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Autore: fortiX    07/03/2013    6 recensioni
Bassai dai é il nome di un kata del karate shotokan. Il termine vuol dire entrare nella fortezza. E cosa sono Sephiroth e Cloud se non due fortezze mai violate? Cloud sta aprendo la sua verso una nuova vita e si accorgerà presto che, nonstante le numerose sconfitte, il suo nemico mortale non é mai stato veramente conquistato. I segreti e le paure verranno mai svelati? Cloud avrà questo coraggio?
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cloud Strife, Nuovo personaggio, Sephiroth, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Mi sono fermato in un punto di ristoro in mezzo alla campagna delle Crosslands. Un posto abbastanza sperduto, lontano da occhi indiscreti e dalla vena principale che collega Midgar con questa regione. I proprietari sono una coppia di anziani che mi hanno servito un pranzo con i fiocchi. Erano felici di avermi con loro: probabilmente non vedono molti visitatori. Dopo aver ordinato un caffè forte, mi concedo un momento di riflessione, osservando la natura sterminata davanti a me. Respiro una ventata d’aria fresca, sia dal punto di vista dell’anima che da quello del corpo. L’ossigeno buono di campagna è una delle cose che più mi manca della mia infanzia e sapermi alla luce del giorno con questa dannata cosa tra le mani mi fa sentire libero. Il proprietario non lo ha degnato nemmeno di uno sguardo; anche perché la sua attenzione era tutta rivolta alla mia Fenrir. Credo avesse voglia di chiedermi della moto, ma quando mi ha visto troppo impegnato a leggere ha continuato con le sue faccende.
L’ultima parola scritta da Sephiroth mi fa sorridere: dopo pagine e pagine di buia tristezza finalmente riesco a respirare con più leggerezza. Il nodo alla gola si sta pian piano allentando.
Allora non era così vuoto come ho sempre creduto.
La cosa, da un lato, mi riempie di allegria; ma, dall’altro, una sensazione di disagio s’insinua nelle ossa. Lui conosceva i valori dell’amicizia, dell’onore e della giustizia, allora perché sono venuti a mancare proprio nel momento in cui ne aveva più bisogno? Che cosa si è spezzato nel suo animo tormentato da costringerlo ad agire in quel modo?
Rileggo le righe in cui racconta della bestia rinchiusa in lui. L’ha spesso citata, ma non ha spiegato mai cosa fosse per l’esattezza. Probabilmente non lo sapeva nemmeno lui, tuttavia sentiva che c’era qualcosa di oscuro e terribile sepolto nel suo animo, più ruggente di un leone e più sanguinario di un esercito. Credo che in un qualche modo percepisse Jenova dentro di sé e che lui in primis cercasse di limitarla; però il suo potere era così superiore alla sua volontà, tanto da sovrastarlo e plasmarlo a suo piacimento. In un modo o nell’altro, lui fu manipolato da qualcuno. Prima Hojo e poi Jenova. Quella maledetta notte di Nibelhim , lui era solo a combattere lo scontro finale contro i suoi fantasmi.
L’unica battaglia che abbia mai perso.
Quando ero affetto dal Geostigma percepivo spesso la sua voce gelida trivellarmi il cranio e la sua lama affilata trafiggermi la carne. Una delle sensazioni più orrende che abbia mai passato. Spesso mi svegliavo nel cuore della notte in preda a visioni raccapriccianti, un dolore terribile dal braccio si dipanava fino alla testa e quella sibilante voce mi bisbigliava ossessiva nel cervello. Fu un periodo da incubo, perciò capisco il suo stato d’animo. Non deve essere facile convivere con quell’alieno maledetto che ti sussurra nella testa.
Gli grattava da sotto il petto.
Questo particolare mi ha scosso parecchio. Io mi immagino un artiglio nero e affilato grattare convulsamente e ossessivamente lo sterno, consumandolo pian piano. Una visione da far accapponare la pelle. Immagino Jenova intenta a scavare le fondamenta della sua prigione di carne, facendosi strada attraverso le cellule del figlio, intercedendo dalle sensazioni. Lei gli stuprava la mente ogni dannata volta; gli afferrava il cervello e ci giocava come fosse un pallone da basket fino a stordirlo attraverso una follia cieca che solo lei era in grado di suscitargli. Quando ogni sua difesa era crollata, l’aliena guidava il suo corpo verso gli orrori più sanguinosi e terrificanti. E lui non era in grado di reagire. Osservava, osservava il sangue schizzare, la Morte, la Paura negli occhi delle sue vittime. Non poteva dimenticarle. Capisco dal suo diario quanto questa situazione lo tormentasse e quanto ne fosse impaurito; ma, soprattutto, quanto inconsciamente temesse per gli altri. Era combattuto dalle due eredità che giacevano in lui: Jenova e Lucrecia. Quest’ultima, ne sono certo, non ha mai smesso di proteggerlo, sorreggendolo nei momenti del bisogno, quando ogni speranza era perduta. Lo aiutava a vedere quei valori così ovvi per la gente comune, ma sconosciuti ad un bambino che ha sempre vissuto in mezzo al sangue. Mi pare quasi di vederla: il suo spirito etereo e invisibile accarezzargli la testa o asciugargli una lacrima, mentre parole dolci e sussurrate, lambiscono una frustrazione troppo grande per quell’animo di fanciullo cresciuto troppo in fretta. Quell’eroe, quella figura di magnifica gloria non era altro che l’ombra distorta di un bambino rannicchiato in un angolo buio, intento a leggere il mondo con solo a disposizione una flebile candela. Questo piccolo ammasso di cera rappresenta la sua curiosità, quell’intelligenza genuina di chi capisce che là fuori, oltre gli abusi e le punizioni, c’è qualcosa di buono. Non sa bene cosa sia, ma sa che c’è.
DEVE esserci! Altrimenti la vita non merita di essere vissuta.
Sospiro. Nemmeno un valore così indispensabile come l’amicizia gli è stato concesso. Ad Hojo non importava nulla se non della sua macchina da guerra umana. Non credo di aver mai conosciuto una persona così priva di scrupoli e umanità…
Mi blocco… Una fulminazione! Inizio a ridere da solo. Una risata triste e mesta, davvero di cattivo gusto. Alla fine il figlio è diventato come il padre. Un’ironia terribile, se ci si riflette un attimo. Sephiroth ha lottato tanto per tentare di cambiare il vecchio e, al contempo, studiare i difetti del genitore per evitarli il più possibile. Il SOLDIER che conosco è lo specchio dello scienziato, la sua copia sputata. Crudele, spietato, disumano… Un mostro. Esper santi!
