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Autore: Blue_moon    25/02/2013    3 recensioni
Secondo libro della trilogia Similitudini.
Per la comprensione della storia, è necessario aver letto la prima parte, Prigioni.
Loki è fuggito con il Tesseract, portando con sè Khalida.
Ma qual'è la vera missione della donna?
E cosa sta architettando veramente il Dio dell'Inganno?
Qual'è la vera natura del Tesseract?
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Similitudini'
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Ed eccoci qui con l'epilogo della seconda parte.
Spero che dopo averlo letto non vi venga l'insana voglia di venire a cercarmi XD
Come sempre, ci vediamo alla fine.



«Sta giocando con il fuoco, Direttore», iniziò una profonda voce maschile.
Fury osservò la sagoma scura alla sua estrema destra.
Quei burocrati pomposi e codardi non capivano un accidenti di come ci si comportava in guerra, di cosa significava fronteggiare la morte faccia a faccia. Non contemplavano la bellezza e l'utilità del compromesso, né il significato più profondo della parola controllo.
Tenere sotto controllo le minacce alla Terra, non significava necessariamente eliminarle tutte, ma sapere usare con intelligenza ogni informazione, o persona, in suo possesso, per prevedere con un minimo margine di errore cosa sarebbe accaduto e quando. Si trattava di scegliere il pesce più grosso da pescare, quello la cui cattura poteva segnare la differenza tra vita e morte.
«Khalida Sabil è a malapena sopravvissuta ad una missione particolarmente delicata. Ci ha dato molte informazioni utili».
«La sua agente ha lasciato fuggire Loki, permettendogli di portare via il Cubo. I testimoni sono tutti concordi nell'affermare che ha agevolato la sua fuga. Le informazioni che ci ha dato sono solo l'estremo tentativo di salvarsi la vita. Oltretutto, non ci sono di nessuna utilità», illustrò una voce di donna.
Fury osservò la figura al centro. Nel buio, si indovinava un caschetto di capelli biondi e una giacca elegante rosso intenso. Le donne con un briciolo di potere erano la peggiore piaga dell'Intelligence, di questo ne era sempre più convinto.
«L'agente Sabil ha fornito una spiegazione plausibile per quello che i testimoni credono di aver visto», obiettò ancora Fury.
«La pianti Direttore. La commissione ha emesso il suo verdetto», sentenziò una terza voce, con l'autorità delle persone abituate a dare ordini. «Khalida Sabil è una crepa nella struttura della nostra agenzia», continuò, il tono sibilante come una lama. «Se non la eliminerà lei, lo faremo noi».
Lo schermo davanti a Fury si spense, e la minaccia aleggiò nell'aria come fumo.
Fury strinse appena l'unico occhio, prima di portare una mano all'auricolare.
“Agente Hill, ho bisogno di lei”.

