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Autore: Deb    09/09/2007    1 recensioni
Come avrei fatto se non ci fossi stato tu?
Sarei sprofondata in un buco nero.
Ma tu, tu sei la mia ancora di salvezza, colui che riesce a non farmi cadere.
Grazie a te, riesco a pensare meno a lui
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non Illudere

Quel pomeriggio fu interessante, non capivo molte cose ma ero contenta di aver potuto rivedere, dopo tanto tempo, Sabrina.

Stavo tornando a casa, Simone camminava affianco a me, in silenzio. Chissà a cosa stava pensando, avrei tanto voluto saperlo. Non pensavo spesso a quello che avrebbe potuto pensare, lui, di me o di altre persone, quel giorno però era diverso.

Grazie all’aiuto di Simo, ad ogni modo, ero riuscita a scegliere un regalo per mio padre. Chissà, forse gli sarebbe piaciuto. Avevamo deciso di comprargli un rasoio elettrico per farsi la barba.

Arrivammo davanti al portone di casa mia, erano quasi le sette, in tempo perfetto.

«Allora… ci vediamo domani?» domandai aspettando ad entrare.

«No, domani non posso vederti.» Quando sentii pronunciare quelle parole provai un senso strano, come se fossi in cima ad un precipizio e stessi per cadere al suo interno.

«Perché?» Avevo cominciato a tenere troppo a lui, era da immaginarselo che prima o poi si sarebbe stancato di me e mi avrebbe allontanato da lui. Non potevo pretendere di riuscire a tenerlo vicino a me per il resto della vita. Se, ad esempio, avesse trovato una ragazza io non avrei più avuto il diritto di uscire sempre con lui, di sfogarmi con lui, di abbracciarlo, e questo mi rendeva tremendamente triste.

«Domani devo recuperare il debito di matematica.» rispose accarezzandomi la testa come se fossi il suo cagnolino. A quelle parole, però, i miei occhi si illuminarono. Ero felice e lo ero perché non si era stancato di me, ma perché avrebbe dovuto recuperare un debito.

Sospirai «Pensavi che ti volessi lasciare eh?!» mi prese in giro lui scompigliandomi tutti i capelli. Ero più bassa di lui e durante quest’estate era anche cresciuto di qualche centimetro. Io gli arrivavo alle spalle.

«Mica stiamo insieme, scemo!» esclamai dandogli un pugno sopra i suoi piccoli pettorali.

Quest’anno sarebbe stato l’ultimo anno scolastico, avremmo compiuto diciotto anni.

«Beh, basta chiedere…» era serio, tremendamente ponderato e ciò non mi piaceva, probabilmente ci stava solo facendo apposta.

«Sì, certo come no?!» guardai l’ora «Oddio è tardissimo! Devo salutarti, ciao! In bocca al lupo per l’esame!!» mi sporsi e gli stampai un bacio sulle labbra, quando mi accorsi di ciò che avevo fatto lasciai cadere il pacco per mio padre e mi portai le mani alla bocca e lacrime salate cominciarono a cadere dai miei occhi senza riuscire a fermarle.

Simone prese al volo il pacchetto e mi guardò «Francy?» domandò come se non fosse successo niente.

«Scusami… ho pensato fossi Roberto.» singhiozzai, continuando a piangere. Lui era ancora per me tutto il mio mondo e quando per sbaglio, pensando fosse lui, diedi quel bacio a Simone non riuscii a trattenere le lacrime che si erano congelate nel mio cuore. Probabilmente il cuore mi aveva fatto pensare che Simo fosse Roby perché così si sarebbe potuto liberare di tutte quelle lacrime represse.

Ora avrei potuto dimenticarlo? Ora che avevo posato le labbra su un altro ragazzo che non fosse lui sarei potuta andare avanti?

Strappai il pacco regalo dalle mani di Simone, mi scusai nuovamente e corsi verso l’ascensore.

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La festa, cioè la cena, per mio padre era finalmente finita; mi congedai in camera mia dove controllai se avessi ricevuto qualche SMS: nessuno.

