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Autore: shebelievesinLarry    01/03/2013    5 recensioni
[Larry]
Harry Styles è costretto a trasferirsi con sua madre a Doncaster. Lì deve iniziare il secondo anno di università, ma non vuole: i cambiamenti lo intimoriscono, anzi, lo terrorizzano. Capiterà nella classe di Niall, ragazzo espansivo e divertente, di Liam, ragazzo intelligente e simpatico, e di Louis, nipote della segretaria della scuola, che però è diverso dagli altri, in molti sensi, soprattutto in un senso in particolare.
Dal testo:
Louis si asciugò delicatamente le mani affusolate con un fazzoletto, poi me ne porse una, che io prontamente strinsi. Era fredda, probabilmente perché se l’era sciacquata con l’acqua ghiacciata.
«Piacere, Louis» disse, puntando i suoi occhi azzurri nei miei, quasi prepotentemente.
“Lo so”, volevo rispondergli, ma mi morsi il labbro inferiore per evitare di dire sciocchezze.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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~mio angolino
Bu! Vi sono mancata, eh? Ahahah ok, forse no.
Ad ogni modo, che lo vogliate o no, sono ancora qui a rompervi le palle col mio terzo capitolo! È lunghissimo, mi sa più degli altri, ma spero che nonostante ciò possa piacervi lo stesso, anche perché le cose tra Harry e Louis cominciano a smuoversi un po’ e, quando leggerete, potrete capire il perché. Quindi adesso mi tappo la bocca e non faccio spoiler che è meglio.
In questo capitolo c'è anche il pov di Niall, siete contenti? *grilli*
Prima di andarmene, volevo scusarmi per non aver risposto alle recensioni; purtroppo il tempo scarseggia, ma prometto che non capiterà mai più.
Ah, e volevo anche ringraziare tutte le persone che leggono, che recensiscono... insomma, tutte.
Spero che il capitolo possa piacervi, scusate la lunghezza! Purtroppo sono logorroica. Bacini. ♥
ps: tra nove giorni è il mio compleanno! Yuppi yeh!
pps: se c’è qualche errore ditemelo, a volte non me ne accorgo! Sentitevi liberi di dirmi ciò che volete! (a parte insultarmi, giustamente ahahah)

 

 

III CAPITOLO


Harry

 

Le prime tre settimane di scuola passarono tutto sommato abbastanza velocemente. I miei compagni di classe ormai si stavano abituando alla mia presenza e io avevo imparato tutti i loro nomi a memoria, anche se di loro mi interessava ben poco.
Niall, Louis e Liam mi consideravano davvero parte del loro gruppo, anche se io ancora non me la sentivo; ma non lo potevo dire, altrimenti si sarebbero fatti qualche idea strana su di me. Già non capivo come facessero a sopportare di avermi sempre tra i piedi.
Harry Edward Styles, il ragazzo taciturno, strano e misterioso che si era trasferito da poco da Holmes Chapel.
Sapevo che tutti ormai mi descrivevano così. Ma non era colpa mia se ero taciturno: semplicemente facevo fatica a fidarmi e ad aprirmi con le persone. E non era colpa mia neanche se ero strano e “misterioso” e se mi ero trasferito.
Io non volevo trasferirmi, non era nei miei piani. Non mi sarebbe mai passato per l’anticamera del cervello di cambiare città, abitudini, amici. Odiavo i cambiamenti.
Nonostante non avessi un carattere facile ed estroverso, ero riuscito però a trovare tre ragazzi che mi accettavano per quello che ero; che, nonostante tutto, mi facevano compagnia durante quei noiosi e monotoni giorni di scuola.
Niall era sempre gentile e allegro con me. Cercava di coinvolgermi in tutto ciò che faceva e non badava minimamente al fatto che molto spesso me ne stavo sulle mie, sebbene fossi insieme a lui.
Faceva un sacco di battute e raccontava tantissime barzellette e aneddoti sulla sua infanzia e sulla sua famiglia. Era bello stare con lui.
Liam era un tipo leggermente più serio di Niall, ma non per questo meno disponibile e simpatico. Era maturo, bravo a scuola e negli sport. Eccelleva in tutto, non c’era cosa che non gli riusciva. Era sempre disposto ad aiutare tutti, ma riguardo agli sport era competitivo. La sua intelligenza spesso mi intimoriva, ma notai che non ero l’unico a cui faceva questo effetto, per fortuna.
E poi c’era Louis. Non era poi così bravo a scuola, ma se la cavava. All’apparenza era sempre felice, però non potei non notare che i suoi occhi celavano qualcosa, un qualcosa di oscuro, losco e ben più grande di lui. La curiosità di scoprire cosa fosse quel qualcosa e di fargliela condividere con me cosicché fosse meno pesante da far portare solo sulle sue spalle era grande, così grande che faceva male. Perché, nonostante cercassi di convincermi che non volevo e non dovevo affezionarmi a nessuno, in realtà avevo bisogno di un supporto morale, di qualcuno che mi stesse vicino e di qualcuno a cui stare vicino. Ma non volevo una persona qualunque... volevo Louis. Era difficile e strambo ammetterlo, però più vedevo Louis e più capivo che era lui ciò di cui necessitavo. Perché solo lui sapeva farmi provare emozioni talmente forti da togliermi il fiato, anche solo guardandomi.
A dire la verità non parlavo molto con lui; avevo un “rapporto” più stretto con Niall e Liam. Il motivo?
Avevo paura.
Avevo paura perché tutte quelle sensazioni potenti che stavo provando con lui erano nuove per me: non le avevo mai sperimentate e la loro grandezza era disarmante e terrorizzante. Scombinavano il mio equilibrio mentale, psicologico, fisico.
Erano state tre settimane monotone ma al tempo stesso intense; e ancora avevo davanti a me un intero ed estenuante anno scolastico. Ce l’avrei fatta?

