- Nick
EFP:
cicina
-
Raiting:verde
-
Genere:
Fantasy, introspettivo, malinconico
- Fiore
e albero
(con relativi elementi utilizzati): Erica, solitudine, la frase,
Canfora,
nascondiglio.
- NdA
(facoltative): One Shot in cui si parla di fate, secondo la loro veste
tradizionale. Wikipedia è stata di grandissimo aiuto per
questo. Sterenn è un
nome celtico e significa "stella", come Roveren che invece vuol dire
"regina".
prima
classificata al contest "Il
linguaggio segreto dei fiori" indetto da Fight_4
LACRIME DI
RESINA
Sterenn
osservava silenziosa la sua piccola figura, incassata tra le coperte
del
lettino dell'istituto. I lunghi capelli sparsi sul cuscino. La fronte
distesa,
in una posa rilassata.
Solo
gli occhi, color corteccia, tradivano il fatto che non avesse ancora
ceduto al
sonno.
Piano
scese dal suo nascondiglio, posto nei pressi dell'albero della canfora.
La sua
veste, fatta di erica, svolazzò nell'aria, diffondendo il
suo profumo lieve.
Nessun
rumore, solo una brezza leggera, che nessuno avrebbe sentito.
La
bambina non vi fece caso.
Sterenn
aggrottò la fronte.
-Mary,
non riesci a dormire?- domandò, con voce flautata.
La
piccola sussultò.
Si
guardò attorno, prima di rilassarsi, non appena vide la
minuscola luce, a lei
familiare.
-Sterenn!-
esclamò.
La
fata annuì, con un sorriso.
-Che
cosa c'è?- domandò gentile.
L'altra
tirò su il naso, seria seria in volto.
-Non
voglio andare via- piagnucolò.
La
fata si avvicinò ancora e, con la mano, toccò
l'acqua salmastra che sgorgava da
quelli occhi scuri, come se fosse una minuscola fonte. I fiori di erica
che componevano
il suo abito assunsero una piega iridescente, nel momento in cui la sua
proprietaria sfiorò l'acqua. Durò solo un
momento, poi tornarono al loro colore
originario.
-Non
devi piangere- disse, con voce accorata. Vedere Mary in quelle
condizioni le gettava
addosso una sensazione spiacevole, che non aveva mai provato. Non
sapeva
spiegarsene il motivo. L'unica cosa che sapeva era che non voleva
vederla
triste.
-Non
ci riesco- rispose questa, con voce tremante- io voglio rimanere qui.-
Sterenn
le rivolse un altro dei suoi dolci sorrisi.
Non
era la prima volta che vedeva quella bambina piangere. Non era la prima
volta
che volava su quell'orfanotrofio ma affezionarsi ad un'umana, comunque,
era
qualcosa di decisamente nuovo per lei. Spesso la scorgeva tutta sola,
sull'altalena attaccata al legno del vecchio melo, oppure dentro quello
che lei
considerava come un nascondiglio, una minuscola insenatura alla base
dell'albero di canfora.
Presa
dalla curiosità l'aveva seguita con estrema dedizione,
partecipando, pur senza
comprenderlo, alle innumerevoli vicende della sua permanenza in
orfanotrofio e
dedicandosi a lei in un modo del tutto inedito.
-Che
cosa ti rende così triste?- domandò allora.
Mary
singhiozzò.
-Hai
sempre desiderato avere una mamma ed un
papà...-mormorò- qualcuno che ti
asciughi le lacrime quando hai voglia di piangere, o che ti sollevi per
aria,
per farti toccare le nuvole, o che ti sorrida quando sei felice...-
Le
lacrime dell'umana la stupivano. Non riusciva a comprendere la causa
del dolore
di quella piccola orfana.
-Ho
paura...- rispose questa.
La
brezza dell'estate in arrivo, entrò nella camera, scostando
leggermente le
tende. L'abito di Sterenn, fatto con i fiori dell'erica, si mosse
piano,
insieme alla chioma fatta di raggi di luna.
