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Autore: Sghisa    17/02/2013    1 recensioni
A qualche anno di distanza dalla fine del college, a Neptune si incrociano nuovamente i sentieri di vecchi amici. Un mistero sembra celarsi dietro alle loro ordinarie e serene vite. Un mistero che li riunirà.
Genere: Romantico, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Comode verità


“Logan, stai scherzando, vero?” Veronica stava urlando ma a bassa voce. Era infuriata, e Logan era sicuro di non averla mai vista così. Va bene, le aveva tenuto nascosto qualcosa che avrebbe dovuto dirle, del resto si trattava del suo migliore amico. Però Logan era sicuro che lei sarebbe corsa da Wallace a dirgli tutto, cosa che Logan non avrebbe permesso. Aveva fatto una promessa a Jackie e avrebbe fatto di tutto per mantenerla.
“Veronica, per piacere... ho mal di testa e ho dormito due ore. Potresti non azzannarmi alla giugulare di prima mattina?” Disse Logan, passandosi la mano sulla fronte. Non aveva voglia di discutere con lei, e men che meno di chiedere scusa. La sua era stata la scelta corretta: tra le due donne non era mai corso buon sangue, vuoi perché Veronica si sentiva sempre attaccata, vuoi perché Jackie non si era mai risparmiata nel criticare la bionda. L'ultima cosa di cui aveva bisogno Wallace in quel momento è che Veronica si intromettesse in una questione così delicata.
“Azzannarti? Dovrei sbranarti, maledizione. Ma come ti è saltato in mente di non dirmi che Wallace ha un figlio che nemmeno conosce?”


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“Grazie per averci accompagnati all'albergo, Wallace” disse Jackie sorridendogli. “Bambini, io accompagno Wallace alla macchina. Fate i bravi e disfate i bagagli. Vado a cercare anche una baby sitter per questa sera, potrebbe volerci un po'. Se volete accendete pure la TV. Torno subito!” Li baciò sulla fronte e si chiuse la porta dietro le spalle. Lei e Wallace si avviarono verso l'ascensore senza parlare.
Wallace non sapeva cosa dire, non aveva molto da dire per essere precisi. Non sapeva se aveva capito bene, e non sapeva cosa Jackie si aspettasse da lui. Era come ubriaco: troppe emozioni, troppi pensieri, troppi ricordi che non riusciva a gestire. Aspettarono l'ascensore senza nemmeno guardarsi negli occhi. L'ultima volta che erano stati lì, il loro futuro era carico di aspettative, il loro presente colmo di amore. Avevano appena passato la notte assieme, e stavano lasciando il Neptune Grand. Non la smettevano di baciarsi, sfiorarsi, abbracciarsi. Non potevano farne a meno, come ora non potevano fare a meno di tenere una certa distanza. Come erano cambiate le cose. Dieci anni li separavano, ma allo stesso tempo un figlio li univa.

“È tuo figlio” esclamò Jackie non appena fu salita in ascensore “L'avevo capito” rispose laconico Wallace “Non sono così stupido, sai?” Era arrabbiato ma felice, triste e su di giri. Era padre, Jackie era lì con lui... cosa voleva di più dalla vita.
“Grazie per avermelo detto!” “Wallace io... non volevo costringerti a rinunciare alla tua vita per me, dopo che ti avevo esplicitamente chiesto di non farlo solo un paio di mesi prima. Non potevo farlo. Per me crescere due figli invece che uno da sola con mia madre non sarebbe stato più complicato: comunque la mia vita tornata a New York sarebbe cambiata... Non potevo in cuore mio importi la mia decisione.” “Non hai pensato che forse avrei avuto qualcosa da dire in proposito? Capisco che a portarlo in grembo per nove mesi sei stata tu, ma metà del suo patrimonio genetico è come il mio. Questo mi da dei diritti, non credi? E anche dei doveri, non solo economici ma anche affettivi, ai quali non ho potuto adempiere negli ultimi dieci anni!” fermò l'ascensore. Jackie impallidì, la scossa era stata piuttosto forte, e lei non si aspettava una reazione così aggressiva da parte di Wallace. “Sarei potuto essere un ottimo padre!” “Non puoi saperlo, Wallace. Quel che è certo è che non saresti arrivato dove sei ora. E l'avresti rimpianto...” “Questo è qualcosa che tu non puoi sapere Jackie. Non puoi sapere cosa ne sarebbe stato di me, né se avrei rimpianto la mia decisione. Cavoli, so cosa significa vivere senza il proprio padre, e guarda cosa mi hai imposto: non essere presente nei primi dieci anni di vita di mio figlio. Come hai potuto farmi questo?” le lacrime iniziarono a scendere copiose sulle sue guance “Io ti ho amata dal primo momento che ti ho visto, avrei dato la vita per te, non sono mai riuscito a cancellarti dalla mia vita, e tu come mi ripaghi? Nascondendomi l'esistenza di mio figlio? Ma lo hai un cuore, Jackie? Lo hai mai avuto?” La giovane donna, appoggiata alla parete, singhiozzava rumorosamente. Tremava e piangeva, non riusciva a proferire parola. Come poteva spiegargli quanto fosse stata difficile per lei quella scelta? Con che coraggio ammettere che aveva pensato a lui ogni giorno da quando si erano lasciati all'aeroporto JFK? Come ammettere di aver commesso il più grande errore della sua vita quel giorno? Come...