Velocemente scrissi sulla tastiera un messaggio per Sabry nel quale gli raccontai ciò che era successo e ciò che avevo sentito.

Alcuni minuti dopo mi arrivò una sua risposta «Ma non è che per caso ti piace Simone ma non lo vuoi ammettere?»

«Ma cosa ti salta in mente! Veramente credevo che lui si mettesse con te!» le ammisi.

«Ahahahah… ma allora non hai proprio capito niente! Lui ti ama! Probabilmente ha fatto finta di niente, ma quel bacio, che tu gli hai dato per sbaglio, gli ha scombussolato la vita!»

Quando lessi quella sua affermazione mi si fermò il cuore, era vero? Lui mi amava? No, non era possibile. Non era vero. Non poteva essere vero. Non doveva essere vero! Lui era il mio migliore amico, non potevo perderlo come tale. Non volevo.

«Non è che per caso a te piace Simone, e visto che sta sempre con me sei gelosa e pensi che mi venga dietro?» le risposi facendo finta di niente. Facendo finta di avere la sicurezza che lui non mi amasse.

«Sì, lui mi piace, ma ho la certezza che ami te. Da sempre.» sentire questa sua ammissione mi fece sorridere, era stata sincera con me, a lei, lui, piaceva; e se era stata onesta in quel frangente perché non lo dovrebbe essere stata dicendomi che Simone mi amasse?

«Ti sei fatta avanti con lui?»

«No, e non credo lo farò mai :-)»

«Secondo me, invece, dovresti. Scopriresti, magari, che quello che pensi tu è sbagliato e che ti sbavi dietro come un cagnolino. Sai oggi l’ho visto agitato quando ti ha visto. Secondo me voleva vederti!»

Non arrivò una sua risposta per molti minuti, quando ormai avevo perso le speranze e stavo per coricarmi mi vibrò. «Forse anche tu potresti avere ragione, ma non mi interessa più. Ti prego, non insistere.» guardai tristemente quel piccolo display nel quale leggevo quelle lettere virtuali create ed arrivate a me. Ero triste perché sapevo che a Sabrina amava Simone e perché io ero sollevata per il fatto che lei non glielo avrebbe mai detto e che quindi avrei potuto avere per me quel ragazzo.

Senza rendermene conto stavo, lentamente, ricominciando a vivere. Provavo sentimenti differenti l’uno dall’altro non ero più indifferente per tutto, anzi, provavo perfino gelosia. Non avrei creduto di riuscire a riprovare quella sensazione che fa provare astio verso la persona che potrebbe compromettere il rapporto con un’altra determinata essere umano.

Spensi il telefono lasciando perdere quei messaggi, mi ero stancata di sentirla parlare, se avesse voluto avrebbe potuto conquistarlo ma era troppo stupida per non azzardare.

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Quella mattina mi svegliai con calma. Era tardi. Avevo dormito più di mezza giornata, e senza l’uso di alcun farmaco.

Presto sarebbe ricominciata la scuola, era l’undici settembre e rimanevano sei giorni di vacanza.

Quelle ferie non me le ero godute per niente, solo ora avevo ricominciato ad essere, per una minima parte, ciò che ero un tempo.

Mi stiracchiai alzandomi faticosamente dal letto e camminai, senza alzare i piedi, fino al bagno dove guardandomi allo specchio mi venne da pensare solo a quanto fossi brutta quella mattina. Avevo delle occhiaie da paura, gli occhi il doppio più piccoli di come li ho in realtà, i capelli tutti scompigliati che si alzavano anche per aria. «Ma stanotte sul letto ho fatto la lotta con il cuscino?» domandai a me stessa ironicamente prima aprire il rubinetto dell’acqua della vasca per riempirla.

Nel tempo in cui l’acqua non avesse riempito completamente, o quasi, la vasca io mi sarei lavata di denti.

Mi immersi in quel liquido trasparente, e mi insaponai freneticamente, come se non mi lavassi da una vita intera. Portai lo shampoo sopra i capelli e cominciai a massaggiare il cuoio capelluto, quant’era rilassante quel tocco delle dita sulla pelle della testa.

