Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Hiraedd    08/03/2013    3 recensioni
A volte capita che il Capitano Grifondoro si ritrovi tra le mani uno strano enigma chiamato Dorcas Meadowes, che in sei anni gli ha rivolto la parola tre volte al massimo, tutte nel giro dell’ultima settimana.
Può anche capitare che un Serpeverde solitario e innocuo inciampi in una maschera che non nasconde solo un volto, ma un mondo intero. Perchè Benjamin odia Caradoc Dearborn, sia chiaro, e quegli occhi dorati non gli fanno alcun effetto. Forse.
Oppure può succedere che il Caposcuola sia innamorato da anni della sorellina del proprio migliore amico, che ha perso la testa per un Auror di stanza in Polonia, e abbia una fottuta paura che Edgar lo scopra e lo torturi perché no, quelli che fa verso Amelia sono tutto fuorché casti pensieri d’amicizia.
Per fortuna, però, che c’è Hestia Jones, deputato diario segreto degli studenti del settimo anno, che tutto osserva nonostante, a conti fatti, non distolga nemmeno per un secondo lo sguardo dal suo adorato fidanzato, il Prefetto Sturgis Podmore.
*
Siamo ad Hogwarts, è l’autunno 1969 e la guerra è già più vicina di quanto non sembri.
*
Altri personaggi: Gideon Prewett, Kingsley Shacklebolt, Sturgis Podmore, Amelia e Edgar Bones.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Benjy Fenwick, Caradoc Dearborn, Dorcas Meadowes, Fabian Prewett, Hestia Jones
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'oltre il fuoco comincia l'amore'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
NOTE:
 
ho deciso che d’ora in poi le metterò all’inizio.
Dunque. Come ho più o meno spiegato nel capitolo avviso appena pubblicato ne “l’amore ai tempi dell’odio” ho avuto ultimamente qualche blocco sia su questa sia su quella storia.
Avevo promesso un capitolo Carenjicentrico. Ad un certo punto però mi sono accorta che il capitolo diventava davvero troppo lungo, quindi l’ho diviso in due parti. Ovviamente questa è la prima.
Questo capitolo ruota effettivamente intorno a Dearborn e Fenwick, anche se le cose vanno un po’ più lente rispetto a come mi ero immaginata andassero. Comunque, vanno.
Vi lascio alla prima metà, mi scuso per il ritardo e vado a rispondere alle recensioni del capitolo scorso.
Buona lettura,
Hir
 

 
 
 



Capitolo 15

 
 
 
 
Nonostante le accorate preghiere rivolte da Benjamin Fenwick a qualsiasi divinità esistente, il sole era sorto, quella domenica mattina, ad illuminare un cielo straordinariamente sereno.
 
Nei giorni precedenti non si era nemmeno preoccupato più di tanto: quante possibilità c’erano che proprio quella domenica lì il clima fosse clemente? Insomma, erano in Scozia, a Novembre!
 
Arrivato sano e salvo al primo pomeriggio, si appuntò mentalmente di non scommettere mai, in nessun caso, su qualcosa di grosso.
 
Seduto sotto al grande faggio in riva al Lago Nero, alle due e tre minuti, era ancora intento a meditare sulle proprie sfortune quando, con la coda dell’occhio, vide Dearborn, Podmore e la Jones avvicinarsi.
 
Il Capitano Corvonero camminava sulle proprie gambe con l’eleganza solita di chi è abituato a farlo, senza nessuna traccia dell’incidente addosso, intento a lanciare occhiatacce ai propri migliori amici, che passeggiavano accanto a lui mano nella mano.
 
-Fenwick- lo salutò amichevolmente Sturgis, rivolgendogli un sorriso da orecchio ad orecchio e scrollando il capo -gli altri sono in ritardo? Non si smentiscono mai-.
 
Ben, non capendo se la domanda –dall’ovvia risposta- meritasse un vero e proprio commento, si limitò a dare in un sorriso anonimo.
 
-figurati, con Amelia al seguito, poi- lo salvò dall’impaccio Hestia, alzando gli occhi al cielo –sarebbe già una grossa vittoria se arrivassero prima del tramonto-.
 
Probabilmente la Jones era seria, e Ben lo dedusse vedendola accomodarsi tranquillamente a un passo da lui. Seduta a pochi passi dal lago, batté con il palmo sull’erba per convincere anche Podmore a mettersi comodo.  Dearborn li seguì poco dopo, piuttosto silenzioso.
 
-Dorcas è già andata?- domandò gentilmente la ragazza chiudendo gli occhi per gustarsi, sul viso, il poco calore di quel sole invernale.
 