Alzò la testa e puntò gli occhi in quelli di lui. “No, Wallace, non ho più un cuore. É andato in frantumi il giorno in cui ho dovuto dirti addio.”


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Veronica uscì dalla stanza quasi correndo, dimentica della presenza di altre persone nell'appartamento. E così quando, entrata in cucina, si trovò davanti ad una ragazzina bionda dai profondi occhi scuri che le ricordava immensamente Meg e Lilly contemporaneamente, rimase spiazzata per un secondo. Scosse la testa, confusa e frastornata. Poi la ragazzina aprì bocca: “Zio Logan buongiorno!” sorrise all'uomo che era sbucato dalla camera di Veronica. La voce della piccola Lilly ebbe l'effetto di una secchiata d'acqua fredda sulla giovane donna. “Lilly?” domandò, mentre gli occhi le pizzicavano. No non stava piangendo. O forse si.
Veronica fece un passo verso la ragazzina, e cadde in ginocchio. Non la toccò, non si mosse, rimase ferma, gli occhi puntati sulla figlia di Duncan e Meg, mentre le lacrime  sgorgavano copiose lungo le sue guance. Non capiva perché: non era sua figlia, avevano passato assieme pochissimi giorni, quindi non poteva avere un rapporto privilegiato con lei. Eppure vederla, viva, felice, quasi una donna... l'emozione che provava in quel momento era indescrivibile!
“Sei... bellissima, Lilly!” “Grazie Veronica. Anche tu sei bellissima, come mi ha sempre detto papà!” e saltò al collo della bionda investigatrice. Abbraccio che Veronica, dopo un momento di spaesamento, le restituì!
Logan, appoggiato allo stipite della porta, le osservò sorridendo. In quel momento comparve anche Duncan, dalla stanza di Keith. Fece cenno al suo migliore amico, e restarono tutti fermi, come in una fotografia per alcuni istanti. Poi Logan decise che era il momento di interrompere quella scenetta, per quanto commovente fosse. “Che ne dite di mettere qualcosa sotto i denti? Io ho una fame...” Lilly si staccò da Veronica e, saltellando per la stanza si mise ad urlare “Pancake, pancake!” “Sciroppo d'acero, fragole e panna?” la provocò Logan “Sì!” “Sono proprio la mia specialità! Mi dai una mano?” “Siiiiiii!” era evidente che il fascino di Logan aveva colpito un'altra volta!
Duncan si avvicinò a Veronica e le posò una mano sulla spalla. “Non è meravigliosa?” “No Duncan, è molto più che meravigliosa: è magnifica! Hai fatto un lavoro splendido con lei. Sei un padre fantastico. Nessuno potrà mai accusarti di non aver offerto il meglio alla tua bellissima figlia!!” Si era alzata in piedi e guardava Duncan fiera di lui. “Hai pensato alla mia proposta?” Le domandò Duncan. “Ci sto ancora pensando. Ho bisogno di un po' di tempo, devo riflettere bene e soprattutto confrontarmi con mio padre. Dammi un po' di tempo...” e si avviò verso la cucina. Il discorso era chiuso, almeno per il momento.
