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Autore: Gaia Bessie    24/02/2013    4 recensioni
Non tornò più a casa per le vacanze di Natale, Alex, e l’estate la passò sempre con la famiglia Nott. Ma la visione del sangue su sua madre e della sua sorellina – chissà poi se aveva fatto in tempo a esalare il primo respiro – non gli lasciava scampo, lo assillava ogni sera, ogni lacrima che versava.
Ogni macchia su un foglio.
Alex si sentiva come se fosse morto, ogni volta.
Ogni volta che l’inchiostro diventava rosso sangue.
Prima classificata al contest "Nuovo anno, nuova generazione" indetto da avalonne sul forum di Efp
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blaise Zabini, Daphne Greengrass, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
- Questa storia fa parte della serie 'Dove porta il sentiero'
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Questa qui, è solo per me.
Perchè mi ero promessa che avrei fatto qualcosa del genere.
Perché amo sembrare folle.
Perché in questa serie, in fondo
ci sono io.

 
Certe storie nascono per finire male, altre finiscono male per rinascere peggio: sono tragedie che, in qualunque modo le si rappresenti, non cambiano di una virgola quello che sarà il loro triste e prevedibile epilogo. E così, appena il coro inizia a cantare le strofe del prologo, tutto appare realmente e dolorosamente chiaro.
Non sempre c’è un lieto fine, non tutti gli incantesimi salvano qualcuno, a volte le maledizioni tornano indietro. La cosa buffa delle tragedie è che non sempre sono prevedibili, che in qualche lingua cambiano nomi e destini. E la rappresentazione cambia, alcuni attori vengono congedati. Altri assunti.
E la luna ruota e disegna un altro destino, un’altra storia e un’altra morte: un’altra canzone che introdurrà una tragedia, una storia nata per finire o finita per rinascere.
La vera storia, della luna e del sangue, un canto mortale che assillava il piccolo Malfoy si è conclusa con una morte: una morte forse premeditata o casuale, per lui il frutto di un errore, per lei di una sofferenza indicibile. Di una storia, rimane solo una fine e un inizio, e forse anche ciò che sta in mezzo: ma le altre vie, non sono contemplate.
Eppure, per conoscere bene una storia, bisogna percorrere anche i sentieri ignorati da tutti.
 
Alex Zabini lo sapeva che la storia dei Malfoy sarebbe finita male. Era un arazzo intricato e composto da migliaia di fili indistinti, uniti dal sangue: un solo taglio bastava per distruggere una storia vecchia di secoli.
Aveva visto la tristezza di Asteria Malfoy e quella di Draco, assorbita per osmosi da una moglie morta dentro da anni. E quella di Scorpius che, ne era assolutamente certo, sarebbe sfociata nella distruzione di un intero arazzo. Aveva pregato, silenziosamente, che gli incantesimi di sua zia fossero fatti solo ed esclusivamente per salvare qualcuno. Ma sapeva che non era così, che Asteria Malfoy voleva solo ciò che aveva perso.
E così, se per caso si fosse imbattuta in una veggente, probabilmente le sarebbe giunta la conferma di ciò che tutti avevano intuito: certe cose non dovrebbero esistere. E suo figlio, lei e sua sorella contaminavano un arazzo fin troppo fragile.
Osservava la distruzione con distacco gelido e si chiedeva cosa avrebbe portato.
Non deve per forza rinascere qualcosa, dalla distruzione.
 
