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Autore: Kristye Weasley    08/03/2013    1 recensioni
Il Principe del Crimine non è, da sempre, una persona riflessiva. Agisce come la sua testa, governata dalla sua Dea, la Pazzia, gli dice di fare. Per questo, momenti di riflessione e di autoanalisi sono molto rari, per lui. E questo avviene unicamente quando il silenzio ingloba il luogo in cui si trova, e domina la sua mente.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chi sono?
Son forse un poeta?
No certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell'anima mia:
follia.

Son dunque un pittore?
Neanche.
Non ha che un colore
la tavolozza dell'anima mia:
malinconia.

Un musico allora?
Nemmeno.
Non c'è che una nota
nella tastiera dell'anima mia:
nostalgia.

Son dunque...che cosa?
Io metto una lente
dinanzi al mio cuore
per farlo vedere alla gente.



Chi sono?
Il saltimbanco dell'anima mia.
 
La mattina era ormai alta sopra Gotham City, ma per gente come lui, abituata a vivere la notte, era il momento del guadagnato riposo dopo una notte di bagordi. Il riposo era però un miraggio distante, la soddisfazione di quelle anime troppo ingenue o troppo stupide per farlo intaccare da pensieri lontani. Lui stupido non lo era mai stato, e l’ingenuità se n’era andata tanto tempo fa, portata via da una condizione molto diversa, decisamente più nera. Densa e appiccicaticcia, un po’ come il liquido che esce dalle petroliere e che impedisce ai gabbiani di librarsi in aria.
 
Per sempre.
 
O come il miele. Perché quella cosa tanto scura era dolce, e portava dipendenza. Come una droga.
Lei, inspiegabilmente, dormiva. Non sapeva quale fosse la sua scusante: forse era ingenuità. Magari era stupidità. Probabilmente entrambe. La osserva per alcuni istanti, ma non come un compagno, non come un amante. Come il chimico che era stato: la studia, osserva quella graziosa creatura abbracciata ad un cuscino non suo, ma che poche volte non le era appartenuto. Giusto quei pochi istanti per affrancare il suo corpo da dolori improvvisi, chiudere gli occhi per immaginare un finale diverso a quella storia senza fine, farla sua in quei pochi attimi di piacere in comune, che per lei significavano tutto, e per lui poco più di niente.
 
Lo sguardo si sposta, incontra la luce del giorno, tanto triste e inutile per chi vive nell’ombra. Si avvicina a quella finestra, sempre uguale a tutte le altre da cui si era affacciato. In quel silenzio si poteva concentrare su altro, ma anche la funhouse dormiva, in attesa di nuova linfa, di nuova prospettiva di sangue di cui nutrirsi. Pensare. Era quello l’intento.
 
Qual era il suo scopo? Essere Principe, ovviamente.
Il pensiero di mollare tutto non era mai diventato concreto nella sua testa. Si rafforzava, lo poteva sentire distintamente, ma scappava appena cercava di afferrarlo, come un palloncino ancora gonfio lasciato andare. Il fallimento non è contemplato, e questo è quanto. A costo di provare all’infinito, a costo di morire nel tentativo.
 
Più volte si era fermato a pensare su cosa significasse essere il Joker, e non si era mai sentito un mostro come criminali e cittadini lo definivano. Lui era un artista, il pugnale il suo pennello, il suo strumento, il suo bastone, e la morte la sua musa. Nessuno la capiva meglio di lui, che l’aveva toccata con mano. Gli altri erano megalomani e opportunisti, passati all’oscurità solo per sfuggire a vite che non amavano, alla ricerca di qualcosa che non potevano avere.
 
Lui amava la vita, amava la vita che si era costruito dopo quella brutta giornata, e proprio perché l’amava, faceva dono alla morte delle vite altrui.
 
Era un genio. Nel corpo e nella mente. Il primo era sempre stato imponente, da quando aveva lasciato alle spalle l’uomo che era. Lunghe cicatrici bianche correvano lungo i suoi muscoli affusolati, più candide ancora della sua pelle. Alla fine, però, altro non era che un involucro vuoto, fatto per contenere quello di cui più andava fiero, e che a tanti, troppi esseri umani mancava. Il suo cervello era un produttore ininterrotto di energia, di idee, di piani senza la minima pecca, e che non ne avrebbero avute, se…
 
Lei si era svegliata. Non la sentiva, non aveva fatto alcun rumore, e nemmeno lei lo sapeva. Lui invece sì. Lo capiva dai movimenti sconnessi che compiva mentre girava tra le coperte. Non aveva bisogno di vederla, non l’aveva mai avuto. Probabilmente perché nemmeno la vedeva, in un certo senso. Ancora pochi istanti di tranquillità, prima che la sua voce cristallina inizi a cercarlo, e sia finito il tempo per pensare.
 
Se ne va l’espressione corrucciata, e torna il sorriso. Un sorriso che non traspira allegria, un sorriso che non vede gioia. Perché anche il Joker, sotto la morte, ha un cuore, percosso e provato da una partita che non riesce a vincere. Ma rimane costretto a sorridere, per non perdere la scena. Per rimanere sulla scena.
 
Beffarda sorte servire la follia.





NOTA DELL'AUTRICE: Prima di tutto, voglio dire che pubblico questa One Shot per ritornare a pubblicare qualcosa, ma soprattutto perchè la storia a più capitoli a cui sto lavorando mi sta dando qualche problema in più del previsto. Seconda cosa, la poesia all'inizio non è di mia produzione, anzi, ma è Chi Sono di Aldo Palazzeschi, ed è stata la fonte d'ispirazione di questo breve testo.
Spero vi piaccia,
un bacione a tutti!

Kristye
  
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