Mi passo la mano fra i capelli, costernato. L’umanità ha costretto questo bambino a vivere in una leggenda effimera, precipitandolo in un abisso di aspettative e pressioni strangolanti, dove ogni sua azione veniva soppesata e criticata dall’uomo che avrebbe dovuto sedersi accanto a lui e indicargli il percorso. Non c’era amore nei suoi ragionamenti, non voleva il bene dell’infante, ma solo la gloria che quell’esperimento gli avrebbe portato. Lo ha creato e gettato in pasto ai demoni. Non sono bravo in matematica, ma alla domanda posta dal Generale, direi che la probabilità sfortunata è parecchio elevata; anche se, ripesandoci, ci sono un paio di fattori che vanno fuori scala. Sephiroth non è mai stato solo, bene o male, nella sua esistenza c’è sempre stato qualcuno capace di sostituirsi alla pessima figura paterna. Questo professore che cita spesso - il quale presumo si tratti del padre di Aerith, il Professor Faremis Gast - , è un lampante esempio. Sono d’accordo con l’opinione di Aerith che traspare tra le righe: lui vedeva solo il bicchiere mezzo vuoto. Devo dire che un’aura di vittimismo aleggia sulla carta ingiallita dal tempo. Non gli posso dare torto, in fondo. Tutto quello che era riuscito a conquistare gli fu sempre strappato via. Quel presagio di morte lo accompagnò per tutta la vita, come se Jenova stessa lo deviasse verso l’oscurità più profonda, spegnendo ogni lume di speranza.
Contemplo la parola finale della giornata e mi ritrovo a sperare che non si sia tratta di una fervida illusione. Mi rendo conto che sto riflettendo su fatti passati e che la storia è già stata scritta, ma… E’ come vedere un film per la tredicesima volta e sperare che alla fine riescano a sopravvivere tutti: la sensazione è la stessa. Prego che Angeal e Genesis possano avergli dato quello che disperatamente stava cercando e che la loro amicizia possa essere durata a lungo. So perfettamente che circostanze tragiche porteranno i tre amici a separarsi, però io sono fiducioso!
Tiro fuori la foto della donna.
Come posso pensare che tutto vada a rotoli?
Aveva degli amici e, forse, anche l’amore… Come si può credere che le cicatrici che ho sul corpo siano state fatte da una persona che aveva tutto? Ho quasi paura di continuare con la lettura. La curiosità mi dilania, ma sono spaventato da ciò che potrei scoprire.
La donna e la sua luce mi illuminano il viso, mentre mi sovviene alla mente Tifa. In questi giorni di lontananza mi manca terribilmente. Il solo pensiero di perderla mi terrorizza. Amo il mio angelo perdutamente, più della mia stessa vita e so che se lei… insomma… se lei… Ah! Non riesco nemmeno a pensare quella parola. Mi si rivolta lo stomaco alla visione di un altro vuoto nel mio cuore. Ci ho impiegato anni a trovare la forza per andare avanti dopo aver visto morire Aerith tra le mie braccia, infilzata dalla follia di quel dannato assassino. Il mio cuore non reggerebbe un altro colpo così. Ho avuto una seconda possibilità e non me la lascerò sfuggire per nulla al mondo.
Per questo motivo, ho paura di continuare e sapere cosa ti è successo, donna della foto.
So cosa si prova perdere la persona amata e non credo di reggere lo strazio di mille lame che si conficcano nel petto. No! Il pessimismo di Sephiroth mi sta contagiando… Devo credere che ciò che sto reggendo non sia solo un ricordo, ma una sorta di macchina del tempo, in cui furono impresse le gioie e le aspettative di una storia magnifica. Voglio pensare che tu sia ancora viva e che odi l’uomo che ti ha abbandonata almeno quanto me. Preferisco venire a conoscenza che vivi nel rimorso di una storia finita male; anziché sapere che sei la causa di un lutto sfociato nella pazzia.
Forse questi pensieri così profondi, o forse per la sua capacità di prendermi alle spalle ogni volta, non lo saprò mai; ma comunque mi accorsi della presenza di Vincent Valentine, solo grazie al servilismo della padrona del locale.
-Desiderate un tavolo, signore?-
-No, grazie.-,rispose una voce piatta.
Poche sillabe e il mio cuore per poco non mi abbandona. Dovevo aspettarmelo che non mi avrebbe dato pace, finché non mi avesse sorpreso con le mani nella farina fino alle spalle… Alzo lo sguardo colpevole, cercando di assumere un’espressione fredda. Senza riuscirci, ovviamente. Ingoio a vuoto e mi dico: Avanti, Cloud, è solo Vincent. Forse è il male minore. Ci squadriamo per qualche minuto, durante il quale la signora ci osserva nervosa. In effetti, l’ex-Turk non è che sia esattamente la persona più raccomandabile per chi non lo conosce. La tensione tra noi è palpabile e sembra che stia per scatenarsi il finimondo, ma poi Vincent afferra la sedia e si siede di fronte a me.
-Un caffè. Ristretto. Senza zucchero.-
Al suo ordine, la signora si riprende e scappa dentro al locale.
La mia mente mi sta urlando di prendere il diario e scappare, ma il mio corpo è paralizzato come un imbecille. Vorrei almeno nascondere la foto che tengo in mano, ma Vincent è più veloce e me la strappa dalle mani. Non reagisco. Mi sento così stupido. Smetto di respirare, mentre il pistolero la osserva con attenzione. Grugnisce e alza la sua attenzione verso di me. Non credo di aver mai sudato così tanto.
-Chi è?-
Bella domanda…
-Non lo so…-, rispondo io con un filo di voce. E’ la verità, tutto quello che so su di lei proviene solo dalle mie supposizioni. Non so niente per certo, aggiungo mentalmente.
Vincent non si scompone. Probabilmente si aspettava una risposta del genere. Intanto, la signora ci raggiunge e consegna il caffè al pistolero, il quale le rivolge un’occhiata di sfuggita. La bevanda fumante non viene nemmeno calcolata.