Una spolverata di neve fresca dipingeva i tetti di Chigaco di un bianco puro e abbagliante.
Khalida non amava il freddo, ma la neve l'aveva sempre affascinata.
Prima di trasferirsi nell'Europa dell'est non l'aveva mai vista e la sua prima nevicata era stata una delle poche cose a sorprenderla davvero, nel modo puro e genuino dei bambini.
Sporgendosi dal balcone, osservò le persone che passeggiavano sul marciapiede, decine di metri sotto di lei. L'aria fredda la fece rabbrividire, ma non voleva tornare nella stanza che per mesi era stata la sua prigione. Ora che le era concesso, voleva respirare liberamente.
Con un gesto ormai abituale, Khalida si toccò il fianco, lì dove sotto le bende bruciavano i segni delle ferite che l'avevano praticamente uccisa.
Questa volta ci era andata davvero vicina.
Per la prima volta aveva creduto che fosse tutto perduto, che il tempo fosse terminato e la sua vita completamente svanita.
Non aveva più nessuno da cui fuggire in cerca di protezione, né Fury, né Loki, avendo tradito entrambi.
Sospesa tra la vita e la morte, aveva danzato sul filo dell'incoscienza per settimane, in un limbo che l'aveva tormentata peggio della morte.
Era sopravvissuta solo per un miracolo, o per una condanna, ancora non aveva scelto quale fosse l'opzione più probabile.
Ma non aveva mai desiderato morire, e non avrebbe certo cominciato in quel momento.
Un tonfo improvviso alla sua destra la fece sussultare, ma le sue mani non avevano armi da cercare.
Osservò incolore la figura imponente di Thor che si stagliava contro il cielo bianco di neve.
Ne poteva sentire l'odore, presto avrebbe cominciato a nevicare di nuovo.
«Cosa vuoi?», gli domandò, ostile.
Fury le aveva impedito di avere contatti con i Vendicatori, né nessuno di loro aveva chiesto di vederla. Di fatto in quei lunghi mesi, aveva visto solo il Direttore e altri due agenti, che l'avevano interrogata minuziosamente. Solo una volta aveva intravisto Banner attraverso un vetro, poco tempo dopo il suo risveglio, ma forse era stata solo un'allucinazione.
«Parlarti», rispose Thor, facendo un passo avanti.
Indossava l'armatura e in mano stringeva Mjolnir. 
Istintivamente, Khalida indietreggiò, diffidente.
Thor la fissò con aria di scusa. «Non voglio farti del male», disse, accennando un sorriso.
«Non dovresti essere qui», replicò Khalida.
«Lo so, ma non potevo più rimandare. Padre ha trovato un modo per riportarmi ad Asgard e tra pochi giorni lascerò il tuo pianeta», annuì l'asgardiano.
Khalida sollevò un sopracciglio, con fare interrogativo, quasi a domandare perché avrebbe dovuto interessarle un'informazione del genere. «Di cosa devi parlarmi?».
La familiare ombra di dolore negli occhi azzurri dell'alieno rivelò la risposta prima della sua voce. «Di Loki».
La donna si irrigidì. «Ho già detto tutto. Qualunque cosa tu voglia sapere, puoi chiedere a Fury».
Thor coprì la distanza tra lui e la donna con due lunghi passi, l'afferrò per le spalle, senza farle male.
Lo sguardo dell'alieno era talmente intenso che Khalida non riuscì a sfuggirgli.
«Khalida, ho bisogno di sapere la verità su quello che è successo quel giorno».
La donna deglutì. «Cosa intendi?».
«Loki ha davvero usato le sue illusioni per costringere gli agenti dello S.H.I.E.L.D. a spararti?», domandò l'asgardiano.
Khalida sbatté le palpebre confusa. Se Thor aveva quel dubbio, allora la sua recita non era stata convincente quanto sperava. Ciò significava che era ancora sotto sorveglianza. Sfuggì gli occhi imploranti di Thor e sospirò profondamente. «Non qui. Ci ascoltano», mormorò, bagnandosi le labbra.
Per un'istante, Thor sembrò non capire, poi qualcosa si accese nei suoi occhi azzurri.
Con un mezzo sorriso, afferrò Khalida per la vita, stringendola contro di sé e con un rapido gesto del martello, si sollevò in aria, atterrando dopo pochi istanti sul tetto del palazzo.
Khalida si divincolò dalla presa dell'alieno e fece un passo indietro.
Cercò d'ignorare la nausea e le vertigini, concentrandosi sul suo respiro.
«Khalida, ho bisogno di saperlo, Loki ha veramente cercato di ucciderti?», la incalzò Thor.
Lei lo guardò negli occhi. «Perché questa domanda? Cosa speri che ti dica?».
«Voglio sapere se per mio fratello c'è ancora speranza», ammise il Dio del Tuono, con un'aria afflitta che Khalida, in parte, comprendeva.
Sospirò di nuovo, tormentandosi una ciocca di capelli con l'indice della mano destra. Sul tetto soffiava un vento gelido che le tagliava il viso, ma lei quasi non lo sentiva. Doveva decidere se era veramente disposta a giocare a carte scoperte con Thor, se poteva fidarsi del fatto che non sarebbe mai andato da Fury a spifferare ogni cosa.
Alla fine, capì che in realtà non aveva altra scelta.
Thor aveva il diritto di sapere.
Per quanto fosse un ammasso di muscoli e arroganza, l'alieno aveva un cuore ed amava sinceramente il fratellastro, di quell'amore che fa più male che bene, certo, ma comunque in modo genuino.
In più a Loki erano già state imputate abbastanza colpe.
«No, Loki non ha cercato di uccidermi. Sono stata io, di mia volontà, ad attaccare gli agenti dello S.H.I.E.L.D., per dargli il tempo di fuggire», confessò. «Ho inventato la storia delle illusioni per evitare di venire giustiziata dalla corte marziale come traditrice».
Thor non riuscì a trattenere un sorriso, ma Khalida lo freddò con un'occhiataccia.
«Questo non significa che Loki sia cambiato, prova solo il fatto che sono una sciocca», disse, tra i denti.
Thor fece un passo avanti. «È più di quanto sperassi, comunque», ammise. «Cosa farai adesso?», le chiese.
Khalida strinse le braccia intorno al busto. «Fury mi spedisce in un angolo sperduto del pianeta, sorvegliata a vista, per il resto della mia vita».
L'asgardiano sorrise. «Perché non vieni ad Asgard, con me?».
Lei spalancò gli occhi, stupefatta. «Stai scherzando?».
Thor parve confuso. «No. La mia è un offerta sincera».
«Stupida, oltre che sincera», lo frenò Khalida. «Cosa dovrei mai venire a farci ad Asgard?».
«Cambiare vita. Non è quello che volevi?».
Khalida sbuffò. «Sono umana, Thor. La Terra è la mia casa».
«Non sei più tanto umana, da quanto mi hanno detto».
«Se ti riferisci agli effetti della camera di guarigione che mi hanno permesso di sopravvivere a una ferita mortale, ti avviso che non sono permanenti. Svaniranno presto», sbottò Khalida. Quella era una cosa con cui non era ancora scesa a patti. Il fatto che quella diavoleria aliena avesse giocato con il suo DNA, accelerando la naturale rigenerazione cellulare, la irritava più di quanto mostrasse.
Thor annuì lentamente. «La mia offerta non cambia», precisò.
«Nemmeno la mia risposta», fece Khalida, con tono conclusivo. «Adesso riportami di sotto, prima che Fury venga a cercarmi».
«Solo un'ultima domanda», iniziò Thor. «Sei sicura di non avere modo di rintracciare Loki?».
La mente di Khalida corse istintivamente a Match, che le era stato sequestrato al momento della cattura. «Anche se conoscessi un modo, non te lo direi», ammise.
L'alieno strinse le labbra, deluso. «Loki è mio fratello...», cominciò, ma Khalida lo fermò con uno sguardo duro.
«No, non lo è, e finché ti ostinerai a considerarlo tale, non riuscirai mai ad aiutarlo. Non puoi pretendere di ignorare tutto ciò che è successo. Le bugie che Odino ha imbastito vi sono crollate addosso e prima di provare a costruire qualcosa ve ne dovete liberare, non semplicemente scavalcarle», disse, poi fece un passo avanti. Poggiò la mano su quella di Thor, che stringeva Mjolnir in modo convulso. Anche se fiero ed indomito, lo sguardo del Dio del Tuono era come quello di un bambino, un bambino che credeva di aver perso il fratello per sempre.
«Non credere di essere l'unico a soffrire, Thor», disse. «Loki ha bisogno di tempo. Prima di perdonare te e i tuoi genitori, ha bisogno di perdonare sé stesso», Khalida accennò un lieve sorriso e Thor lo ricambiò a stento.
«Quando l'avrai capito, se non riuscirai a trovare Loki in nessun altro modo, vieni a cercarmi. Ti aiuterò», promise d'istinto. Immediatamente provò la fastidiosa sensazione che si sarebbe pentita di quella frase.
Thor le afferrò la mano e con un gesto eclatante se la portò alle labbra, sfiorandone appena il dorso con le labbra.
«Grazie».