Daphne Zabini perdeva cognizione di sé stessa con ogni minuto che passava: ogni istante portava con sé una lenta e infinita agonia, una parte di una Daphne che non sarebbe più tornata a essere.
Alex la osservava sempre, in una pallida copia di suo cugino Scorpius, e si chiedeva se avesse la stessa malattia della sorella minore. Osservava la tiepida indifferenza di suo padre, mirata a ucciderli tutti quanti: Alex lo sapeva, che Blaise usciva la sera tardi e si faceva vivo solo quando era già ora di pranzo. E poi si rinchiudeva nel suo studio a comporre poesie per la sua rubrica sulla Gazzetta del Profeta, in preda all’estro artistico che sapeva donargli solo una qualche sgualdrina di Notturn Alley. Blaise Zabini esaltava delle chiome bionde e occhi verdi e pelle nivea. E tutti pensavano che si riferisse a sua moglie, che aveva i capelli dorati e gli occhi verdi e sfumati di celeste. Suo figlio era l’unico a dire che quelle poesie parlavano di una donna coi capelli tinti e gli occhi trasfigurati, una ragazza ingenua e stolta, diversa dalla bellezza straniera di Daphne Greengrass.
Una volta, per questo, aveva ricevuto uno schiaffo: suo padre l’aveva guardato e aveva fatto entrare in collisione la sua mano con la pelle delicata del figlio, per insegnargli a tacere segreti così reconditi da divenire inconfessabili.
«Non dirlo più» aveva sibilato, fra i denti candidi. «Non dire mai più niente del genere».
Alex aveva annuito, l’odio inciso nei suoi occhi, il riflesso perfetto di quelli di sua madre. Era andato nella sua stanza, misurando i passi, facendoli rimbombare: che suo padre ascoltasse il suono del suo risentimento.
Ascoltalo bene, Blaise, imparalo a memoria: questo suono ti ossessionerà per sempre.
La porta l’aveva chiusa con forza. Poi si era gettato sul letto e le aveva scritte, quelle parole, per non disobbedire al padre. E quel foglio l’aveva piegato in due e l’aveva bruciato col fuoco pigro del camino. Aveva gettato la cenere sulla moquette, in un impeto di follia irrazionale.
«Brucia» aveva sussurrato, rivolto all’ignaro padre. «Brucia insieme a noi».
E aveva calpestato la cenere, spargendola ovunque insieme al suo tacito desiderio. Fu allora, che il primo filo prese fuoco, dando il via alla maledizione che avrebbe fagocitato un intero casato.
 
Fu Daphne Zabini e solo lei ad accompagnare il figlio a prendere il treno per Hogwarts, per la prima volta, quell’anno: Blaise era sparito, nessuno sapeva quando sarebbe tornato. E Alex stringeva la mano della sua povera, svampita, mamma e sperava che suo padre fosse diventato cenere per lasciarli vivere. Era lui a guidare sua madre fra le persone, a sottrarla dagli sguardi curiosi e a quello di ghiaccio di Asteria Malfoy.
Perché lo sapevano tutti, che il destino delle due sorelle Greengrass era stato reciso dalle mani inesperte di una sarta impietosa. E così soffrivano entrambe di un male comune e inconfessabile, di un dolore che scavava una voragine nel petto fino a ingoiare il cuore.
E sembrava quasi che le due sorelle volessero sbranarsi e abbracciarsi, urlare il loro risentimento davanti a tutti. Ed erano Scorpius e Alex a trattenerle, evitando uno scontro che per la tragedia appariva inevitabile: una ne sarebbe sicuramente uscita sconfitta. L’altra l’avrebbe seguita, probabilmente, per disperazione.
E Alex si chiedeva come avrebbe fatto, senza la madre che amava tanto. La amava perché lei era troppo fragile per provare qualcosa, attraverso la densa apatia in cui si era avvolta.
«Scrivimi» sussurrò Daphne Zabini, prima di lasciare andare il figlio adorato.
Alex pregò che suo padre rinsavisse e si occupasse di lei, prima che la luna li reclamasse tutti, uno alla volta.
 
Ogni giorno Alex si trascinava in giro, cercando qualcosa da raccontare a sua madre. Qualunque cosa per distrarla dal mondo che le era piovuto sulle spalle, con violenza inaspettata, quel mondo che aveva retto lui per anni.
E scriveva, ogni notte, tutto ciò che vedeva. Si sedeva su un divano e osservava Rose Weasley e Scorpius Malfoy che parlavano, le teste vicine. Ma era sempre la chioma rossa di Rose che gli rimaneva impressa, quando socchiudeva gli occhi alla luce delle candele.
 