-Sai, Marlene ci ha detto che avete litigato. Barret ha ritenuto opportuno trivellarti le chiappe, ma fortunatamente per te, sono riuscito a dissuaderlo.-
Mi lascio scappare un sospiro. Poveri piccoli. Per loro deve essere dura vederci di nuovo come due estranei. Inconsciamente, lancio un’occhiataccia al libro sotto di me, la quale viene ovviamente colta da Vincent. Egli segue il mio sguardo e lo concentra sulle memorie di Sephiroth. Una strana scossa di gelosia percuote il mio animo. Non so perché, ma ritenevo quel segreto solo nostro, un momento esclusivo in cui io avevo potere su di lui.
La marionetta controlla il burattinaio.
-Ma credo che il problema non sia legato a lei.-,alza la foto e me la ripassa,-Ma piuttosto a quel libro.-
Sento una magnifica sensazione di sollievo nel comprendere che nemmeno Vincent immagina cosa stia nascondendo.
-Sei disposto a mentire spudoratamente davanti ai tuoi amici e alla tua ragazza per proteggerlo. Hai detto che non è pericoloso. Ma come posso crederti?-
E io non posso dargli torto. Ultimamente quello che dico non riflette la realtà, tanto da scomodare Vincent a farmi la paternale. Inizio a sondare le varie possibilità che mi si pongono davanti: davanti a me c’è un amico che si sta sorseggiando un caffè amaro, pronto ad ascoltarmi. Lo conosco meglio di chiunque altro negli AVALANCE, so che non darà le escandescenze se scopre quello che ormai ha intuito. Non ci è arrivato completamente per il semplice fatto che il diario dell’assassino di mia madre e di Aerith sarebbe l’ultima cosa che leggerei. Dall’altro lato potrei inventarmi una storia di sana pianta, ma, semai riuscissi a persuaderlo, prima o poi tutti i nodi verranno al pettine e a quel punto avrei sprecato l’unica occasione di sincerità. Prendo un profondo respiro e apro la prima pagina.
Mi è capitato di rado vedere un’emozione trapelare dagli occhi sanguigni di Vincent Valentine, ma credo che quel nome avrebbe fatto sobbalzare perfino una statua di marmo. Sbatte le palpebre un paio di volte, come per accertarsi di non aver letto male, e noto un’espressione di smarrimento misto incredulo comparire alla sua faccia. Vincent è il tipico uomo che non rimane mai senza parole, è sempre in grado di sopraffarti con le sue frasi taglienti e dirette; mai avrei pensato di assistere a un tentennamento. Questo momento, però, dura molto meno di quanto credessi e la sua espressione torna la solita maschera di cera.
-Ora si spiegano molte cose…-,dice, alzando lo sguardo su di me.
Sento che vorrebbe chiedermi di più, la sua curiosità è palpabile, ma si limita a non deviare dal discorso originario.
-Quindi tu stai mettendo da parte le tua famiglia… per leggere le memorie del tuo nemico mortale?-
Noto un certo conflitto nel pistolero: la sua voce tradisce il tono di un uomo che non approva per niente la situazione; ma la sua postura, lo sguardo che va a pennellare quel nome impresso su una pagina rinsecchita, le dita che ne tormentano i lati come se volessero tuffarsi in quel mondo segreto e tormentato, dimostrano un certo interessamento. Sembra quasi che voglia dirmi: Vai avanti con la tua vita e lascia i frammenti del suo passato a me. A volte penso che Vincent veda Sephiroth come una sorta di figlio adottivo. Credo provi un grosso rimorso per non averlo salvato, di non aver avuto la forza di strappare lui e sua madre dagli artigli opprimenti di Hojo. So pochissimo di che tipo fosse prima degli esperimenti subiti, ma sono certo che avrebbe dato a quel bambino una vita dignitosa da vivere; anche senza tutta la fama e la gloria. Senza contare le migliaia di persone strappate al Lifestream.
Dev’essere un peso duro da portare. Sarebbe bastato un semplice gesto…
-Anch’io all’inizio la pensavo come te, ma, ti giuro, qua dentro c’è molto di più di quanto credi.-, ribatto io.
-E’ strano sentirtelo dire. Dicevi sempre che lui fosse vuoto e senza cuore.-, la sua voce è piatta.
Strano, credevo di sorprenderlo. A quanto pare si aspettava un’affermazione del genere.
Forse è davvero possibile conoscere il figlio di Jenova attraverso Lucrecia?
-Ho sbagliato…-, ammetto.
Una strana sensazione di leggerezza mi pervade appena quella frase esce dalle mie labbra. Mi accorgo solo ora della grandezza della mia ammissione, nonostante sia un pensiero fisso che mi accompagna da settimane. Abbasso lo sguardo allibito sul diario. Non ci posso credere… Gli sto dando un’altra possibilità! Quell’aggeggio infernale mi sta incasinando la mente, mi sta manipolando. Ma come è possibile? Forse Reeve si sbagliava. Non è un libro come gli altri.
Un moto di rabbia s’impossessa di me. Afferro malamente il diario, senza dare la possibilità a Vincent di reagire, e faccio per gettarlo lontano.
No!
Mi blocco a metà del gesto, quando la foto mi passa davanti agli occhi. Quello sguardo… quell’espressione… così… così… tormentata.
Ma che mi starà mai succedendo?
Una mano artigliata mi afferra la spalla, riportandomi nel mondo reale. Giro lo sguardo verso gli occhi vermigli dell’ex-Turk.
-Cloud, il tuo segreto è al sicuro come me. Ti aiuterò a mantenerlo tale e a riallacciare il tuo rapporto con Tifa.-
Leggo un altro pensiero nelle sue iridi: Ti prego non abbandonare ciò che rimane di Lucrecia.

