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Autore: Dreamersan    06/03/2013    3 recensioni
Questa storia partecipa al contest delle "Letture Invernali di Dominil B".
"Se fossi morta sopra quella lastra di ghiaccio le avrei fatto sicuramente un favore, sarebbe stata una bocca in meno da sfamare, dopotutto",
sibilò poi con rabbia, asciugandosi con la manica del maglione le lacrime che avevano iniziato a sfuggire dai suoi occhi arrossati.
"Credo che non ci sia bisogno che ti dica che spesso, la rabbia ci porta a dire cose che non pensiamo davvero"
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Dreamerchan
Titolo: Ice Heart
Fandom: Originali
Personaggi: //
Coppie: Het
Rating: Giallo
Genere: Generale, Malinconico
Avvertimenti: Nessuno
Note: //

 

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Per la maggior parte delle persone l’inverno non è che una stagione come un’altra, certo a seconda di dove si vive può risultare più o meno piacevole, ma in sostanza le differenze tra i vari luoghi son poche.

Ed era questo quel che Revmira Ivanov aveva sempre pensato, fino a quando almeno, suo padre così come tanti altri nella sua città, aveva perso il lavoro lasciando così la famiglia priva della sua unica entrata fissa.

Così, dopo mille domande respinte, quando sembrava ormai non fosse rimasta più alcuna speranza, era arrivata una risposta e dopo aver preparato velocemente il minimo necessario, erano partiti verso quella che sarebbe diventata la loro nuova casa.

I siberiani, è risaputo, sono ben abituati a sopportare anche le temperature più rigide, ma la cittadina di Yakutsk purtroppo, costituiva un limite anche per la maggior parte di loro.

Quello che così a sentirlo nominare pareva un centro qualunque, vantava in realtà di essere la città più fredda del mondo e medie stagionali che, nella maggior parte dei casi, avrebbero fatto rabbrividire un orso polare.

Come si può ben immaginare, nessuno di loro era stato troppo felice di quel trasferimento deciso un po’ all’improvviso e Revmira ricordava con una chiarezza quasi inquietante il momento in cui erano arrivati alle porte di quell’inferno di ghiaccio.

Infatti ad un certo punto del viaggio così come suo fratello, sfinita dalle mille lacrime versate, era caduta in un sonno profondo per poi essere svegliata di soprassalto, dalla frenata brusca della macchina.

E a quel punto aveva aperto di scatto gli occhi chiari e con il cuore che le batteva all’impazzata, muta per la paura aveva guardato quell’incubo bianco.

La città infatti si era presentata avvolta in una strana foschia e le persone racchiuse in pesanti cappotti, che si muovevano silenziosamente lungo le strade, quasi come degli alieni privi di voce su un pianeta lontano.

Dopo aver deglutito rumorosamente e con il respiro che creava mille nuvolette nell’aria gelida dell’auto, così come il resto di loro, Revmira si era ritrovata a guardare suo padre terrorizzata.

«Eccoci qui» aveva detto lui, in risposta ai loro sguardi e obbligando le labbra già viola a piegarsi in un sorriso forzato.

La moglie a quelle parole aveva scosso la testa e quando il marito aveva provato a sfiorarle il braccio in un silenzioso tentativo di conforto, lei l’aveva scansato seccata, voltando il capo verso il finestrino; da quel momento in poi nessuno aveva più parlato.

La nuova casa era stata un po’ un premio di consolazione; infatti molto più bella della precedente, era stata più di quando delle persone con il loro reddito avrebbero mai potuto sperare, ma col nuovo stipendio del Signor Ivanov l’avrebbero ripagata in fretta.

Una volta scelta la sua stanza, Revmira aveva poggiato il borsone in un angolo, rannicchiandosi vicino al fuoco scoppiettante e tappandosi forte le orecchie per non sentire le urla dei suoi genitori.

L’indomani, aveva provato timidamente ad uscire per una breve passeggiata, ma dopo appena una decina di minuti, la sua pelle aveva iniziato a gelare e spaventata, con le membra quasi paralizzate dal gelo, era stata costretta a rientrare.

 

E così era passata una prima settimana, ma al contrario di quanto la ragazzina avesse sperato, le tensioni fra loro anziché diminuire, sembravano essere di gran lunga aumentate.

Le urla erano diventate sempre più frequenti e il loro cuore così come quella città di ghiaccio, sempre più freddo.

Revmira dopo un po’ di tempo era arrivata a pensare che ormai, nessuno dei due adulti avrebbe potuto turbarla più di quanto non avesse già fatto; tuttavia si sbagliava, perché un pomeriggio venne passato il segno.

«L’ho fatto per voi!» Gridò il signor Ivanov, nero di rabbia e con gli occhi lucidi dalla frustrazione.

La moglie strinse i pugni e le sue labbra rosse si arricciarono fino a scoprire i denti candidi.

«Per noi? Hai la minima idea di come mi senta da quando siamo arrivati? Odio questo cazzo di posto, lo odio!» Sbraitò con tutto il fiato che aveva in gola e asciugandosi con la manica del maglione una lacrima sfuggita al suo controllo.

