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Autore: Miriel_93    20/02/2013    1 recensioni
Una ragazza. Un ragazzo. Primo anno di mediazione linguistica. Stessa classe, stessi corsi. Tante parole, pochi fatti e un cuore già pronto a cadere in briciole.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Universitario
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Hope.
Pestando rabbiosamente il pavimento resisto all’impulso di lanciare il cellulare lontano. Possibile che certa gente raggiunga livelli così elevati di stupidità? È quasi incredibile. Da non crederci!
“Bene, mi fa piacere” Mento. Mento spudoratamente, la sorpresa e il dolore non mi permettono di fare di meglio.
“Sei sicura?” Cretino che non sei altro, no che non sono sicura.
“Certo” Altro giro, altra bugia.
“Ci vediamo domani mattina allora, ciao!”
“D’accordo. Ciao!”
Crollo, con la testa sulla scrivania, posando malamente la fronte sugli appunti. Ma perché tutte a me? Che cosa avrò mai fatto di male? Ho sognato. Ecco che cosa ho fatto di male. Ho permesso ai miei sogni di perseguitarmi anche di giorno, facendomi abbindolare come una stupida. Ecco che cosa ho fatto di male. Avrei dovuto saperlo fin dall’inizio che, per me, Marco era irraggiungibile. Era in crisi con la sua ragazza, e quindi? Sì, aveva detto che con il vestito che indossavo qualche sabato fa alla festa universitaria stavo benissimo, e quindi? Aveva detto che dovevamo parlarne, ma di cosa? Del fatto che tutto sarebbe finito col rivelarsi una presa in giro, ecco di cosa.
“Ti va di farti prendere in giro qualche tempo, iniziare a sperare e poi sentirti dire che la mia ragazza sta cercando di riparare la nostra relazione?” Ecco di cosa avremmo parlato. E io, da brava idiota, avrei risposto: “certo, usami come preferisci e tienimi come ruota di scorta, dammi un po’ di attenzione ogni tanto e tienimi sulla graticola finché il gioco non ti avrà stancato”.
Sono una cretina.