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15 Maggio XXXX

E’ da parecchio che non mi concedo un momento di riposo, affinché io possa tuffarmici e lasciare che la quiete dilavi l’adrenalina e il sangue versato. Stranamente, però, questo periodo frenetico non mi è pesato in modo particolare. Devo ammettere che la vicinanza dei miei due nuovi compagni hanno un effetto benefico sulla mia psiche, oltre che sull’esito delle missioni. La conquista della costa di Wutai è avanzata esponenzialmente in soli due mesi da quando Genesis e Angeal combattono al mio fianco. Il trio che abbiamo formato è davvero imbattibile e la sintonia creatosi tra di noi è straordinariamente letale. Ovviamente la loro preparazione a certi tipi di situazioni incide ancora molto sui loro nervi, i quali non si sono ancora abituati alle cruente scene che la guerra generosamente regala ogni maledetto giorno. Io, ormai, ci ho fatto il callo da anni. Spesso Genesis mi invidia per il mio sangue freddo, desidera ardentemente avere la mia capacità decisionale nei momenti in cui la paura e la morte sembrano l’unica scelta possibile. Non si rende conto di che cosa bisogna passare per affinare questa, se così vogliamo chiamarla, “capacità”. Uno che è sempre vissuto nel confortante calore dell’amore di due genitori innamorati del proprio figlio, in una casa accogliente e piena di vita, libero di uscire all’aria aperta quando più lo desidera, non può assolutamente capire cosa vuol dire guerra. Guerra quotidiana contro l’oppressione; con solo un nome a cui aggrapparsi nei momenti di sconforto; nessuno disposto a tendere la mano per aiutare a rialzarsi dopo che iniezioni ed esperimenti hanno dilaniato il corpo; vivere nella costante paura di sbagliare; spettatore inerme dell’agghiacciate eccitazione di due occhi crudeli che brillano ad ogni sofferenza. Con un’infanzia così è facile diventare freddi calcolatori assassini… La prima volta che vidi il campo di battaglia avevo quattordici anni. Poco più di un bambino. Avevo già ucciso, ma non ero preparato a quel tipo di cruenta violenza. Ricordo il rumore. Il fracasso delle bombe, il ritmo incessante e metallico delle mitragliatrici, le urla agghiaccianti degli uomini spappolati dalle esplosioni. Ricordo che rimasi bloccato ad osservare quello spettacolo. Per la prima volta nella mia vita non sapevo cosa fare, frastornato da quella miriade di suoni assordanti. Non avevo paura, non ne ero capace di provarne, ma mi sentivo sospeso in un limbo di calma, mentre attorno a me si agitava il caos. E fu in quel momento che capii per che cosa mi avevano preparato. Capii il motivo di ogni punizione, di ogni sopruso, di ogni vergata nella schiena. Sin da quando ho memoria non ho mai conosciuto una giornata di pace. Mio padre era la mia ombra, il mio incubo. Ancora oggi mi sta addosso come un avvoltoio su un cadavere, pronto a ghermire la mia carne martoriata per spremere l’essenza ormai prosciugata; ma, grazie al cielo, la mia carriera di SOLDIER mi tiene spesso lontano dal suo ossessivo controllo. Respiro un po’ d’aria pura, finalmente; anche se questa libertà è soltanto una prigione senza pareti. La sua eredità continua a perseguitarmi; la reputazione da lui costruita mi sbatte le porte in faccia. Quel generale freddo e calcolatore che si aggira nel campo non sono veramente io. L’inchiostro sono io. In questo diario è racchiuso il mio vero ego e prego tutti i numi conosciuti e sconosciuti affinché non mi sia portato via. Ho bisogno di un’ancora di salvezza, un punto fisso in questo mondo vorticante che definisca la mia identità; ovvero quella parte fragile e passionale rinchiusa nel mio cuore freddo e straziato. E’ la mia più grande paura: dimenticare. Non so che farei se un giorno lasciassi la mia umanità bruciare in un focolaio d’iracondo odio. Tutti, là fuori, cercano di spingermi nell’oblio. Ah, cosa darei per lasciarmi andare almeno una volta… Ma so già come andrebbe a finire: il demone che risiede in me prenderebbe il sopravvento. Ogni volta che mi abbandono ad un’emozione particolarmente intensa, quella frenesia s’impossessa della mia mente, trasformando ogni sentimento in violento odio. Uno dei tanti motivi per cui non riesco ad avvicinarmi a nessuno. Soprattutto alle donne. La compagnia mi spinge spesso verso la ricerca di una compagna, propinandomi relazioni assurde con sciacquette dello spettacolo viziate e stupide. Il Presidente afferma che sfogare i miei istinti non possa farmi altro che bene, ma so perfettamente che è tutta una questione di soldi. La mia vita privata sbattuta sulla prima pagina di uno squallido giornalino di gossip. Che schifo. Inoltre, la cosa che mi rattrista di più è pensare che ci sono centinaia di ragazze disposte ad accettare una vita sotto i riflettori. Sarà che mi sono stancato di svilirmi in continuazione e per questo motivo non vedo la cosa di buon occhio. Non saprei. Senza fraintendimenti, m’imbatto quasi sempre in donne dalla bellezza e classe superbe, ma ciò che cerco va oltre il semplice piano fisico e sessuale. Desidero tanto poter discutere liberamente delle mie idee con qualcuno che capisca il mio animo, che vada oltre alla divisa nera di SOLDIER e ai miei successi militari. Vorrei mostrare a quella persona gli aspetti di me che tengo gelosamente nascosti nel mio attico del Golden Building. Desidererei rivelarle i miei libri, il mio amore per la cucina e per l’arte; aspetti che nessuno penserebbe mai di attribuirmi. Alla fine di ciò, potermi specchiare nei suoi occhi e vedere davvero la mia immagine riflessa… Ma so che questo non potrà mai accadere. La mia reputazione di freddo SOLDIER sanguinario affascina le donne, ma le spaventa al contempo. I media hanno pensato bene di mettere sotto i fari dell’informazione quel lato disumano e terribile di me. La mia bestia, appunto. Tutto il popolo del Pianeta crede che la mia ira sia spaventosa, quanto facile da scatenare. Pochissimi hanno capito quanto io possa essere paziente. Il problema è che nel corso degli anni ho accumulato così tanta rabbia che, quando raggiungo un limite, essa viene scatenata per un nonnulla. Fortunatamente, grazie ai due banoriani, ho la possibilità di avere una doppia valvola di sfogo. Come dicevo all’inizio, la loro vicinanza mi fa bene. Passo molto tempo in loro compagnia; tempo che investiamo in parecchie attività stimolanti, come divertenti combattimenti a tre e sfide frivole e, talvolta, pericolose. Quest’ultime sono la risultante dei nostri battibecchi, soprattutto tra me e Genesis. Ogni minimo argomento, anche il più banale, può essere una fonte di guai. Angeal cerca di smorzare questa caratteristica, cercando, invano, di farci ragionare; ma ho notato che i nostri caratteri hanno la malata tendenza a scontrarsi. Credo che il motivo principale sia da ricercare nelle nostre educazioni: entrambi siamo stati abituati a dare ordini, a guardare il mondo dall’alto verso il basso, senza compromessi e discussioni. Genesis mi parla spesso della sua tenuta a Banora e di come sia cresciuto nel lusso più sfrenato- sua detta, tende ad esagerare alle volte- con camerieri e maggiordomi a servirlo e riverirlo. Immaginavo fosse un tipo del genere, ma non che, una volta entrato in confidenza, si permettesse certe libertà. Non ha il senso della disciplina. Per quanto riguarda me, sebbene abbia passato una buona parte della mia vita a eseguire comandi inflessibili, fin da bambino, mi è stata inculcata l’idea della potenza derivata dal comando. Quello scienzatucolo da strapazzo ne è l’esempio lampante. Non è un segreto che abbia approfittato della nostra parentela per diventare capo del Reparto Scientifico. Mi si accappona la pelle alla consapevolezza che è grazie ai miei successi militari se lui si crogiola tra le più importanti cariche della compagnia, quando il suo posto dovrebbe essere tra il marciume del buco più profondo e orrido dell’Inferno. Maledetto bastardo, arriverà il giorno in cui ti vedrò strisciare tra i frammenti dei tuoi sogni infranti! Gli stessi sogni che mi hai strappato e fatto tuoi, mentre le tue parole taglienti mi laceravano ogni giorno di più.
