tornare per curarti.»

«Non rappresenta un pericolo: è l’unico di tutta la sua specie a non cibarsi di esseri umani.»

«E credi che questo rappresenti una difesa solida?»

«Credo che non avrò bisogno di difendermi, se il segreto non trapelerà.»

«Allora, Lastar, non vedere mai più quel demone. Non sfidare ulteriormente la sorte.»

«Non posso promettere una cosa del genere.»

All’improvviso, Alexander vide la sua stessa sicurezza negli occhi amaranto dell’Esorcista: la soggezione dovuta alla sua età e al suo grado superiore erano sparite, in onore dello stendardo eretto in difesa del Principe Irrazionale.

«Perché non puoi farlo?» reiterò Alexander, una punta di esasperazione nella voce. «Non capisci che ogni tuo incontro con lui può condurti alla scomunica o all’esilio?» 

Lastar rialzò il capo, stese le braccia in posizione marziale lungo il corpo e troncò la discussione senza ulteriori indugi:

«Non prometterei una cosa simile nemmeno se me lo imponesse Lucifero in persona.»

 

***

 

La schiena di Astaroth sembrava soffrire la nostalgia del triclinio a giudicare dalla curva senza forza in cui era afflosciata: il corpo pigro del Duca del Terrore era nato per essere sorretto da comodi cuscini, e non dall’aria. Il demone leccò il sangue argenteo dalle labbra, sperando che il sapore agrodolce degli angeli lo aiutasse a sopportare quello strazio.

Il Messo Infernale di Elohim lo aveva chiamato, e lui aveva dovuto sacrificare gli agi della sua reggia per onorare il codice dei demoni: non si rifiutava mai udienza a un umano con cui si era stipulato un contratto.

Le pupille vacue ciondolarono sulla figura del Messo. Elohim aveva scelto una ragazza senza particolari meriti di bellezza come tramite con i demoni: il castano dei capelli non sarebbe stato ricordato per il suo splendore, così come la pelle abbronzata non aveva nulla in comune con la delicatezza della seta. Il corpo minuto era stato plasmato nella forgia della battaglia e non in quella dell’amore, e molte morbidezze femminili erano state soffocate dagli allenamenti sfibranti. Tuttavia, perfino il Duca del Terrore riconosceva a quella ragazza la capacitò di imporre la sua presenza agli altri: la sua aura cancellava i suoni, i colori e le immagini del mondo, convogliando lo sguardo dell’interlocutore esclusivamente su di sé. Se non avesse vissuto per così tanti secoli, forse si sarebbe sentito attratto da quella forza d’animo, alimentata dal potere che la giovane aveva imparato a padroneggiare con tanti sforzi.

Non erano stati però né il suo aspetto comune né il suo spirito quasi inumano a spingere il Duca del Terrore a scegliere lei come Messo con cui stringere un patto, tra tutti gli emissari esistenti al mondo. Erano stati i suoi occhi; non il mogano delle iridi, ma la loro forma a goccia, lievemente inclinata all’insù, così identica a quella che aveva perseguitato i sogni e gli incubi del demone da quella notte.

«Mi hai chiamato» le parole si svolsero affaticate sulle labbra bagnate del diavolo.

«Esigo risposte» esordì Drew.

Il serpente d’oro scintillò sul polso del Duca, quando questo sollevò una mano per passarla tra le lunghe ciocche acquamarina.

«Che genere di risposte?»

«Avete attaccato la nostra Cattedrale.»

«Non ho abbandonato il mio salone. E avrei preferito continuare a farlo.»

«I vostri assistenti, allora.»

«È stata una loro libera iniziativa.»

«Credevo che il Duca del Terrore avesse un migliore controllo dei suoi sottoposti.»

L’insulto non superò il muro gommoso dell’accidia del demone: vi rimbalzò contro, e giacque a terra, inascoltato.

«Inoltre, i vostri assistenti hanno asserito di aver agito per recuperare qualcosa che vi è stato rubato» aggiunse, per nulla intimidita dalla resistenza passiva del nobile. «Potrei sapere di cosa si tratta?»