Quel mercoledì mattina mi svegliai con la consapevolezza che sarebbe cominciato il corso di canto. Ero eccitatissimo all’idea, non stavo davvero più nella pelle.
Entrai in cucina e un forte aroma di tè mi invase le narici.
«Sei drogata di tè» constatai con la voce ancora roca per il sonno.
Mia madre, seduta a capotavola, sobbalzò e alzò la testa per guardarmi.
«Buongiorno anche a te, tesoro» ironizzò, poggiando la tazza, che prima teneva tra le mani, sul tavolo.
«Ciao mamma» ridacchiai, sedendomi davanti a lei. «Ti viene difficile aspettarmi per fare colazione?»
«Come sei polemico, stamattina! Avevo bisogno di bere qualcosa di caldo perché mi fa un po’ male la gola.»
«Dai, ma’, stavo scherzando!»
Lei si alzò e prese del latte dal frigorifero per farlo probabilmente a me.
«Spiritoso il ragazzo. A cosa devo tutta questa simpatia?»
«Niente, sono abbastanza felice.»
«Oh, e perché? Hai conosciuto qualche bella ragazza e te ne sei innamorato?»
Appena lo disse arrossii: lei non sapeva che, in realtà, nessuna bella ragazza riusciva a farmi provare ciò che mi faceva provare Louis.
... Perché diamine avevo pensato di nuovo a lui?
«No, ma che dici?! Inizio a fare canto, oggi» replicai, sperando che non mi avesse visto mentre arrossivo.
«Hai ragione, non me lo ricordavo! Che bello, poi ovviamente mi devi dire com’è andata.»
Nel frattempo finì di scaldare il latte e me lo porse dentro ad una tazza.
«Grazie. Comunque, certo, appena torno a casa ti dico tutto quello che ci hanno fatto fare.»
«Ma farete dei saggi a Natale oppure alla fine dell’anno?»
«Non so. Magari lo dicono oggi.»
«Speriamo che li facciate! Non vedo l’ora di sentirti cantare!» esclamò con un sorrisone stampato in faccia.
Era bellissima e mi faceva tanta tenerezza.
Stava provando ad andare avanti, a vivere la sua vita senza il marito al suo fianco, che era stato una presenza costante in quegli anni di matrimonio. Benché capitasse che ogni tanto litigassero, come accade in ogni coppia normale, mai avevano litigato come nel periodo precedente al divorzio. Le urla riempivano incessantemente la casa, giorno e notte, ad ogni ora. Il perché litigassero non lo sapeva nessuno, a parte loro. Ma faceva male, soprattutto a me che ero legato ad entrambi. Sì, avevo più di vent’anni, ma cosa significava? Soffrivo lo stesso, non ero immune al dolore.
Tra l’altro avevo dovuto superare quel periodo critico da solo. Non c’era mia sorella in casa, poiché viveva lontano col suo ragazzo; i miei amici non erano a conoscenza di ciò che accadeva tra le mura di casa mia; nemmeno Nick, il mio migliore amico, lo sapeva. Chi altro rimaneva?
Nessuno.
Ero solo anche in mezzo alla gente, alla folla.
Ero solo nonostante ci fossero delle persone che mi dicevano “ti voglio bene”. Ma voler bene non significa anche e soprattutto esserci nel momento del bisogno?
«Ah, tesoro» disse mia mamma, facendomi sussultare. «Sei riuscito a trovare qualcosa di interessante? Come lavoro, intendo.»
«Purtroppo no. Ho comprato un giornale dove ci sono degli annunci, ma nulla sembra andar bene» risposi afflitto.
«Potresti chiedere a scuola. A uno dei tuoi compagni.»
Già, potevo chiedere ad esempio a Niall. Lui mi avrebbe di sicuro aiutato volentieri. Non era male come idea.
«Ok, lo farò. Spero di trovare al più presto qualcosa.»
«Casomai non dovessi trovare nulla, non importa, davv...»
«Mamma» la interruppi con tono autoritario. «Sai già come la penso, c’è bisogno che te lo ripeta? Voglio farlo. Punto. Non c’è motivo di preoccuparsi.»
Ed ero estremamente convinto di ciò che dicevo; non stavo parlando a vanvera.
Lei annuì, ma sapevo che sotto sotto era ancora incerta. Tipico.
D’un tratto cambiò argomento.
«Quand’è che mi farai conoscere i tuoi nuovi amici?»
Feci spallucce.
«Non so. Quando capiterà. In fondo non è passato neanche un mese dall’inizio della scuola...»
«Lo so, ma mi parli poco e niente di loro. Non so nemmeno quanti ne hai né come si chiamano.»
«Da quando in qua si contano gli amici che si hanno?»
«Era per dire...»
Mi sentii in colpa per averle risposto così, perciò mi alzai, le stampai un bacio sulla fronte e dissi:«Appena ne avrò l’occasione, te li farò conoscere. Ora vado a finire di prepararmi. Buona giornata, salutami Michelle.»
Mentre andavo in camera mia, la sentii urlare per farsi sentire:«Copriti bene che oggi fa freddo! Ti voglio bene!»
Scossi la testa divertito.
«Ti voglio bene anche io!» urlai di rimando, sapendo già che non avrei ascoltato il suo consiglio.