I singhiozzi della bambina non sembravano placarsi e, per
un momento, la
fata si perse nel vedere quella manifestazione di dolore, quasi
miracolosa ai
suoi occhi. Lentamente, si levò in aria e, sbattendo le ali,
eteree come i fili
di ragno, raggiunse il viso della piccola umana.
Mary
la guardò con meraviglia.
Era
grande come il palmo della sua mano e luminosa come il nome che
portava.
-I
tuoi nuovi genitori sono delle brave persone- mormorò soave-
perché ti
rattrista andare con loro? Forse non ti piace la loro casa?-
La
bambina scosse la testa.
-
Non sarai più con me. Non vedrò più il
mazzolino di erica fresco ogni mattina
sul mio comodino. Non potrò più parlare con te. -
disse mesta- Sei stata la mia
sola amica in questo posto. Da quando ho perso la mia mamma ed il mio
papà, non
ho avuto nessun conforto...a parte te. Come farò?-
Sterenn
vide i suoi occhi.
L'iride
era più lucida del solito, come se fosse cosparsa di
rugiada. Così, gli umani
esprimevano il loro dolore
le avevano spiegato, poco prima di lasciare il palazzo. Vederlo,
però, era
sempre qualcosa di sconvolgente per la fata.
-Tu
non sarai mai sola. Anche l'erica che io ti dono non lo è,
anche se sembra il
contrario. Essa cresce sul terreno. Le sue radici abbracciano la terra
e da
questa si fanno sostenere. Le persone che ti hanno voluto, sono oneste
e ti
ameranno...credimi Mary. Le fate non possono mentire.- disse
dolcemente, prima
di cominciare a cantare.
La
bambina fece per rispondere ma un'improvvisa sonnolenza prese possesso
di lei.
Le
palpebre si fecero pesanti e, piano, piano, scivolò nel
languido abbraccio di
Morfeo.
Sterenn
osservò pensierosa il suo viso, ormai addormentato.
Ai
suoi occhi, quella creatura pareva tanto fragile e piccola.
-Crescerà
anche lei, mia giovane figlia- disse una voce, bassa e flautata.
La
fata si voltò.
Davanti
a lei, avvolta in un abito di luce, c'era la regina delle fate,
Rivanon.
-Mia
signora- salutò, senza staccare lo sguardo da Mary.
L'aria
della bambina, così docile ed indifesa, stava attirando ogni
parte del suo
corpo. -Gli umani sono così. La loro vita è molto
più breve della nostra e, al
giungere del loro termine naturale, essi non si incantano nei loro
castelli.-
mormorò.
Sterenn
sospirò.
-Questo
lo so bene, mia signora- rispose- ma, vedete, come posso lasciarla
così...fragile ed indifesa...in un luogo crudele e tiranno
come quello degli
uomini?-
Roveren
chiuse gli occhi di giada.
Un
raggio colpì la sua corona, facendo splendere il suo viso
più del solito.
-Può
capitare di provare un simile attaccamento, è' la tua prima
protetta, non
dimenticarlo. Sua madre, morendo, l'affidò a te...e tu hai
fatto il possibile
per darle una vita serena. Hai ammorbidito il gelo della sua
solitudine, hai
ascoltato il suo pianto, hai dato conforto alla sua anima. Ti sei
comportata
come una vera fata. - disse, prima di assumere un tono malinconico- Ma
devi
capire...ed accettare... che per gli uomini è indispensabile
rimanere in
compagnia dei propri simili. Non sono come noi, abituate alla
solitudine dei
nostri palazzi. Hanno bisogno del contatto con i loro simili e Mary
deve
accettarlo...come dovrai farlo anche tu. -
Sterenn
sorrise malinconica.
Gli
uomini erano davvero strani.
-Ho
paura, mia regina- sospirò- so che le vostre parole sono
sagge e giuste ma...,
quando tento di allontanarmi da questa bambina...io...provo una
sensazione
spiacevole, che non so definire.-
Roveren
si passò una mano sulla chioma scura.
