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Autore: Valery_Ivanov    10/09/2007    6 recensioni
Ciao a tutti, questa è la mia prima fanfiction! E' una mia versione alternativa del finale di Beyblade, parte dal momento in cui i Bladebreakers arrivano in Russia!
Dal Terzo Capitolo:
«Fata Bianca! A… aiutami… ti prego…» un bambino di circa cinque anni la stava guardando con occhi imploranti attraverso le inflessibili sbarre della sua prigione. La fata scivolò dentro la cella come prima e i suoi contorni divennero sfocati per pochi istanti, finchè lei non si sedette silenziosamente a terra e poggiò la testa del bambino sulla sua gonna morbida. «Non riesco… a dormire…» singhiozzò il piccolo, aggrappandosi a lei con tutte le sue forze. La creatura schiuse le labbra e parlò per la prima volta, e la sua voce sembrava un soffio di brezza mattutina, fresca e leggera.
«Non preoccuparti…» sussurrò. Kai continuava ad osservare la scena alcuni metri più indietro.
«Grazie Fata Bianca…»
Lei gli accarezzò dolcemente la testa. «Non sono una Fata Bianca…» mormorò, mentre il respiro del bambino si faceva regolare e rilassato. «Puoi chiamarmi… Regina delle Nevi» concluse in un sussurro appena percettibile.
Un istante dopo la porta si spalancò e dei passi si affrettarono verso di loro. Kai fissò spaventato la fata e questa fece lo stesso; dalle profondità del cappuccio due iridi scure brillarono illuminate dal riflesso della luna. Kai si sentì afferrare e trascinare via; oppose resistenza, ma l’altro era più forte – no, gli altri; c’erano tante, troppe mani su di lui. Alzò nuovamente la testa, disperato, e vide la ragazza sillabare una parola. Poi qualcosa lo colpì, e lui perse i sensi.
«Cercami»
REVISIONATA e prossima alla fine!
Genere: Avventura, Mistero, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Boris, Kei Hiwatari, Nuovo personaggio, Yuri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO REVISIONATO IL 6/01/12

 

 

 

Capitolo II – Sorprese e rivelazioni

 

Kai si svegliò bagnato fradicio con la voce del ragazzo del monastero che gli rimbombava ancora nelle orecchie.

«Un brutto sogno?»

Rei lo stava osservando dal letto accanto con sguardo preoccupato. Kai si asciugò il sudore con la manica e scese silenziosamente dal letto.

«Non sono fatti tuoi»

Il cinese fece spallucce e si voltò dall’altro lato, addormentandosi poco dopo. Kai rimase a fissare le tendine che coprivano la finestra e infine, con un colpo secco, le scostò permettendo ad un flebile raggio di luna di entrare nella stanza che condivideva con il compagno cinese. Sospirando, il ragazzo  appoggiò al vetro mani e fronte, cercando di schiarire i suoi pensieri confusi.

Nel sogno il ragazzo lo implorava disperatamente di aiutarlo, dicendo che solo lui poteva farlo. Poi Vorkov gli spuntava all’improvviso alle spalle, chiedendogli di diventare suo allievo al monastero, e allora lui cominciava a scappare, finché non si ritrovava in una stanza completamente buia. Rimaneva lì per parecchi minuti, cercando a tentoni l’uscita, quando all’improvviso due occhi color del ghiaccio si aprivano nel buio e rimanevano a fissarlo per quella che era gli parsa l’eternità, finchè una luce bianca accecante non lo aveva avvolto, facendolo svegliare di botto. Gli occhi erano ancora inchiodati alla sua mente e sembravano divorargli l’anima senza possibilità di fuga.

Kai si trovò nuovamente sudato fradicio al solo ricordo di quell’incubo. Non capiva perché, ma lo aveva immensamente turbato, sentiva come se qualcosa gli stesse sfuggendo, qualcosa di estremamente importante. Scosse la testa.

«Non devo pensarci» sussurrò a se stesso.

Invece rimase tutta la notte davanti alla finestra a cercare una spiegazione.

 

La mattina dopo, quando Rei si svegliò, trovò il suo amico solitario sveglio accanto alla finestra che fissava il cielo con espressione assorta.

«Dormito bene?» chiese il cinese con una leggera punta d’ironia. Poi, dopo pochi secondi di silenzio, scosse la testa e si rispose da solo. «Non sono fatti miei, giusto?»

«Non ho chiuso occhio»

Rei alzò un sopracciglio, stupito. «Da quand’è che rispondi alle domande?»

Kai scrollò le spalle e uscì dalla stanza.

 

Scesero a colazione da soli, in silenzio assoluto; si servirono, sempre senza spiccicare una parola, e sedettero a tavola. Rei cominciò a mangiare, mentre Kai fissava il cibo senza intenzione apparente di toccarlo.