«Ehi, Niall» gli sussurrai durante la noiosa lezione di letteratura, per attirare la sua attenzione.
Lui si girò, dopo aver controllato che il professore non lo vedesse, e mi guardò sorridente.
«Dimmi.»
«Devo trovare un lavoro, ma non ho proprio idea di cosa fare né dove. Non è che potresti darmi una mano?»
Ci pensò un attimo su.
«Chiederò a qualcuno tra le mie innumerevoli conoscenze, tranquillo» mentre lo diceva, mi fece l’occhiolino. «Ti farò sapere al più presto. Comunque tu saresti disposto a fare qualsiasi cosa?»
«Qualsiasi cosa, sì.»
«Perfetto, allora prima mi informo e poi ti dico, ok?»
«Ok, grazie mille.»
«Figurati, amico! Che fai oggi dopo scuola?»
Farò la cosa che più mi piace fare: cantare.
«Ehm... boh, tu?»
«Esco con Liam.»
E Louis?
«Ti andrebbe di venire con noi?» aggiunse poi, sorridendomi. «Facciamo un giro in centro e poi magari andiamo a casa mia. I miei mancheranno fino a stasera.»
«Non so se posso... mi dispiace.»
Odiavo dovergli sempre dar buca, ma che potevo fare? Non potevo rinunciare alla lezione di canto, né potevo dirgli che sarei stato lì, dopo scuola.
«Va beh, sarà per un’altra volta» rispose facendo spallucce.
Non mi aveva guardato con disprezzo, né aveva smesso di sorridermi, e ciò mi scaldò il cuore. Rispettava i miei spazi, le mie esigenze, senza fare domande. Era proprio quello che mi serviva. Gliene ero debitore.
Dopo quelle due ore stancanti di letteratura, ognuno si preparò per tornare a casa. Come al solito rivolsi un saluto veloce a Niall, Liam e Louis e mi diressi velocemente verso casa mia senza guardare in faccia nessuno, con le cuffie nelle orecchie ad un volume abbastanza alto.
Non vedevo davvero l’ora di cominciare il corso di canto. La musica era parte di me da sempre, e cantare era la cosa che preferivo fare in assoluto. Riusciva a farmi dimenticare tutti i problemi che avevo e mi donava un benessere che partiva dal cuore e si espandeva per tutto il resto del corpo. La musica per me era vita, essenziale come l’acqua. Solo grazie a lei ero capace di andare avanti ogni giorno.
Giunto a casa, mangiai un piatto di pasta semplice; dopodiché mi sdraiai sul divano e mi appisolai.