E’ così ingiusto… Perché devo soffrire così a causa di mio padre?
Angeal ci parla molto dei suoi genitori. La parte che mi piace di più -e che invidio intensamente- è quando ci racconta dei tanti sacrifici che hanno fatto i genitori per permettergli di trasferirsi a Midgar. La sua famiglia non è per niente ricca, eppure, due poveri coltivatori di accidentmele, hanno cresciuto un uomo straordinario, oltre che un bravo soldato. Il rispetto e la generosità nei confronti della vita sono doni che ho visto ben poche volte fluire davanti agli occhi. Angeal è capace di farmi apprezzare e godere delle piccole cose; oggetti e situazioni anche scontati e banali, ma se valorizzati nel modo giusto possono illuminarti la giornata. Ci dice che questa visione è uno dei lati migliori della povertà. Genesis lo deride quando ci elargisce queste perle di saggezza, ma a me fanno pensare. Non vorrei scadere nel filosofico, ma anche la povertà spirituale può avere anche dei risvolti positivi? Forse gli insegnamenti offerti dalla piccola Aerith non sono frutto della sua visione infantile del mondo, ma di fatti appurati. Devo, però, tenere in conto di variabili molto importanti che incidono particolarmente sull’esito di questa analisi. Angeal e Aerith, per quanto grandi o piccole le privazioni subite, hanno sempre avuto qualcuno a loro fianco. La seconda forse è quella che conosce alti livelli di sofferenza, come la perdita di entrambi i genitori, ma ha l’amore di Elmyra, l’amicizia di tutti gli Slums, il profumo dei suoi fiori, la serenità dei giocattoli e poi, beh, ha me. Mi considera quasi come un fratello maggiore –anche se spesso mi bacchetta come una maestrina- e, per quanto io possa essere una frana con i rapporti interpersonali, le voglio molto bene. In effetti, questo affetto è pur sempre qualcosa: è troppo poco per cucire le ferite, ma è abbastanza per non farmi crollare nella disperazione. Ora che ci penso, io mi reco da lei quando sono particolarmente abbattuto, proprio per cercare un po’ di quella purezza fanciullesca che mi è stata strappata anni addietro. Sebbene non la senta parte integrante del mio animo sanguinante e il mio cervello la considera perduta per sempre, mi ostino a cercarla testardamente. Inconsciamente, SO che ne ho bisogno. SO che senza quell’infusione periodica di innocenza, impazzirei. All’improvviso, mi accorgo che Angeal ha ragione. Devo smetterla di autocommiserarmi. Ho avuto tanto, molto più di quanto credessi. Ripenso al Professore. I momenti passati con lui erano centellinati, ma è ciò che meglio emerge dai miei ricordi. Ridevo sempre con lui. Mi sentivo… bambino, ecco. Il Professore non si aspettava mai niente da me e, quelle rare volte che riusciva a battermi nei nostri giochi, ricevevo comunque la ricompensa che avrei ottenuto in caso di vittoria, così da non farmi sentire un fallito. Ricordo che quando entrava per quella porta le mie ansie sparivano e il mio stomaco si spalancava. Quando succedeva, trangugiavo tanto di quel cibo arretrato che non sapevo come facessi a stiparlo tutto in quel minuscolo sacchetto. Rimembro il suo sguardo preoccupato, mentre osservava quello spettacolo: lo sapeva che non mangiavo da giorni… Conosceva il motivo di quelle cicatrici, di quei lividi, di quei bozzi sulle braccia. Non glielo ho mai detto, ma percepivo i suoi occhi studiosi scrutarmi e la preoccupazione nel suo animo. Sebbene cercasse di non coinvolgermi nei suoi pensieri, io sentivo la rabbia pervadere tutto il corpo. Tante volte ho udito le furibonde litigate con mio padre, rannicchiato nel mio letto con un cuscino a coprirmi le orecchie. Chiudevo gli occhi e cercavo di trattenere le lacrime di paura che, ostinate, volevano uscirmi dagli occhi. Non volevo piangere, se Hojo fosse entrato in quel momento mi avrebbe punito; ma la mia più grande paura non era ricevere l’ennesima punizione, bensì udire uno sparo. Quel vecchio pazzo non era la prima volta che freddava qualcuno con la pistola che teneva nascosta nel camice. Non ne ero mai stato testimone, ma era questa la voce che girava tra gli assistenti. Avevo il terrore che mio padre avrebbe fatto del male al Professore. E per cosa? Per qualche livido? I lividi e le ferite guariscono, la morte no. Perché rischiare per delle sciocchezze del genere? Ricordo che stringevo il cuscino e mi arrabbiavo col Professore: non volevo che perdesse del tempo a discutere con quel muro; desideravo che quel tempo lo passasse assieme a me. Per questo che le volte dopo, quando lo vedevo arrivare, cercavo di vestirmi con maglioni due taglie più grandi. Non volevo che vedesse il mio corpo straziato e, durante i pasti, cercavo di resistere ai morsi della fame, piluccando porzioni decenti dalle portate sul tavolo. Ma, era tutto inutile. Il Professore era troppo furbo e capiva che dall’ultima discussione non era cambiato assolutamente niente. Le litigate si fecero più furibonde, finché il Professore non venne più. Quando chiesi il motivo a mio padre, mi disse queste esatte parole: “
Il suo lavoro di testare le tue abilità è finito. Sei diventato troppo in gamba per lui. Non che ci volesse molto.” Poche, lapidarie frasi pronunciate con malcelato disprezzo mi rimbombano ancora nella mente.