«Non dirmi che stai aspettando gli altri per mangiare!»

Le labbra di Kai si incurvarono in un sorriso derisorio.

«Non credo proprio»

Dopo altri minuti di silenzio, in cui Rei stava pensando a quanto era bello avere per compagno di squadra un asociale pezzo di ghiaccio, il prof. Kappa li raggiunse, salutando entrambi con un “buongiorno” e uno sbadiglio.

«Allora, ragazzi, come va?»

Rei sorrise mormorando un “bene” e Kai lo ignorò completamente. Il prof. si andò a servire e tornò poco dopo, sedendosi accanto a Rei, con cui intavolò ben presto un discorso sulla maestosità di Mosca. Takao e Max li raggiunsero poco dopo e si unirono alla conversazione fra uno sbadiglio e l’altro. Kai si era totalmente estraniato dal resto del gruppo, ma si riscosse immediatamente quando sentì la parola “Monastero”.

«… davvero anormale» stava dicendo Takao. «Insomma, tutti quei blader sarebbero dovuti essere felici, la finale del campionato si svolge nel loro paese e i rappresentanti russi si allenano lì con loro!»

«Concordo con Takao» assentì Max. «Il loro comportamento è stato strano. Sembravano odiarci»

«Io ho visto anche molta tristezza nei loro occhi» intervenne Rei.

«E io…»

«Il punto» esclamò Takao battendo un pugno sul tavolo. «Non è cosa abbiamo visto nei loro occhi, ma perché!» gli altri, Kai escluso, annuirono.

«E quel Vorkov!» riprese Max. «Avete visto come ha trattato i suoi allievi?»

«Già. E quel povero ragazzo che ha perso contro Takao… chissà che fine ha fatto»

«Non ha fatto nessuna fine!» Kai si era alzato di scatto e le parole gli erano uscite di bocca senza neanche volerlo. Anzi, si chiese addirittura quale fosse il loro significato. Sembrava quasi voler convincere se stesso che quel ragazzo stava bene.

«Kai…»

I suoi compagni lo guardavano tutti stupiti. Il ragazzo si voltò per andarsene, ma la voce del prof. Kappa lo trattenne.

«Aspetta Kai! Devo parlare di una cosa importante e ho bisogno che ci siate tutti» il blader lo fissò gelidamente per un attimo, poi si sedette a braccia conserte e aspettò come una statua che il compagno parlasse.

«E-ehm… dunque» il prof. si schiarì la voce e aprì il suo portatile. «Ragazzi, il presidente Daijtenji mi ha fornito alcune informazioni sulla squadra russa… cioè, in realtà lui mi ha dato solo i nomi e io ho eseguito alcune ricerche e… beh, ecco i risultati» il ragazzino spostò il computer in modo che tutti i suoi compagni potessero vederlo. Sullo schermo comparve la figura di uno dei Demolition Boys, quello con i capelli rossi e gli occhi azzurro ghiaccio.

«Yuri Ivanov. E’ il capitano in seconda della squadra, nonché uno dei blader più potenti di tutto il mondo. Il suo bey si chiama Woolborg ed ha una potenza inarrestabile in attacco, velocissimo e molto resistente in difesa. Praticamente, non ha punti deboli. O, se li ha, io non sono riuscito a trovarli»

«Beh, prof» ribatté Takao dandogli una pacca sulla schiena. «Se non li hai trovati tu, vuol dire che non ce ne sono!»

Il ragazzino diventò tutto rosso e sorrise timidamente. Kai sbuffò. A lui interessava solo uno dei membri dei Demolition Boys…

«Proseguiamo. Questo è Boris Huznestov. Il suo bey è Falborg, che gioca principalmente sulla velocità… o almeno credo. Da quanto ho letto i suoi incontri non sono mai durati più di due minuti. Poi c’è Sergey Petrov, decisamente pericoloso a giudicare dalla sua stazza. Ha due anni più di Kai e il suo bey è Seaborg. Pare che abbia qualcosa a che fare con l’acqua, ma non so niente di preciso. E infine abbiamo Ivan Pavlov…»

“Come infine?” Kai rimase perplesso a fissare il suo compagno, senza ascoltare una sola parola di quello che stava dicendo su Ivan Pavlov. “E la ragazza che fine ha fatto? Non faceva anche lei parte dei Demolition Boys? Possibile che mi sia sbagliato? … no…”

«E questo è tutto» concluse il prof. chiudendo il portatile. Kai aprì la bocca per parlare, ma Takao lo anticipò.

«Caspita, che informazioni precise! Con gli European Dreams potevamo sapere anche quanti capelli avevano in testa, e con questi non siamo neanche sicuri dei punti di forza dei loro bey… siamo messi bene!»