 

 

Niall

 

 

Quando suonò la campanella che annunciava la fine delle lezioni, vidi Harry al mio fianco mettere frettolosamente tutte le sue cose nello zaino, afferrare il suo iPod e alzarsi.
«Ciao» disse, sorridendomi appena, e andandosene.
«Ciao Harry» risposi, sospirando.
Quel ragazzo non era male, in quelle tre settimane di scuola passate vicino a lui – dato che ero il suo compagno di banco – avevo capito che era un tipo taciturno, di poche parole, che non si lasciava prendere facilmente dall’entusiasmo e che passava la maggior parte del suo tempo a pensare, rinchiuso nel suo mondo a cui aveva accesso soltanto lui. Avrei voluto che, casomai ci fosse stato qualcosa che lo turbava, ne avesse parlato con me. Ma pretendevo troppo: dovevo essere cauto con lui. Dovevo conquistare la sua fiducia un po’ per volta.
«Dove corre Harry sempre così di fretta?» mi domandò Liam avvicinandosi, spingendo la carrozzina di Louis, che teneva il suo zaino in grembo. Anche quest’ultimo sembrava molto interessato alla risposta, anche se cercava di non darlo a vedere.
Scossi la testa, desolato. «Non lo so.»
Finii di mettere i libri in cartella e con Louis e Liam mi incamminai fuori da scuola. Restammo un po’ in cortile a parlare di tutto e di niente, come facevamo di solito. Evitammo accuratamente di nominare di nuovo Harry e il suo strano comportamento, quando all’improvviso mi ricordai della sua richiesta di lavoro e mi si accese una lampadina.
Sapevo che la mamma di Louis, Jay, cercava una baby-sitter per le sue quattro figlie piccole, che non riusciva a gestire quando era al lavoro o fuori casa; avrebbe potuto contare su Louis, se solo non ci fosse stato un piccolo problema: lui era sulla sedia a rotelle, non avrebbe potuto in ogni caso badare a loro, anche se avesse voluto.
Ed Harry era un ottimo candidato. Jay cercava da tempo una baby-sitter ma non era mai riuscita a trovarla. Anche se fosse stato un maschio, non sarebbe importato, giusto?
E poi, in fondo, Harry mi aveva detto che era disposto a fare qualsiasi cosa gli avessi proposto, e non mi venivano idee migliori.
Mi schiarii la gola, cercando le parole giuste da dire. Louis era molto geloso delle sue sorelline, voleva loro molto bene, e il fatto di non poterle tenere d’occhio autonomamente lo mandava in bestia. Non volevo metterlo contro Harry, ma quest’ultimo aveva bisogno di un lavoro e sua mamma aveva bisogno di un aiuto con le bambine. Non poteva essere così egoista da dire di no.
«Louis» attirai la sua attenzione, interrompendo una conversione con Liam riguardo a un gioco appena uscito per Xbox.
Lui si girò verso di me e mi fece cenno di parlare.
«Senti, tua mamma cerca ancora una baby-sitter?»
«Sì, perché? Ne hai trovata una?»
«Beh, ecco, oggi Harry mi ha chiesto di aiutarlo a trovare lavoro e ho pensato che magari potrebbe lavorare per te. Cioè, per tua mamma.»
Dovevo averlo sconvolto, perché mi guardava in modo strano, con i suoi piccoli occhi leggermente sgranati. Cosa avevo detto di male?
Non è che adesso si arrabbia?
«Niall, non lo so…» rispose abbassando lo sguardo. Improvvisamente sembrava quasi triste. O imbarazzato. A volte non lo capivo proprio, era alquanto enigmatico.
«Se è perché non ti fidi di lui, beh, a me sembra un bravo ragazzo…»
Liam nel frattempo se ne stava in silenzio, con le braccia incrociate e un’espressione neutrale in volto.
«Niall, neanche lo conosco bene, con che coraggio gli chiedo di venire a fare da baby-sitter alle mie sorelline? Non mi sembra una buona idea.»
«Dagli una possibilità, ti prego. Sembrava che ci tenesse molto a trovare un lavoro, se no non credo che me lo avrebbe chiesto. Dai, Lou, non ti costa nulla. Alla fine è un nostro amico, no?»
Il suo sguardo si fece duro e, a quel punto, ebbi davvero il timore che si fosse arrabbiato.
«Un amico? Mi stai dicendo che Harry sta prendendo il suo posto e a te va bene così?»
“Non di nuovo…” pensai sconsolato.
«No, Louis, non mettermi in bocca parole che non ho mai pronunciato. Harry mi ha chiesto una mano, e io sto cercando di dargliela. Voglio essergli amico, e mi sembrava che si fosse inserito nel nostro gruppo, o sbaglio? Non mi sembra che tu faccia fatica a parlargli, e neanche Liam. O forse volete voltargli le spalle solo perché avete paura che prenda il posto di…»
«Non dirlo. Non dire il suo nome» mi zittì Louis, acido. «Stai muto.»
«Bene, io starò muto, ma tu mi devi promettere che almeno ci penserai. Almeno quello, non ti sto chiedendo tanto. Un minimo di sforzo. Fallo per me, se non vuoi farlo per Harry.»
Louis sospirò rumorosamente, portandosi le dita a massaggiarsi le tempie.
«Ok, ci penserò, ma non ti prometto un bel niente, è chiaro?»
Annuii felice. Ce l’avevo fatta. Sapevo quanto Louis non si fidasse molto di chi non era né me né Liam, e quello era già un enorme passo avanti.
«Non te ne pentirai» lo rassicurai.