***

 
Alex tornava sempre a casa, per le vacanze. Quell’estate arrivò prima del previsto e sua madre andò a prenderlo alla stazione. Era accompagnata dal padre di Alex e camminavano abbracciati e Blaise sfoderava il sorriso fiero di chi ostenta un premio. Non sapeva che suo figlio sperava che non fosse una riappacificazione data da una fortuita circostanza. Così camminava e pregava, pregava che il fuoco che aveva acceso si limitasse a distruggere un solo filo.
Impossibile. Il fuoco è nato per distruggere.
Camminava lentamente, sbattendo i piedi per far sobbalzare suo padre. E silenziosamente, pregava. Pregava che sua madre fosse solo più florida e quella curva un gioco di luci.
Pregava sapendo di sprecare voce: un altro filo, lentamente, stava prendendo fuoco.
 
Sapeva che c’era un’altra sorella Greengrass, sapeva che era la madre di quella Anne Nott che ridacchiava ogni volta che Luis Weasley le faceva l’occhiolino. Ma non l’aveva mai vista finché non si era presentata sulla soglia di casa, con la figlia accanto e un cipiglio battagliero sul volto.
Di Elizabeth Nott, Alex sapeva solo che era l’unica sorella che la maledizione aveva risparmiato. Eppure, nella sua forza battagliera, conservava una fragilità che rimandava alle sue due sorelle maggiori.
«Io e Theodore abbiamo litigato» annunciò, scrollando le spalle. E si trascinò la figlia su per le scale, verso la camera degli ospiti e la maggiore delle Greengrass che si beava delle gioie di una gravidanza non voluta.
 
«Perché i tuoi genitori hanno litigato?» chiese Alex, sottovoce.
Anne Nott alzò le spalle e gettò i ricci biondi dietro le spalle. Gli scoccò uno sguardo di infinita superiorità. «Non sono affari tuoi» disse, impettita. «Dov’è tuo padre, invece?»
«Non sono affari tuoi» la scimmiottò Alex, semplicemente. «La verità è che non lo sai. Tutto ciò che sai è l’esatta sfumatura di verde degli occhi di Hugo Weasley».
«Hugo ha gli occhi azzurri» sibilò Anne, oltraggiata. «E comunque, tu non fai altro che correre dietro alla Weasley».
Alex ridacchiò. «Quale?» domandò, divertito.
Anne non si degnò di rispondere. Continuava a giocherellare distrattamente con un ciondolo a forma di stella, di argento annerito dal tempo. Ne sfiorava le punte con le dita, pensando a un incantesimo.
Alex la guardava, incantato. Quell’incantesimo era fatto per salvare qualcuno.
«Me l’ha regalata mia madre» disse Anne, sottovoce. «E’ la chiave di un suo medaglione: dentro tiene un pezzetto di pergamena, dove ha scritto col sangue due nomi. E quelle persone moriranno».
Alex scosse la testa. Gli incantesimi sanno essere ingannevoli.
 
Quella notte, Alex passò ore davanti alla porta della camera degli ospiti. Ma era quasi mattina, quando avvertì quel suono, un singhiozzo soffocato nei cuscini. E si alzò dal pavimento lindo, per sbirciare attraverso la porta socchiusa malamente.
Elizabeth Nott sedeva sul pavimento, la veste allargata attorno alle gambe. Teneva le mani della sorella maggiore e la guardava con infinita calma, senza scomporsi minimamente.
«Daph» sussurrava, scuotendola con delicata impazienza. «Ascoltami: io e Theo siamo pronti ad accogliere te e Alex. Non devi sopportare tutto questo».
«Tu non capisci niente» fu la risposta atona di Daphne Zabini. Alzò lo sguardo, stanca. «Non potrai mai capire».
«Non va bene, così» osservò Elizabeth, ostinata. «Non arriverai al prossimo Natale, se perseveri in questa situazione».
A quel punto, Daphne rise, una risata folle che fece sobbalzare Alex.
«Proprio tu, parli» disse, divertita. «Tu che sei corsa qui da me, lasciando solo tuo marito. E per cosa? Per una lite».
«Quanto sai essere ingenua…» replicò Elizabeth, stizzita. «Non abbiamo litigato. Sono venuta qui per te».
«Posso sopportarlo» disse Daphne, abbassando cautamente il tono della voce. «L’avevo sempre saputo, che non sarei stata l’unica. Ma non sono Asteria, lo sai. Non sono come lei».
«No» ammise Elizabeth, a malincuore. «Sei molto più sciocca. E ti sei innamorata, proprio tu che avevi giurato che gli saresti rimasta fedele».
«Noi non parliamo mai di lui» rispose Daphne. E si lasciò cadere sul letto della sorella, singhiozzando come una bambina.
 