Fury entrò nella stanza mentre Khalida stava riponendo i suoi pochi effetti personali, qualche abito e un paio di libri, nel borsone nero ed anonimo che lo S.H.I.E.L.D. le aveva fornito. Per anni aveva considerato un vanto il fatto che tutta la sua vita potesse essere impacchettata nel giro di dieci secondi, letteralmente. Ora lo considera solo squallido.
Iniziava finalmente a capire che c'era sempre stato qualcosa che non andava nel suo modo di vivere. Sarebbe stato più coretto dire che per tutti gli anni trascorsi si era limitata a sopravvivere, senza mai fare niente di concreto, di utile.
Non aveva mai riflettuto seriamente sul senso della vita, sul suo scopo, ma stava realizzando a poco a poco quanto la sua non ne avesse alcuno.
Cosa aveva ottenuto?
L'unica persona per cui aveva provato realmente qualcosa, era morta, nel suo maldestro tentativo di proteggerla, e adesso Khalida sentiva il peso di quella vita spezzata premere sul suo destino. Ricordava come se fosse appena successo le ultime parole che Manaar le aveva sussurrato, prima di morire.
Vivi anche per me.
E lei era venuta meno a quella promessa, perché non aveva fatto altro che nascondersi, limitandosi a far sì che il suo cuore non smettesse di battere.
Ma adesso, aveva l'opportunità di cambiare le cose.
Nel borsone c'era già tutto, la sua nuova identità pronta e confezionata, una vita che esisteva solo sulla carta, ma che lei avrebbe reso piena di significato.
A qualunque costo.
«Andiamo», ordinò Fury, senza guardarla.
Khalida annuì, mentre si caricava il borsone sulle spalle.
Quando la porta si chiuse alle sue spalle ebbe la certezza di aver finalmente compreso il significato della frase di Manaar.
Non la stava implorando di continuare a respirare, ma di avere una vita con un significato.
Una vita che qualcuno avrebbe ricordato, come lei avrebbe sempre ricordato la sua.

