Note:
Gli avvenimenti narrati accadono dopo il sesto libro.
Ringrazio i beta, rigorosamente in ordine alfabetico, Midnight,
Ranessa e Rowena, per aver
sopportato i miei scleri.
CAPITOLO 1
Il vapore saliva in pigre spirali
dalla vasca ricolma d’acqua. Lentamente, la schiuma che formava una compatta
cortina si sollevò e una massa di capelli rossi fece capolino. Uno sbuffo
malinconico e alcune bolle di sapone si alzarono, indugiando per alcuni istanti
prima di iniziare una lenta caduta. Tonks le osservò senza guardarle davvero,
la sua mente vagava inseguendo mille frammenti di pensiero. Per l’ennesima
volta allungò un braccio oltre il bordo della vasca e afferrò la bacchetta
posta su un basso sgabello. Mormorò un incantesimo e l’acqua, che si stava
raffreddando, tornò ad essere calda come le piaceva.
Posò la bacchetta e dedicò un’occhiata distratta alle dita bianche e
raggrinzite. Guardò l’ora: non erano ancora le undici e dunque poteva indugiare
ancora un po’ in quel piacevole torpore, anche se era immersa ormai da
parecchio. Non riusciva mai a dire basta ad un bagno bollente ricolmo di
schiuma, era un piacere al quale non sapeva rinunciare. Nulla poteva rilassarla
e ad aiutarla a schiarirsi le idee come un buon bagno caldo. Chiuse gli occhi e
di nuovo si perse nel turbine di pensieri ed emozioni, che da un po’ di tempo
regnavano incontrastati dentro di lei.
Una volta uscita dalla vasca, avvolta nell’accappatoio e tenendo la bacchetta
nella mano destra, si sedette sul letto, attenta a non sgualcire il vestito che
vi era steso sopra e che avrebbe dovuto indossare da lì a poco. Tonks guardò
l’indumento e si lasciò scappare un leggero sorriso, sostituito subito dopo da
uno sbuffo e da una strana sensazione allo stomaco. Decise quindi di
concentrarsi sui suoi capelli e, bacchetta alla mano, prese ad asciugarli.
Quando finalmente fu pronta, si fermò davanti allo specchio di camera sua per
alcuni secondi: Diede un’ultima sistemata ai capelli, portando alcune ciocche
ribelli dietro l’orecchio, per poi infilarsi in testa un cappello da strega
nero che le aveva regalato sua madre qualche anno prima,
ma che aveva indossato raramente.
“Stai molto bene.”
Una voce alle sue spalle la fece sussultare. Si spostò quel tanto che bastava
per riuscire ad intravedere l’immagine di sua madre nello specchio, ferma sulla
soglia della porta.
Tonks la ringraziò per il complimento, diventando leggermente rossa in volto.
“Ma tu guarda che disordine!”
“Mamma!”
“Ninfadora, sei tornata da due settimane e guarda qui, non è possibile!”
“Non chiamarmi Ninfadora!”, le rispose Tonks girandosi verso di lei. Le due
donne si scrutarono per qualche secondo prima di
iniziare a ridere.
Anche se aveva vissuto fuori casa per un paio d’anni, non era cambiato assolutamente
nulla tra di loro.
“Vai, o farai tardi.”
Tonks annuì e dopo aver abbracciato sua madre si diresse verso il camino del
soggiorno, salutò suo padre, che aveva la testa nascosta dietro
William, conosciuto da tutti come Bill, se ne stava disteso sul suo letto, con
le mani dietro la nuca e lo sguardo fisso rivolto verso il soffitto. Indossava
una semplice maglietta bianca, con sopra alcune scritte in nero: ogni tanto le
lettere si invertivano per formare una nuova frase. Se in quel momento fosse
entrata sua madre, nonostante non fosse più un bambino, si sarebbe preso una
bella lavata di capo: le scarpe sul letto non si mettono! Sospirò e,
finalmente, tolse le mani da dietro la nuca e si stiracchiò, per poi posare il
suo sguardo verso il suo comodino. Lentamente prese un piccolo porta foto, lo
fissò per alcuni secondi, sospirò nuovamente e lo ripose accuratamente sul
comodino.
Quella foto era comparsa da poco nella sua camera. Ritraeva due persone in
lontananza, nel giardino della Tana, che dormivano appoggiate ad un albero: era
stata scattata a tradimento da sua madre, circa tre settimane prima.
Tornò nella posizione di prima con la mani dietro la
nuca.
Intorno a lui c’erano quattro valigie, di cui una ancora aperta, un borsone e
uno zaino, dentro al quale sarebbero finite le valigie
miniaturizzate, in modo da riuscire a portarle più comodamente durante il
viaggio.