Quella fu l’unica notte in cui Alex dubitò di sua madre.
 

***

 
All’inizio, fu certo che quello fosse solo un sogno. Perché la realtà era troppo nitida e troppo poco affilata e dolorosa per potergli in qualche modo appartenere.
E sua madre era più giovane e più pacata di quanto fosse in realtà: stringeva la mano di un ragazzo dai capelli di un morbido castano chiaro. E rideva, come mai faceva di solito.
Capì che era un sogno, quando vide che anche Asteria Malfoy era lì, stretta a un ragazzo dalla chioma rossa. E sorrideva, anche lei, un sorriso che nessuno aveva mai visto.
Vide anche Elizabeth Nott, seduta in un angolo, una piuma da cui gocciolava inchiostro rosso e un frammento di pergamena in grembo. Un medaglione giaceva aperto accanto a lei.
Allora, Alex fu certo di essere nel peggiore degli incubi. E la cosa peggiore, era che sapeva bene di chi fossero i nomi racchiusi nel medaglione di sua zia. Si sporse per confermare i suoi sospetti.
E vide che non c’era nessun nome, sulla pergamena.
Ma capì definitivamente che quello era solo uno stupido gioco del suo subconscio solo quando vide anche suo padre, seduto accanto a un uomo che Alex credeva di conoscere, che indicava Daphne con un sorriso sciocco. Innamorato, forse.
Fu a quel punto, che Alex urlò, pieno di quel rancore che lo tormentava e gli straziava l’anima.
 
Si svegliò nel suo letto, una presenza proprio accanto a lui: seduta sul bordo del materasso, stava Elizabeth Nott. Lo fissava con quei suoi occhi color nocciola, screziati del verde dei Greengrass, e sorrideva. Al collo, portava quel medaglione che Alex non riusciva a guardare.
«Ascoltami» sussurrò, prima che suo nipote riuscisse a mandarla via. «Non puoi fare nulla, per lei».
Alex le scoccò uno sguardo al sentore di sfida, sperando che servisse ad intimorirla.
«So, cosa stai pensando» sussurrò la minore delle tre Greengrass, affranta. «Che sia colpa mia: forse lo è parzialmente, sai? Ma non completamente».
«Hai fatto un incantesimo» fu la debole replica di Alex. «Non negarlo».
Lentamente, Elizabeth portò le mani dietro al testa e staccò il suo medaglione da quel collo troppo delicato. Lo lasciò sul letto, con un movimento lieve. Poi, sorrise.
«Non tutti gli incantesimi sono fatti per uccidere qualcuno».
 
Non riuscì a riaddormentarsi, Alex, quella notte: sentiva il freddo metallo del medaglione anche sotto l’imbottitura del cuscino. Così, senza pensarci, lo prese e lo aprì: conteneva un frammento di pergamena, dominato da due nomi tracciati con un cupo inchiostro rossastro.
Sobbalzò e tentò di sopprimere quel sorriso che gli si era formato sulle labbra, uno di quei sorrisi che sbocciano senza sforzo.
 

***

 
Si accostò alla porta dello studio di suo padre, dove sapeva esserci anche sua madre e un insieme di sussurri indistinti gli raggiunse le orecchie, frastornandolo. Vedeva i suoi genitori attraverso lo spiraglio, atteggiati in una scena così patetica che, per un attimo, pensò che quello fosse un altro sogno. Solo per un attimo.
Suo padre singhiozzava, la testa sul grembo della moglie, la mano che indugiava sulla pelle scoperta e venata di blu.
«Mai più» sussurrava Blaise, singhiozzando. «Mai più, Daphne».
Alex vide sua madre ridere, in un eco smorzato di una felicità che doveva aver provato. Daphne Zabini alzò lo sguardo, puntandolo sul marito, che appariva appassito e invecchiato alla luce delle candele.
«Somigli a lui» osservò Daphne, sorridendo. E c’era qualcosa di ultraterreno, in quel sorriso. «Al mio Alex».
«Non parlare di lui» sussurrò Blaise. Poi si alzò e se ne andò, senza guardare suo figlio che raggiungeva la madre e portava quel nome maledetto che nessuno dei coniugi Zabini aveva mai dimenticato.
 