 

 

Harry

 

 

Con “Eleanor Rigby” dei Beatles che mi rimbombava nelle orecchie e la borsa a tracolla che rimbalzava sulla mia coscia, camminavo a passo spedito verso la scuola. Ero un po’ in ritardo, perché mi ero appisolato e avevo perso la cognizione del tempo; per fortuna la scuola non distava molto da casa mia e non ci avrei messo più di tanto. O almeno, lo speravo, perché non volevo arrivare in ritardo proprio il mio primo giorno di corso. Non solo avrei fatto una brutta figura, ma sarei passato per quello che se ne fregava altamente, cosa che non era per niente vera. Il canto per me era importante, anzi importantissimo, e volevo dimostrarlo. Avrei dato il meglio di me stesso in ogni canzone che avremmo cantato e ci avrei messo tutta l’anima. Non che mi riuscisse difficile: riuscivo ad essere realmente me stesso, realmente Harry Styles, soltanto grazie alla musica. Era capace di denudarmi e di lasciar trapelare ogni mia più piccola sfumatura, anche quelle più nascoste. Non volevo che gli altri leggessero troppo dentro di me, ma se quello fosse stato il prezzo da pagare, beh, lo avrei pagato, pur di cantare.
Arrivai a scuola, spensi l’iPod e lo infilai nella borsa. Pregai Dio di non essere troppo in ritardo.
“E se mi cacciano?” mi chiesi, sperando che non accadesse.
Nonostante Niall mi avesse fatto fare il giro della scuola, non ricordavo proprio dove fosse il laboratorio di musica, così andai verso la segreteria.
Vidi la zia di Louis seduta che scribacchiava qualcosa sopra dei fogli.
Tossii per finta e lei alzò lo sguardo e lo posò su di me. Incredibile, aveva proprio gli stessi occhi di Louis.
Sorrise come sempre, ma non sembrava un sorriso finto. Era come se fosse quasi contenta di vedermi.
«Ciao Harry» mi salutò cortese. Come faceva a ricordarsi il mio nome? Era da tanto che non la vedevo.
«Salve, scusi il disturbo, ma non ricordo dov’è l’aula di musica. Mi può indicare la strada?»
Lei sembrò quasi illuminarsi e, se possibile, il suo sorriso si allargò ancora di più.
«Ma certo. Allora, vai sempre dritto verso quel corridoio, lo vedi? Ecco, l’aula è in quel corridoio. La troverai subito. Hai il corso di canto?» aggiunse.
«Sì… lei pensa che io sia troppo in ritardo?»
«No, non credo, hanno cominciato da poco.»
«Meno male… allora la saluto. Grazie dell’aiuto!»
«Di nulla, caro.»
Corsi verso l’aula e sperai con tutto il cuore che l’insegnante che avrebbe tenuto il corso non mi sgridasse.
Bussai e un flebile “avanti” mi spinse ad entrare. Timidamente, chiusi la porta alle mie spalle e mi scusai per il ritardo. L’insegnante, una donna, mi rispose che non importava, l’importante era che non capitasse più.
Sbarrai gli occhi e deglutii. Lì dentro c’erano solo sei ragazze e cinque ragazzi, messi in cerchio, e tra loro c’era anche Louis.
Louis? Che diamine ci fa qui?
Incrociai il suo sguardo per un attimo, un solo attimo, eppure mi sembrò un’eternità e mi venne voglia di mollare tutto e andarmene. Non sapevo neanche perché stavo avendo quella reazione esagerata e mi sentivo sempre più ridicolo.
Lui sembrava così tranquillo, come se la mia presenza non gli cambiasse nulla. Io invece mi stavo facendo mille paranoie e seghe mentali inutili.
«Ci stavamo presentando, anche se qualcuno già ha frequentato questo corso» mi avvisò la donna, sorridendomi. «Prego, siediti», indicò una sedia vicino a un ragazzo con gli occhiali, che non avevo mai visto. A dire il vero, non avevo mai visto nessuno dei ragazzi lì presenti, tranne…
«Io sono Miss Jarkin, tu sei?» l’insegnante interruppe nuovamente i miei pensieri.
«Ehm… Harry. Harry Styles.»
«Bene, Harry, che genere di musica ascolti?»
«Ehm, un po’ di tutto… mi piacciono i Beatles e… uhm… John Mayer e… altri.»
La donna annuì, capendo che non avrei detto di più, e concentrò l’attenzione sul ragazzo che era affianco a me, e fece così anche con gli altri. Io stavo in silenzio, e di tanto in tanto guardavo verso Louis, solo per vedere se anche lui mi stava guardando. Mi sentivo così in soggezione; pensavo che almeno qui sarei stato tranquillo e a mio agio, invece mi sbagliavo.
