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Autore: Stella cadente    04/03/2013    6 recensioni
"In quell’orfanotrofio degli Stati Uniti, in una piccola stanzetta, giocava una bambina pallida. Era una bambina dal corpo esile parzialmente ricoperto da lunghi capelli corvini, che le ricadevano vaporosi sulla sua schiena magra. Una bambina che si sentiva messa da parte, oppressa, imprigionata tra quelle pareti spoglie, scrostate e di un color bianco sporco, quasi grigio."
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"E non era colpa sua.
E lei avrebbe preferito incastrarsi in una dannazione eterna, piuttosto che vivere una vita vuota."
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La storia di una bambina come tante, eppure così diversa.
La storia di una bambina innocente che voleva solo un po' di affetto.
Lei voleva solo essere ascoltata.
Genere: Drammatico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Samara Morgan
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Ring - Samara Morgan'
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Prima parte








Capitolo 5
Vincoli oscuri



Moesko Island
Primavera 1978

 
 
 
 
 
Moesko Island era avvolta nell’abbraccio scuro della notte, e fuori regnava la calma. Si sentiva appena l’ululare leggero del vento di mare, e nient’altro.
Lei camminava lungo l’area della stanza.
Come tutte  le notti.
Sapeva che non era normale che lei non dormisse, ma voleva nasconderlo ai suoi genitori. Si sarebbero preoccupati, e lei non voleva farli preoccupare. Così non appena sentiva che uno dei due si alzava si raggomitolava nel letto, facendo attenzione a non fare rumore.
Era avvolta nel buio più totale, a guardarsi intorno e a vedere il mondo che si assopiva sotto ai suoi occhi lentamente, mentre lei non riusciva a farlo. Non riusciva a dormire, non riusciva a chiudere gli occhi e lasciarsi scivolare nei suoi sogni come facevano le persone umane.
Se non riesco a rimandarti indietro, che cosa succederà? 
Una lacrima solitaria le scivolò sulla guancia, mentre osservava le lenzuola sfatte del letto che sembravano chiamarla, invano. Aveva un gran mal di testa, e ciò che desiderava fare più di ogni altra cosa era dormire, riposarsi, trovare pace.
Ma non poteva.
Si irrigidì quando sentì dei passi nel corridoio, in quella fonda notte senza suoni. Si mosse appena dal suo angolino, reclinando leggermente la testa e facendo frusciare i lunghi capelli lisci.
Passi. Passi leggeri e delicati.
Si mosse silenziosamente verso la porta, e guardò attraverso la sottile fessura della porta socchiusa che lasciava intravvedere appena lo specchio ovale sulla parete.
Dentro quella superficie trasparente, c’era Anna.
La pelle pallida, che sembrava brillare nel buio della casa, creava un’atmosfera surreale, e si pettinava lentamente con una spazzola dall’aspetto antico e raffinato.
Samara restò turbata nel vederla così silenziosa e seria. La faccia che era riflessa nello specchio era cupa, quasi austera, e per un attimo quell’espressione sul viso di Anna la spaventò. La donna si voltò lentamente, volgendo lo sguardo verso la porta, e Samara trattenne il respiro. Sembrava guardarla senza però vederla davvero, e quegli occhi, fino a quel momento gentili, fecero inaspettatamente scuotere il corpo della bambina in un brivido.
Si ritirò di nuovo nel buio, lentamente, cercando di non far scricchiolare il pavimento in legno.
La sua immagine stava sparendo.

 
 
****
 
 
 
