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Autore: whitemushroom    03/03/2013    2 recensioni
Il Progetto Replica di Vexen non ha condotto soltanto alla nascita di Xion e di Riku Replica. Esiste una terza Replica, sconosciuta a molti, che per anni è vissuta all'ombra dell'Organizzazione: quando però questa decide di rendersi indipendente toccherà a Saix, n. VII dell'Organizzazione, andarla a riprendere. Ma questa ricerca si mescolerà ai ricordi del suo passato e porterà a galla molte verità nascoste. Chi sarà questa Replica? Perché cercarla spetta proprio al n. VII?
Questa fanfiction è stata scritta per il contest pentamestrale "La Terza Replica" indetto dal thexiiiorderforum, ed essendo stata scritta oltre un anno fa non tiene conto degli avvenimenti di KH3D
Genere: Introspettivo, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Axel, Saix
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Capitolo 2


“Bravissimo, Roxas. Nessun Heartless può reggere il confronto”.
Dall’alto della roccia su cui era posato, Axel contemplò lo spettacolo di devastazione che si allestiva molti metri più sotto, ai suoi piedi. In un turbine di luce quel ragazzo, Sora, si muoveva con grazia tra i suoi nemici, colpendo gli Heartless e mandando centinaia di cuori rosa nel cielo, sempre più in alto, ignaro del grande dono che offriva a Kingdom Hearts. Se il Superiore avesse avuto un cuore, ne sarebbe stato davvero felice.
Ad ogni passo seguiva un colpo, e per quante ombre potessero pararsi davanti al ragazzo Axel continuava a vederlo trionfare, scivolando leggero tra le tenebre, il suo meraviglioso cuore puro come un faro irresistibile nel tetro campo di battaglia che era la Fortezza Oscura.
Ogni tanto dei fulmini attraversavano la spianata, e dalle ondate di Heartless riemergevano il papero ed il cane, fedeli amici del ragazzo.
“Adesso ti sei trovato dei nuovi amici, eh, Roxas?”
Sora continuava la sua corsa, imperterrito, ormai unico centro di gravità verso cui si riversava l’esercito nemico. Axel lo osservava estasiato, riconoscendo nei gesti più aggraziati la determinazione del suo migliore amico, il modo con ci si fermava, guardava ed attaccava. Nelle loro numerose missioni aveva imparato a seguire il tempi del suo compagno, a sapere senza nemmeno guardare quando il Keyblade sarebbe volato per il campo, quando sarebbe tornato nelle mani del suo padrone. Il n. V aveva sempre sostenuto che dovevano essere i novizi ad adattarsi ai tempi ed ai ritmi dei loro superiori, ma con Roxas la cosa non aveva funzionato.
Non si era mai adattato a niente e a nessuno. Era stato a Axel a seguirlo in tutto e per tutto, qualche volta anche senza rendersene conto; e se era lì, alla macchia, con Xemnas intenzionato a trasformarlo in un Simile, era perché aveva creduto in Roxas ancora una volta.
La volta di troppo “E così le tue idee di amicizia mi hanno contagiato, eh? Ma sono sicuro che con un cuore le apprezzerei molto di più!”
Saïx non avrebbe mai capito una cosa simile: dal momento della loro trasformazione in Nessuno era diventato ogni giorno più lontano ed imperscrutabile, un’ombra dell’amico con cui passava le ore a gironzolare per tutta Radiant Garden. Era cambiato, era diventato assolutamente serio, interessato solo a riavere un cuore a tutti i costi, riempiendo il suo non-cuore dello stesso gelo che ammantava tutti gli altri membri dell’Organizzazione. Fino all’arrivo di Roxas, Axel si era sentito un estraneo: ricordava bene come fossero i sentimenti e le emozioni, e certe volte gli era provato di sentirle sul serio. Certo, erano solo ricordi, ma terribilmente vividi.
