(The real) me – capitolo 5
Agenda di Sebastian: http://instagram.com/p/VWpqP4NJdz/
(sì,
è il mio instagram, ssh)
Songlist: http://www.youtube.com/watch?v=N7p2UeB_QRM
“Ma
bravo, Kurt. Bravo. Riesci a non dormire anche
oggi che è il tuo giorno libero solo a causa di una stupida
agendina lasciata
per caso da Sebastian Smythe in caffetteria. Bravo. Perdere il sonno
per
un’agenda, tu sì che hai buonsenso da
vendere.”
Kurt
non
riusciva a spiegarsi… beh, nulla in effetti. A quel puzzle
mancavano almeno una
decina di pezzi e non riusciva a capire se fosse suo compito cercare di
ritrovarli. L’agenda era stata lasciata lì per
caso o volontariamente? E, in
quest’ultimo caso, perché?
Con
tutte quelle domande che gli vagavano per la mente, si sentiva il
nipote
illegittimo della Signora in Giallo.
Aveva
deciso di non aprire l’agenda di Sebastian, un po’
per paura di quello che ci
avrebbe trovato dentro, un po’ per rispetto. Non poteva
crederci ma sì, stava
parlando di rispetto nei confronti del ragazzo che aveva portato il suo
ex
fidanzato dove lavorava e l’aveva chiamato dalla cucina di
modo che vedesse
bene la scena.
A
volte
Kurt giocava sin troppo pulito, ma non poteva farci nulla. Continuava a
rigirarsi quel piccolo diario tra le dita e a toccare la copertina di
pelle
nera, chiedendosi se all’interno ci fossero, descritti nei
minimi dettagli, momenti
della vita intima – che sembrava così prolifica
– di Sebastian, o peggio, la
scena di Sebastian e Blaine che tornavano a casa dopo quel
caffè…
No,
non
poteva. Non poteva aprirla, non voleva sapere. Sebastian sarebbe
tornato al
Lima Bean il giorno dopo e Kurt gliel’avrebbe ridata,
Sebastian l’avrebbe
guardato ringraziandolo, Kurt gli avrebbe assicurato di non aver letto
nemmeno
una pagina e l’altro gli sarebbe stato così
riconoscente da smettere, una volta
per tutte, di fare lo stronzo. Forse.
Però
restare a casa con la tentazione tra le mani – sì,
aveva deciso che l’agenda
era una tentazione: voleva e non voleva capire se Sebastian avesse
dimenticato
davvero il piccolo diario sul tavolo, voleva e non voleva sapere cosa
c’era
nella testa del francese – stava diventando una situazione
insostenibile.
Doveva uscire, doveva fare qualcosa, perché, anche se non
sapeva spiegarselo,
quella storia lo stava agitando.
Forse
la sua vita era così piatta da permettere ad un diario di
scombussolarlo. Era
una cosa su cui riflettere, in effetti…
Senza
rendersene conto, aveva sceso le scale ed era arrivato in cucina. Il
caffè era
pronto, nonostante Burt non fosse in città: probabilmente
era stato Finn a
prepararlo, prima di tornare a dormire. Ne prese una tazza, cercando di
mettere
a posto le idee. Avrebbe potuto parlare con Rachel di questa storia, ma
dopo tutto
quello che Sebastian gli aveva fatto, era sicuro che lei avrebbe
suggerito di
aprire l’agenda, leggere meticolosamente il contenuto e
divulgarlo, nel caso il
Warbler non avesse ceduto a dei ricatti. Rachel sapeva essere una vera
Santana,
a volte.
Kurt
prese persino in considerazione l’idea di contattare Blaine,
per far sì, dato
che erano così in confidenza, che
Sebastian riavesse il diario senza problemi. Kurt semplicemente odiava avere certe responsabilità. Sin da
quando
aveva perso sua madre, da bambino, aveva tenuto dei diari, e il fatto
di
abbandonarli da qualche parte, o che qualcuno li prendesse, erano
sempre state
ipotesi orribili per lui, e non sapeva se a Sebastian importasse
così tanto del
diario – o se a Sebastian importasse qualcosa di qualcuno, in
realtà – ma
sentiva il bisogno di rispettare quello spazio sacro. Sebbene Kurt era
convinto
che Sebastian non ne avesse, c’era la possibilità
che vi fossero riportati i
sentimenti dell’altro, o, più probabilmente, le
sue manie egocentriche. A Kurt
venne in mente che ci potesse essere, con tutta probabilità,
un racconto il cui
protagonista era chiamato Smythers Sebastiansen (e si sentì
un genio per aver
pensato ad un nome del genere), che salvava il mondo con la sua
bellezza
sconfinata.