«Sai che se non avessi accettato saremmo morti di fame, i nostri figli, sarebbero morti di fame» sottolineò, ferito nell’animo da quelle parole taglienti.

«Ecco, e pensare che una volta rimasta incinta, ti avevo detto che sarebbe stato meglio abortire, ma tu no, non hai voluto! Ed ora ci ritroviamo con due…»

Con gli occhi spalancati come quelli di un cerbiatto davanti a un fanale, la ragazzina fece un passo indietro e il suo petto venne squarciato da un singhiozzo.

Non aspettò di sentire il resto della frase di sua madre, né del resto, la risposta di suo padre e così, con il cuore sanguinate e senza neppure prendersi la briga di afferrare il cappotto di pelliccia, uscì da quell’inferno, iniziando a correre senza meta fra le strade ghiacciate.

Dopo pochi minuti, le lacrime sulle sue guance iniziarono a gelare, portandola a singhiozzare per il dolore, ma nonostante tutto la sua fuga non cessò.

La testa le girava e la sensibilità nella punta delle dita, diminuiva sempre di più; in cuor suo sapeva che non avrebbe potuto continuare ancora per molto e non appena quel pensiero prese una forma concreta nella sua mente, cadde a terra senza più avere la forza necessaria per alzarsi.

Era fin troppo consapevole che probabilmente restando così sarebbe morta, ma nonostante tutto non le importava, perché le uniche cose a cui in quel momento riuscisse a pensare erano le parole di sua madre.

Sì, senza di lei, sarebbero stati tutti molto meglio, si ripeteva, con le labbra ormai incollate dal gelo.

L’ultima cosa che vide fu una figura scura avvolta nella nebbia, poi tutto divenne buio.

 

«Nonna, la ragazza sembra aver ripreso conoscenza» disse una voce profonda, che sembrò rimbombare nella sua testa come un eco lontano.

Revmira emise un debole gemito, poi aprì debolmente gli occhi, rimanendo accecata dal bagliore fuoco scoppiettante.

La sua guancia era poggiata su un qualcosa di morbido e caldo che improvvisamente sembrò muoversi sotto di lei, passandole davanti al naso e iniziando ad annusarla.

Ancora confusa, incontrò gli occhi blu di un bel gatto, che dopo averle leccato buona parte del viso scese dal divano sul quale era sdraiata, stiracchiandosi pigramente e accoccolandosi sul tappeto vicino al fuoco.

Dove si trovava? Era forse morta?

«Come ti senti?» Domandò la stessa voce di prima e nel mentre che quelle parole venivano pronunciate, nel suo campo visivo entrò il viso di un ragazzino.

Ancora stordita si mise a sedere e sbattendo più volte le palpebre, cercò di mettere ben a fuoco l’ambiente circostante.

«Dove mi trovo?» Riuscì solo a mormorare con un filo di voce, troppo debole perfino per provare quella paura che sarebbe più che dovuta, in chi si sveglia in un luogo poco familiare dopo aver perso i sensi.

«Viktor ti ha trovata svenuta vicino al parco. Uscire senza cappotto con questo gelo…» mormorò una vecchia, scuotendo la testa e alzandosi con fatica dalla sedia accanto al caminetto.

«No, faccio da sola» disse, bloccando con un cenno della mano il ragazzo pronto ad offrirle il braccio.

«Allora, cosa può spingere una ragazza carina come te ad essere tanto imprudente?» Le chiese, mettendole una mano sulla fronte e sedendosi sul bordo del divano.

Le guance di Revmira divennero rosse, ma quando dopo un attimo di smarrimento, ricordò il perché avesse scordato di coprirsi per bene, le sue labbra tremarono visibilmente.

Evitando lo sguardo della vecchia signora, i suoi occhi guizzarono verso la finestra fissando assenti il paesaggio ghiacciato.

«Come fate a vivere qui?» Chiese di rimando, senza voltarsi e stringendo contro il suo corpo la lunga pelliccia che le avevano messo come coperta.

«Ah, capisco. Tu sei la figlia della famiglia che si è appena trasferita in città, dico bene?» Domandò con voce calma e un piccolo sorriso che le disegnò mille rughe sottili sul viso.

La ragazza si girò immediatamente verso di lei, guardandola molto più che sorpresa e facendo sì che di fronte al suo comportamento sia nonna che nipote ridacchiassero.

«Non esserne sorpresa, come potrai ben immaginare non è molta la gente che si trasferisce qui».

Già, chissà perché, pensò lei con sarcasmo e spostandosi i capelli castani dietro un orecchio.

«Tuttavia non è così male, una volta che ci si fa l’abitudine» continuò il ragazzino, facendole l’occhiolino.

Revmira lo guardò accigliata, totalmente in disaccordo.

«I tuoi genitori saranno preoccupati, in soggiorno c’è un telefono se li vuoi chiamare» le propose la signora con dolcezza e dopo qualche minuto d’imbarazzante silenzio.

