Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: TuttaColpaDelCielo    26/02/2013    1 recensioni
«Ho sbagliato qualcosa?» chiedesti, tremando nel fuoco.
«No. Non hai sbagliato nulla.» ti risposero «Non è colpa tua.»
Ti condannarono ugualmente.

Nata dalle proprie ceneri come l'araba fenice, si chiede Chi sono? e impazzisce lentamente, senza memoria di ciò che fu prima.
Senza passato non c'è futuro; se non eri, non sarai. Allora che senso ha essere?
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Note iniziali: chiedo scusa per il ritardo. Sto avendo problemi con il pc e davvero troppi impegni nella vita quotidiana. Più volte ho promesso a me stessa e ai lettori di finire questa storia e ho intenzione di mantenere la parola; ho solo bisogno di tempo. Grazie a chi ancora mi segue e con il suo supporto mi dà la forza di scrivere.

Ricordate dov’eravamo rimasti?
Vari Cherubini riuniti lontani dallo Specchio, di fronte ad una schiera di Arcangeli – e dietro gli Arcangeli, qualcosa.
Devo. Non voglio. Amitiel che lotta contro l’orrore e il dovere.
Leliel annuncia a Sachiel l’imminente Sviluppo. Stupore. Aspettativa. Ansia. I Cherubini che, sotto ai loro occhi, obbediscono a ordini atroci.
Demoni, quel qualcosa dietro gli Arcangeli: Demoni indeboliti e mostruosi, Demoni da combattere, Demoni di cui versare il sangue – e grida e piangere e non potersi sottrarre a quell’esercitazione crudele. Devo. Non voglio. Parole proibite, ritornello che scandisce urla e ricordi. Follia che avanza. Stanchezza. Orrore. Tutto diventa troppo.

E si fermò, infine, interrompendo quell’esercitazione crudele.
Non fu l’abbraccio confortante di Sachiel o il calore promesso dal Paradiso, ad accoglierla, ma terra – terra corrosa dal sangue, terra dall’aroma aspro, terra bagnata di sangue che le consumò la carne infantile. Terra che impattò contro il suo corpo inerte, senza un gemito dalle labbra morse a fondo, senza più lacrime a invaderle gli occhi.
Lo sguardo senza luce e senza ombra, vacuo, vuoto. Spento.




Capitolo 29 – Ciò che è successo





Raggi tiepidi sulla pelle, del tepore rosso del tramonto.

Ciocche bionde tinte di bagliori sanguigni e un profilo nero contro la luce, ciglia sottili socchiuse, labbra rosee distese in un sorriso.
Il corpo dell’altra contro il proprio la scalda più del sole.


Panico.
Terrore.
Calore, un calore che la opprimeva, un calore che era ovunque, attorno e su di lei e dentro, a squarciarla e dilaniarla con artigli invisibili.


È l’ultima notte.
L’ultima in cui potranno restare insieme, abbracciate, respirando il profumo dell’altra.
L’ultima in cui assaporeranno il tepore del sonno e la sete che asciuga la gola e la fame che stringe lo stomaco.
L’ultima in cui lei avvertirà il sangue rimescolarsi nella brama di chi non potrà mai avere.
Sarà proibito anche desiderare, dopo.


Non c’erano più Cherubini con la carne corrosa e Demoni con i segni di un combattimento feroce e urla, strepiti, pianti, sangue vomitato dalle ferite, adulti che ordinavano e incoraggiavano, il cielo che invitava alla fuga.
C’era... rosso. E bianco.
E dolore, dolore, dolore.


Saranno proibite così tante cose, dopo, che non riesce a contarle.
Il sole, le ombre, il tramonto.
Il sangue che scalda da dentro.
I dubbi, le domande, le incertezze.
Teme quasi di provare nostalgia, per un istante; ma, si costringe a dirsi, non si può provare nostalgia per ciò che non si ricorda.


Nebbia, foschia, turbini di rosso e di bianco che si scontravano e respingevano e devastavano a vicenda, squarciandosi, sciogliendosi, e lei non riusciva a capire niente, niente, avvertiva solo quel calore bruciante tutto attorno, oppressione atroce che non le dava tregua – o forse sì, forse c’erano istanti in cui un guizzo candido giungeva a sfiorarla e mitigava l’agonia, ma erano troppo troppo brevi e a lei non restava che urlare senza voce e agitarsi senza corpo, cercando un sollievo che non arrivava mai. Rosso, bianco, dolore. Sollievo. Bianco, rosso, dolore. Le esplodevano colori sulle palpebre incorporee e non capiva, non capiva nulla, c’era solo quel dolore assurdo che era simile a... a... a qualcosa.
A tante cose.
Ricordi.