Logan e Lilly stavano per servire la colazione, così Veronica accese la TV. Erano due giorni che non riceveva notizie dal mondo esterno. Lo speaker stava parlando di un arresto avvenuto da poche ore nella contea di Bilboa. Veronica alzò il volume e attirò l'attenzione di tutti. Sullo schermo il volto di una giovane agente dell'FBI, autrice dell'arresto. La donna era proprio bella, di origine sudamericana: la pelle olivastra, i capelli scuri e mossi. Dietro di lei un volto noto, quello di Leo D'Amato. I due uomini si voltarono verso Veronica che, soddisfatta, sorrideva al televisore. “Opera tua?” “Opera mia. Lei è Angela Weiss, e direi che è riuscita perfettamente nel suo compito.” “Vuoi dire...” “Si, DK, sei libero. Il Signor Manning è appena stato arrestato per maltrattamento di minori. Per tenere la potestà sulla figlia più piccola ancora minorenne, la signora Manning ha promesso di ritirare la denuncia. Così fa l'FBI! Bentornato a Neptune Mr Kane!”
Duncan fissò il televisore per un lungo momento, mentre le immagini del signor Manning in manette si alternavano alle interviste all'agente Weiss e alle immagini della città di Neptune. Poi, cercando di non farsi notare da sua figlia, in silenzio, lasciò che la tensione accumulata negli ultimi mesi fluisse dalle sue lacrime, mentre Veronica e Logan distraevano la piccola Lilly, mettendo nei piatti i pancake appena fatti e ricoprendoli di panna e fragole.
La sensazione di libertà che Duncan provò in quel momento lo travolse per alcuni minuti, poi si ricompose e si rivolse a sua figlia. “Ho come la sensazione che dovremo cercarci una casa. Come la preferiresti, tesoro? Sulla spiaggia o con un bel giardino e la piscina?” “Ovunque ci sia tu, e ovunque tu sia felice, papà!” Esclamò la bambina, mentre lo sciroppo le colava lungo il mento. Duncan non era stato così felice da fin troppo tempo!


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Si stava preparando per uscire. Aveva appuntamento con Mac per un caffè e quattro chiacchiere. Erano capitate un sacco di cose dall'ultima volta che si erano viste, non da ultima i quattro o cinque minuti in paradiso con Logan.
Ah, e come dimenticare la folle richiesta si Duncan? Come se la mia vita non fosse già abbastanza incasinata di per sé? Sono tutti ammattiti a 'sto mondo? Maledizione... come se non bastasse tutto l'alcol che ho ingerito nelle ultime ore mi si sta rivoltando contro e la mia testa non la smette di pulsare... l'avevo detto io che era meglio stare lontana dai guai, da Neptune, da Logan... maledizione, maledizione, maledizione...
Stava cercando una maglietta da indossare che non gridasse “liceale ribelle”, ma non riusciva proprio a trovarne. Del resto il suo guardaroba si era trasferito con lei a L.A., e ciò che era tornato con lei a Neptune era nell'armadio a casa di Mac e Dick. Si ripromise di passare da loro a recuperare le sue cose nel pomeriggio. Ripescò una T-shirt bianca e una felpa rosa, un paio di jeans piuttosto lisi e delle Convers che avevano almeno otto anni.
Si stava vestendo quando Logan entrò nella stanza. “Hey!” esclamò lei, infilandosi la maglietta. Non la imbarazzava farsi vedere in biancheria da Logan. Non era mai stato imbarazzante, e questa abitudine le era rimasta. “Hey!” rispose lui “Stai uscendo?” “Si, girl talk, come si suol dire. Ho un po' di cose delle quali parlare con Mac, un po' di cose in sospeso e un po' di segreti da svelare...” “Immagino anche qualche consiglio da chiedere, no?” lo domandò con fare divertito, come per prenderla in giro. Veronica lo squadrò con aria scocciata. Con il dito indice disegno il contorno del suo viso “Mi conosci... la mia faccia ti dice che preferire...” e lasciò la frase in sospeso. Logan rise di gusto “Fare speleologia?” “No... passare una settimana con Madison Sinclaire su un isola deserta!” Poi sorrise “No, non lo preferirei, forse. No io e Mac non parliamo di certe cose, non siamo così girl talk! Ma non ti preoccupare, non mi sono dimenticata di te e del nostro appuntamento. Io e Mac prendiamo un caffè e poi andiamo dalla parrucchiera e dall'estetista: unghie e acconciatura per la serata. Poi io e te penseremo a vestito e scarpe!” Logan sorrise. Non era cambiata, in fondo!