Ad un tratto mi ricordai della reazione che la zia di Louis aveva avuto quando aveva capito che stavo andando al corso di canto, e allora compresi. Compresi che aveva fatto un sorriso a trentadue denti perché nel mio stesso corso ci sarebbe stato suo nipote. Ma perché avrebbe dovuto essere così felice?
Quando fu il turno di Louis di presentarsi, quello non mi degnò neanche di uno sguardo. Ma in quel momento era il mio ultimo pensiero: la sua voce vellutata e un po’ femminile mi stava cullando e allietando, come la migliore delle canzoni. Pensai che, molto probabilmente, dovesse essere bravissimo a cantare ed ero molto curioso di sentirlo all’opera.
«I The Fray sono il mio gruppo preferito, amo tutte le loro canzoni, ma ad esempio mi piace molto anche Bruno Mars, oppure Ne-yo…» stava dicendo, e Miss Jarkin lo guardava realmente interessata. Forse la sua voce aveva ammaliato pure lei, chissà. O forse ero solo io che ero ossessionato da lui, senza neanche sapere il motivo. Che razza di situazione.
Quando il giro di presentazioni varie fu finalmente terminato, l’insegnante ci spiegò un po’ come funzionava il corso.
«Innanzitutto, cominceremo ogni lezione scaldando la voce, cioè facendo esercizi come le scale e così via, tutti insieme. Poi, ogni settimana porterete una canzone a vostra scelta e la canterete singolarmente, così potrò sentirvi e vi aiuterò a migliorare. La base ve la procurerete voi e, se non la trovate, dovrete cantarla acapella. Almeno una volta al mese ci eserciteremo su una canzone da cantare insieme, come se fossimo un coro vero e proprio. Così almeno, casomai dovessero organizzare un concerto per Natale o fine anno oppure dei concorsi di gruppo, avremo qualcosa da proporre, ok?»
Tutti fecero sì con la testa, elettrizzati. A dire la verità lo ero anche io, molto: avrei potuto cantare ogni settimana una canzone, una qualsiasi, quella che volevo! Mi sembrava quasi un sogno.
Fin da piccolo avevo desiderato prendere lezioni di canto o far parte di un coro, ma ero sempre stato costretto a reprimere quel mio desiderio. Ora invece si stava trasformando in realtà.
«Ritengo doveroso, ora, iniziare a sentire come cantate, così da farmi un’idea, o perlomeno una bozza, anche se alcuni tra voi già li conosco.»
L’insegnante si alzò dalla sua postazione per andarsi a sedere al piano. Strimpellò qualche nota a caso e poi aggiunse:«C’è qualcuno che vuole iniziare?»
Nessuno ebbe il coraggio di proporsi; ci guardavamo tra di noi per vedere se qualcuno faceva il primo passo, quando un «Io vorrei iniziare, Miss» uscì dalla bocca di Louis, e quasi mi fece sobbalzare. Mi sorpresi della sua audacia, quando poi mi ricordai che c’erano ancora molte, troppe cose che non sapevo di lui, e che forse non avrei mai saputo.
«Bene, Louis» Miss Jarkin si sfregò le mani, contenta. «Cosa ci vuoi cantare? Se conosco la canzone, sarò ben felice di accompagnarti col piano.»
Louis si spostò con la sua sedia a rotelle accanto alla donna e «”How to save a life”, dei The Fray. La conosce?» disse, dopo averci pensato un po’ su.
«Ah sì, e credo di ricordarmi anche come si suona.»
Louis sorrise, mostrando i suoi piccoli denti bianchi e distendendo le sue labbra sottili e rosee.
Era bellissimo. Così bello che, quando iniziò a cantare, facendosi improvvisamente serio e concentrato, il mio cuore prese a battere forte, molto forte, ed ebbi paura di quella reazione azzardata e assurda che stavo avendo.
Era proprio come avevo immaginato: era molto bravo a cantare e la sua voce era soave, dolce, delicata. Ti accarezzava e ti coccolava. Ma ciò che più mi stupì fu che mentre cantava i suoi occhi divennero lucidi; stava cantando con il cuore in mano, e si vedeva. Ci stava davvero mettendo tutta l’anima, come se quelle parole le stesse dedicando a qualcuno.
Intanto l'insegnante suonava con cipiglio serio il pianoforte, annuendo di tanto in tanto per far capire a Louis che stava andando bene; ma non lo stava guardando, presa com'era a suonare, e perciò non poteva notare che, nota dopo nota, gli occhi di Louis diventavano sempre più lucidi. Era sul punto di piangere e avrei tanto voluto stringerlo tra le mie braccia e dirgli che andava tutto bene. Che non c'era motivo di piangere, perché finché ci fossi stato io non ci sarebbe stato nulla di cui preoccuparsi.