-
Quello che senti è la tristezza. Noi fate non siamo
né buone, né malvagie.
Riflettiamo solo l'indole dei nostri protetti, come uno specchio ed
è in base a
questo che premiamo o puniamo coloro che ci vengono affidati. Mary
è una brava
bambina e tu l'hai premiata, trovandone la famiglia che tanto ha
desiderato.
Hai compiuto il tuo dovere, o figlia.- disse - Non devi aver paura per
lei. Lo sanno tutti che in caso di pericolo
si
salva solo chi sa volare bene e tu, Sterenn, le hai dato
tutto il conforto
necessario per poterne sostenere il peso. Ora, però,
è il momento di lasciarla
andare...affinché usi quelle ali senza forma, più
forti forse delle nostre, che
tu stessa lei hai costruito con la tua dedizione.-
La
fata dalla veste di erica chinò il capo.
Non
poteva disobbedire alla sua regina, malgrado qualcosa la spingesse a
rimanere
lì, al fianco della piccola orfanella. Provare sentimenti
era qualcosa di
meraviglioso e al tempo stesso lacerante, che non lasciava scampo. Le
fate non
erano nate per i sentimenti umani e Sterenn sapeva che, continuando a
rimanere
al fianco di Mary, avrebbe portato il suo corpo a non reggere
più il peso delle
emozioni. Con il passare del tempo, infatti, gli umani maturavano
sensazioni
sempre più forti, troppo violente e dolorose
perché una fata potesse
sopportarle.
Non
aveva altra scelta, doveva lasciarla andare.
Con
un sospiro, si avvicinò alla bambina, ormai addormentata.
Poggiò
il palmo della propria mano sulle labbra e soffiò.
Nel
farlo, qualcosa di liquido e appiccicoso si formò sulle
ciglia.
Sterenn
osservò stupita il fenomeno.
-Noi
fate non possiamo piangere- disse la regina, che aveva assistito alla
vicenda-
al massimo, versiamo gocce di resina. Queste sono le tue prime
lacrime...e non
saranno le ultime. Lasciare i nostri protetti sarà sempre
difficile, anche se
non doloroso come la prima volta.-
Lei
fissò la propria mano senza rispondere, poi seguì
Roveren fino alla carrozza
trainata dai topi. Poco prima di salire, gettò un ultimo
sguardo alla piccola
orfanella, soffiò una seconda volta sul palmo della sua mano
verso il letto e
poi sparì, perdendosi nel buio dell'albero di canfora.
Mary
si alzò improvvisamente.
Aveva
fatto uno strano sogno ma non ricordava cosa. Strabuzzò gli
occhi varie volte,
nel tentativo di rammentare qualche particolare. Era come se avesse in
testa
qualche pensiero ma non riuscisse a vederlo.
Come
se non bastasse, le sembrava che nella camera mancasse qualcosa ma non
sapeva
spiegarsene il perché.
Mentre
tentava di pensarci, di trovare una risposta a quella domanda informe
ed
invisibile, la porta si aprì.
Era
suor Lucia, la monaca che si era occupata di lei e degli altri bambini.
-Tesoro-
disse energica - non sei ancora pronta? La tua mamma ed il tuo
papà arriveranno
a momenti!-
La
bambina la guardò, annuendo appena.
Strano,
dovrei
essere spaventata...eppure non lo sono pensò, scostando le
coperte.
-Mi
scusi- fece, alzandosi in piedi, pronta ad obbedire. Andò in
bagno e, dopo
essersi lavata, si vestì con la divisa dell'istituto, per
quella che sarebbe
stata l'ultima volta.
Eseguì
le stesse operazioni che faceva di solito, eppure aveva come
l'impressione che
ci fosse qualcosa di nuovo.
Poi
l'occhio le cadde su un minuscolo vaso di erica.
-Suor
Lucia, ha portato lei quel vaso?- domandò, perplessa.