“Veronica... volevo parlarti di una cosa.” Lei era in bagno, che cercava di pettinare i capelli tutti arruffati. “Dimmi” esclamò, guardando l'immagine di lui riflessa nello specchio. “Io pensavo... quello che ha detto Duncan mi ha fatto riflettere. Lui... non è che è ancora innamorato di te? Cioè, alcuni suoi discorsi mi sono sembrati molto connessi al passato. Sembra che lui non si sia mai mosso oltre il giorno in cui vi siete dovuti salutare. Tu non hai avuto questa sensazione?” Veronica finalmente uscì dal bagno. Non voleva affrontare quel discorso che era per lei estremamente doloroso. “Logan... non lo so. Penso che se fuggi e ti lascio tutto alle spalle, ma allo stesso tempo non puoi costruire nulla nel tuo futuro... beh forse aggrapparti con le unghie e con i denti al passato, a ciò che ti rendeva felice come salvagente per la tua felicità presente... Magari è l'unico modo. Ma non credo che lui sia innamorato di me, della Veronica che sono diventata, della Veronica che sono stata  dal giorno della morte di Lilly. Non mi ha mai capita, non è mai andato oltre l'immagine fittizia che si era costruito di me, di noi. Penso che se le cose stanno così, presto si renderà conto che io non sono ciò che vuole e potrà finalmente andare oltre. Duncan non mi ama, e quello che conta è che io non amo lui. Non lo penso da anni...”
Logan sembrava essere molto più rilassato. Chissà perché, ma aveva bisogno di costanti conferme. Veronica sarebbe stata più che contenta di dimostrargli quanto fosse legata a lui, al loro passato, alla loro storia... quanto l desiderasse e quanto lo avesse segretamente desiderato negli ultimi dieci anni. Dieci anni di struggenti ricordi. Sapeva benissimo come ci si sente a vivere con il passato come proprio futuro.
“Mettiamo che sia effettivamente così” riprese Logan “Beh... visto che non ne abbiamo ancora parlato e non abbiamo né il tempo né la forza di parlarne adesso, che ne dici se tenessimo un basso profilo e, qualunque cosa sia quella che stiamo facendo, tenessimo per noi... questo?” Lo disse baciandola “E questo” e la baciò con crescente entusiasmo “E questo” finalmente lei lo ricambiò. Era un sì alla sua richiesta: avrebbero mantenuto il loro piccolo segreto, per qualche tempo almeno.


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Mac la stava aspettando con due caffè in mano davanti alla sua estetista preferita: tutte le dipendenti erano asiatiche e nessuna di loro amava parlare con le clienti. Servizio veloce e preciso, e non era necessario intrattenersi con loro. Cosa chiedere di più?
Quando vide la bionda arrivare, si abbassò gli occhiali sul naso e la fissò avvicinarsi con fare malizioso. “Allora, Bond? Come ci si sente ad essere una donna libera?” “Come potrei esprimere la mia immensa gioia se non attraverso un imbarazzante abbraccio?” e così saltò al collo dell'amica, che allargò le braccia per salvare i caffè e si lasciò trascinare dall'enfasi dell'amica. “Vacci piano V la mia vita dipende dall'esistenza di questo caffè!” e porse uno dei due bicchieri di carta all'amica che lo accolse con estrema gratitudine. “Mac, se tu non fossi già impegnata e se nello storico stato della California fosse permesso ti chiederei di sposarmi!” “Allora come è andata nelle ultime ore? In quali altri guai ti sei cacciata?” la sua era una battuta, ma il volto di Veronica le fece capire che, per l'ennesima volta, c'aveva azzeccato: Veronica tanto per cambiare si era infilata in guai seri.
“Ok, sai cosa facciamo adesso? Entriamo in questo posto dove tutti sono estremamente discreti e mi racconti il raccontabile. E intanto ci facciamo coccolare un poco in previsione della grande serata che ci aspetta!”
“Mac, leggo emozione nella tua voce? Come è possibile. Rituffarsi nel passato... il liceo... le umiliazioni... davvero? Non ti facevo così sentimentale!” “Oh, Veronica, non hai idea di quanti sentimenti repressi io abbia bisogno di sfogare!” La prese sotto braccio e la trascinò nel salone di bellezza.