Da lì a poco sarebbe partito per ritornare in Egitto e, almeno per tutto l’anno
successivo, non sarebbe tornato a casa. Ancora non sapeva se quelli della
Gringott lo avrebbero fatto stare solo un anno o più, ma al momento, questo era
l’ultimo dei suoi pensieri.
Le sue riflessioni furono interrotte da qualcuno che bussava alla sua porta.
Una testa, rossa quanto la sua, fece capolino nella stanza.
Ginny osservò il fratello perplessa, prima di
avvisarlo che era ora di scendere.
“Di già?”, chiese incredulo Bill. Non pensava fossero già passate due ore.
“Sì, è ora. Mamma ha già preparato i fazzoletti.”
“Va bene,” rispose in tono rassegnato, “Scendo
subito.”
Lentamente si mise a sedere sul letto, chiuse l’ultima valigia e iniziò a
miniaturizzare le altre.
“Perché hai una foto di Tonks sul comodino?”, gli chiese Ginny cogliendolo alla
sprovvista.
Bill, senza guardare sua sorella negli occhi, scrollò le spalle, “È l’unica
foto in cui sono venuto bene, perché in quella foto ci sono anch’io”, le fece
notare, “Poi cercavo qualcosa che sostituisse quella
di prima e non c’era molta scelta.”
Ginny inarcò un sopracciglio e, dopo aver scosso la testa, gli disse che lo
avrebbe aspettato di sotto.
Sospirando, Bill spostò lo sguardo un paio di volte dalla foto all’unica
valigia che ancora non era stata miniaturizzata e dopo un attimo di incertezza
la prese e la ripose nella borsa, prima di finire quello che stava facendo.
Prima di uscire si girò un’ultima volta a guardare la sua stanza, poi chiuse la porta e si diresse al piano inferiore.
Una volta posato lo zaino nell’atrio, si diresse nel salotto dove ad
attenderlo, oltre ai suoi genitori, c’erano Ginny, Ron, Percy e Tonks. Charlie
non c’era, in quanto era ripartito per
Sua madre era seduta sul divano con Tonks: stavano entrambe chine su un
ginocchio di lei; era inciampata nell’uscire dal camino, come succedeva da un
po’ di tempo a questa parte, da quando i Weasley
avevano deciso di rifarlo, rialzando il bordo.
“Ancora?”, disse Bill, cercando di non ridere, rivolgendosi alla ragazza.
Tonks sbuffò, “Sì!”, disse sconsolata, “La prossima volta mi Materializzo!”
“Allora attenta al tappeto nuovo davanti alla porta di ingresso”, le rispose
Bill in tono scherzoso, per poi sorriderle dolcemente, cosa che fece arrossire
leggermente la ragazza.
Percy, che teneva sotto controllo il giardino dalla finestra della sala, avvisò
i presenti che sia Fred e George, sia la passaporta si
erano appena Materializzati nel giardino.
Bill guardò l’orologio: mancavano ancora dieci minuti buoni prima della sua
partenza e, volente o nolente, era arrivato il tempo dei saluti.
Iniziò con Molly, che tanto poi avrebbe riabbracciato alla fine, proseguì con i
gemelli, che tentarono un ultimo colpo infilando qualcosa in una della tasche dei suoi pantaloni, ma che riuscì a fermare in
tempo.
Dopo i gemelli toccò a Percy e poi a Ginny, che gli saltò letteralmente al
collo, per poi stampargli un bacio sulla guancia. Proprio adesso che si era
riabituata ad avere in casa il suo fratellone
preferito, lui partiva.
Dopo Ginny toccò a Tonks.
“Mi raccomando, fai il bravo, non far arrabbiare gli Egiziani e attento alla
birra ”, gli sussurrò all’orecchio la ragazza, mentre lo stava abbracciando.
“ E tu, attenta alle scale, ai tappeti e ai camini. E non torturare troppo quei
poveri ragazzi.”
L’ultima frase gli fece meritare un paio di pugni sulla spalla.
“Scherzavo, mi arrendo”, le sussurrò lui all’orecchio, “Prometto che ti
scriverò presto.”
“Lo spero proprio, altrimenti vengo in Egitto e ti…” Tonks non finì la frase:
il nodo che le si era formato in gola minacciava
seriamente di uscire sottoforma di lacrime, ma si trattenne.
Dopo Tonks, toccò a suo padre e poi nuovamente a Molly, che già aveva iniziato
a versare qualche lacrima.
Una volta usciti in giardino si diressero tutti verso
la passaporta, un vecchio pallone Babbano sgonfio e sporco.