Era pronto a giurare di aver pianto quando Saïx aveva preso del tutto le distanze da lui.
Poi era arrivato lui, la piccola luce. Aveva dato un senso a quei ricordi troppo vivi, alle sue non-emozioni, accettandole per quello che erano davvero e dando loro un senso.
Ora di lui non restava che un altro ragazzo dallo sguardo intenso che correva verso una nuova vita; una vita fatta di sorrisi, di luce e di amici, una vita traboccante di gioia e sofferenza. Roxas ormai era entrato in Sora, e la sua strada portava ad un nuovo futuro.
“Non avrei mai voluto dirti addio”
Un futuro in cui non c’era posto per un Nessuno come lui.

“Laggiù non potrò seguirti, ma continuerò a pensare a te per il resto di questa schifosa non-vita”.

Stretti come due sardine, lui e Isa continuavano a prendersi a gomitate nel futile tentativo di assistere entrambi alla scena e di restare nascosti allo stesso tempo. La cosa non era stata semplice come avevano previsto perché uno degli scienziati, alto e con i capelli biondi, non aveva seguito i suoi compagni nella mensa comune, ma era rimasto a trafficare tra le provette ed a rivedere qualche vecchio calcolo. Lui era entrato per primo, attendendo pazientemente che lo scienziato desse loro le spalle per trafficare con la macchinetta del the, trovando un posto comodo anche per Isa. Il suo amico, che aveva sempre avuto la rigidità di una scopa, per poco non aveva fatto cadere una sedia nel nascondersi, e poco vi era mancato che l’uomo li scoprisse.
Poi si era seduto al tavolo e vi era rimasto a tarda sera “Non potrei mai fare lo scienziato! Ma non gli vengono i crampi?”
“Certo che non potresti mai farlo”sogghignò Isa “Per fare quel lavoro occorre un QI altissimo!”
“Cos’è un QI?”
“Appunto……”
Passarono due lunghissime ore, in cui si pentì amaramente di non essere andato al bagno prima di intrufolarsi in quel laboratorio. Guardandosi intorno, vide quelle che sembravano capsule di vetro agitarsi, come se all’interno vi fossero creature imprigionate in attesa di liberarsi. Lui e Isa cercarono di vederle al meglio, ma ogni capsula sembrava piena soltanto d’oscurità. Vi erano fogli ovunque, ma nessuno alla portata delle loro mani. Lo scienziato continuava ad essere immerso nei suoi calcoli, lanciando solo qualche volta delle occhiate furtive alle capsule.
Poi la porta del laboratorio si aprì, ed entrarono le tre guardie accompagnate da altri due studiosi. Uno era appena adolescente, e come prima cosa si avvicinò alle capsule, appuntando qualcosa sul suo taccuino, molto silenzioso.
Ma gli occhi del suo amico erano puntati sull’altro scienziato “…… Lea …… chi è quello?”
Come al solito, Isa aveva intuito. Quell’uomo aveva qualcosa di particolare che non riusciva a definire bene; l’aspetto in realtà era semplice, un fisico robusto ma non imponente, i capelli di un argento soffuso. Ma c’era qualcosa nei gesti e nel modo con cui le guardie si riferivano a lui che li faceva tremare. Non c’era dubbio che fosse quello Xehanort di cui avevano sentito parlare.
Poteva sentire Isa agitarsi accanto a lui, mettersi istintivamente in posizione di difesa.
L’uomo si avvicinò allo scienziato biondo, l’unico nella stanza che non si fosse voltato al suo ingresso: “Even, sono pronto a procedere”
“Allora preparati. Io devo terminare ancora la verifica sulla stabilità molecolare”
“Avevamo stabilito che l’esperimento sarebbe stato ultimato stasera”
Lea poteva percepire aria di rivalità; guardò Isa, e fremeva. Non era mai un buon segno.
“E stasera sarà. Ma tu preparati”.