«Assolutamente no.»

Non si era aspettata una replica così assoluta e così immediata dal demone indolente, per cui impiegò un secondo più del solito per articolare una risposta.

«Dovete parlarmene, o perlomeno accennarmene» patteggiò.

«Non ho alcun dovere a riguardo. I miei affari personali interessano me soltanto» sillabò lemme Astaroth.

«I vostri affari sono quasi costati la vita alla Stella dell’Est» s’infiammò Drew.

«Che sarà sicuramente preparato a questo tipo di evenienze, o non sarebbe degno di essere chiamato “Esorcista”» gli occhi neri di Astaroth si appuntarono sul gioiello a forma di serpente, quasi fosse un interlocutore migliore del Messo Infernale.

«Se non chiarirete le cause di questo incidente, saremo costretti a considerare nullo il nostro patto.»

«Il che andrebbe a vostro esclusivo svantaggio» l’espressione annoiata di Astaroth non mutò nemmeno nel pronunciare la condanna: «Posso trovare altri modi per nutrirmi, anche senza essere legato ad Elohim. Mentre la Cattedrale avrebbe molte più difficoltà ad accordarsi con altri demoni.»

Drew portò la mano destra sotto il cappuccio della pellegrina per toccare la “C” arabescata che aveva fatto tatuare sul collo. L’iniziale del fratello, per trovare coraggio nei momenti di sconforto e ricordarsi che era per lui che stava ancora combattendo.

Le parole del Duca corrispondevano alla verità. Il patto tra demone e Messo Infernale era semplice: il Messo avrebbe offerto nutrimento al diavolo, e avrebbe accettato che una porzione della sua anima venisse divorata negli intervalli e secondo le procedure previste dal contratto. Per anni aveva versato ogni goccia del suo sangue negli allenamenti che le avrebbero permesso di ripristinare la parte di anima perduta: il procedimento era lungo e complesso, e aveva impiegato mesi e mesi solo per afferrarne il funzionamento. Aveva imparato a sfruttare la sua energia magica per supplire alla sezione di spirito di cui il demone si sarebbe cibato, e occorrevano settimane perché il processo potesse completarsi. Un Messo poteva stringere il patto con un solo demone, o avrebbe rischiato la vita o, assai peggio, l’esistenza senza anima: giorno dopo giorno senza provare la minima emozione, senza avvertire odori e sapori, con gli occhi spenti e il corpo vuoto come una caverna abbandonata.

I sacrifici del Messo avrebbero procurato però un enorme beneficio: il demone con cui il patto fosse stato stretto si sarebbe impegnato a non attaccare la Cattedrale o la Abbazia, e si sarebbe assicurato che anche i suoi sottoposti e gli inferiori nella gerarchia demoniaca si attenessero a quel pacifismo forzato. Accaparrarsi l’attenzione di Astaroth, secondo solo alla famiglia reale, era stata una vera benedizione per Elohim: da quando il patto era stato stipulato, solo alcuni demoni inferiori, troppo primitivi per comprendere i comandamenti dei diavoli più nobili, avevano cercato di attaccarli. Grazie a quel contratto, Elohim godeva di un’ottima protezione, e poteva permettersi di inviare i suoi Esorcisti come supporti occasionali nelle altre roccaforti; questo le aveva permesso di divenire il baluardo della resistenza umana. Ma se Astaroth avesse deciso di ritirarsi dal patto, ogni garanzia sarebbe andata perduta, e la Cattedrale sarebbe tornata ai nefandi giorni in cui ogni alba segnava una nuova lotta contro i molteplici assalti dal confine poco distante.

«Se mi direte di che oggetto si tratta, potrei aiutarvi a recuperarlo. In questo modo voi otterrete di nuovo ciò che vi è stato sottratto» mercanteggiò Drew.

«E voi potrete continuare a rilassarvi all’ombra della mia protezione» concluse con flemmatica spietatezza Astaroth.