Kai maledisse mentalmente la superfluità di Takao in quella situazione: chi se ne fregava degli altri blader russi? Lui voleva risolvere il caso di quella misteriosa ragazza! Di nuovo aprì la bocca per parlare e di nuovo fu interrotto, questa volta da Rei.

«E su Vorkov hai scoperto qualcosa?»

Il prof. scosse la testa. «Quasi nulla, purtroppo… anche lui, come i suoi allievi, è avvolto da un’aura di mistero. Però so una cosa: nel passato è stato uno studioso di Bit Power, ma poi si è misteriosamente ritirato e ha formato una specie di società segreta, la Borg, insieme ad uno sconosciuto complice…»

«Ehi…» Kai fu ignorato.

«Uno sconosciuto complice? Chi potrebbe essere?»

«Ne so quanto te, Max»

«Idioti, vole…»

«E cosa fa di preciso quest’organizzazione segreta, questa “Borg”?»

«Non so davvero cosa risponderti, Rei. Le informazioni al riguardo sono top secret, ho passato tutto il pomeriggio, ieri, cercando qualcosa, e questo è il massimo che ho scoperto»

«Capisco… e il monastero cosa c’entra in tutto questo?»

«Razza di…»

«Boh… forse è una specie di copertura; per quanto ne sappiamo, potrebbe essere qualsiasi cosa»

Kai stava per esplodere. Non sopportava di essere ignorato quando aveva una domanda che gli premeva fare. I suoi occhi erano di fuoco, il suo pugno si stava alzando per battere sul tavolo, quando la voce di Takao lo bloccò immediatamente.

«A proposito, Prof! Cosa sai dirmi di quella strana ragazza che ha parlato con Vorkov? Non faceva parte anche lei dei Demolition Boys?»

Kai drizzò le orecchie e ringraziò il cielo che qualcuno avesse finalmente posto quella domanda, visto che a lui non lo lasciavano parlare.

«Beh, ragazzi, questo è il mistero più grande» sospirò il Prof. scuotendo la testa. «Quella ragazza si chiama Katrina Lestavjosk e… beh, i dati che ho trovato quando ho inserito il suo nome erano relativi ad un’altra persona! Katrina Lestavjosk è una ragazza trovata morta in un fiume due anni fa… con capelli corti, viola e occhi celesti. E’ ovvio che non è la stessa persona che abbiamo conosciuto ieri, ma al torneo è registrata con questo nome!»

Tutti i ragazzi si fissarono senza parole. Quello sì che era strano! Kai si sentiva terribilmente deluso. Che cosa si aspettava? Che il suo nome gli suonasse familiare? Che i suoi ricordi la contenessero? Che avesse fatto parte della sua vita, anche se per poco? Sì, era questo che si aspettava. O meglio, era questo che sperava. Invece… Katrina… … non ricordava neanche il suo cognome! Patetico. Si era illuso senza neanche sapere il perché.

Il silenzio regnò per alcuni istanti, finchè Kai si alzò con l’intenzione di andarsene.

«Aspetta, Kai!» lo chiamò il Prof. Il ragazzo rimase fermo in piedi.

«E’ arrivata un’email… è del signor Daijtenji! Vediamo cosa dice…» il Prof. lesse in silenzio per alcuni istanti, poi, ancor prima di essere arrivato alla fine sorrise e cominciò a parlare.

«Allora, per cambiare argomento, ho una comunicazione da farvi. Sono felice di informarvi che la squadra dei Bladebreakers è stata registrata alla finale come composta da cinque membri»

«Cinque?» ripeté Rei aggrottando le sopracciglia.

«Ho capito!» esclamò Takao con il suo solito sorriso a trentadue denti. «Sei diventato anche tu un membro ufficiale della squadra!»

«Ehm… veramente, Takao, il professore è registrato come nostro allenatore, quindi non può essere anche uno dei nostri blader»

«Già, Max ha ragione»

Il sorriso di Takao si smorzò. «E allora chi è il nostro quinto membro?»

«Una ragazza!» annunciò il Prof. sorridendo. «Il suo nome è…» il ragazzino si bloccò fissando la scritta sul computer.

«Qualcosa non va Prof.?» chiese Max preoccupato.

«… Akamy…

«Prof… ?»

«… Hiwatari…»

Takao si voltò di scatto verso Kai, che era rimasto paralizzato.

«Ha… ha il tuo stesso cognome…»

Ora lo stavano fissando tutti. Kai si sentiva stordito, quello non era possibile… doveva essere una semplice coincidenza… lui non aveva parenti in vita oltre suo nonno!

«Kai!» esclamò Takao, palesemente in attesa di una risposta che chiarisse quel mistero. Kai rimase alcuni istanti indeciso sul da farsi. Alla fine sibilò un secco: «Non conosco nessuno con quel nome», prima di voltarsi e lasciare in fretta la sala.