«Il sole muore, sorella.»
«Moriremo anche noi, finalmente

* * *

Cedimento.
Essenza fuori controllo. Ferita.
Non c’è da stupirsene, dopo ciò che ha passato con Da- sssh.
Troppi stimoli.
Brava, Sachiel, te ne sei accorta in tempo. Ottimo lavoro.
Plasmata una seconda volta.
Non la stancare troppo, Ramiel.
Riposo, cautela.
Nelchael, non farla combattere. Volare sì, ecco, falla volare – con prudenza.
Prendere familiarità con il nuovo involucro.
Sei tornata lucida, Amitiel? Sì, sì, lo so, è fastidioso. Migliorerà con un po’ di pazienza, non preoccuparti, cara.

Le sentiva ancora nella testa, quelle voci. Riviveva ancora quella scena. La Guaritrice che spiegava e rassicurava, la sua insegnante che le accarezzava i capelli, lo sguardo serio di Nelchael, Sachiel un po’ discosta con le labbra morse a sangue e gli occhi sgranati. I loro sussurri. I loro sospiri.
E... e altre, altre voci, ma non voleva perdersi – non in quel momento. Non ancora. Aveva bisogno di lucidità per capire, per riflettere, perché la Guaritrice aveva spiegato e rassicurato ma non aveva risposto.
Perché.
Troppi stimoli, troppa tensione, l’essenza che era quasi esplosa fuori dal corpo pur di sfuggire a tutto quello – ma solo per trovarsi in una situazione peggiore, nuda, esposta, senza un involucro a trattenerla e a proteggerla almeno un po’. Sachiel che l’aveva avvolta e difesa fino a quando gli adulti non erano riusciti a isolarla, a stringerla tra dita incorporee per far agire i Guaritori.
Un nuovo corpo, identico al precedente – ancora poco familiare, ancora poco connesso all’essenza, sì, ma ancora non era per sempre, doveva solo portare un po’ di pazienza. Era sempre lei, sempre la stessa, anche se quell’involucro non aveva assaggiato ferite e carezze, l’Espiazione, le dita gelide di un caduto, il sangue ustionante di un demone. La stessa essenza in un corpo diverso.
Ma quello, ancora, non spiegava perché.
Dolore alle tempie, stridii che la aggredivano non appena tentava di estendere le Percezioni; ali tremanti, squarci che vomitavano sangue senza tregua, membra lente e intorpidite. Problemi comuni, diceva la Guaritrice, non preoccuparti, cara: l’essenza non si lega subito all’involucro, ma con un po’ di pazienza tornerà tutto normale. È per quello che è accaduto, diceva senza spiegare.
Perché.
Perché era accaduto. Perché era dovuto accadere.
Perché la sua essenza si era trovata oppressa da tutta quella tensione, perché c’era stato tutto quell’orrore, i Demoni e il sangue e l’ordine di aggredire quei corpi che non potevano difendersi – per prendere confidenza, per abituarsi da subito al dolore, dicevano, ma ancora, ancora non rispondevano.
Perché perché perché.
Erano Cherubini, Cherubini del ciclo inferiore, Cherubini con ali rosse e squarci sanguinanti, Cherubini che avrebbero dovuto conoscere solo la luce e il tepore del Paradiso; e non era normale, ciò che avevano dovuto fare – l’aveva letto nello sguardo scosso di Sachiel, nel turbamento che Nelchael e Ramiel avevano nascosto a fatica, nella dolcezza eccessiva della Guaritrice. Non era normale.
Perché Cherubini tanto immaturi dovessero già abituarsi ai Demoni, però, nessuno l’aveva spiegato.
Perché. Perché perché perché.
E nessuno che rispondesse a quella domanda silenziosa.
Perché perché perché.
E un fremito, la sensazione di aver perso qualcosa, di non averlo colto in tempo. Le voci che la spingevano a perdersi e lei che diceva no, no, voglio restare lucida. Non riuscire a capire. Dopo ciò che aveva passato con... con. Ciò che aveva passato. Cos’aveva passato? Cos’altro? Non era sufficiente l’orrore di quell’esercitazione?
Ciò che aveva passato con... con... con Da.


«Cosa mi faranno, se lo scopriranno?»
«Oh, bambina, non vuoi davvero saperlo.»


«A... Amitiel.»

Da?
Da.
Con Da.
Ma cos’era a toccarla, in quel momento? Cos’era a scuoterla, tentando di richiamare la sua attenzione? Non vedevano forse che lei era occupata a trovare le sue risposte?


«Hai gli occhi troppo pensierosi, bambina. Sta’ attenta, se non vuoi che te li strappino.»