Le mani di Daphne correvano su e giù, irrequiete, su una vecchia foto: un ragazzo dai capelli castani, sbiaditi nella foto. C’era una volta, tanto tempo fa.
Alex non la ferma, si accorge che lei non lo vede.
«Cos’hai in mano?».
Si sbaglia.
 
Alex apre la mano e il biglietto – l’incantesimo – di sua zia viene esaminato da Daphne. Ci sono scritti solo due nomi, solo due.
 
Daphne urla, facendo tremare tutta la casa. Il sangue sul foglio brilla come un rubino.
 
Alex Zabini.
Fred Weasley.
 
«Perché?» chiese Daphne, affranta. «Perché proprio mia sorella?».
Guardò negli occhi suo figlio e intuì quella tacita risposta.
Non tutti gli incantesimi sono fatti per uccidere qualcuno.
 

***

 
La mattina seguente, Alex Zabini si svegliò con una strana sensazione, come se avesse dimenticato qualcosa.
Si svegliò e con orrore constatò che sua madre lo fissava: aveva la camicia da notte sporca di sangue.
 
«Dormi, Blaise, dormi».
La voce di Anne Nott risuonò, chiara e limpida, nei suoi pensieri confusi.
«Ti porteremo via da questo incubo, te lo prometto».
 
Non tornò più a casa per le vacanze di Natale, Alex, e l’estate la passò sempre con la famiglia Nott. Ma la visione del sangue su sua madre e della sua sorellina – chissà poi se aveva fatto in tempo a esalare il primo respiro – non gli lasciava scampo, lo assillava ogni sera, ogni lacrima che versava,
Ogni macchia su un foglio.
Alex si sentiva come se fosse morto, ogni volta.
Ogni volta che l’inchiostro diventava rosso sangue.
 

***

 
Il tempo passava troppo velocemente, sorprendendolo. Ogni mattina si specchiava negli occhi di sua cugina Anne – anche lei, quando era cresciuta? – e vedeva sempre un Alex diverso, scavato nel dolore che lo stava fagocitando con esasperante lentezza.
Si vedeva diverso, simile al padre nello sguardo innamorato di Elenie Goyle, ospite fissa dai Nott.
E si vedeva uguale, un bambino tremante, nello sguardo triste di Elizabeth Greengrass. L’unica ragazza Greengrass che sembrava essere scampata alla maledizione.
«Alex, forse dovresti ridarmi il mio medaglione» suggerì una mattina, a colazione. Erano passati quattro anni, da quando Alex si era rifugiato da sua zia.
E, mentre si apprestava a compiere i fatidici sedici anni, si rendeva conto che non tutti gli incantesimi sono eterni.
«Perché?» domandò Alex, perplesso.
Elizabeth Nott sorrise, rivelando l’esistenza di rughe che Alex non aveva mai notato. Erano sottili, vicine alla bocca e nascoste dalla luce delicata della mattina.
«Tu non vuoi essere dannato per sempre, Alex» disse Elizabeth, sorridendo. «Ma solo per un po’».
E per la prima volta, Alex vide anche la sua maledizione.
 
Quel pomeriggio, le diede il foglietto. In segreto aveva annotato un secondo nome e sperava che sua zia non se ne accorgesse.
 
Elizabeth strinse fra le mani il suo incantesimo, lo avvicinò al petto.
«Lo sapevo, che eri diverso da tutti noi» mormorò, semplicemente. «Sei fatto per rimanere qui».
«Non capisco, mi dispiace» mormorò Alex, imbarazzato.
Elizabeth sorrise, sorniona.
«Lo so» rispose, scuotendo la chioma color nocciola. «Non mi aspetto che tu capisca».
Alzò lo sguardo, sorpresa.
«Non dire nulla» la supplicò Alex, sottovoce. «Ti prego».
Elizabeth Nott sorrise. «Dopotutto» ammise. «Sei troppo simile a tua madre per essere dannato».
E se ne andò, stringendo al seno quel terzo nome.
 