 

Quella fu una delle giornate più brutte dell’intera esistenza di Kai. O, almeno, di quel poco che ricordava. I suoi compagni non sapevano che lui aveva perso tutti i ricordi della sua infanzia in seguito ad un misterioso incidente su cui nessuno aveva saputo dargli notizie. I suoi ricordi iniziavano di fronte ad un orfanotrofio, all’età di 13, forse 14 anni… non ricordava bene il tempo passato nell’orfanotrofio. Ricordava solo di sentirsi svuotato e maledettamente fragile, e che il suo istinto gli diceva di non mostrarsi mai debole. Era scappato il giorno del suo quindicesimo compleanno per poter partecipare al torneo mondiale di beyblade. Era quasi passato un anno, ormai.

Qule giorno, comunque, il sogno aveva continuato a tormentarlo anche alla luce del sole e, tra la sensazione strana che gli aveva procurato Katrina e il mistero della ragazza col suo stesso cognome, Kai decise che ne aveva avuto abbastanza di dover ascoltare i propri pensieri. Tanto non sarebbe venuto a capo di niente.

Alla fine a sera inoltrata, dopo due ore passate a sforzarsi di tirar fuori dalla sua memoria qualcosa che somigliasse anche vagamente al nome Katrina, decise di recarsi al monastero. I suoi amici, non vedendolo tornare, avrebbe iniziato a preoccuparsi, lo sapeva, ma non gl’importava. Aveva bisogno di risposte. Aveva bisogno di pace. Aveva bisogno di ricordare qualcosa che sembrava sfuggirli ogni volta che lui si avvicinava un po’ di più.

Si fermò un attimo davanti al portone del monastero, ma poi procedette nella sua follia. Sapeva che stava commettendo un errore, ma era disposto a fare di tutto per risolvere quella situazione.

 

Kai correva silenziosamente per i bui corridoi vuoti del monastero. Era abbastanza sicuro che ci fosse una trappola ad aspettarlo da qualche parte perché la mancanza di guardie era decisamente sospetta, ma aveva deciso di proseguire comunque. All’improvviso sentì dei rumori e delle voci e rallentò il passo. Affacciandosi ad una porta socchiusa vide dei ragazzi che si allenavano con alcuni macchinari che dovevano svilupparne la potenza fisica.

«Ma cosa… ?»

Quasi tutti i  ragazzi erano visibilmente allo stremo delle forze, e i monaci continuavano a spronarli con una specie di codice d’onore che ripetevano incessantemente.

«… è tutto. I deboli devono essere sopraffatti. Gli avversari non meritano pietà. I beyblade sono strumenti per ottenere il potere. Il potere è tutto. I deboli devono essere…»

Kai scosse violentemente la testa e corse via, con le parole dei monaci che gli rimbombavano nelle orecchie. Cominciava a sentirsi male, anche se non capiva da cosa dipendessero l’ansia, la paura e l’angoscia che gli stavano attanagliando le viscere. E quella strana sensazione di malessere era quasi… familiare.

«Ciao Kai»

Il ragazzo si voltò di scatto, trovandosi davanti il volto ghignante di Vorkov.

«Cosa vuole da me?» chiese, fingendosi indifferente.

«Ma come, Kai… non ricordi?» dicendo quelle parole, il ghigno malefico sul viso dell’uomo si allargò. «Già, immaginavo…»

«Che cosa vuole dire? La smetta con i giri di parole!». Era stufo. Stufo di non capire niente, stufo di provare tutte quelle sensazioni a cui non riusciva a dare un nome. Stufo di avere paura senza sapere di cosa. «Voglio delle risposte» continuò, cercando di apparire il più freddo possibile.

Vorkov lo squadrò in silenzio per alcuni istanti, gli occhi indagatori che sembravano voler leggere nelle profondità più recondite del suo cuore. Poi gli indicò un punto indefinito nel corridoio buio. Kai si sentì attanagliare le viscere da un terrore immotivato, tutto il suo corpo gli gridava di girarsi ed andarsene, ma la sua determinazione di risolvere quel mistero ebbe la meglio e si incamminò lentamente verso il punto indicato da Vorkov.

Continuava a camminare, ma non c’erano segni di cambiamenti: il corridoio procedeva buio e silenzioso, fiocamente illuminato dalle torce, privo di porte o finestre. Kai cominciava a spazientirsi. Cosa voleva mostrargli Vorkov? Poi si fermò di botto. Voltò leggermente la testa a sinistra e si accorse di aver appena oltrepassato una porta. Con il cuore che batteva a mille, posò la mano sulla maniglia e l’abbassò. Il legno si mosse con un leggero scricchiolio. Davanti a lui si parò la scena più sconvolgente della sua vita, e dovette appoggiarsi al muro con tutto il suo peso per non svenire. La porta si richiuse lentamente dietro di lui.

 

  
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