Salone dal quale uscirono due ore dopo: manicure perfetta, mesa in piega di classe e un sacco di pensieri nella testa. Veronica aveva parlato tutto il tempo e ora toccava a Mac dire la sua. “Beh, innanzitutto mia cara devo dire che non ti facevo così brava nel mantenere i segreti. Anche se forse la cosa non dovrebbe stupirmi così tanto...sei pur sempre Veronica Mars... Che dire, sono molto contenta che tuo padre stia bene e che quindi non gli sia capitato nulla di male. Ma... era proprio necessario fingere un rapimento?” “Necessario no, ma è stato estremamente utile e anche un po' divertente!” “Ovvio, se non ci metti tutti nel sacco non sei contenta... comunque. Non abbiamo molto tempo, a quanto mi dici per cui andrò dritto al sodo: tu e Logan? Che novità. Mi sarei stupita del contrario. Come potete ogni volta cascare nello stesso errore senza aver prima affrontato una volta per tutte le questioni che da quasi dieci anni tenete in sospeso?” Le due donne stavano camminando lungo il marciapiede “Insomma, lui ti ha ferita più di una volta. Ti sei dimenticata di come ti ha trattata dopo la morte di Lilly? Era proprio un bastardo. Ti ha nascosto dei segreti, ti ha  mentito, ti ha infilata nella faida tra 09 e PCHers, si è fatto trovare a letto con Kendall poche ore dopo averti dichiarato amore epico, che tra parentesi suona molto meglio di eterno, è andato a letto con Madison... Beh non che tu sia una santa. L'hai accusato ripetutamente di omicidio, hai tradito la sua fiducia, l'hai sempre trattato come manchevole e bugiardo, come se non si meritasse di stare con te... Insomma Veronica, queste sono cose pesanti. Non si lavano via con un colpo di spugna, non si dimenticano come se niente fosse. E voi non avete mai affrontato questi argomenti.”
La delusione sul volto dell'amica le fece capire di dover addolcire la pillola. “Non sto dicendo che tu e Logan non dovete stare assieme, sia chiaro. Non sono io a doverlo decidere. Inoltre voi due siete veramente epici... ti ha salvato la vita, ti ha protetta, tu non l'hai abbandonato quando tutto il mondo gli urlava contro e gli hai dato fiducia quando alla fine hai capito. Quello che penso è che prima o poi dovrete sedervi attorno a un tavolo, possibilmente con tutti i vestiti addosso, e parlare. Parlare di voi, arrabbiarvi, chiedere scusa, ma soprattutto ascoltare quello che l'altro ha da dire. E poi decidere se potete o non potete stare assieme.” Si sedettero ad un caffè e ordinarono due spremute d'arancia e due sandwich. Era ora di pranzo ormai.
“Io l'ho perdonato. Gli ho perdonato tutto un sacco di tempo fa. Non provo rancore verso di lui e...” Non fece in tempo a finire la frase “L'hai perdonato o ci sei passata sopra? No perché la litigata dell'altra sera mi fa pensare che almeno lui non ti abbia ancora perdonata!” Dire quelle cose faceva a Mac tanto male quanto il dolore che provava Veronica nel sentirle. “Veronica” disse, stringendole la mano “A maggior ragione dopo quello che vi è stato chiesto ieri sera dovreste prendere le cose sul serio, riflettere bene e capire se potete farcela. Non fatevi trascinare dai sentimenti e dall'attrazione. Metteteci un po' di testa questa volta. Se accettate di diventare tutori della bambina, non ci saranno solo le vostre vite in ballo, ma anche la sua. Sua madre è morta, suo padre è... un fuggiasco. Se anche i suoi punti di riferimento la abbandonano come crescerà?” Veronica non aveva ancora assaggiato il suo sandwich. Un vago senso di nausea la permeava, la testa le girava e le sudavano le mani. Rispondere a Mac sarebbe stato rendere reale la sua decisione, che fino a quel momento era stata una questione intima e personale.
“Mac, io non voglio essere il tutore legale di Lilly. Non posso esserlo!”


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Duncan e Logan erano a casa, con la piccola Lilly che disegnava sul tavolo della cucina. La televisione andava, ma nessuno dei due vi prestava attenzione. Stavano parlando degli ultimi dieci anni, di come erano cambiate le loro vite. Duncan sorrise all'amico, prima di coglierlo alla sprovvista. “Certo abitudini, però, non cambiano mai?” “Di cosa stai parlando?” domandò Logan, anche se aveva come la sensazione di sapere dove i suo vecchio amico stesse andando a parare. “Come essere più chiaro...” Duncan sembrava sia divertito che irritato da ciò che stava per dire “Tu e Veronica. Può accadere di tutto e voi due, chissà perché, vi ritrovate sempre l'uno tra le braccia dell'altro. Ma non vi ricordate dei disastri che combinate, ogni volta che siete assieme? Siete una bomba a orologeria...”