Ricordo una rabbia enorme eruttare dai flussi più profondi della delusione e per poco non strappai la stoffa del divano a cui le mie dita si erano artigliate. Lui mi dava le spalle, ma sapevo che godeva come un maiale. Avrei voluto piangere, ma l’ira spaventosa che mi cresceva in corpo non mi permetteva di provare nessun altro sentimento, se non un senso nauseante di odio della migliore qualità. Ogni cosa si offuscò e uno stridio trafisse la mia mente, stordendomi. Ricordo che la mia vista si distorse e poi diventò tutto nero. Quello fu il primo incontro con la bestia che alberga in me. Quando mi svegliai, mi dissero che ero rimasto in coma per quattro giorni. Il mio cervello si era difeso spegnendosi. Per la prima volta nella mia vita, vidi mio padre seriamente preoccupato per me. Era accanto al mio capezzale quando mi ridestai, e ci rimase finché non mi ripresi. Ricordo come il suo comportamento cambiò radicalmente: mi stava sempre accanto e non era spiacevole; anzi, ci cimentavamo in brevi, ma combattute chiacchierate e giocavamo a scacchi o a carte per intrattenerci nelle lunghe ore di degenza. Ovviamente non si è mai lasciato andare a moine e tenerezze, ma comunque avevamo un rapporto più profondo del semplice scienziato-oggetto di ricerca. Sebbene ci fosse una certa tensione tra noi, i momenti insieme non erano malvagi; anzi, ogni tanto ci scappava anche un sorriso timido. Nel gioco e nel parlare, Hojo era un osso duro, una sfida degna di nota e aveva una mente davvero brillante. Era divertente confrontarsi con lui, perché quando si entrava nel vivo della situazione si dimenticava con chi avesse a che fare e mi parlava come se dialogasse con una persona qualunque. Appresi molto del suo pensiero e registrai ciò che c’era di buono nei suoi consigli. Le mie capacità con le parole le appresi proprio quel giorno. Insomma, fu un’esperienza illuminante e piacevole. Per quanto fosse strano, m’illusi che, forse, c’era una minima possibilità di ricominciare da capo quel rapporto padre-figlio che ho disperatamente ricercato nel vecchio. Forse il Professore non mi sarebbe mancato. Ma come spesso accade, le mie aspettative vanno sempre in frantumi. Avrei dovuto immaginarlo che tutti quegli stimoli ludici erano per controllare che lo shock non avesse compromesso le mie facoltà mentali. Quanto fui stupido a credere che lui fosse capace di agire senza un fine! Nonostante la delusione, tuttavia, il ricordo di quel breve momento lo serbo gelosamente nel cuore, nell’incrollabile speranza che un giorno la situazione possa cambiare. Sarà dura lavare via l’odio profondo che la sua persona ieratica e nervosa mi suscita ad ogni incontro, ma sono pronto a perdonarlo. Voglio credere che, in un modo distorto e ottuso, quello che mi ha fatto sia stato spinto dal desiderio di donarmi una vita migliore della sua, approfittando della sua posizione di luminare e della richiesta di SOLDIER della compagnia. Mi sto autoconvincendo del fatto che mio padre volesse che fossi il migliore. Quale genitore non desidererebbe crogiolarsi nella gloria del proprio figlio? Lui aveva le conoscenze, le capacità , gli agganci… Chi non ne avrebbe approfittato?
Mi sto illudendo… Perché continuo a raccontarmi bugie? Lo conosco troppo bene. Nessun essere umano soprassederebbe sulla sofferenza di un bambino. Io lo vedevo il suo disinteresse, il suo distacco, il suo spaventoso sadismo… Lo vedo ancora oggi. Ciò mi uccide. Io, che ho sacrificato gli anni più belli della mia vita, nascosto i miei interessi al mondo, represso TUTTI i miei istinti, eseguito azioni terrificanti, non vedo fierezza nei tuoi occhi… Perché mi devi ignorare così? Sono diventato il simbolo di una compagnia che sta dilaniando il Pianeta, quello che tu desideravi che io diventassi, e ora non valgo più niente? Ora che il tuo lavoro è finito non sono più tuo figlio? Ritieni la Shin-Ra una famiglia in cui un ragazzo possa vivere?
Queste domande mi hanno fatto venire l’emicrania, oltre che avermi scacciato la fame. L’ala di pollo che avevo piluccato dal piatto mi si sta rivoltando nello stomaco. Sono sfibrato, sia fisicamente che mentalmente, ma il sonno non ha intenzione di accogliermi. Ci sono così tanti pensieri che si convulsano nella mente e mi rattrista il fatto che, partendo da un pensiero positivo, arrivo sempre a sprofondare nella miseria della mia infanzia. Non faccio altro che guardarmi indietro, quando so bene che dovrei puntare verso il futuro. Neanche pochi mesi fa, non vedevo altro che un infinito abisso davanti ai piedi, quando, voltandomi, vedevo tante piccole fievoli luci rappresentanti i pochi momenti gioiosi; ma, ora, la luce brillante che intravedo alla fine del baratro mi attira e m’induce ad avanzare.