Con loro timore, quello Xehanort si voltò proprio verso il loro nascondiglio, con quei suoi occhi ambra che mandavano un colore sinistro. Per la prima volta Lea si chiese se non stavano per cacciarsi seriamente nei guai.
Per fortuna lo scienziato si sedette per terra ad un metro da loro, gli occhi sempre fissi sul suo collega, ignaro della loro presenza. All’unisono le guardie si avvicinarono alle capsule, sollevandole e disponendole in un modo che nessuno di loro due riusciva a capire, ma erano entrambi troppo paralizzati dalla paura per aprire bocca, specie con quell’uomo misterioso così vicino. Lo scienziato più giovane si avvicinò con uno strano macchinario tra le mani, da cui uscirono fili ed altri strumenti che Lea non aveva mai visto ma che ricordavano gli strumenti di un dottore; il ragazzo ne posizionò alcuni sulla pelle di Xehanort, che lo corresse e lo rimproverò più di una volta.
Vedeva Isa sempre più inquieto, con gli occhi sgranati: ogni volta che il suo amico si trovava in uno stato di stress reagiva in quel modo strano, agitandosi, come se di colpo l’unica cosa che contasse per lui fossero gli istinti. Le poche volte che lo avevano trascinato dal medico aveva emesso strani paroloni come “precoce iperplasia surrenalica”, ma il punto era che non avevano pensato al problema di Isa prima di scendere lì sotto.
Gli strinse il braccio, continuando a fissare la scena, l’aria che si era riempita di un odore pungente che proveniva da quelle capsule. “Puzzano di Oscurità”, fu l’unico commento del suo amico prima di tornare con gli occhi puntati verso lo scienziato.
L’uomo di nome Even si alzò, le mani ancora piene di fogli, e tutti gli fecero ala, lasciando che si avvicinasse al suo compagno seduto “Sta per iniziare una nuova era”.
“Ansem era soltanto un cieco”.
Il ragazzo con il camice si fece da parte, tornado alle capsule e ad altri strumenti luminosi, che emettevano suoni minacciosi ogni volta che si avvicinavano ai contenitori. Ma i loro occhi erano fissi sui due scienziati poco distanti da loro, ormai quasi intrappolati dalla mole di fili che avevano disseminato lungo il corpo di Xehanort e che conducevano a decine di congegni. Le guardie erano indaffarate a seguire le loro istruzioni, e un paio di loro passarono davvero vicini al loro nascondiglio, incuranti delle masse di capelli rossi ed azzurri che spuntavano dal cumulo di casse.
Ormai, anche volendo, non potevano più uscire di nascosto da quel laboratorio, e poteva solo pregare che Isa si placasse.
Il soldato con la benda sull’occhio si avvicinò agli scienziati “Al tuo via, Xehanort”.
Aveva un sorriso inquietante.
Tutti, soldati e scienziati, fissarono l’uomo seduto.
Isa si voltò verso Lea, gli occhi dilatati.
Lea sentiva il cuore battergli nel petto come un tamburo, riusciva a stento a trattenere Isa; sentiva il bisogno di strillare ed uscire di corsa fuori di lì, rovesciare quelle casse, rompere le capsule e tornare a casa dai suoi. Perché erano scesi lì sotto? E, soprattutto, come ne sarebbero usciti?
“Spalancate le porte all’Oscurità”
I macchinari mandarono un suono di allarme, che di sicuro tutta Radiant Garden avrebbe udito. Quello Xehanort rovesciò la testa all’indietro e di colpo tutte le capsule esplosero.
Lo scienziato bambino lanciò un urlo, che coprì quello di Lea.
La stanza diventò buia di colpo, come se l’oscurità presente nelle capsule stesse prendendo sempre più forma; stretto al braccio del suo amico, vide delle …… cose …… proliferare, aumentare, i soldati che estraevano le armi, tavoli, strumenti, macchinari che venivano rovesciati.