Logan scoppiò in una risata nervosa, quasi isterica. “Ma di cosa stai parlando DK? Io e V? Spero tu stia scherzando, insomma, non è che ci siamo frequentati spesso negli ultimi dieci anni. Anzi, ci siamo sapientemente evitati. Dopo che mi ha chiuso la porta in faccia dopo l'affare Piz, ci siamo visti solo in occasione del matrimonio di Mac e Dick. Ma visti è il termine adatto: abbiamo condiviso lo spazio visivo solo in quanto testimoni, ma a mala pena ci siamo rivolti la parola. Dopo i brindisi lei è evaporata! Non c'è più stato nulla tra di noi...” “Fino a ieri sera, no? Dai Logan non trattarmi come se fossi un imbecille. Conosco i segnali: tu e lei che vi stuzzicate meno aggressivamente del solito, la tensione è palpabile. E poi, ricordati, gli sguardi che oggi lancia a te una volta erano rivolti a me! Anche se non erano così... passionali. Penso che la maturità le stia facendo bene, almeno da quel punto di vista. Siete stati silenziosi la scorsa notte...”
“Non so cosa pensi di aver visto, Duncan, ma io e Veronica non siamo stati assieme la scorsa notte, né una notte qualunque degli ultimi anni. Si, ho passato la notte in camera sua, ma non è successo nulla tra di noi: te lo giuro!” “Logan, non so cosa sia successo, ma so cosa succederà: tu è Veronica è matematico, si tratta di chimica e fisica, non può che essere così. Lo sanno tutti quelli che vi hanno conosciuti e visti assieme, tutti tranne voi.”
“Io non posso... io non so... DK... ci siamo rivisti dopo dieci anni e tu vuoi tirare fuori questo argomento subito?” “Si Logan, perché voglio mettere in chiaro una volta per tutte che Veronica per me è una delle persone a cui sono più legato e a cui voglio più bene. Se fossi rimasto a Neptune magari le cose sarebbero andate diversamente, ma dieci anni di distanza, una figlia illegittima e la mia fuga hanno diciamo offuscato i miei sentimenti. L'immagine di Veronica che ho portato via con me non ha molto a che spartire con la Veronica in carne ed ossa che entrambi conosciamo. È molto vicina alla Veronica delicata e sensibile, candida e innocente della quale mi sono innamorato anni fa. La Veronica con la quale abbiamo a che fare oggi è invece molto simile a quella di cui ti sei innamorato tu. Ed era anche quella che ti ha ricambiato fin dal primo momento. Non incondizionatamente, ma Veronica ti ha amato moltissimo: almeno quanto tu hai amato lei.” Duncan tacque brevemente. “ Ti sto dando la mia benedizione Logan, per quanto valga. Io non penso più a Veronica in quel modo da anni. Ho avuto mia figlia e la nostra fuga a riempirmi la testa da quando ho lasciato Neptune, e ben poco tempo per rimpiangere il passato. Ma mi sono reso conto che non desideravo più Veronica, e soprattutto che lei non desiderava più me, nel momento in cui ha risposto al telefono la prima volta che ci siamo sentiti. C'era affetto, forse un po' di nostalgia nel suo tono; ma di sicuro non c'era struggimento. Come d'altronde non c'era nel mio di tono.”
Logan sorrise al suo vecchio amico. Non sapeva ancora cosa sarebbe successo, non aveva fatto piani e non aveva intenzione di farne. Voleva fare un passo alla volta, cercando di godere di ogni momento quanto più possibile senza però dimenticare i loro problemi o passare sopra alle questioni lasciate in sospeso. Voleva confrontarsi con Veronica, capire cosa desiderava lei, scoprire se almeno uno dei riusciva ad immaginarsi una vita assieme e fosse quindi disposto a combattere per riuscirci. Avere il benestare di Duncan era per lui fondamentale. Stava per alzarsi ad abbracciarlo quando le immagini alla TV attirarono la loro attenzione. Lo sceriffo stava ammanettando accompagnando la signora Manning e le due figlie in centrale. Logan alzò il volume. La giovane e avvenente speaker stava raccontando l'accaduto “Pare che le tre donne siano state convocate presso l'ufficio dello sceriffo della contea di Balboa all'interno del processo che vede coinvolto Derek Manning, arrestato ufficialment poco fa. Le autorità federali stanno prendendo in mano il caso. Da Darline Connor è tutto, a voi la linea.”