Sul tetto della base un elicottero con il motore già acceso diffondeva un rumore costante che, insieme al vento gelido misto a fiocchi di neve, portava via le parole, facendogli perdere importanza.
Un agente in giacca e cravatta, gli occhi nascosti dagli occhiali scuri d'ordinanza, stava aspettando Khalida con espressione imperturbabile.
Fury la consegnò all'uomo senza particolari cerimonie. «Addio, Khalida», disse solamente, guardandola negli occhi.
«Addio», replicò lei, accennando un sorriso.
L'agente le prese il borsone dalle mani e scambiò un cenno d'intesa con Fury.
Khalida si fece scortare fino all'elicottero, mentre le pale acceleravano.
Il rombo divenne assordante.
Quando la portiera scorrevole si chiuse alle sue spalle, la donna si lasciò cadere sul sedile di velluto, massaggiandosi le tempie per un'improvvisa fitta di dolore. Il mezzo iniziò a sollevarsi in aria dopo pochi secondi e una vertigine le fece girare la testa.
Si aggrappò ai braccioli cercando di non guardare fuori dai finestrini.
Il suo sguardo, in cerca di un punto stabile per placare la nausea si fissò sul soffitto.
Una piccola luce attirò la sua attenzione.
Accanto alla spia rossa c'era un filo, blu e bianco, che scorreva tra i cavi, fino ad una scatola che sembrava di gomma nera.
Khalida sbarrò gli occhi.
La luce si spense.

La detonazione violenta infranse tutte le finestre nel raggio di decine di metri e la sfera di fuoco fu visibile per chilometri, intorno a Chigaco.
Al telegiornale avrebbero detto che era stato uno sfortunato incidente, un difetto nel serbatoio del carburante. Unica vittima della tragedia, il pilota, che stava ripartendo dopo aver fatto scendere i propri passeggeri.
Alla maggioranza degli agenti S.H.I.E.L.D. sarebbe stata detta la stessa cosa.
In un ufficio lontano, nella piazza più famosa di Washington, un telefono squillò.
«Pronto?», chiese una voce maschile profonda.
«Problema risolto», replicarono all'altro capo, prima di riagganciare.
Un sorriso soddisfatto si fece strada sul volto dell'uomo, mentre il fumo di una sigaretta saliva lentamente nell'aria.
Uno a zero per me, Nick.
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NB: i numerosi riferimenti in questo capitolo al fatto che Khalida abbia la nausea o giramenti di testa, sono dovuti al fatto che, come ho già detto, lei soffre di vertigini in modo particolarmente accentuato. Non vi allarmate, non ci saranno bambini alieni in questa FF.

Spero che non ci siano punti pochi chiari, in caso domandatemi pure senza problemi.

Khalida è sopravvissuta alle ferite grazie ad un effetto latente della camera di guarigione. Mi sono un pochino scervellata su come potrebbe funzionare un congegno del genere, e ho concuso che probabilmente agisce sulle cellule, aiutandole a rigenerarsi e accelerando così il normale processo di guarigione. Nella mia riflessione ho immaginato che, essendo un congegno asgardiano sugli umani abbia un effetto amplificato, alterando in modo duraturo la struttura cellulare, e mantenendo per un certo periodo di tempo una sorta di rigenerazione veloce dei tessuti... spero che si sia capito, e che non risulti assurdo.

Il dialogo tra Khalida e Thor era nella mia testa praticamente da quando ho scritto il prologo della prima parte XD spero di averlo scritto in modo adeguato, e che Khalida non risulti un personaggio del tutto diverso dal resto della storia.

Mi sono sempre dimenticata di dirvi che Manaar, in arabo, significa luce che guida.

Dovrei avervi detto tutto, adesso vi aspetto per il prologo della terza parte Crepe.

Grazie a tutte le persone che hanno letto e mi hanno accompagnato in questa avventura, in particolare a Sayuri.


A presto,
Nicole.


  
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