«Non riuscivo a trovarti. È... è più difficile ora, sai? Sei sfuggente

Da. Da. Da.
Aveva mal di testa – forse doveva smettere di pensarci? Chiudere gli occhi e riposare, come le aveva detto la Guaritrice, perché si sentiva esausta e provata per ciò che era successo. Successo con Da – no, con i Demoni. Era normale che avesse tentato di fuggire a quel dolore, non c’era nulla di che preoccuparsi, tutto regolare, cara, non preoccuparti, riposa, svuota la mente, vedrai che andrà tutto bene, è normale ciò che è successo, a volte accade, non... non...
Non era accaduto a nessun altro. Per quanto orrore avessero provato gli altri, a loro non era accaduto.
Ma perché c’era quella luce accecante, ora, a ferire il nulla in cui si era rifugiata? Perché volevano distrarla a tutti i costi dalle sue riflessioni?
La sensazione vaga di capelli estranei a sfiorarle il viso – ma il profumo era identico a quello degli oli che usava lei. Eppure non conosceva nessun altro che scegliesse sempre quelle fragranze, e perché uno sconosciuto avrebbe dovuto venire a disturbarla? Non vedevano che era impegnata?


«Al Fuoco avevi ancora il suo odore addosso, bambina. Davvero una puttana.»
«Non so di cosa-»
«Ti è piaciuto sentire il suo sapore sulla lingua, bambina?»


«Amitiel, non... non perderti, non adesso, non...»

Agli altri non era successo, no, di trovarsi con l’essenza dilaniata e un corpo dissolto in cenere.
Ma per lei era normale, dopo ciò che era accaduto con Da, giusto?
Le erano accadute così tante cose, così tante cose che non avrebbero dovuto accaderle, così tante cose che gli altri non potevano neppure concepire... così tante cose.
E ricordava, con la sua memoria imperfetta di cherubino, senza riuscire a capire quale delle tante cose avesse spinto la sua essenza a distaccarsi dal corpo. Così tante cose. Così tante cose.
C’erano le voci, e le voci non erano forse un motivo sufficiente ad impazzire? E i Demoni. Eisheth – risate acute, ghigni crudeli, dita bollenti ad accarezzarla. Le mani gelide di Michael che la ferivano. Gli occhi gelidi di Michael. La voce gelida di Michael. Anane, Anane respinta, Anane odiata, Anane che forse non avrebbe rivisto mai più e l’ultimo ricordo sarebbe stato quella rabbia. Il gatto, sì, anche tutto il rosso malato che aveva coperto quel gatto, anche quello era un motivo sufficiente ad impazzire. Gli occhi terrorizzati del Custode e la cenere portata via dal vento. L’impotenza che la schiacciava, nel non poter fermare l’orrore, nel non poter gridare quel no.
Il profumo si fece più intenso.


«Oh, bambina, cos’è quest’espressione? Vuoi forse dirmi che non ti è piaciuto?»
«Non so di-»
«Sempre così ipocriti, voi Umani. Il vostro senso di colpa è semplicemente disgustoso.»


«Amitiel, non... perché piangi? Cosa succede?»


Il dolore. Il disgusto. Le menzogne.
I Censori.
Quello che era successo con Da.
I Censori che le erano entrati nella testa, nella mente. Quelle parole che l’avevano fatta sentire così sbagliata e impotente e sporca e... quelle parole che si rifiutava di ricordare, perché facevano male, male, male, più male di Nelchael che le stringeva il polso, più male del sangue dei Demoni, più male delle dita di Michael, male, male, male – quelle parole che erano finite all’improvviso e... e non ricordava. Il male era rimasto, ma c’era silenzio e bianco e male, male, male, e poi la stretta di Nelchael l’aveva abbandonata e non aveva sentito più niente, solo bianco e male, bianco e male, bianco e male, e... e poi la stretta di Nelchael era tornata ad ancorarla alla realtà e... e quello che era successo con Da.
Da. Da. Da.
I Censori che avevano sussurrato direttamente alla sua mente – ma era stato solo uno, non tanti, solo un Censore, un Censore e le sue parole nella testa, ma no, no, non ricordare, fa troppo male, non ricordare. Lei così piccola e insignificante e debole e quelle parole nella testa.
Quello che era successo con Da.
Quelle parole nella testa, quelle parole nella testa che non erano le voci, non erano quei pensieri sibilanti che la chiamavano bambina, erano... erano... erano dolore puro sciolto dentro di lei a corroderla, male, male, male, stupido insignificante cherubino che non poteva nemmeno difendersi da qualche parola. Dopo era giunto il desiderio di prendere una decisione, la determinazione velenosa nel rifiutare Anane, la sua scelta giusta che aveva occhi azzurri e dita gentili; ma quel male, quel male le era rimasto dentro e... e le sembrava quasi che le avesse dato la forza per tutto quello, la volontà di riscattarsi e non essere più così piccola stolta insignificante e male, male, male, errori su errori e...
Tepore, tutt’attorno a lei, e quel profumo sempre più stordente.