La
monaca fissò l'oggetto in questione.
-No,
mia cara- disse, prima di guardare l'orologio- ma deve essere un
regalo. Portalo
con te, a noi non serve.-
Proprio
in quel momento, si sentì nell'aria il suono di un clacson.
Suor
Lucia ebbe un sussulto, presa alla sprovvista.
-Sono
arrivati prima del previsto...-commentò, prima di sorridere
di nuovo - Forza
Mary! Prendi le tue cose e raggiungili, non facciamoli aspettare!-
La
bambina non disse niente.
Prese
la piccola pianta.
Quella
notte aveva fatto uno strano sogno. Le era parso di vedere una
minuscola
creatura con le ali sul comodino, pronta a farle compagnia...ma quel
pensiero
durò solo un istante, sostituito da un largo sorriso. Aveva
sempre desiderato
una famiglia ed ora il suo sogno era realtà.
Contava
solo quello.
Ora,
finalmente, aveva una mamma ed un papà come tutti gli altri
bambini...tutto il
resto poteva aspettare.
FINE
- Grammatica e lessico 9/10
Il lessico è vario, gradevole e appropriato. Contribuisce in
maniera consistente a creare quell'atmosfera magica e fiabesca intrisa
di malinconia.
Ci sono un paio errori di grammatica, probabilmente di distrazione; te
li elenco:
- “come fosse una minuscola fonte”, in questo caso
“fosse” è scorretto, poiché
ciò che dovrebbe essere paragonato alla fonte sono gli occhi
(da cui appunto sgorga l'acqua), oppure, se stavi parlando delle
lacrime, avresti dovuto scrivere “come l'acqua di una
fonte”
- La ripetizione di “simili” a breve
distanza:” è indispensabile rimanere in compagnia
dei propri simili. Non sono come noi, abituate alla solitudine dei
nostri palazzi. Hanno bisogno del contatto con i loro
simili”. Che tra l'altro è anche un pleunastico
poiché ribadisci due volte il concetto che gli umani hanno
bisogno della compagnia dei loro... simili.
- Originalità 8/10
Non ho nulla da sottolineare in modo particolare, la storia presenta
elementi visti, letti e trattati molte volte, ma nonostante questo
conserva la sua unicità per la tua rielaborazione personale.
- CCC (Contenuti, Coerenza e
Correttezza formale): 13/15
Leggere la tua storia è stato davvero piacevole, se avessi
inserito il parametro del gradimento personale avresti senz'altro preso
un voto alto =). La storia è ben strutturata, anche nella
caratterizzazione dei personaggi, dai toni dolci e delicati. Purtroppo
però ci sono diverse imprecisioni, sopratutto nella
punteggiatura, dove spesso hai aggiunto o omesso qualche virgola di
troppo o sei andata a capo dove non era necessario. In più
c'è un vocabolo che non credo tu abbia usato in modo
corretto; parlo della “pieghe iridescente” del
vestito di Stereen. Una piega è per definizione una
flessione o un andamento degli eventi e poiché sono i fiori
a diventare iridescenti... beh, in sostanza non mi sembra che c'entri
molto, a meno che che non mi sfugga qualcosa.
- Uso del pacchetto 9.8/10
Beh, qui non c'è molto da dire. Sia il tema che il fiore
sono risaltati perfettamente e con la giusta importanza. Anche la frase
è stata ben utilizzata, ma non l'ho percepita con la massima
naturalezza. Nel contesto strideva leggermente, poiché non
si capisce immediatamente cosa c'entra. Avresti dovuto parlare prima di
quelle “ali”, che metaforicamente sono la forza
della bambina, e poi inserire la frase.
Comunque sei stata brava =)
- Uso del prompt 4.5/5
Mi è piaciuto il fatto che tu abbia inserito nella storia
anche l'albero di canfora, peccato che sia una specie spontanea che si
trova unicamente nell'Asia Orientale. Ma apprezzo comunque il tentativo
=). Anche il prompt è stato ben utilizzato.