«Aamon l’Alchimista ha detto che state cercando il vero “lui”» seguitò Drew, ignorando lo schiaffo verbale del diavolo. «Cosa intendeva, esattamente?»

Nel bordo rossastro delle iridi onice del demone avvampò una brama insana, subito inabissata nel solito tedio; il cambiamento fu così fulmineo che la ragazza per un attimo credette di averlo solo immaginato.

«Se anche ne parlassi, non ne trarrei alcun beneficio» si lamentò aristocratico il Duca.

«Mettetemi alla prova» lo sfidò garbatamente Drew.

Di nuovo, la cornice di sangue si agitò in una smania irrefrenabile, e, come in precedenza, la fiamma tornò immediatamente a covare sotto la cenere.

«C’è una persona che non deve assolutamente sapere ciò che sto per dirti» premise Astaroth.

«Le mie labbra saranno sigillate» garantì Drew.

La testa del Duca dondolò un paio di volte, senza nerbo, poi l’argento delle labbra si increspò.

«Alexander Holycross. Se ti lascerai sfuggire un solo fiato, considererò nullo il contratto.»

La serenità oziosa con cui Astaroth parlò della possibile distruzione della Cattedrale scatenò una tempesta di ghiaccio nelle vene del Messo. Quel demone, nella sua decadente malvagità, era mille volte più spaventoso di qualunque altro diavolo: molti satanassi erano abbastanza arroganti da dare lustro ai propri poteri e alle nefandezze da essi derivate; al contrario, Astaroth segregava nel silenzio la smisurata ampiezza della propria forza e tumulava le proprie intenzioni nel loculo del viso disattento, negando al nemico ogni possibile indizio sui pensieri cristallizzati dietro i suoi occhi immobili, o sulla portata dei suoi poteri addormentati. Il nobile pareva la personificazione del fulmine: riposava nascosto in una fitta coltre di nubi fino all’imprevedibile momento in cui la sua furia si sarebbe abbattuta sulla terra; gli uomini non potevano che tremare e augurarsi di sopravvivere a una simile sciagura. La pericolosità sopita dei suoi poteri, la calma malvagità della sua mente e l’impigrita impenetrabilità del suo volto erano le caratteristiche che lo rendevano il Duca del Terrore.

«Perché non devo parlare con lui?»

«Perché lui ti ostacolerebbe nel riportarmi ciò che mi è stato tolto. E, se davvero vuoi aiutarmi, dubito che tu voglia avere come avversario il Messo Celeste» anche quella risposta fu straordinariamente pronta per la bocca intorpidita del demone.

«È per caso uno dei due ladri?» il diavolo batté lentamente le palpebre in quella che era la sua personale manifestazione di smarrimento. Drew circoscrisse l’argomento: «Pruslas l’Assassina ha parlato di due ladri. E ha detto che uno dei due è mio fratello.»

Le unghie limate si incontrarono  davanti al viso del demone, pensose.

«Pruslas deve imparare a esprimersi più correttamente» ponderò Astaroth. «No, il ladro è Alexander.»

«E per quanto riguarda mio fratello?» Drew premette le dita sul tatuaggio, un’orribile sensazione annidata sul fondo dello stomaco.

Le palpebre mirabilmente truccate del nobile si incontrarono di nuovo, e le labbra argentate si incurvarono in un sorriso malevolo. Intravide il bagliore del sadismo sul viso di Astaroth quando questo mormorò:

«Tuo fratello è ciò che cerco. Me lo consegnerai, per il bene di Elohim?»

 

***

 

«Davvero non mi lasceresti andare nemmeno se te lo ordinasse mio padre?»

L’asciugamano bagnato gli scivolò tra le mani come un’anguilla; Lastar recuperò velocemente i bordi e se li avvolse attorno ai fianchi, prima di rivolgersi rabbioso alla porta del bagno.

«Cosa sei venuto a fare?» ruggì.

«Mi godo un bello spettacolo» cinguettò Deimos, acquattato sulla soglia con il mento accoccolato tra le mani. «I vestiti minimizzano i tuoi muscoli, sai?»