Presto sarei dovuta anche andare dalla parrucchiera, era da troppo che non mi curavo i capelli e stavano cominciando a spuntarmi le doppie punte che io ho sempre odiato.

Tolsi il tappo e l’acqua cominciò a scivolare lungo il tubo che porta alle fogne, uscii dalla vasca e mi infilai il mio bellissimo accappatoio rosa. Mi asciugai, e mi vestii, già era ora di pranzo e sarei dovuta mettermi a sedere a tavola insieme alla mia famiglia, tanto amata.

Mi pettinai i capelli ancora bagnati e li legai con una pinza al resto della capigliatura così da poter tenere il collo scoperto. Quel giorno mi sembrava troppo caldo per poter portare i capelli lunghi. Sorrisi a quel pensiero. Per tutta l’estate, che era stata più calda di quel giorno, non me ne sarebbe importato se fosse stato caldo per portare i capelli sciolti, anzi, non avrei assolutamente avvertito il cado dell’atmosfera.

Tornai in camera mia dove aprii l’armadio per cercare un qualche vestito da mettere, dopo pranzo sarei uscita, sarei andata a trovare lui, per chiedergli come gli fosse andato l’esame. Per vederlo e per poter star bene, come stavo in questi giorni. Ringraziai il cielo per poter avere vicino a me un ragazzo come Simone.

Decisi di indossare un paio di jeans a vita bassa, non bassissima come quelli che si mettono in questo periodo, però di certo non arrivavano a coprire l’ombelico. Legai anche una cintura nera con tutti strass, era molto carina, però spesso perdevo quegli accessori “lucenti” in giro, ai jeans che erano un po’ troppo larghi. In quei mesi mangiavo di meno ed avevo perso diversi chili. Mi guardai allo specchio e vidi che la pancetta che avevo se ne era andata, per caso ero diventata anoressica? Lasciai correre questo pensiero e infilai una maglia senza maniche bianca con davanti scritto: “Le buone ragazze vanno in paradiso, quelle cattive dappertutto”. Io faccio parte delle cattive o delle buone? Chissà…

«E’ pronto!» sentii urlare la mamma che invogliava me e mio padre a raggiungerla a tavola, dove avremmo mangiato tutti assieme e, forse, avremmo discusso come quasi sempre accadeva, e molto spesso la discussione ricadeva sulla scuola, sul perché io non studiassi abbastanza, sul perché ero così menefreghista. Mio padre poi avrebbe aggiunto che dovevo impegnarmi nello studio perché se no non avrei trovato nessun lavoro appagante che mi desse più di ottocento euro e quindi se non mi fossi diplomata avrei sofferto la fame perché di questi tempi con solo un milione, cinquecentoquarantanovemila e sedici lire non avrei potuto andare lontano perché sarebbero finiti nel giro di pochi giorni visto che ormai costa tutto il doppio di quanto non costasse quando ancora era in vigore il vecchio conio.

Mi sedetti a tavola, al mio solito posto, il piatto era già stato versato, amorevolmente, da mia madre che mi accarezzò una guancia e sorrise «Cosa farai oggi?» mi domandò sedendosi anch’essa per poter cominciare ad alimentarsi.

«Eh… uscirò.» risposi portandomi alla bocca la forchettata di insalata di riso. Quand’era caldo così quel piatto era il mio preferito, non mi sarei mai fermata nel mangiarlo.

«Non pensi che dovresti studiare visto che ricomincia la scuola?» si intromise mio padre con la sua solita voglia di rompere.

«Beh, visto che ancora sono in vacanza non vedo perché dovrei.» risposi io seccata, senza guardarlo negli occhi «E comunque basta con questo discorso. Non ho voglia di litigare oggi.»

Mio papà mi guardò ed io con la coda dell’occhio feci lo stesso e mi sembrò che mi stesse osservando con occhio cupo, ma forse era solo una mia stupida impressione. Sapevo che mio padre mi volesse bene, era normale, ma spesso era così irritante che mi veniva voglia di sbatterlo al muro. Penso che questo capiti a tutti i figli con i propri genitori.