-era attesa per le due, e lei è sempre puntuale- scosse le spalle Fenwick, afferrando un ciottolo lì vicino e lanciandolo sulla superficie del lago, di piatto.
 
La pietra fece due saltelli, poi venne inghiottita dalle acque scure.
 
-secondo voi esiste sul serio la Piovra Gigante?- domandò la Jones in un tentativo di far andare oltre le semplici frasi di cortesia una conversazione che forse avrebbe anche potuto rimpiangere. Fare discorsi con Benjamin Fenwick non era esattamente il suo ideale modo per passare il pomeriggio –voglio dire, in sette anni non l’ho mai vista!-.
 
Fenwick soffocò un sorriso per l’assurdità della domanda.
 
-nemmeno io, ma non posso dire di essermene interessato più di tanto. Non sono mai andato a cercarla- concordò Dearborn, scrollando il capo –Hagrid dice di si, però-.
 
-certo che esiste- annuì invece Podmore, voltando lo sguardo su Fenwick e indicandolo amichevolmente –Benjy di certo l’ha vista-.
 
-ti interessano le creature magiche, Fenwick?- chiese curiosa la Jones, attirandosi anche il consenso di Dearborn, rimasto ugualmente stupito dall’affermazione di Sturgis.
 
-non in particolare, no. Ma normalmente la vedo almeno una volta al giorno- rispose voltandosi verso il Prefetto Corvonero e scrutandolo interessato –e tu come fai a saperlo? Normalmente è uno dei tanti segreti che Serpeverde mantiene con cura-.
 
Podmore accentuò il sorriso, tramutandolo in un ghigno sarcastico.
 
-non sono tutti discreti come te- dichiarò –c’è chi parla per il semplice piacere di ascoltare…-
 
-…la propria voce, si- terminò per lui Ben, annuendo vagamente divertito –immagino tu stia parlando di Alecto-.
 
-che cosa dice la Carrow?-.
 
Sia Caradoc che Hestia sembravano ora, da bravi Corvonero assetati di nozioni, incuriositi dalla piega presa dal discorso.
 
-in linea di massima parla tanto senza dire assolutamente nulla- borbottò Fenwick scrollando una mano, lieve.
 
Dearborn diede in un sorrisetto e Podmore scoppiò a ridere. Perfino la Jones, vagamente divertita, sorrise lievemente.
 
-la Sala Comune Serpeverde si trova nei sotterranei, sotto al Lago Nero- mormorò Fenwick puntando lo sguardo verso il castello ed indicando il punto più vicino al lago con un gesto della mano –all’incirca lì sotto. Anche se è sotto al livello dell’acqua, abbiamo una grande vetrata che dà sull’interno del Lago, e spesso vediamo passare i Maridi, oltre che la Piovra e numerosi Avvincini-.
 
Hestia Jones, fra tutti, fu quella più stupita dalla notizia.
 
-non ho mai visto un Maride dal vero- scosse il capo, entusiasta come una bambina.
 
-non ti sei mai persa nulla- ribattè ridendo appena Fenwick.
 
La ragazza inclinò appena il capo, come seguendo il filo di un particolare ragionamento, poi strinse le labbra a trattenere un sorriso lieve.
 
Il ritrovato silenzio, questa volta, non destabilizzò particolarmente nessuno dei presenti. La Jones continuava ad osservare il lago come se da un momento all’altro un Maride ne potesse uscire camminando sulla coda, Podmore osservava la propria ragazza divertito e stregato insieme, in un miscuglio totalmente folle d’adorazione e compiacimento.
 
Fenwick raccolse un altro sasso, più piccolo del precedente ma ugualmente piatto, e prendendo alla bell’e meglio la mira lo scagliò sul pelo dell’acqua con noncuranza. Quello fece quattro saltelli e venne inghiottito dalle profondità del Lago, lasciando come unica traccia del suo passaggio qualche increspatura ad ingrandirsi sulla superficie.
 
-perché non hai mai fatto i provini per giocare a Quidditch?- domandò Hestia quando il silenzio si fu protratto per un periodo di tempo sufficiente da poter considerare abbandonato completamente il precedente discorso –da come ne parlavi alla partita, sembri saperne parecchio sull’argomento-.
 
Benjamin aggrottò appena la fronte, domandandosi quando quelli fossero diventati i discorsi da fare per mantenere viva una conversazione amichevole eppure non intima. Lui non si considerava certo il centro della vita sociale di Hogwarts, eppure l’ultima volta che gli era capitato di fare conversazione con qualcuno di semisconosciuto ricordò d’aver parlato del tempo e di frivolezze simili.
 