Lastar non aveva mai posto particolari limiti alle visite del demone, sapendo in anticipo che Deimos li avrebbe infranti con irritante spensieratezza. Ma si augurava che il Principe avesse il buonsenso di non piombare nella sua camera, nel suo bagno, mentre lui era impegnato a lavarsi.

«Puoi voltarti mentre mi vesto?» sibilò Lastar, inforcando gli occhiali come protezione.

«Certo che posso» Deimos si stese sul pavimento e rotolò su se stesso, trovandosi supino. «Ma non ho alcuna intenzione di farlo.»

«Devo vestirmi.»

«No, non devi. È un pensiero coatto che ti ha instaurato la società.»

«Devo vestirmi

«Fai pure come se io non fossi qui.»

La riunione non lo aveva stancato, i lavori di riorganizzazione non lo avevano sfinito, ma Deimos sarebbe riuscito ad ammazzarlo, se solo avesse provato con sufficiente ardore.

«Te lo chiedo ogni volta, forse per abitudine o forse per soddisfare una vena masochista che non sapevo di avere» finse di essere sordo alla battuta sconcia di Deimos sull’autolesionismo e terminò: «Perché sei venuto qui?»

Il Principe raccolse le ginocchia al petto, sorprendendolo con il suo silenzio.

Le parole di Astaroth e quelle di Lastar si scontrarono nella sua testa, sprizzando scintille.

Nonostante l’atteggiamento scontroso e le continue negazioni, il sentimento che l’Esorcista nutriva nei suoi confronti era indubbio. L’ipotesi avanzata dal Duca del Terrore lo aveva ferito a quel modo perché non aveva negato l’esistenza di quell’emozione, ma aveva gettato un’ombra funesta sulla sua possibile evoluzione.

Per quanto irrazionale, Deimos non era uno sciocco: sapeva che, anche se l’Esorcista fosse diventato il suo amante ufficiale, la loro relazione non sarebbe stata semplice. Non solo per i sovrabbondanti ostacoli in entrambi i mondi: il suo carattere incostante, la natura inaffidabile che sfuggiva a lui stesso, lo avrebbe portato a tradirlo pur essendo innamorato di lui. Era un’azione insensata, per questo era sicuro che l’avrebbe commessa.

Non voleva che Lastar credesse di essere uno dei tanti: non lo era mai stato, fin dal giorno in cui il Principe aveva raccolto quel mucchietto d’ossa bellicose nel bosco intorno all’Abbazia.

La profezia del Duca poteva essere corretta: se si fosse unito a lui, Lastar avrebbe potuto pensare di essere il capriccio di una notte, e che il sentimento del demone non fosse forte come pretendeva.

Deimos si arruffò i capelli con rabbia: pensare non era mai stato il suo punto forte. Meglio assecondare la sua natura e cavalcare l’impulso del momento.

Sentì Lastar sobbalzare e irrigidirsi quando poggiò il viso sulle sue cosce, coperte solo dall’asciugamano. Se protestò a voce, Deimos non lo udì: poteva avvertire il calore dell’Esorcista attraverso il tessuto, e respirare il suo odore mischiato a quello del sapone.

Forse interruppe un discorso di rivolta a metà, ma non se ne curò; poggiò le mani sulle gambe dell’Esorcista, una sul ginocchio e una pericolosamente vicina all’inguine, chiuse gli occhi e mormorò suadente:

«Lastar, se ti chiedessi di dividere il letto con me, per questa notte… che cosa risponderesti?»

 

 

 

 

 

 

 

 

Quarto capitolo<3

Scusate l’attesa, il periodo di esami (finalmente CONCLUSO!!!) è stato particolarmente stressante çAç

Grazie a tutti coloro che sono arrivati a leggere fin qui. Mi rendo conto che il capitolo ha lasciato molti interrogativi in sospeso, ma non temete: i prossimi capitoli sveleranno ogni arcano<3

Ciò detto, torno subito a scrivere<3

A presto!

Red

P.S. Come sempre, per i dettagli tecnici consultate il Commentario.

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