Finito il pranzo, che dopo quella piccola discussione si proseguì in silenzio andai in camera mia, dove decisi che era venuto il momento di accendere il cellulare e di vedere se qualcuno mi avesse cercato. Quando ebbe concluso di caricare tutti i software installati dentro quel piccolo apparecchio il telefono vibrò.

«Francy, perché invece tu non credi a ciò che ti sto dicendo? Perché non provi a parlare con Simone su quello che lui prova per te? Non ti senti egoista nell’usarlo così a tuo piacimento per non rimanere da sola?» non potevo credere a ciò che mi aveva scritto, era vero, probabilmente ero soltanto un’egoista che pensava solo a sé.

«Hai ragione. Ma non sta a te giudicare ciò che faccio, provo o non faccio!» mi stava salendo una rabbia, come potevo sputare sentenze così sulla sua migliore amica? Pensavo che in un rapporto di confidenza non si dovesse giudicare; ma forse lei lo faceva perché era amica anche di Simone, perché lo amava e quindi non voleva vederlo soffrire.

«Anche questo è vero, però io ti sto dicendo tutto questo perché ti voglio bene. Cerca di non illuderlo se davvero non ti piace e non ti ci vuoi mettere insieme. Allontanati da lui.» Quelle parole, per me, erano come pugnalate al petto. Mi ferivano.

«Io gli voglio molto bene.» le risposi. Non mi piaceva parlare di questioni “serie” per SMS, sarebbe stato meglio parlare a quattr’occhi, ma era partita. Sabrina era andata, per l’ultima settimana di vacanza dai nonni fuori città e non l’avrei potuta raggiungere. Non capivo perché, comunque, dovesse parlare adesso di queste cose. Non capivo perché non potesse aspettare. Forse Simone le aveva detto qualcosa, forse lui le parla delle sue preoccupazioni, dei suoi problemi; cosa che con me non fa e mi sentivo triste per questo perché stavo cominciando a comprendere come io in realtà non conoscessi più l’amico che avevo fin da quando ero una bambina.

«Gli vuoi bene, certo, non sto dicendo che lo odi, o che sei indifferente a lui. Si vede che ci tieni, ma allo stesso tempo si vede che non vuoi instaurare con lui una relazione, cosa che lui invece vorrebbe ma che, per non approfittarsi, non dice.»

«E quindi cosa dovrei fare? Allontanarmi da lui senza una valida spiegazione? Dicendogli mi dispiace ma mi hai stancato? Non ti sembra che questo sia ancora più crudele nei suoi confronti?» le risposi con un impeto di rabbia che mi stava crogiolando da dentro.

«No, devi parlargli. Gli devi chiedere che cosa sente per te.»

«E secondo te me lo direbbe? Se davvero non vuole approfittarsi della situazione nella quale mi trovo, mi direbbe davvero ciò che prova? Che poi, secondo me, ciò che pensi tu non è ciò che sente lui.»

Sabrina era molto veloce a scrivere SMS, viveva per quelli, adorava poter mandarli, soprattutto quando c’erano le promozioni estive o invernali per non pagarli, ed infatti spesso non li pagava e stava tutto il giorno con il cellulare in mano. Spesso, quando li aveva gratis, per dire qualcosa mandava messaggi anche se la persona con la quale doveva parlare era a due passi da lei; però in quel momento o stava scrivendo un poema con quella piccola tastiera che teneva tra le dita, oppure non avrebbe risposto.

Senza attendere altro misi dentro la mia borsa Hervé Chapelier a mano il cellulare, salutai i miei ed uscii di casa per andare dalla persona che era il motivo della discussione che avevo intrapreso precedentemente con la mia migliore amica.

Andando verso casa sua notai che ero agitata, le parole che Sabrina mi aveva detto mi avevano scombussolato perché pensavo che forse aveva ragione, nessun ragazzo sta vicino a qualcuna se non vuole qualcosa in cambio, questo è nella natura umana.

   
 
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