“Hey fratello, un viaggio riservato, quelli della Gringott hanno fatto le cose
in grande!”, esclamarono in coro i gemelli. Con lo zaino in spalla Bill si avvicinò
alla passaporta. Guardò il suo orologio, mancavano pochi secondi.
Il tempo di posare una mano sull’oggetto Babbano e in una luce bianca sparirono
sia il ragazzo che la passaporta.
Tonks era immobile e guardava fissa il punto dove prima stava il ragazzo. Una lacrima minacciava seriamente di scendere, ma fu bloccata
appena in tempo.
“Cara, ti fermi a prendere una tazza di tè?”, le chiese Molly posandole una
mano sulla spalla, hai la faccia di una che ha bisogno di parlare un po’.”
“Ti ringrazio Molly: mi fermerei volentieri, ma ho un appuntamento tra poco con
la professoressa McGranitt.”
“Quindi, hai deciso di accettare.”
“Alla fine sì, ho pensato che potrebbe essere una bella esperienza, almeno per
me.”
“Sono sicura che te la caverai egregiamente.”
Dopo aver salutato Molly, Tonks si diresse a Hogwarts, dove stabilì gli ultimi
dettagli con la professoressa McGranitt: da Settembre, infatti, avrebbe
iniziato un nuovo lavoro come insegnante di difesa contro le arti oscure.
Il viaggio non era stato lungo, non più del solito almeno. Più che altro
era stato stancante.
Infatti Bill, una volta entrato nel solito monolocale
che aveva occupato anche la prima volta che era stato in Egitto, tolse il
grande telo bianco che ricopriva il divano e ci si coricò sopra.
Non stava benissimo. Il suo stomaco era sottosopra, probabilmente a causa del
viaggio; in più si sentiva strano.
Qualche minuto dopo si decise ad alzarsi e a prepararsi un tè, l’unica cosa
commestibile presente nella casa oltre ad un sacchetto di biscotti, il tutto
preparato da mamma Weasley.
L’ultimo anno della guerra contro Voldemort era stato duro, per tutti quanti,
ma ormai quella del Signore Oscuro poteva dirsi una parentesi chiusa. L’unica
ferita rimasta, che si andava rimarginando, era quella sentimentale. La guerra,
ma probabilmente non solo quella, aveva diviso persone e ne aveva unite altre.
Fleur, un mese dopo che Bill era stato sfigurato, lo aveva lasciato. Non una
parola per spiegare, solo un banalissimo “Non siamo fatti l’uno per l’altro.” A nulla erano valsi i tentativi di Bill.
Remus, invece, una settimana dopo il funerale di Silente, aveva chiuso a Tonks
ogni speranza, dicendole di non amarla. Quella di Lupin era una bugia alla
quale lentamente lui stesso aveva iniziato a credere e di fronte alla quale
Ninfadora si era dovuta rassegnare.
Ma quei tempi ormai erano lontani: Bill era riuscito a dimenticare Fleur e
Tonks, Remus. Ci erano riusciti aiutandosi a vicenda, ritagliandosi un loro
piccolo spazio tra battaglie, attacchi e quant’altro
rimaneva. Tutto era iniziato una mattina di fine Agosto, quando Tonks, mentre
entrava a casa Weasley, era inciampata nel tappeto posto all’ingresso. Aveva
iniziato a piangere e non si era più fermata, ma questa volta non c’era Molly
ad aiutarla, ma Bill. I due si erano seduti in cucina con una tazza di tè
fumante in mano e la ragazza aveva tirato fuori quello che aveva nascosto per
mesi, dandosi poi della stupida perché ne stava parlando con una persona
lasciata una settimana prima del suo matrimonio.
Sentendo lo sfogo della ragazza, anche Bill aveva preso coraggio e si era
aperto.
Entrambi si erano resi conto che parlarne con qualcuno faceva bene e quindi
avevano continuato, arrivando al punto di dimenticare quanto era loro successo
e iniziare a sorridere nuovamente. Non un sorriso di facciata, ma uno vero.
In un anno, tra di loro, si era creato un rapporto
“privilegiato”, che loro si ostinavano a chiamare amicizia.
“Ginny!”, urlò Molly dalla cucina.
“Che c’è?”, chiese la ragazza entrando in cucina saltellando.
“Non hai notato qualcosa di strano in tuo fratello, oggi, prima che partisse?”
Ginny ci pensò per qualche secondo, “Se stare sul letto a fissare il soffitto
con aria assente per lui è normale, allora no. Non ho notato nulla.”
Madre e figlia si guardarono scuotendo la testa, rassegnate.