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Autore: _Trixie_    01/03/2013    5 recensioni
Raccolta di sei storie partecipante al "Fluff Fest Challenge".
Momenti di vita di Callie e Arizona, per la maggior slice of life dai toni decisamente fluff.
1. Di costumi, guardie e castelli - «Un chirurgo ortopedico che non sa costruire un castello di sabbia!»
2. Di scii, montagna e oceano - «Preferisco vederti addosso un bikini invece che una tuta da sci»
3. Di viaggi, anniversari e occhi - «Ti rendi conto di aver appena rimproverato la tua vecchia madre, vero?»
4. Di acqua, tuffi e sorrisi - «Ed è inutile che fingi, so che sei rimasta senza fiato non appena mi hai vista»
5. Di scommesse, inviti e labbra - «Tango, donna. Se vinco, prendiamo lezioni di tango!»
6. Di imbarazzo, curve e attese - Perciò, sul serio, il mondo può aspettare in eterno.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Callie Torres
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più stagioni
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'From the summer to the spring. '
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Titolo: Di viaggi, anniversari e occhi.
Autore:_Trixie_
Fandom: Grey’s Anatomy.
Personaggi: Calliope Torres, Arizona Robbins, Sofia Robbin Sloan Torres.
Pairing: Callie/Arizona.
Genere: fluff, romantico, slice of life.
Rating: verde.
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono e non ne detengo i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro. 
Tabella: Estate.
Prompt: 03. Mare
Note: Sofia ha oramai trent’anni, aspetta il suo secondo bambino e sa badare a se stessa. L’amore di Callie e Arizona ha resistito per tutto questo tempo, ma hanno ancora un piccolo sogno da realizzare e la loro piccola Sofia coglie al volo l’occasione del loro trentesimo anniversario di matrimonio.
Buona lettura! ;D
 

Di viaggi, anniversari e occhi

 
 
Era il nostro trentesimo anniversario di matrimonio e nostra figlia Sofia ci aveva promesso una sorpresa per quel giorno speciale.
Sobbalzammo entrambe nel letto quando sentimmo il campanello suonare.
«Che ore sono?» biascicò Arizona sciogliendosi dall’abbraccio in cui ci eravamo addormentate per voltarsi a guardare la sveglia.
«Le due!» gemette poi. «Chi suona il campanello alle due di notte?» 
Mi alzai sbadigliando e gettandomi sulle spalle una vecchia vestaglia, ma nonostante questo rabbrividii.
«Arrivo!» bofonchiai risentita, quando il campanello suonò di nuovo.
Feci scattare ogni interruttore che trovai al mio passaggio, stringendo gli occhi perché non rimanesse accecata dalla luce improvvisa. All’ingresso, lasciai agganciata la catena della porta e sbirciai dallo spiraglio.
«Chi diavol… Sofia?!» esclamai, nel riconoscere mia figlia fuori dalla porta. Mi affrettai a richiudere la porta, sganciare la catena e spalancarla.
«Cosa ci fai qui? Tutto a posto? Arizona, c’è Sofia!» disse, urlando l’ultima frase a beneficio di mia moglie.
«Sofia? Sta bene?» gridò lei, allarmata.
«Sì, sto bene, mamma!» rispose Sofia, prima di abbassare il tono di voce e rivolgersi a me. «Ma non gridate così forte o sveglierete tutto il palazzo».
«Ti rendi conto di aver appena rimproverato la tua vecchia madre, vero?» domandai divertita, chiudendo la porta alle sue spalle e accompagnandola in salotto.
Arizona ci raggiunse e ci sedemmo tutte e tre sul divano.
Sofia era incinta del suo secondo bambino e Arizona non perse occasione per appoggiare la mano sulla pancia di nostra figlia e sentire se scalciava.
«Non dovresti vagare nel bel mezzo della notte nelle tue condizioni» disse a Sofia. «Vero che non dovrebbe, piccolino? Rispondi alla nonna, tesoro» aggiunse, rivolta al nipote ancora non nato.
«Dove è Jack?» chiesi io, scuotendo la testa divertita in direzione di Arizona, ma rivolgendomi a Sofia.
Jack Dewar era il marito di nostra figlia e faceva il pompiere.
«Questa notte è di turno» spiegò Sofia. «Mamma, non è detto che sia un maschietto, lo sai» disse ad Arizona.
«Certo che è un maschietto, fidati. Ho forse sbagliato quando è nata Eva?» ricordò a Sofia, parlando della sua primogenita.
«No, mamma, ma non puoi…»
«Posso, invece. Sarà un bellissimo maschietto! Ma perché sei qui?» domandò poi, come folgorata da un dubbio.
«Oh, sì, auguri per il vostro trentesimo anniversario!» esclamò, prima di mettersi ad armeggiare nella sua borsa.
«Grazie, tesoro» dissi io, sporgendomi sopra di lei per baciare Arizona.
«Auguri, amore» bisbigliò lei al mio sorriso. Le sue labbra erano ancora morbide nonostante tutti gli anni che erano passati e anche se il suo viso era ricamato da numerose rughe, aveva ancora quelle sue fossette che mi facevano impazzire.
«D’accordo, avrete tempo più tardi per le sdolcinerie!» ci interruppe Sofia. «Guardate!»
Ci mise sotto il naso due biglietti aerei.
Guardammo Sofia con sguardo interrogativo, così lei riprese a parlare.
«È il mio regalo per il vostro anniversario! Andate in Spagna, signore, due settimane di spiaggia, sole e tutto il resto».
«In Spagna?» gli occhi di Arizona brillarono.
Aveva sempre voluto andare in Spagna, fin da quando l’avevo conosciuta, ma per una ragione o per l’altra quel viaggio era sempre stato rimandato.
C’era stata l’Africa, la nascita di Sofia, l’incidente aereo di Arizona e la sua paura di volare e poi, quando la superò, ci fu il matrimonio di Sofia e la nascita di Eva.
In trent’anni non avevamo trovato il tempo, o forse il coraggio, di realizzarle il piccolo sogno della Spagna.
«Partite alle dieci, dovreste preparare i bagagli, vi do una mano!» annunciò Sofia, alzandosi di scatto e dirigendosi nella nostra camera.
Quando riuscimmo a scrollarci di dosso lo stupore io e Arizona la raggiungemmo, incredibilmente felici di essere arrivate fino a quel punto e orgogliose, come solo le mamme possono esserlo, di aver cresciuto una figlia tanto adorabile.
 