– Oggi c’è una gara di equitazione, perché non ci andiamo?
Anna si trovava sul ciglio della porta della camera, e la guardava. La mattina era arrivata con il caldo e il sole che illuminava tutta la casa.
Ma Samara continuava a vedere la sua immagine che spariva.
Si voltò verso Anna con un movimento veloce. La osservò attentamente; sul suo viso non c’era più traccia di quell’alone di oscurità che velava i suoi occhi e i suoi movimenti, quando l’aveva vista dalla porta durante la notte.
– Certo, mi piacerebbe moltissimo – assentì entusiasta.
Aveva sempre cavalcato e conosceva le sensazioni di quei momenti di assoluta libertà, ma improvvisamente si accorse che non aveva mai assistito ad una gara equestre. Un senso di irrefrenabile curiosità schizzò subito dentro di lei, mentre mille immagini e mille ipotesi le affollavano la mente.
– Mamma, che cosa succede ad una gara di equitazione?  – chiese.
– Oh, – fece lei con un sorriso materno – è una specie di esibizione dei cavalli che svolgono vari esercizi insieme ad un fantino... è divertente – aggiunse. Ora non era più la donna dal viso cupo di quella stessa notte; era di nuovo la sua mamma, premurosa e sempre pronta a dire una buona parola. Samara si chiese perché notasse così tanto quella differenza, ma cercò di mascherare la sua preoccupazione ricambiando il sorriso e la raggiunse, ansiosa di assistere alla gara.
– Dove si terrà? – chiese ancora, interessata.
– A Shelter Mountain. Ci saranno un sacco di persone che conosciamo io e tuo padre, e Tom Ramirez farà il numero con Cameron, il suo purosangue.
– Chi è Tom Ramirez?
– Un fantino bravissimo, amico di papà. Ti piacerà, vedrai  – tagliò corto Anna.
Sul volto di Samara nacque un sorriso appena accennato. Era felice di poter partecipare ad un evento simile, ma aveva notato che la sua mamma non era molto loquace, quel giorno.
– Che bello, non ne vedo l’ora! – esclamò entusiasta, cercando di allentare la tensione. Ogni ombra, adesso, era scivolata via dalla sua mente, anche se, lo sapeva, l’immagine di Anna che si pettinava nello specchio non l’avrebbe mai abbandonata.
Anna sorrise, e come in risposta al suo pensiero, per un istante Samara notò un velo di tristezza nel suo sorriso, tirato, quasi dato forzatamente. Come facevano le donne dell’orfanotrofio.
Se non riesco a rimandarti indietro, che cosa succederà? 
Per lei qualcosa cambiò. Perché la sua mamma aveva quell’atteggiamento? Perché si comportava come tutte le altre, che prima o poi la abbandonavano sempre?
In quel momento preferiva non trovare risposta a quell’interrogativo.
 
 
 
****
 
 
Shelter Mountain era un luogo in cui sopravviveva ancora per un po’ la fitta coltre di nubi che caratterizzava Moesko Island, e fra gli alberi dalle folte fronde verdi frinivano allegramente un gran numero di cicale. In uno spiazzo recintato vi era un campo di terra battuta, in cui alcuni fantini allenavano i loro cavalli. Samara osservava i movimenti leggiadri degli animali, la leggerezza con cui i loro zoccoli si sollevavano da terra per lanciarsi al trotto con i loro fantini, il modo in cui sembravano obbedire ad ogni ordine.
– Ciao Barbara! – salutò Anna da lontano, vedendo una signora castana e di bassa statura. Samara scrutò la sagoma ancora distante, ma il suo sguardo andò ben oltre la bassa signora e vagò lungo l’ampia area, per poi fermarsi al box dei cavalli. Osservò il fantino dar loro da mangiare, prepararli per la gara che si sarebbe tenuta tra breve e incoraggiarli, sussurrando vicino alle loro orecchie con premura e dolcezza, come solo un appassionato allevatore avrebbe potuto fare.
 Probabilmente era Tom.
L’uomo si avvicinò ad un cavallo alto e possente, dal mantello color cioccolato fondente e la criniera nera come la pece, e gli diede un’affettuosa pacca sul muso in segno di incoraggiamento.
“Cameron” pensò Samara, contemplando l’elegante animale scuro.
– Mamma, quello laggiù è Tom? – chiese in un sussurro, attirando l’attenzione di Anna e indicando la scuderia.
– Sì Samara, è lui – rispose velocemente lei.
– E’ tua figlia? – chiese Barbara indicandola, non appena udì la vocina flautata che si era diffusa nell’aria.
– Sì – annuì Anna con un lieve sorriso, che subito scomparve in pochi attimi.
Samara si avvicinò ancora di più a lei, come se temesse la vicinanza di quella signora. Barbara continuava a parlare, ma la bambina non si curava di ciò che stava dicendo; era troppo impegnata ad osservare attentamente ogni singolo movimento di Tom.
– La gara sta per cominciare, meglio se andiamo – disse ad un tratto Anna, come a voler porre un freno al più presto a quella conversazione. – Non vorrei di certo perdermi i posti migliori.
 
 
 
 
 
 
 