 
***
 
La sveglia stamattina mi trova già in piedi. Non è che ci sto male, è solo che mi da’ sui nervi. Mica mi affeziono in così poco tempo, io. Non riesco a mentire nemmeno a me stessa. Ieri ha certamente fatto finta di bersela, la mia balla. In fondo sta bene così anche a lui, è poco ma sicuro.
Mi lavo, mi vesto, mangio, esco. Pullman, Sarah, Anita, università, aula mensa. Marco. Arrossisco e prendo posto dalla parte opposta della saletta, passandogli vicino solo per andare a scaldare il mio pranzo nel microonde. Mi saluta, allegro come al solito, con quel maledetto sorriso e quegli occhi scuri che mi scavano nell’anima.
«Ciao!» Lo saluto, fingendo un sorriso, mentre i miei compagni di corso parlano tra loro della traduzione che c’era da fare per oggi.
Torno al mio posto, mangiando la pasta in silenzio, con Sarah e Anita che mi guardano in modo strano. Con uno sguardo interrogativo chiedo loro cosa c’è che non va, senza dire nulla. Ho la bocca piena e a bocca piena non si parla. Loro mi rispondono con un cenno del capo e un’alzata di spalle. Alzo le spalle a mia volta e torno a preoccuparmi del mio pranzo.
La campanella suona proprio mentre ripongo il contenitore di plastica nello zaino, bevendo un sorso d’acqua frizzante congelata presa poco prima alle macchinette. Marco si alza, facendomi l’occhiolino mentre mi passa di fianco, e si fionda a prendere i posti in classe. Posso entrare anche per ultima, il posto di fianco al suo sarà vuoto, occupato solo dalle sue cose, buttate lì casualmente per non far sedere nessun altro.
Le ore passano, le lezioni si susseguono e le aule cambiano, ma il posto di fianco al suo è sempre per me. Sospiro, sedendomi per le ultime due ore della giornata: spagnolo.
«Oggi sei silenziosa» Mi dice, guardandomi, con il viso appoggiato al palmo della mano. Quanto vorrei cancellargli quel sorriso bastardo dalla faccia, prendere a schiaffi anche la sua barba scura tendente al rossiccio che mi fa impazzire tanto quanto i suoi occhi. Invece scrollo le spalle, abbozzando un sorriso.
«Ho solo un vago mal di testa» Gli rispondo, posando il mento sul palmo della mano, puntellando il gomito sulla coscia.
Mentre sono distratta Marco mi pianta un dito nel fianco, facendomi il solletico. Sobbalzo, cercando di sottrarmi al suo scherzo, ridacchiando. Quanto sono stupida. Il cuore mi batte per una stupidata simile.
Smette di torturarmi solo quando riceve un messaggio. Mi si stringe quel muscolo maledetto nel petto. Sarà sicuramente lei. Pazienza, la lezione è quasi finita. Finalmente è venerdì. Avrò tutto il weekend per disintossicarmi da lui.
Come sempre, dieci minuti prima del suono della campanella, io, Sarah e Anita ci prepariamo. Abbiamo il permesso per non perdere il pullman. Si alza anche Marco. Lui il permesso non ce l’ha, ma approfitta del fatto che i professori non controllano mai ed esce sempre con noi, il venerdì. Mi infilo la giacca, saluto l’insegnante e i miei compagni ed esco dalla classe, seguita da Marco, Anita e Sarah.
«Mi sto pisciando addosso!» Ci informa Sarah, fiondandosi verso il bagno, seguita da Anita che ride. Rido anche io, ma qualcosa mi trattiene dal seguirle. Marco mi sta tirando lo zaino. Mi fa segno di tacere finché non vediamo sparire lo zaino di Anita dietro la porta del bagno. Solo allora la mia occhiata perplessa si scioglie in poche parole.
«Che c’è?» Chiedo, senza capire.
«Niente» Risponde Marco, guardandomi negli occhi con quelle sue perle scure, sorridendo e alzando le spalle, prima di avvicinarsi. «Volevo restare con te, tutto qui» Aggiunge, a bassa voce, sollevandomi il viso, abbassandosi a sfiorare le mie labbra con le sue. Mi si ferma il cuore. Dapprima ricambio il suo bacio, poi mi riprendo e realizzo il mio desiderio. Lo schiaffo fa un rumore meraviglioso.
Marco si stacca velocemente da me, con una mano sulla guancia e uno sguardo confuso dipinto in faccia.
«Ah» Dice, sorpreso.
«O vuoi riparare con la tua ragazza o scegli me. Non sono un giocattolo» Sibilo, consapevole che mi pentirò amaramente di quel gesto, che rimpiangerò quel bacio spezzato a metà.
Sento Sarah lavarsi le mani mentre parla con Anita e mi affretto ad avvicinarmi alla porta, sfoderando il sorriso più innocente che posso. Marco ha abbassato la mano, cercando di fare finta di niente, fingendo di guardare le foto degli stage appesi nel corridoio.
«Andiamo?» Chiedo, mantenendo il sorriso il più possibile.
«Yes, baby» risponde Sarah, precedendomi in corridoio.
Cinque minuti dopo siamo alla fermata dell’autobus, mentre Marco prosegue verso la stazione dei treni, salutandoci.
«A lunedì, ragazze» Dice, con una lieve nota di insicurezza nella voce. Lo saluto con un cenno della mano e un mezzo sorriso che parla da solo. Non mi lascerò più tenere nel baule come ruota di scorta. È ora che decisa cosa fare della sua vita, senza incasinare la mia.