L’unica persona immobile nel laboratorio era solo Xehanort, sollevato dal pavimento come se volasse, circondato da una luce ambra che non prometteva nulla di buono; la massa di Oscurità lo avvolgeva in delle spire, prima le gambe e poi il corpo, ma quello dipinto sulla sua faccia sembrava un sorriso estatico.
Dovevano fuggire via di lì, a qualsiasi costo.
Col cuore in gola strinse il suo amico per la felpa e corse verso le scale, spintonando il ragazzo con il camice senza troppi riguardi e guadagnando scalino dopo scalino, con l’unico obiettivo di arrivare fuori di lì tutti interi.
Poi lo strattone, ed il suo amico si liberò, rivolgendosi di nuovo verso il laboratorio. Tornò indietro, gli occhi fissi verso l’uomo che si librava nella stanza, quasi ipnotizzato, assolutamente senza controllo; ma nessuno faceva caso a lui, perché due delle guardie erano ormai sommerse da quei mostri fatti d’Oscurità, ne emergevano soltanto le armi. Degli altri scienziati nemmeno c’era più traccia.
“Isa, che fai? SCAPPA!”
Ma l’altro rimase immobile per qualche secondo, per poi correre di nuovo verso il laboratorio.
“ISA!”
Corse verso di lui, ma una massa di Oscurità si parò davanti a lui. Era come fissare il Nulla, ma aveva due punti piccoli, luminosi, che incrociarono i suoi occhi soltanto per un attimo.
“ISA!”



Continuava a ricordare quel momento, prima dell’arrivo di Roxas era stato davvero il suo ricordo più importante, quello a cui era legato. Saïx poteva benissimo negarlo, ma lui, Axel, n. VIII dell’Organizzazione, soffriva a quel pensiero. O forse ricordava di aver sofferto, ma in fin dei conti qual’era la differenza?
Ricordava quell’emozione, quella paura, il bisogno disperato di portare Isa fuori di lì. Le urla degli altri, l’Oscurità, Xehanort che si librava su quel panorama di morte e desolazione, unico vincitore di quell’esperimento che avrebbe cambiato il loro mondo.
Ne aveva parlato spesso con Saïx, sperando di convivere qualcuno di questi ……sentimenti. Ma aveva incontrato soltanto un vuoto, il suo amico era diventato, se possibile, ancora più Nessuno degli altri Nessuno. Sì, ricordava anche lui gli avvenimenti, ricordava gli scienziati e l’Oscurità, ma in maniera distaccata, quasi come se quelle vicende in fondo non lo riguardassero o fossero soltanto un quadro in cui lui, per caso, si rivedeva in uno dei protagonisti.
Lui invece continuava ad accostare le sue ansie e le sue paure a quei ricordi, e senza Roxas sarebbe davvero impazzito.
Ecco perché non poteva lasciarlo andare via. Non voleva un altro ricordo spiacevole, non quello in cui il suo migliore amico gli dava le spalle, sparendo per sempre nell’Oscurità, camminando tra i grattacieli del Mondo che Non Esiste. Voleva altri ricordi, ricordi che a modo suo, da Nessuno, avrebbe potuto definire felici.
Ma il suo piano per riavere Roxas era naufragato per l’ennesima volta, l’esca che aveva preparato per Sora non era più nelle sue mani e l’unica cosa di cui riusciva a rendersi conto era che il suo migliore amico stava svanendo, tornando umano senza di lui, lasciandolo ancora una volta solo ed incompreso, con quel dolore nel petto dove un tempo Lea aveva un cuore.
Voleva parlare con Sora, rivedere Roxas, ma poi…… sarebbe davvero cambiato qualcosa?
Il suo amico sarebbe tornato?
Perché il pensiero lo faceva stare così male?

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Potrebbe sembrarvi strano ma no, non sto divagando, tutti i nodi verranno al pettine a tempo e luogo|
  
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