Beh,
molto Sebastian. Per un momento pensò seriamente di aprire
l’agenda per essere
sicuro che non ci fosse davvero scritta una cosa del genere.
Portandosi
la tazza alle labbra e bevendo un sorso di uno dei caffè
più brutti che avesse
mai preso, capì cosa doveva fare: intossicarsi la giornata,
guidando fino alla
caffetteria che gli stava rovinando l’estate, sperando di
trovarvi la persona
più irritante che avesse mai incontrato, senza che
quest’ultima gli avesse
chiesto niente, per ridarle una stupida agendina, che avrebbe potuto
anche
contenere solo numeri di telefono, solo per un gesto di gentilezza
– beh, e per
evitare di immergersi totalmente nel pericoloso ed oscuro mondo di
Sebastian
Smythe, questo era sottointeso -.
Si
appuntò mentalmente di complimentarsi con suo padre per
l’educazione ricevuta
e, con un sospiro, dopo aver buttato nel lavandino il caffè
rimasto nella
tazza, si mise in macchina. La sosta al Lima Bean serviva anche a bere
un caffè
decente, a quel punto.
Kurt
non sapeva assolutamente cosa stesse facendo. Continuò a
chiederselo per tutto
il percorso da casa sua al Lima Bean e, sebbene non avesse trovato un
soluzione
per continuare a guidare, non si fermò né
tornò indietro. Continuò a tenere il
volante, fino ad arrivare al suo posto di lavoro. Nel suo giorno libero.
Assurdo.
Sbattendo
la porta dell’auto, dopo aver parcheggiato, entrò
in caffetteria. Con un cenno
salutò i suoi colleghi, poi si diresse verso la saletta,
cercando Sebastian
Smythe. Doveva fare questa cosa velocemente: via il dente, via il
dolore.
Quando
notò che un paio di divani erano occupati da alcuni Warblers
che aveva
conosciuto quando ne faceva parte anche lui, pensò di averlo
trovato.
Avvicinandosi, capì però che Sebastian non era
tra loro.
-
Ciao
Kurt! – lo salutò uno dei ragazzi, biondo platino
e supersorridente,
richiamando la sua attenzione.
-
Ciao
ragazzi! – Rispose Kurt. La vista dei suoi ex compagni
provocò in lui uno di
quegli odiosi nodi che si formavano quando
pensava alla Dalton, a Blaine, al suo primo bacio, alla
sua prima volta,
al suo primo ed unico amore…
che ora
usciva con il suo peggior nemico. Oh, appunto.
-
Hey,
ehm, Sebastian non è qui con voi?
Si
sentì un po’ in soggezione quando Nick e David
alzarono un sopracciglio a
quella domanda, ma Wes subito lo distolse rispondendogli. –
Gli ho chiesto se
avesse voglia di passare, dato che noi partiamo stasera e volevamo
salutarlo, di
solito si unisce a noi ma oggi aveva da fare a casa quindi non
è potuto
passare. Ti serviva qualcosa, Kurt?
Kurt
decise di essere sincero, in fondo sembravano molto uniti (tanto da
invitarlo a
prendere un caffè insieme, e Kurt non aveva mai visto
Sebastian prendere un
caffè con più di una persona. Ragazzo, ecco: con
più di un ragazzo). Così,
estrasse il diario dalla tasca e lo mostrò agli altri.
-
L’ha
dimenticato qui ieri. Pensavo di trovarlo, a quest’ora
è sempre qui…
Nick
lo
interruppe, l’espressione… preoccupata?
-
Non
l’hai… non l’hai letta, vero?
Kurt
s’irrigidì. – No, certo che no. Mi
sembrava un cosa piuttosto privata.
Nick
sembrò più tranquillo a quelle parole, e Kurt non
sapeva spiegarsi il perché,
ma si sentì più preoccupato di prima. Quel
diario non conteneva,
evidentemente, solo numeri di telefono.