***
 
Mentre ricopio gli appunti della giornata, il mio cellulare vibra sul legno della scrivania, facendomi sobbalzare. Marco. Sospiro, chiudendo la penna prima di leggere il messaggio. Sto sviluppando delle manie ossessivo – compulsive.
“Ciao! Tutto bene?” Telegrafico.
“Ciao. Sì, tu?” Secca.
“Potrebbe andare meglio. Scusa per oggi. So che può sembrarti una vigliaccata, ma dovevo farlo. Se non l’avessi fatto me ne sarei pentito a vita. Con la mia ragazza ho passato veramente un brutto periodo, ci siamo messi in pausa tempo fa e non ci siamo visti per quasi un mese…volevo lasciarla, ci stavo troppo male, volevo solo stare meglio…poi…sei arrivata tu e stavo di nuovo bene. Io volevo provarci sul serio, scusa” Mi spiega. Patetico.
“Senti, Marco, chiariamo subito un paio di cose. Non puoi prendere e baciarmi così a caso. Volevi lasciare la tua ragazza? Bene, vuoi un applauso? Ti faccio notare che non l’hai fatto. Sei ancora con lei, e a quanto pare sei piuttosto contento del fatto che stia cercando di riparare, quindi smettila di prendermi in giro. Ho un cuore anche io, e non mi va di raccogliere i cocci per l’ennesima volta” Gli rispondo, facendo volare le dita sui tasti, rabbiosa.
“Esci di casa” La sua risposta mi confonde.
“Mi sa che hai sbagliato ragazza” Gli faccio notare, stizzita.
Pochi attimi dopo sento un clacson. Incuriosita esco dalla mia stanza e vado in cucina per guardare in strada. Anche mia madre, incuriosita, si è messa a sbirciare da dietro la tenda.
«È una fiesta nera» Dice. «Ma chi è?» Si domanda, infilandosi la giacca per scendere a vedere.
«Vado io. So chi è» Le dico, infilando le scarpe e la giacca.
Un altro colpo di clacson. Apro la porta, fingendomi arrabbiata. In realtà ho il cuore a tremila e le gambe molli. Marco scende dall’auto, spegnendo il motore.
«Ho scritto alla persona giusta, tranquilla» Mi risponde, con quella sua voce bassa e vibrante che mi scompiglia l’anima.
«Che ci fai qui?» So che il mio indirizzo ce l’ha dalle vacanze di Natale, quando abbiamo studiato diritto insieme, prima che tutto quel casino esplodesse. Prima che i suoi commenti sul mio vestito trascinassero le mie fantasie nella realtà.
«Guarda» Mi dice, passandomi il suo cellulare. C’è una foto. È una ragazza che bacia un ragazzo su una panchina.
«E quindi?» Domando, porgendogli il telefono e incrociando le braccia.
«È la mia ragazza. Era» Si corregge, facendo scivolare lo smartphone nella tasca dei jeans.
Il mio cuore perde un colpo. Si sono lasciati? L’ha lasciata? Davvero? Ed è venuto da me per dirmelo?
«E quindi…?» Chiedo, in un sussurro. La voce mi è morta in gola.
«Me l’ha mandata oggi il batterista del mio gruppo» Spiega. «A spagnolo» Aggiunge, avvicinandosi a me, che indietreggio fino a incontrare il muro con le spalle.
«E quindi…?» Ripeto. Mi manca il fiato. Mi manca l’aria. Mi sta per venire un infarto.
«Quindi credo di essermi preso uno schiaffo ingiusto» Scherza, sfoderando quel suo maledetto sorriso. Mi sto perdendo nei suoi occhi scuri. Non ho mai incontrato nessuno che mi guardasse negli occhi mentre mi parlava. Lui l’ha fatto sempre, dalla prima volta che ci siamo parlati, ai corsi di preparazione agli esami di ammissione dell’università.
Cerco di schiarirmi la gola, di far capire alla mia voce che avrei vagamente bisogno di lei. Distolgo lo sguardo dai suoi occhi, staccandomi dal muro.
«Marco, io non sono una ruota di scorta» Resisto, sperando che mi convinca a smetterla di opporre inutili resistenze.
«Chi ha mai parlato di ruota di scorta?» Chiede lui, tenendo lo sguardo incollato sul mio viso. Lo vedo con la coda dell’occhio che lo sta facendo.
«Non c’è bisogno di parlarne! Mi hai tenuto buona fino ad ora solo perché non sapevi come sarebbe andata con la tua ragazza, pensi davvero ci sia bisogno di parlarne chiaramente?» Gli chiedo, allargando le braccia, sconvolta dalla sua completa mancanza di tatto.
«Io non ho mai voluto tenerti come ruota di scorta. Senti, sei arrivata in un momento pazzesco e mi sono affezionato a te. Non ho saputo rinunciare a te nemmeno quando la mia ragazza ha deciso di farsi perdonare, e non intendo farlo ora che non ho più motivi di sentirmi in colpa nei suoi confronti» Mi spiega, prendendomi il viso tra le mani, obbligandomi a guardarlo. «Dammi una possibilità» Sussurra.
Come potrei negare qualcosa a quegli occhi dannatamente profondi e magnetici?
Un brivido mi corre lungo la schiena. Annuisco a malapena, il volto bloccato tra le sue mani calde.
Se ne va dopo avermi baciata. Stavolta niente schiaffo per lui.
«Ci vediamo lunedì» Promette, facendomi l’occhiolino. Annuisco, rossa come un peperone, salutandolo con la mano.
Quando salgo e mia madre vede il mio colorito non fa domande. Sapeva già di Marco e delle sue attenzioni un po’ confuse. E capisce. Non dice nulla, mi segue con lo sguardo mentre torno in camera mia. Basta appunti, per stasera. Infilo le cuffie nelle orecchie e mi butto a letto. Non vedo l’ora che lunedì arrivi.

Piccola storiella nata nel clima deviato del dopo-esame. Mboh, spero vi piaccia ^^
  
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