La giovane scrollò le spalle e strinse i denti nell’inutile tentativo di impedire che i suoi occhi diventassero lucidi per l’ennesima volta.

«Dubito che lo saranno, mia madre…», non riuscì a terminare la frase, perché la sua voce al pronunciare il nome del genitore crollò rovinosamente.

«Se fossi morta sopra quella lastra di ghiaccio le avrei fatto sicuramente un favore, sarebbe stata una bocca in meno da sfamare, dopotutto» sibilò poi con rabbia, asciugandosi con la manica del maglione le lacrime che avevano iniziato a sfuggire dai suoi occhi arrossati.

Non sapeva il perché esattamente avesse pronunciato quella frase, né del resto il perché l’avesse fatto davanti a quei due sconosciuti, sapeva solo che ad un certo punto le sue labbra si erano mosse quasi contro la sua stessa volontà.

Una parte di lei era consapevole del fatto che probabilmente la madre non avesse mai pensato le cose orribili che, ignara della sua presenza, aveva lanciato contro suo padre, ma sta di fatto che in quel momento lei era ancora troppo poco lucida per esaminare la questione razionalmente.

«Credo che non ci sia bisogno che ti dica che spesso, la rabbia ci porta a dire cose che non pensiamo davvero» la rassicurò la donna con voce profonda, sorridendo leggermente quando la vide annuire.

«Ma da quando siamo arrivati qui è cambiato tutto. Mio padre, mia madre… Sembra quasi che il gelo mortale di quest’orribile inferno stia stritolando i nostri cuori, privandoli di tutto il loro calore…» ammise sottovoce e chiedendosi ancora una volta il perché avesse deciso di raccontare tutte quelle cose a una vecchietta dallo sguardo materno.

«Vieni qui ragazza, accanto al fuoco» la incoraggiò semplicemente, facendo sì che lei le lanciasse uno sguardo confuso.

Revmira si accovacciò accanto al camino e protese le mani verso il fuoco scoppiettante.

«Che ne dici di dirmi il tuo nome? Non chiamerò i tuoi genitori, se non lo vuoi» aggiunse, notando immediatamente il suo sguardo allarmato.

«Revmira» mormorò, senza distogliere lo sguardo dal fuoco.

«Signora?»

La chiamò dopo alcuni secondi e guardandola negli occhi incerta, come se avesse paura che se le avesse fatto quella domanda e la risposta fosse stata negativa, sarebbe potuta morire per il dolore.

La nonna la guardò seriamente, poi fece un cenno d’incoraggiamento.

La ragazza prese un profondo respiro.

«Come posso fare per far tornare tutto come prima? C’è un modo per farli smettere di litigare?» Chiese speranzosa, con gli occhi azzurri che brillavano di un’intensità tale da far quasi paura.

La signora si mosse a disagio sotto quello sguardo, ma emettendo un profondo sospiro decise di risponderle comunque.

«No, tesoro, credo che non ci sia…»

 Revmira si lasciò sfuggire una piccola lacrima.

«Tuttavia…», iniziò, prendendole il mento con dolcezza e portandola ad alzare il capo, «ciò non vuol dire che tu non ci possa provare» finì, asciugandole una lacrime col pollice.

«Sì, ma come?»

Domandò lei disperata e avendo capito che in quel momento, sebbene fosse una perfetta sconosciuta, quella donna le sarebbe stata indispensabile perché riuscisse a trovare un po’ di pace.

«Non posso dirti come fare, quello devi capirlo da sola, ma posso dirti come iniziare. Chiama tua madre, falle sapere dove ti trovi e parla di quel che è successo».

La ragazza si costrinse ad annuire e sotto lo sguardo comprensivo della donna, con le gambe tremanti si diresse verso il telefono.

 

«Non mi dice che andrà tutto bene?»

Mormorò Revmira una volta terminata la chiamata e leggermente imbarazzata, dal trovarsi avvolta dalla lunga pelliccia di Viktor.

La vecchia sorrise leggermente di fronte a quella disperata richiesta d’avere una qualche certezza, ma nonostante ciò scosse la testa.

«Grazie» disse timidamente, ma colma d’ammirazione per quell’anziana che con pochi gesti e parole era riuscita a farla stare meglio.

«Potresti venirmi a trovare, qualche volta» le propose, esplodendo in una piccola risata quando la vide annuire con un piccolo sorriso.   

La ragazza abbassò la maniglia della porta d’ingresso, ma proprio quand’era ormai sul punto d’uscire, la vecchia la chiamò ancora.

«Revmira?»

«Sì?»

«L’inverno non durerà per sempre».

 

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Note d'autore: 

Questa storia partecipa al contest delle "Letture Invernali di Dominil B".

La cittadina di Yakutsk esiste veramente ed è la città più fredda del mondo, che comparendo in un articolo mi ha dato quel poco d'ispirazione necessaria per scrivere questa piccola storia senza troppe pretese.

Alla prossima, Dreamerchan :)


   
 
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