-
Sebastian
la porta sempre con sé. E uccide con lo sguardo chiunque ci
si avvicini, o
la
guardi… - spiegò Jeff,
come immerso in un
ricordo. Dopo qualche secondo, tornò nel mondo reale.
– Beh, è davvero strano
che l’abbia dimenticata in una caffetteria…
Kurt
era confuso. Se Sebastian teneva così tanto a quel diario,
tanto da passare due
pomeriggi a scriverci sopra senza fermarsi e da – come diceva
Jeff – “uccidere
con lo sguardo” chiunque mostrasse attenzione per
l’oggetto… beh, non avrebbe
mai potuto lasciarlo lì involontariamente.
-
Qualcuno di voi… potrebbe restituirglielo? –
Chiese, prima di rendersene conto.
Quel piccolo oggetto si era fatto improvvisamente bollente tra le sue
mani, e
voleva liberarsene prima possibile. Ancora più in fretta di
come pensava quella
mattina.
-
Oh,
dovremmo prepararci per partire, sai, valigie e cose così.
Però se vuoi ti
diamo l’indirizzo di casa sua e glielo riporti.
Starà dando di matto, senza
quel squadernino, - propose Wes. – Gli faresti un favore.
Kurt
avrebbe tanto voluto essere una di quelle persone che riesce a spiegare
il suo
odio per le persone senza diventare rosso, urlare e avere gli occhi
pieni di
lacrime. Però non lo era, e onde evitare brutte scenate (era
pur sempre il suo
posto di lavoro…), tenne per sé quello che
pensava di Sebastian, e si concesse
un breve sospiro.
-
Sì,
beh, magari potrei provare a tenerlo fino a domani. Tornerà,
non è vero?
I
ragazzi si scambiarono uno sguardo tra il preoccupato e
l’apprensivo.
-
Sarebbe meglio se glielo riportassi, Kurt. Fallo… per la
sicurezza nazionale. –
Disse Nick.
-
Sì,
ma un giorno in più…
-
Eeeh,
no. Domani Sebastian se ne va in Francia quindi bisogna darglielo oggi.
–
tagliò corto Thad. Gli altri lo fissarono, un po’
confusi, ma Kurt non se ne
accorse. Riusciva solo a pensare all’assurdo guaio in cui si
era cacciato, alla
sua assurda curiosità e alla sua più che assurda
buona educazione, che decideva
di palesarsi nei momenti meno opportuni. Ad esempio, nei confronti di
Mister
Sebastian
Devo-Partire-Domani-E-Mi-Permetto-Il-Lusso-Di-Dimenticare-Le-Cose
Smythe.
Che
situazione insensata.
Per
qualche irragionevole motivo, l’attaccamento che Sebastian
provava per quell’oggetto
lo rese, agli occhi di Kurt, più umano, una persona – no, prima non era sicuro lo fosse
– e magari,
questo poteva rendere più accettabile l’idea di
fargli un favore. Forse.
-
Kurt,
- lo chiamò Wes. – Potresti farlo come favore a
noi.
-
Una
volta avete provato ad accecarmi con una granita piena di sale grosso.
-
Hey,
ti abbiamo già chiesto scusa per quella… -
s’intromise Thad.
-
Sentite, gli restituirò questa cosa e se per farlo devo
andare a casa sua, lo
farò. Sta diventando un peso che non posso più
sopportare. – Kurt lo aveva
deciso in quel momento. Qualche tempo prima si era detto che la sua
vita e
quelle del francese non avrebbero dovuto più essere legate
in qualche modo,
quindi doveva tagliare quel filo rosso il prima possibile.
Gli
altri parvero sollevati a quell’affermazione, e non appena
gli venne fornito l’indirizzo,
Kurt uscì dalla caffetteria. Alla volta di casa Smythe.
Cercò
di non pensare a ciò che stava facendo, si
concentrò sul percorso, e in dieci
minuti fu a destinazione. Respiro profondo, agenda stretta nella mano,
costeggiò il marciapiede e parcheggiò. Non
poté fare a meno di prendersi
qualche minuti per ammirare la casa di Sebastian: era una villa
magnifica, una
delle più grandi della città. Aveva la pareti
color crema e il soffitto di
mattoni rossi, e Kurt sapeva che, dato che era così
imponente, probabilmente se
l’avesse vista di notte, ne sarebbe stato decisamente
intimorito.