Samara si accomodò in tribuna in braccio ad Anna, attendendo con impazienza l’inizio della gara. Tutt’intorno vi era un fitto chiacchiericcio degli altri spettatori, che mano a mano prendevano posto sulle panche, mentre il frinire delle cicale sembrava aumentare e diminuire a tratti, come se qualcuno ne regolasse il volume.  C’era chi sedeva con calma, chi con fretta, chi con trepidazione, aspettando che la gara iniziasse. Il sole splendeva più che mai, e le nuvole sembravano diradarsi, lasciando posto al calore di quella giornata di maggio.
Samara si voltò ad osservare Anna. C’era disagio, nei suoi occhi, un disagio che non aveva mai manifestato prima, e la teneva in braccio con distacco, con freddezza, come non la aveva mai vista fare.
Che ti succede?
Cercò di concentrarsi sulla gara, trattenendosi dallo sfogare tutta la rabbia che racchiudeva nel suo corpo, cercando di porre tutta la sua attenzione sullo splendido cavallo di Tom che si muoveva con grazia, senza però riuscirci.
Come era possibile che in una notte fosse cambiato così tanto?
Fece del suo meglio per accantonare i suoi pensieri, accarezzando il mantello scuro del cavallo con lo sguardo. Lo fissò intensamente, come per scaricare sull’animale tutto il suo fastidio.
E improvvisamente, in una frazione di secondo che a lei sembrò durare per sempre, gli occhi neri e rotondi del purosangue incrociarono i suoi.
Samara sentì una fitta alla testa che la fece rabbrividire, e come un automa anche Anna si portò una mano alla fronte, gemendo.
Fu un attimo.
Un nitrito rabbioso squarciò l’aria, il cavallo sbalzò il fantino dal suo dorso in un gesto pieno di ira, e uno scompiglio generale si diffuse con velocità tra tutti gli spettatori. Alcune persone si alzarono in piedi, allarmate; altre iniziarono a parlare tra di loro, visibilmente preoccupate; altre ancora corsero fino alla recinzione, sgomente.
E Samara rimaneva immobile, in braccio alla sua mamma, mentre assisteva alla scena impassibile, come se tutto ciò non le provocasse alcun tipo di reazione. Se ne stava lì, senza dire niente, mentre intorno a lei regnava il caos.
Hai visto.
Tom era fermo, paralizzato, sdraiato nella terra. Provò a rialzarsi, ma il cavallo si diresse verso di lui con una corsa violenta, come animato da un odio profondo, improvviso, letale. Un odio che lo spinse a investirlo, a schiacciarlo sotto i suoi zoccoli solidi, che come pietre lo ferirono fino a che l’uomo non perse i sensi.
Ma non puoi dirlo.
A quel punto, la maggior parte delle donne svenne, accasciandosi miseramente sulle panchine, bianche come fossero morte.
E Samara era ferma. Era morta dentro, immobile.
Anna la prese per mano ed iniziò a correre, una corsa disperata, veloce, una corsa impaurita in cui le gambe si muovevano con foga.
– Corri Samara! – urlò alla figlia, trascinandola per il polso stretto e gracile.
La bambina poteva sentire il rumore degli zoccoli del cavallo galoppare dietro di loro. Aveva sfondato il recinto di legno, e ora si stava gettando su di lei.
Vide il grosso animale avvicinarsi paurosamente, e lasciando la mano di Anna, gettò un grido, aspettandosi il peggio. Era raggomitolata a terra con gli occhi chiusi, in un turbinio di polvere e sabbia, attendendo il dolore, attendendo che il colpo degli zoccoli si facesse sentire.
Ma non percepì niente. Forse era già morta?
Aprì lentamente gli occhi, e rimase immobile. Il cavallo la guardava ora con occhi pieni di umanità, occhi grandi, profondi come un pozzo scuro, che esprimevano timore e arrendevolezza. Mosse qualche passo all’indietro, mentre la bambina lo osservava atterrita. Guardandolo dal basso sembrava ancora più grande di quanto non fosse, e si sentì piccola davanti a quell’animale scuro, che torreggiava sopra la sua indifesa figura.
Perché non la colpiva? Perché Cameron non si era scagliato su di lei?
Il tempo si fermò. Non esisteva più niente, se non gli sguardi tra bambina e animale, collegati da un misterioso e oscuro vincolo.
– Samara, andiamo – disse bruscamente Anna, tirandola su per un braccio, interrompendo quella strana connessione. Si rimisero in cammino verso casa, immerse nel silenzio, un silenzio pesante, un silenzio che non era vero.
Samara si guardò indietro per un attimo.
Il cavallo era scomparso.

 
 



 
Ed eccomi finalmente qui, dopo due lunghi mesi, a postare il quinto capitolo di questa storia drammatica e un po' tetra ;)
Devo assolutamente scusarmi per il ritardo, ma sapete, il blocco dello scrittore colpisce all'improvviso, non avevo ispirazione ed era una cosa fastidiosa anche per me, ve l'assicuro.
Beh, comunque spero di essermi fatta perdonare con questo capitolo :) spero davvero con tutta me stessa che vi piaccia e che abbia reso bene le scene che descrivevo; se devo essere sincera, di tutti i capitoli finora pubblicati, questo è quello che mi sembra più decente, e sono ansiosissima di sapere cosa ne pensate voi :D
Come avrete notato sicuramente, a questo punto la storia non è più tutta rose e fiori, purtroppo, e le vicende cominciano ad assumere un carattere più drammatico, cupo e leggermente inquietante, come ben sappiamo.
Insomma, siamo per così dire entrati nel clou della storia.. mi auguro davvero che vi sia piaciuto, perchè senza di voi so che probabilmente non porterei avanti questa FF, o almeno, non qui su efp. Quindi, prima di lasciarvi, vi ringrazio per il tempo che mi dedicate e le spelndide recensioni che mi lasciate. E ancora una volta, spero di non avervi deluso :)
Un abbraccio a tutti,
Stella cadente
  
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