Alex non riuscì a guardare sua cugina Anne nemmeno per un secondo, quel giorno.
Fu lei, a raggiungerlo, quella notte.
«Di chi è il nome?» chiese, sottovoce.
Ma Alex scosse la testa e si rifugiò sotto le coperte.
«Ti prego» sussurrò Anne, corrucciata.
Alex abbassò lo sguardo e proclamò quel nome.
«Elizabeth Greengrass».
 
Non aveva scritto solo un nome, sul foglio.
 

***

 
Sentiva il rimorso che gli s’insinuava dentro, facendolo tremare. Sedeva sulla riva del Lago Nero e si chiedeva tacitamente se quelle acque fossero fredde quanto quel suo cuore traditore.
Non lo sapeva.
E cercava di non pensarci, mentre ascoltava rapito i suoni di alcuni passi che ben conosceva.
«Ciao» sussurrò una voce femminile.
Alex vide solo una chioma rossa e un paio di occhi castani, una Weasley qualunque, non si rese conto di trovarsi davanti alla grande amica di suo cugino Scorpius.
«Ciao» borbottò, rude.
Voleva far soffrire anche gli altri.
Rose Weasley gli sorrise, incoraggiante.
«Va tutto bene?» chiese, delicata. «Deve essere stato un brutto colpo anche per te».
Perché era sempre lui a soffrire?
 
«Funerale?» domandò Alex, annoiato.
Rose annuì, l’aria seria, e si strinse in un maglione rosa.
«Non stava bene, la madre di Scorpius» disse, addolorata. «E non sta bene suo padre e forse non sta bene nemmeno lui. Forse nessuno di noi sta veramente bene».
Alex annuì e si alzò lentamente, ricordando che aveva guardato Elizabeth Nott con aria vacua, quando gli aveva comunicato che Asteria Malfoy se n’era andata.
Solo in quel momento capiva, il danno che aveva combinato.
Forse, era destino che una delle sorelle Greengrass si salvasse.
Scosse la testa quando Rose si avvicinò per aiutarlo.
Non si era nemmeno accorto che era sul punto di cadere.
Sospirò e corse via.
Aveva scelto la Greengrass sbagliata da salvare.
 
Fermò sua cugina Anne dopo pranzo, per la prima volta dopo il suo sbaglio estivo – dopo aver visto il nome di sua madre, non che lui potesse biasimarla, Anne aveva smesso di parlargli, presa dal disgusto – con una delicatezza che non gli si addiceva.
«Cosa vuoi?» sibilò infatti lei, stringendo le labbra per non urlare.
«Dov’è Scorpius?» domandò Alex, senza preamboli.
Anne lo guardò, stralunata. «Via» sussurrò, semplicemente. «Andato via».
Alex sospirò e non disse altro, mentre già la sua mente volava oltre quell’avvenimento, alla ricerca di altri “se”.
 
«Ti andrebbe di andare ad Hogsmeade con me?».
La domanda cadde nel vuoto.
Il gridolino stupito di Elenie Goyle si sentì in tutta Hogwarts.
Ma Rose, una frastornata Rose Weasley, disse di sì.
 

***

 
Due settimane dopo, già camminava per Hogsmeade con Rose Weasley che gli stringeva il braccio in una morsa debole e delicata. Aveva liquidato con un sorriso tremulo lo sguardo truce di Elenie Goyle e quello sorpreso di Anne Nott, per affiancarsi alla ragazza che aveva passato più tempo con il figlio di Asteria Greengrass.
«Cosa ti turba?» domandò Rose, senza indugiare. Il suo sguardo era diretto e sincero, il sorriso reso opaco da una tristezza interiore.
«Niente» rispose Alex, lapidario. La guardò negli occhi, cercando di concentrarsi su un altro dolore, uno che non fosse il suo. «Chi hai perso, Rose?».
«Scorpius è andato a prendere la luna» sussurrò lei, lo sguardo sognando. «Se n’è andato dopo il funerale di Asteria, non è tornato per quello di Draco» sospirò, scuotendo la sua gran massa di capelli rossi e arruffati. «Non tornerà, Alex, non tornerà più».
«Mi dispiace» sussurrò lui. E la mano corse a toccare il petto, dove sua zia Elizabeth teneva il medaglione.
Lì aveva scritto due nomi, solo altri due nomi che si aggiungevano a un incantesimo precedentemente evocato.
«Perché, Alex?» domandò lei, calma, senza tradire quel turbamento che doveva provare.
«Non può bruciare solo una parte dell’arazzo» rispose lui, tremando interiormente.
Uno, era il nome della terza sorella Greengrass, Elizabeth.
«Ma tu non brucerai» osservò lei, atona. «Tutti gli altri, invece, sì».
Alex la guardò negli occhi, uno strano bagliore che deformava l’iride. «Vieni con me» sussurrò. «A guardare gli altri che bruciano».
E Rose chinò la testa, sapendo di non avere altra scelta.
Il secondo nome, Alex aveva paura di pronunciarlo.
La strinse a sé e camminarono, il vuoto che sembrava volerli inghiottire.
Era quello di Daphne Zabini.
 