Attraversò
il cortile esterno e, giunto al portone d’ingresso,
suonò senza pensarci. Via il
cerotto, senza via di scampo.
Fu
stupito - ma capì subito che la sua fu una reazione fuori
luogo -, quando ad
aprire si presentò un uomo in smoking, sulla sessantina, che
gli sorrise,
presentandosi come “George, il maggiordomo di casa
Smythe”. Beh, se gli anni
passati a giocare a Cluedo non mentivano, quel gentile signore un
giorno
avrebbe ucciso Sebastian… poco male.
-
…Vuole
che la annunci a Sebastian?
Oh.
Entrare
dopo una presentazione era una cosa che faceva sentire Kurt un
po’ a disagio,
così decise di farsi semplicemente scortare dove si trovava
il ragazzo.
-
Ecco,
da questa parte. – Disse George, indicando l’enorme
salone che affiancava l’ingresso,
occupato per i due terzi dalle scale. Il salone si trovava sulla
destra, era
ampio e richiamava i colori esterni della casa. I mobili erano antichi,
probabilmente molto costosi, e al centro della stanza c’era
un grande
pianoforte.
Beh,
Sebastian e un grande pianoforte.
Sebastian
che
suonava quel pianoforte.
Fu
strano, e qualcosa si sciolse nel corpo di Kurt, quando, una nota dopo
l’altra,
vedeva Sebastian che muoveva le dita, e i piedi, e la testa per
accompagnare
quella melodia meravigliosa*. Non pensava che qualcosa potesse farlo
sentire
così, e quasi dimenticò chi stava suonando,
dimenticò dove si trovava e perché:
quello che quella melodia gli dava era meglio di qualsiasi canzone, e
delle
parole e delle rime.
Era
pura emozione, e magia.
Aveva
gli occhi quasi chiusi, e la testa probabilmente che fluttuava, quando
Sebastian si fermò e, alzando gli occhi, lo vide. Kurt lo
guardò negli occhi,
e, prima che potesse dire qualcosa, Sebastian si alzò, e si
poggiò al fianco
del pianoforte.
-
Ti
aspettavo.
***
-
Seb, gli ho già dato uno sciroppo, starà meglio
prima che
tu possa rilassarti. – Kurt sorride a suo marito, dandogli un
bacio sulla
guancia. Non pensava, prima di sposarlo, che Sebastian Smythe fosse un
tipo
apprensivo. Eppure, eccolo lì, a gravitargli attorno per
assicurarsi che Ian stia
bene.
-
Ho un’idea!- dice Sebastian, scomparendo nello studio.
Riemerge
con un piano a batterie, quello che usa per insegnare a suonare al
piccolo, e
quando si dilegua nella camera del piccolo, Kurt capisce. Vuole suonare per suo figlio con la febbre.
Quando
li raggiunge, Ian è già sorridente dal suo
lettino, e
Sebastian è già per terra, le gambe incrociate, e
le dita che si muovevano veloci
sui tasti. Come quella volta, un po’ di anni prima, a casa
sua.
*
http://www.youtube.com/watch?v=N7p2UeB_QRM
Note
dell’autrice!
Ooohh, il
sollievo di essere tornati! Vi ringrazio infinitamente per questi
giorni di
pazienza, purtroppo non immaginavo che riprendermi
dall’operazione (è andato
tutto bene, comunque, grazie a tutti degli auguri! :D) sarebbe stato
così
difficile, solo oggi riesco a stare seduta senza sentire dolore quindi
solo
oggi riesco ad aggiornare.
Ah, questi
due bimbi sono già all’azione, anche se
è presto… è vero, però non
sono tipo da
fic troppo lunghe e vediamo di far andare questa storia da qualche
parte.
Ah,
un’altra
cosa. Trattate con i guanti le canzoni di questo capitolo. Sono le mie
canzoni –
ehm, poi magari vi spiegherò perché –
quindi, mi raccomando!
Grazie
ancora per le recensioni allo scorso capitolo, siete meravigliose.
Risponderò
appena questo capitolo sarà postato.
Un bacio.
Vals