Ma a lui non importava nulla di me, quindi avrei fatto finta di niente anche per tutta la vita, se fosse stato necessario.
«Where did I go wrong? I lost a friend somewhere along in the bitterness and I would have stayed up with you all night, had I known how to save a life… how to save a life…» finì di cantare e tutti si misero ad applaudire.
Lui sembrò quasi come se si fosse svegliato da una trance e improvvisamente i suoi occhi tornarono vivaci e felici – o quasi –, e gli si stampò sul viso un sorriso gigantesco, che però era finto; avevo capito che avrebbe preferito mille volte essere da solo e piangere tutte le sue lacrime, invece di essere costretto a trattenerle.
«Bellissima interpretazione e bellissima voce, Louis, sono davvero soddisfatta» si complimentò Miss Jarkin.
«Grazie» mormorò lui, facendosi un po' rosso in volto.
Uno dopo l'altro, i miei compagni si fecero avanti e cantarono. Inutile dire che nessuno riusciva ad emozionarmi come aveva fatto Louis, anche se era tutti molto bravi. Io fui l’ultimo ad esibirmi, con "Always" dei Bon Jovi, la prima canzone che mi venne in mente e che fortunatamente nessun altro aveva cantato.
Mentre cantavo, sentivo tutti gli sguardi su di me, ma quello che bruciava più di tutti era quello di Louis. Sapevo che mi stava guardando, che mi stava ispezionando con le sue iridi incredibilmente azzurre; cercavo di non pensarci e di concentrarmi sulle parole della canzone, ma il suo sguardo era così insistente e intenso che, quando aprii gli occhi – che avevo tenuto chiusi durante un acuto – e li incatenai nei suoi, mi sentii come affogare. Ero in trappola, ormai, e non c’era via di uscita.
Miss Jarkin, quando conclusi la canzone, mi fece i complimenti per la mia voce e mi domandò se avessi studiato canto prima d’ora.
«No, Miss, mai» risposi.
«Davvero? Perché hai delle ottime e sorprendenti capacità canore, Harry.»
«Beh, grazie...»
«Lavoreremo per migliorarle ancora di più, ok?»
Feci cenno di sì con la testa e mi andai a sedere al mio posto, imbarazzato e felice più che mai e con ancora tutti gli sguardi dei miei compagni addosso.
«Bene, ragazzi, anche se questa è solo la prima lezione, è stata molto produttiva e mi sono resa conto che siete tutti molto talentuosi. Sono sicura che entro la fine dell’anno scolastico diventerete perfetti. Ci sarà da faticare, magari, ma con l’impegno e la dedizione si può ottenere tutto ciò che si vuole» esclamò soddisfatta l’insegnante. «Ora potete andare, per oggi abbiamo finito. Buon pomeriggio!»
Mi stavo preparando per andare via, quando «Harry, puoi fermarti solo un momento?» mi chiese Miss Jarkin.
L’aula diventò vuota e silenziosa e, con la mia borsa a tracolla appesa alla spalla sinistra, mi avvicinai a lei, stupito da quella sua richiesta.
«Mi dica.»
«Allora, come ti ho detto prima, ho notato che hai un talento enorme da non lasciarsi sfuggire e che va assolutamente sfruttato. Di solito organizzano dei concorsi canori in città, ma non posso portare tutti voi, quindi ogni volta che ne organizzano uno decido di dare la possibilità di parteciparvi a una persona, e la volta dopo a un’altra persona ancora. Oggi, sentendoti cantare, ho deciso che per il prossimo concorso per cui mi contatteranno, porterò te.»
La ascoltai con attenzione, con un’espressione impassibile, ma in realtà dentro di me stavo gioendo e saltellando di qua e di là.
«A te andrebbe di partecipare a qualche concorso?»
«Certo, Miss.»
«Benissimo. Allora quando mi diranno qualcosa riguardo un concorso per singoli – perché se è un concorso per gruppi sarò ben felice di portare tutti – ti contatterò e decideremo cosa fare. Intanto mi lasci il tuo numero di casa?»
Le scrissi il mio numero sulla sua agenda, poi la ringraziai e con un “Arrivederci!” mi congedai, contento e gratificato.