Sono restio a proseguire, però. Per quanto curioso d’intraprendere l’esperienza dell’amicizia, un terribile presentimento mi blocca. Sento che c’è qualcosa di distorto e oscuro nascosto sotto tutto quel brillio. Non voglio cadere in preda ad una nuova illusione. Il mio cuore è saturo di vivere di false speranze, tanto saturo da essersi indurito fino a diventare di pietra: forse è per questo che fatico a fidarmi del tutto di Genesis e Angeal. L’essere umano mi ha sempre sfruttato per i suoi scopi e, per quanto possano sembrare innocenti i due ragazzi, non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione che stiano facendo leva su di me per raggiungere le alte cariche del comando. Mi sento terribilmente in colpa ad avere questi pensieri, ma… da quando ho rischiato di morire per colpa di un traditore, ho perso la poca fiducia che riserbavo per ogni mio compagno. Successe tutto quando avevo sedici anni, ero in missione a Corel per trafugare degli importanti documenti da una filiale della Corel Enterprises, la principale rivale di allora della Shin-Ra. Eravamo uno sparuto gruppo di uomini, capitanati da un SOLDIER di Prima. Lui era un wutaniano che era riuscito a fare carriera tra le fila dell’esercito e, nonostante i lievi attriti tra Midgar e Wutai, non sembrava importarsene della politica dei due Paesi, ma solo di combattere. Era un uomo incredibile e mi aveva preso sotto la sua ala protettrice, aiutandomi ad affinare l’arte della katana e a controllare i miei istinti sanguinari. Lo vedevo come un maestro e aveva la mia totale fiducia. La missione riuscì benissimo e il piano di fuga era quello di separarci: lui sarebbe scappato con l'obiettivo per consegnarlo ai Turk d'appoggio, mentre io e il resto degli uomini avrebbe depistato i nemici, fungendo da esca. La sera prima, studiai la mappa dell'edificio che lui mi aveva consegnato e mi basai su quella per guidare gli uomini all'esterno attraverso la via più veloce. NOn sapevo, però, che quella mappa era falsa e che ci avrebbe condotto dritti dritti ad un vicolo cieco. Quando capì cosa stava succedendo fu troppo tardi: il palazzo esplose, crollandoci addosso. Non seppi mai come, ma riuscii a sopravvivere dalle pesanti macerie che gravano su di me. Nessuno dei miei compagni si salvò. Spinto dalla forza della disperazione, mi scavai un varco verso la superficie, da cui spuntai più morto che vivo. Con la polvere di calcinaccio che m’impediva di respirare, lasciai fare all’istinto e mi trascinai lontano da quella desolazione. Non so come feci a raggiungere la periferia della città, ma so solo che la sorte volle farmelo incontrare. Avevo perso l'orientamento, quindi, credendo di essere al sicuro, gli urlai aiuto. Non scorderò mai il suo sguardo sbalordito nel vedermi ancora vivo. Crollai contro un muro e tesi la mano verso di lui. Mi fidavo, credevo mi avrebbe salvato. Ma poi degli uomini apparirono dalla nebbia. Vidi i documenti che avevamo trafugato nelle loro mani. E capii. Ero troppo provato per reagire. Fu così che quel SOLDIER mi trafisse lo stomaco. Un colpo, secco, preciso di katana. Una lunga katana. La stessa katana che gli mozzò la testa quando lo andai a cercare per vendicarmi. La stessa katana che ora sta mettendo a ferro e fuoco l’intero Wutai. La mia fida Masamune… Fin dal primo momento che la impugnai percepii un legame mistico stringersi tra l’anima e l’acciaio. Col tempo è diventata il prolungamento del mio braccio e senza di lei mi sentirei… vuoto. Per quanto possa sembrare assurdo, ho un’infatuazione ossessiva per la mia spada, poiché mi prendo cura morbosamente di ogni suo singolo pezzo, anche il più insignificante. Il suo acciaio è uno dei migliori che abbia mai avuto l’onore di maneggiare. Spero che questa guerra mi aiuti a comprendere di più dell’antico mondo dei samurai. Il suo precedente padrone discendeva da un’antica stirpe di signori della guerra del Wutai occidentale, la quale è andata a disperdersi dopo la caduta del governo feudale. La Masamune è l’unica testimone di quei tempi. La storia e la cultura di Wutai mi affascinano immensamente e trovarmi qui mi mette addosso una certa eccitazione. Sono impaziente di terminare il mio piano di assedio alla città di Garyo. In soli due mesi siamo riusciti a conquistare una buna fetta della costa e in molte cittadine siamo riusciti a costruire della basi operative stabili, dove molti plotoni dell’esercito regolare e membri dell’Intelligence hanno stanziato i loro GQ. Noi SOLDIER, invece, siamo ancora dei vagabondi, poiché ci spostiamo di villaggio in villaggio con un duplice obiettivo: stanare cellule ribelli potenzialmente pericolose e creare una testa di ponte con una delle città dell’entroterra. E’, inoltre, indispensabile cominciare a incidere pesantemente sul morale nemico, prendendo possesso dei punti strategici del potere e della cultura del Paese. Il mio obiettivo è colpire dritto al cuore, perché, se c’è una cosa che ho imparato nella mia lunga carriera di stratega, niente incide più sul morale di una truppa di una perdita d’identità. Per questo ho messo gli occhi su Garyo. Essa è la sede culturale di tutto il Wutai, assieme ai centri di Dashiro e Meijin. Colpiremo il triangolo della tradizione wuataiana, fiaccando le loro forze e le loro speranze. Triangolo. Tre angoli. Tre reggimenti, capeggiati da tre capitani. Uno di essi sarò io e m’impossesserò di Garyo e della sua biblioteca di antichi testi Wutai. Sto già iniziando a studiare la loro grammatica e gli ideogrammi per prepararmi al momento in cui avrò quei tesori tra le mani. Sono impaziente di sapere di più su questo mondo segreto. Può sembrare sacrilego, ma sono così affascinato dal loro attaccamento a queste tradizioni rimaste tali da tempi antichi; le sfoggiano con una tale fierezza che è impossibile non innamorarsi. Inoltre, la guerra non solo cancella le vite, ma anche ciò a cui sono correlate. La nostra avanzata è cadenzata dal progresso. I piccolo villaggi di pescatori e contadini diventeranno periferie di metropoli di mako; le foreste lasceranno il posto al deserto; le montagne innevate all’acciaio dei reattori; le casupole di riso ai grattacieli. La Shin-Ra devasterà questa terra e io ne sono responsabile. IO guido questo scempio. Quel che è peggio mi rendo conto delle conseguenze delle mie azioni, tuttavia continuo nel mio efficiente operato. Mi odio da morire. Per questo motivo cerco di dilavare parte del senso di colpa, trafugando tesori della loro cultura. Voglio preservarli dalla distruzione e nasconderli nella mia collezione privata; poi, quando morirò, riconsegnare il maltolto al legittimo proprietario.