«Le mie... le mie scelte non sono affar tuo.»
«Pensi davvero di aver scelto qualcosa, bambina? Tu, nulla più di carne e istinti?»


«Amitiel, non... resta qui, non... non... oh, maledizione, perché piangi?»

Ciò che era successo con Da.
Da. Da. Da.
Male, male, male, quel dolore folle che si rifiutava di ricordare.
I Censori.
Ciò che era successo con Da.
Da. Da. Da.
Daniel.


«Lo ricordi, bambina, il suo sapore sulla lingua? Ricordi il suo odore?»
«...aveva le labbra rosse.»


E c’era Sachiel, all’improvviso, in quella luce accecante che aveva squarciato il nulla. Il suo viso che si stagliava contro i colori vividi degli alberi, la sua voce che sovrastava il mormorio del ruscello. Capelli biondi che le sfioravano il viso, braccia magre a premerla contro un corpo tiepido, occhi azzurri liquidi di panico. Labbra chiarissime schiuse in un richiamo. Profumo intenso e dolce, lo stesso che amava lei – ma Sachiel non aveva mai usato gli oli, prima di quel momento.
E all’improvviso c’erano singhiozzi che le squassavano il petto, mentre l’altra ammutoliva – singhiozzi sbagliati, singhiozzi troppo umani, eppure Sachiel non se ne andava, non criticava, non la guardava disgustata, solo... solo la stringeva e sembrava sollevata e felice e grata che fosse tornata lucida. Era lì, rimaneva lì, per lei, a stringerla mentre si sentiva così persa e impotente, così oppressa dal dolore che le era rimasto dentro – i Censori, quello che era successo con Daniel, quello che era successo con Daniel, cos’era successo? Faceva ancora male. Non poteva smettere di pensare all’impotenza sotto gli occhi di Michael, l’odio, la voglia di fare una scelta, Anane che l’aveva abbandonata, un taccuino riempito di memorie e di errori, la rabbia, le risposte mai giunte, le domande inghiottite, il silenzio, le voci, i ricordi, male, male, male, voleva solo... solo dimenticare tutto quello, per un attimo, ma quel male non glielo permetteva, era lì nella sua testa, nella sua mente, a confonderla e stordirla e...
E Sachiel, Sachiel era lì con lei, e lei non era più sola rannicchiata a terra, ma stretta contro il suo corpo tiepido. Sachiel era lì per lei, non la abbandonava, Sachiel la pregava con gli occhi di non perdersi più – con le labbra no, perché le labbra chiarissime erano silenti, tremanti, incerte tra una smorfia e un sorriso. Sachiel era lì, la sua scelta giusta, e riusciva a farla sentire un po’ meglio – perché per Sachiel era importante, non un cherubino stupido insignificante impotente lercio, e... e Sachiel era importante, per lei. Quando era diventato tanto fondamentale, ricevere un suo abbraccio per potersi sentire meglio?


«...aveva le labbra rosse.»


Sachiel aveva gli occhi azzurri che la fissavano come se fosse la persona più importante del Paradiso, del Mediano, degli Inferi; occhi azzurri intorbiditi da un sollievo violento e feroce. Aveva le labbra chiare socchiuse a metà tra una smorfia e un sorriso. Aveva le braccia a stringerla e un corpo tiepido, morbido, contro cui era piacevole rifugiarsi.
Sachiel aveva la sua devozione molto più del Paradiso, perché la faceva sentire fondamentale e amata senza obbligarla a nulla. Perché la lasciava scegliere, perché non fuggiva spaventata davanti ai suoi occhi pensierosi, perché non l’accusava di follia quando si perdeva tra le voci e le domande. Perché era lì, lì, lì per lei, lì con lei, e il male un po’ era scomparso.
Sachiel aveva occhi azzurri che la imploravano di non perdersi e un corpo che era rifugio contro i mostri nella sua testa, e labbra chiarissime sospese nell’incertezza.


«...aveva le labbra rosse.»

«Lo ricordi, bambina, il suo sapore sulla lingua?»

Un bacio.
No, un addio.


Sachiel aveva occhi azzurri sgranati e torbidi e un corpo tremante, e labbra chiarissime e morbide, mentre lei ne assaggiava il sapore.

   
 
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