Una volta arrivate in Spagna, Arizona non mi lasciò nemmeno il tempo di disfare le valige.
«Calliope, avremo tempo dopo, per quello! Vieni, mi porti a vedere il mare?» mi incitò tendendomi la mano sulla porta della nostra camera d’hotel.
Aveva conservato quel suo atteggiamento da bambina e le piccole rughe attorno ai suoi occhi luminosi e ancora giovani non facevano altro che sottolineare la gioia di vivere che ancora conservava.
Negli ultimi anni aveva però iniziato ad appoggiarsi al bastone, così la raggiunsi e lentamente raggiungemmo l’ascensore. Arizona non voleva ammetterlo, ma io sapevo che l’unica causa del suo affaticamento nel camminare era dovuto alla protesi.
Tenendoci per mano percorremmo quelle poche strade che ci separavano dal Mediterraneo.
«Arizona!» esclamai indispettita, quando la colsi lanciare uno sguardo di apprezzamento a una giovane mora che le passò accanto.
«Che c’è? Sto solo apprezzando gli intrattenimenti locali» mi sorrise, regalandomi un bellissimo paio di guance con fossette.
Mi fermai per strapparle un bacio a fior di labbra e quando svoltammo l’angolo ci trovammo di fronte il mare, in tutta la sua bellezza.
Ancora più bella era Arizona, con la bocca aperta dallo stupore e gli occhi spalancati.
«Andiamo» la incitai, tirandola dolcemente per mano.
Giunte in prossimità del bagnasciuga, entrambe togliemmo le scarpe per la prima volta da quando eravamo partite, per godere della sensazione della sabbia sotto i piedi.
Era una spiaggia libera, come intuii guardandomi attorno, e i bagnanti si stavano allontanando per la cena, essendo ormai il tramonto.
«Callie, potresti aiutarmi a togliere la protesi?» mi domandò Arizona, cogliendomi di sorpresa.
«Cosa? Certo! Ma perché?» chiesi, mentre si allontanava per sedersi sulla spiaggia asciutta. La seguii, poi chinai di fronte a lei e la aiutai a togliere la protesi.
Nel corso degli anni era diventata un’azione familiare, per me. Spesso, quando tornava a casa troppo stanca dal lavoro, la aiutavo a toglierla prima di dormire.
«Voglio mettere i piedi, voglio dire, il piede, nel mare, mi accompagni fino a lì, Callie?» spiegò titubante, ma io annuii. Era raro che Arizona togliesse o mostrasse le protesi in pubblico, anche se ormai la spiaggia era pressoché deserta e i pochi rimasti non badavano a due vecchie turiste che da offrire avevano solo ricordi.
«Forza, vieni» le dissi, aiutandola ad alzarsi e cercando di prendere su di me la maggior parte del suo peso.
Lentamente, arrivammo fino al mare e la sentii ridere non appena l’acqua fredda del mare ci bagnò le caviglie.
«Perché non ci sediamo qui? Ha davvero tanta importanza se i vestiti si bagnano?»
Scossi la testa e la aiutai a sedersi, poi mi misi dietro di lei circondandola con le braccia e le gambe.
«Ti amo, Calliope» mi disse, guardandomi per un secondo con i suoi occhi senza tempo, che erano quelli del nostro primo bacio, del nostro matrimonio, della prima recita di Sofia.
Erano gli occhi dell’Amore.
«Ti amo anche io, Arizona». 

   
 
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