Gli altri due Comandanti s’identificheranno , quando saranno pronti, nelle persone di Angeal e Genesis. Loro non lo sanno, ma li sto addestrando per diventare degli ufficiali di alto rango e, sinora, stanno dimostrando un talento spiccato per questo ruolo. Entrambi sanno farsi rispettare e raramente si lasciano andare alle emozioni, mantenendo il ritegno e la freddezza richiesti dal comando. Sono ancora acerbi, però sto lavorando intensamente sulla loro preparazione psicologica, spesso in modo a dir poco brutale. Vorrei pianificare una preparazione meno traumatica, ma il tempo a mia disposizione sta finendo. Sto cercando di ritardare gli attacchi principali il più possibile, sviando l’attenzione su obiettivi secondari non necessari; tuttavia la penuria di uomini sta diventando sempre più incalzante. I Wutai non immaginano nemmeno cosa ho in serbo per loro, però combattono come se non ci fosse un domani per ogni singolo straccio di terra. Richiedo rinforzi quasi tutti i mesi e il Presidente non intende pazientare oltre. Per quanto mi secchi, dovrò rischiare. Rischiare la vita dei miei amici e degli uomini a loro affidati. DEVO fidarmi, per quanto mi sia duro ammettere.
Ho studiato intensamente le reazioni dei due soldati e ho notato che Angeal è molto più pragmatico e razionale di Genesis, il quale tende ad agire d’istinto e abbandonarsi in massacri sanguinari spesso inutili. Prende tutto come un gioco e si crogiola nel divino gesto dell’omicidio. Questa vena sadica mi preoccupa, sebbene ci abbia lavorato parecchio per smorzarla almeno un po’. Capisco cosa prova, la stessa frenesia s’impossessa della mia mente, però c’è un limite a tutto e non concepisco che un ufficiale si conceda tali, sanguinose libertà. DEVE assolutamente imparare a controllarsi, con le buone o con le cattive io riuscirò a domare quella bestia che si cela nel suo animo. Non sarà un lavoro facile, poiché ciò che più mi disturba è il fatto che si vanti di questa caratteristica, accumunandola erroneamente ad un indice di onnipotenza. Ha una coscienza così infima da non riuscire a provare pietà per un bambino che piange sul corpo martoriato e violentato della madre? Sembra quasi che non abbia un cuore. Lui mi dà dell’ipocrita quando glielo faccio notare, rinfacciandomi il fatto che nemmeno io mi scompongo di fronte a scene cotali. Ah, se solo sapesse la verità… E’ solo grazie ad Angeal che riacquista un po’ di buonsenso. Spero che la consapevolezza di essere responsabile della vita di migliaia di soldati freni quegli istinti spaventosi e non si abbandoni all’ebrezza del comando. Sarà solo a combattere contro questa voglia di sangue. Prego che non usi i miei uomini per compiere orrori di ogni tipo e che le schermaglie a cui ha partecipato lo ispirino ad una condotta retta. E’ la mia testa che andrà al rogo per gli orrori commessi in guerra, quindi gli conviene comportarsi bene; altrimenti gli farò comprendere meglio il significato della parola TERRORE. Comunque, per non correre rischi gli sarà affidata la città meno importante del triangolo: Meijin. E’ quella più industrializzata, ci saranno meno oggetti di legno da bruciare e meno abitanti su cui infierire.
Pensare alle battaglie ha riaperto la bocca stomaco. Il pollo si è raffreddato, ma non importa, ora come ora mangerei anche una carcassa. Mi sovviene ora che è parecchio che non faccio un pasto decente: meglio approfittare del momento propizio. La luna alta nel cielo notturno è testimone di questo piccolo miracolo e mi regala la bellezza della sua luce soffusa. Percepisco il mio animo nutrirsi dello straordinario silenzio di questa notte libera dai conflitti; mentre gli ultimi pensieri prendono forma sulla carta. Non c’è niente di meglio che sentire il cuore leggero e lo stomaco pesante. E’ una situazione che mi è capitato di provare di rado.
Credo sia il momento di mettere al corrente dei miei piani i due banoriani e indire un consiglio di guerra per domattina presto. Sono davvero curioso di vedere le loro espressioni appena vedranno appuntati sui loro petti i gradi di Second Class…


Salve a tutti!!!!! Perdono, perdono per il ritardo, ma gli esami e lo studio intensivi non lasciano molto spazio alla fantasia (questi dannati capitoli d’intermezzo!!! Uffa, Seph, quand’è che combini qualcosa di audace??). Comunque, sono viva e vegeta, anche se un po’ esaurita, ma ci sono e sono presente a me stessa. YEEEEEEEEEEEEEE. Alloooooora, cosa si può dire di questo capitoletto? A Cloud stanno succedendo degli strani fatti mentali e, forse, quel libro non è così innocente come credeva il buon Reeve. Speriamo non sia qualcosa di grave (SPERIAMO DI Sì! NOI VOGLIAMO SEPHIROTH!!!ndsephfan)! Anche i momenti tra vita e lettura cominciano a mescolarsi, dando come l’impressione che ormai il biondo chokobo legga in modo quasi morboso le memorie del nemico. Come si evolverà la cosa?
Nel mondo della cellulosa, invece, Sephiroth sembra quasi scombussolato dalla ventata di novità, è indeciso se concedere fiducia ai cari Genesis e Angeal; oppure continuare nella sua triste solitudine. I ricordi non conoscono requie e i traumi che l’hanno forgiato sembrano più un peso che un vantaggio in questo tipo di rapporti. Cosa deciderà è noto a tutti, ma sarà un passaggio così facile? Non ci resta che far lavorare il mio cervellino e continuare nella lettura.
Faccio notare a tutti che le finestre temporali di dilateranno parecchio, in quanto direi di aver parlato abbastanza del rapporto di Seph con la guerra e poi vorrei arrivare in fretta ad un punto che non vedo l’ora di scrivere e, per voi, di leggere. Sto smorzando i dettagli per renderlo più realistico possibile, spero di non deludervi. Non assicuro che si tratti del prossimo capitolo, eh, quindi trattenete l’entusiasmo! Io vi ho avvertito, non voglio nessuno sulla coscienza XD
Va bene, ho straparlato anche troppo e vi rubo un attimo del vostro tempo per ringraziare l’empatica e dolcissima the one winged angel che non manca mai una recensione e la carissima e folle Manila, la quale le mando un grosso in bocca al lupo per una tesi che la sta facendo impazzire! Tieni duro, bella!!
Infine, ringrazio quei santi che leggono, ma apprezzano in silenzio! GRAZIE!!!
Alla prossima!
Besos
   
 
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