L’idea che Miss Jarkin sembrava essersi fatta di me doveva essere del tutto positiva e non ne potevo esserne più felice. Era quello di cui avevo bisogno.
Presi il telefono per controllare se c’era qualche messaggio o qualche chiamata per me che non avevo sentito, quando, proprio davanti all’ingresso della scuola, mentre col capo chino verso il cellulare che si trovava tra le mie mani e alcuni ricci che mi finivano tra gli occhi, sentii qualcuno dire il mio nome. Una sola persona lo pronunciava così da farlo sembrare più un “Harreh”. Quasi mi si gelò il sangue nelle vene e mi voltai.
«Louis» dissi soltanto, cercando di non apparire nervoso.
Stava aspettando me?
Lui mi sorrise. «Ciao Harry.»
«Ehm... ciao.»
«Come stai?»
Gli interessava davvero oppure me l’aveva chiesto solo per gentilezza?
«Bene… tu?» risposi, sistemandomi meglio la tracolla sulla spalla e infilandomi poi le mani nelle tasche dei jeans.
«Bene, grazie.»
Restammo per un po’ in silenzio, lui che mi guardava e io che invece mi guardavo in giro, per terra, dappertutto pur di non fissare i suoi occhi nei miei, e mi dondolavo sui piedi.
Era la prima volta che stavamo da soli, senza Niall e Liam, ed ero agitato. Quel silenzio poi era così imbarazzante.
Mille domande mi frullavano in testa: perché mi aveva fermato? Cosa voleva dirmi? Oppure voleva solo fare due chiacchiere?
«Niall mi ha detto che cerchi lavoro» asserì improvvisamente.
Non sapevo cosa c’entrasse, ma tutto era meglio di quel silenzio in cui eravamo immersi fino a qualche secondo fa.
«Beh… sì.»
«Forse posso aiutarti.»
«Davvero?»
Spalancai gli occhi sorpreso e finalmente lo guardai, provando a tenere a bada le mie… emozioni.
Ma fu tutti inutile, perché i suoi pozzi d’acqua mi mandavano in estasi ed era assurdo.
«Ecco, io ho quattro sorelle più piccole e mia mamma non ce la fa a badare a loro, dato che lavora. Io sono in grado di farlo, ma solo fino a un certo punto, perché… beh, sai perché. Mi chiedevo se magari ti piacerebbe aiutarmi… ovviamente ti paghiamo!»
Quella proposta mi aveva sbalordito. Non me lo sarei mai aspettato e mi sembrava così strana – ma al tempo stesso allettante – l’idea di andare a casa di Louis, conoscere le sue sorelline e occuparmi di loro. E avrei dovuto aiutare Louis, quindi era sottinteso che lui sarebbe rimasto con me.
Sì, l’idea era molto accattivante, ma avevo paura. Già tutti quegli strani sentimenti che provavo per lui mi intimorivano, figuriamoci se con lui instauravo un rapporto di amicizia più serio. Sarebbe stata la fine per me.
Ma un po’ di soldi mi servivano…
Louis doveva aver mal interpretato il mio silenzio, perché subito si affrettò ad aggiungere:«Se non vuoi non importa, ti capisco. Insomma, chi sono io per venirti a fare questa folle proposta? Forse non avrei dovuto…»
«Sì» lo interruppi, intenerito da quel suo modo di fare all’improvviso impacciato e non più impavido.
«Come?»
«Sì, ehm... mi piacerebbe aiutarti.»
Un sorriso si distese sul suo volto e mi sembrava più bello che mai. «Allora… ti faccio sapere quando devi venire? E magari facciamo anche i compiti insieme, visto che siamo nella stessa classe.»
Annuii. «Va benissimo.»
«Ottimo. Quindi… ci vediamo.»
Annuii di nuovo. Però non volevo farlo andare a casa da solo, così indifeso sopra quella sedia a rotelle. Il mondo sembrava troppo grande, troppo pericoloso, troppo losco, semplicemente troppo per lui.
«Vuoi… uhm… un passaggio fino a casa?»
«Cosa? Oh, no, grazie. Sto aspettando mia zia, mi porta a casa lei. Sai, lavora qui nella scuola e ora dovrebbe finire il suo turno… ma grazie lo stesso!»
Feci spallucce e mi allontanai di qualche passo, quando la sua voce mi fece fermare.
«Ah, Harry!»
Non mi voltai verso di lui, semplicemente aspettai che parlasse, infatti poco dopo continuò: «Volevo farti i complimenti per come canti. Mi piace moltissimo la tua voce.»
Sorrisi, anche se sapevo che non mi vedeva.
«Anche a me piace molto la tua» dissi a bassa voce, tuttavia consapevole che mi aveva sentito. Infatti riuscii a percepire il suo sorriso, anche se ero voltato, e ripresi a camminare, diretto a casa mia.

  
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