“Beh, a quanto pare sei un uomo libero, amico mio! Questa sera avremmo un sacco da festeggiare!”


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Era seduto al bar con lei da almeno una ventina di minuti ed era già al terzo whisky. Non le aveva ancora permesso di aprire bocca, ma sapeva che prima della fine del quarto whisky avrebbe dovuto permetterle di parlare. Prese in mano il bicchiere, la guardò fissa negli occhi, poi, prima di avvicinare il vetro alle labbra finalmente le parlò. “Hai cinque minuti per dirmi quello che hai da dire. Poi vedremo...” e iniziò a sorseggiare il suo drink.
“Wallace, che dire, come scusarmi o giustificarmi? Nulla. Ti posso solo raccontare come è andata. Ci siamo lasciati al JFK. Io sono tornata alla mia routine, rimpiangendo il fatto di averti lasciato andare, di non averti seguito. Ma avevo una figlia da crescere, una bambina che mi aveva vista per pochi mesi... avrei rinunciato comunque a qualcosa. Ho optato per lasciarti andare via: mia figlia non poteva crescere senza di me, tu senza di me saresti stato libero. Sono passati due mesi. Io avevo il mio tran tran. Stavo cercando di portare avanti la mia vita: studiavo per iscrivermi all'università, lavoravo alla tavola calda con mia madre e finalmente facevo il mio dovere, facevo la mamma. Avevo detto a Tessa che ero io la sua mamma. Poi le nausee sono cominciate. L'avevo passata da poco, il mio ricordo della maternità era così fresco che ho capito al volo cosa fosse successo. Le prime settimane sono state un incubo, perché non sapevo proprio cosa fare. Chiamarti e dirtelo? Cosa avrei ottenuto? Le opzioni erano due: che tu corressi da me e rinunciassi alla tua vita, e io mi sarei sentita in colpa per tutta la vita. Oppure avresti potuto ignorarmi."
Poi proseguì.
"Non ero preparata a dirtelo, a sconvolgerti la vita e a subirne le conseguenze. Non volevo ferirti, non volevo costringerti... e non volevo anche questa responsabilità. Ne avevo già abbastanza di crescere due figli. Gestire anche il padre di uno dei due che magari mi avrebbe odiata o addirittura avrebbe voluto portarlo via da me...” Tacque per un lungo momento, cercando di leggere qualcosa negli occhi quasi inespressivi di lui. Dato lo scarso risultato riprese a parlare.
“Sono stata profondamente egoista, lo so, e mi sono sempre detta di averlo fatto per te. Anche per pulirmi la coscienza. Ma ti ho sempre pensato, non sai quante volte ho pensato, provato, tentato di contattarti per dirti tutto, ma più il tempo passava più per me era difficile dirti la verità, informarti che eri diventato padre, farti conoscere tuo figlio. Ero sicura che non mi avresti mai perdonata e volevo posticipare il più possibile il momento in cui tu mi avresti detto che mi odiavi. Ero certa che sarebbe stato il momento più difficile della mia vita e volevo solo rimandarlo...”
“Ma io non ti odio!” l'aveva interrotta all'improvviso. Finalmente aveva parlato e ciò che aveva detto non si avvicinava nemmeno lontanamente a ciò che Jackie si aspettava da lasciarla esterrefatta. “Non mi odi? Nonostante quello che è successo?” “No Jackie. Trovo ingiusto quello che hai fatto, e sarà difficile buttare giù questo boccone amaro. Ci vorrà del tempo, ma è qualcosa su cui dovremo lavorare. Non ho intenzione di odiare la madre di mio figlio, la prima donna che ho amato, la donna che non ho mai dimenticato. Dovremo lavorare per sistemare questa cosa, ma prima di tutto vorrei conoscere mio figlio, riconoscerlo e occuparmi di lui. Fare tutto quello che posso per lui ma anche per te.”
Wallace parlò ancora a lungo, ma l'unica cosa che Jackie aveva registrato era che lui non l'aveva dimenticata. Forse era valsa la pena aspettarlo.


Spazio autrice: Promessa mantenuta! Manca poco alla fine! Grazie a chi segue!



  
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