«Non aspetti lettere da Scorpius?» domandò una sera di parecchi mesi dopo, curioso. I M.A.G.O. incombevano e lui brava una qualunque distrazione.
«Non mi aspetto nulla da lui» disse Rose, dura. «Assolutamente niente».
Ed era vero: Rose non l’aspettava nemmeno più, una lettera di Scorpius.
 
«Devo dirti una cosa».
Fu il sussurro di Alex, la notte prima degli esami. E il cuore di Rose perse un battito.
Perché, Rose, perché? Che filo hai paura di bruciare?
«Cosa?» chiese lei, la voce tremula.
«Voglio sposarti» disse lui, diretto e schietto come sempre.
«Va bene» rispose lei, atona.
Guardalo bruciare, Rose. Guardalo bruciare.
«Non tornerà, Rose» disse Alex, mentre le prendeva la mano. Ma lei lo sapeva già.
 

***

 
Non era felice. Rose non era felice, Alex lo sapeva e non aveva la forza di curarsene: le rose appassivano in ogni angolo della casa e sua moglie non le gettava via.
Ed Elizabeth Nott passava a trovarli ogni giorno, da quando si erano sposati, e ogni giorno sembrava sempre più fragile. Sembrava quasi invisibile nel suo velluto nero, che le fasciava il corpo fragile.
Stava male, Theodore Nott. Stava male anche Daphne Zabini.
E Alex li guardava bruciare.
 
L’aveva trovata sola, sua moglie, nel bagno. Piangeva e stringeva fra le dita un frammento di vetro.
Chiuse la porta con violenza e corse via, in silenzio.
Quella volta, Alex ebbe paura.
 
Di notte, sua moglie si svegliò urlando.
 
Alex le circondò le spalle con un braccio, rassicurante.
«E’ finita» sussurrò, dolcemente.
Aveva ragione. Quanto aveva ragione.
 

***

 
Lo seppe dopo, che Scorpius Malfoy era morto. E si rifiutò, Alex, di partecipare al funerale e di andare in quella casa che solo lui poteva ereditare.
Non rimaneva quasi più nessuno: bruciavano tutti.
E lui, preso dal rimorso, portava ogni giorno dei fiori sulla tomba dei Malfoy.
Rose non lo sapeva.
 
Eppure lo sorprese, una notte, con le mani piene di spine delle rose.
E lo abbracciò per questo.
 

***
 

Nelle tragedie, in qualunque lingua le si racconti o verso con cui si scelga di cantarle, alla fine assolutamente nulla è prevedibile. Facciamo le nostre congetture, prevediamo morti e amori, pensiamo che il fuoco fagociterà un certo filo dell’arazzo.
Ma la verità è che tutto è sì già scritto, trama e ordito di un arazzo non modificabile, e noi non riusciamo a decifrare una scrittura troppo complessa per appartenerci.
E crediamo che un amore sia eterno quando non  lo è, che un amore non sia tale perché nato per caso. Pensiamo che alcuni fili non bruceranno, quando invece il loro destino è solo uno.
E se i sentieri portassero tutti alla stessa fine?
 
Alex nascose il volto – che non volesse farle vedere che era umido di lacrime? – nell’incavo della spalla di sua moglie.
«Andrà tutto bene» le sussurrò, sottovoce.
Ma lei lo sentì lo stesso. E forse, solo per quella volta, ci credette.
 
Ma la verità, probabilmente, era che Alex non voleva proprio saperlo, come finiva la sua tragedia.

   
 
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