-non sopporterei l’arroganza di Lucius anche negli spogliatoi e in campo; dividere il dormitorio con lui basta e avanza- rispose palesemente sarcastico.
 
-credo di essere messo peggio di te- gli rispose decisamente divertito Sturgis, inclinando il capo verso il proprio migliore amico e compagno di squadra -nemmeno Malfoy può essere peggio di Caradoc, credimi-.
 
 

*

 
 
Normalmente, sentendo il suo nome pronunciato in modo improprio, Caradoc Dearborn sarebbe saltato su come una pulce con il solito tono lamentoso, pronto a borbottare contro Sturgis Podmore e tutti quelli come lui.
 
Seduto in riva al Lago, sotto al secolare Faggio piantato secondo la leggenda da Priscilla Corvonero in persona, il diciassettenne alzò a malapena gli occhi sentendosi preso in giro dal proprio migliore amico.
 
Vide Podmore rivolgergli un sorrisetto saputo e, accanto a lui, Fenwick tentare di nascondere un lampo d’ilarità nello sguardo.
 
Senza nemmeno badare a ciò che aveva appena detto Sturgis, prese in mano un ciottolo simile a quello che Ben si stava rigirando tra le dita da ormai un paio di minuti. In un impeto di desolazione lo scagliò con forza verso il lago, guardandolo sprofondare appena dopo il primo balzo sul pelo dell’acqua.
 
Sbuffò, passandosi nervoso una mano tra i capelli.
 
-Docco, è successo qualcosa?-.
 
Dearborn alzò lo sguardo chiaro sui tre compari, stranito. Aveva completamente rimosso la loro presenza.
 
Nel cercare una risposta esitò un attimo di troppo.
 
-evita di rabbonirci come se fossimo una di quelle sciacquette che ti porti dietro per sentirti grande- lo riprese secca Hestia non appena lo vide aprire la bocca –se vuoi riempirci di palle risparmiaci, piuttosto dicci chiaramente che non sono affari nostri-.
 
Gelato come da una doccia fredda, Caradoc spostò lo sguardo dalla Jones per vedere Fenwick decisamente stupito. Per quanto il Serpeverde provasse a calarsi sul volto la sua solita maschera d’imperturbabilità aveva dipinto a chiare lettere negli occhi quanto fosse incuriosito e insieme imbarazzato dalla situazione che si era venuta a creare.
 
Passandosi nuovamente le dita tra i capelli, il Capitano Corvonero sospirò ancora.
 
-non…- esitò ancora qualche istante –in realtà sono affari vostri, o per lo meno di Stur-.
 
Podmore sgranò gli occhi, stupito.
 
Hestia aveva usato un tono parecchio duro per rivolgersi a Caradoc, ma entrambi sapevano che relazionarsi con Dearborn al di fuori del piccolo e frivolo mondo dorato che egli mostrava a tutti significava anche e soprattutto abbandonare ogni pretesa di far finta di nulla. La serietà andava affrontata con la serietà.
 
Lo stupore stava nel vedere Caradoc affrontare discorsi simili anche in presenza di Benjamin Fenwick, quando anche dopo anni aveva difficoltà a scoprirsi davanti ad amici più stretti come i Prewett o Bones.
 
Dearborn intercettò lo sguardo stupito di Sturgis, rivolto al Serpeverde, e scrollò le spalle come ad invitarlo a lasciar perdere.
 
-ho discusso con mio padre-.
 
Podmore alzò gli occhi al cielo.
 
-onestamente non vedo la novità-.
 
-Stur!- s’intromise la Jones riprendendolo come scottata.
 
-ho discusso con mio padre e insieme abbiamo pensato sia meglio che io lasci la squadra-.
 
Questa volta fu il turno per Fenwick di essere stupito.
 
Alzò lo sguardo verso Dearborn per osservarlo attentamente: stava seduto a terra con le ginocchia tirate sul petto e il mento appoggiato alle braccia, ma era serio. Aveva gli occhi fissi sulle montagne e a causa del sole dritto in faccia le iridi chiare sembravano più dorate del solito.
 
Ad essere del tutto onesto, Fenwick aveva sentito Dearborn Senior comunicare al figlio con quel tono di voce prepotente che non avrebbe più giocato: se qualcuno davvero aveva pensato fosse meglio per Caradoc non giocare più, quel qualcuno non era certamente stato il ragazzo che aveva vicino.
 
Podmore diede in uno sbuffo amaro.
 
-insieme, certo!- borbottò aspramente il Prefetto Corvonero –quando mai tu e tuo padre avete fatto qualcosa insieme?-.
 
-Sturgis!-.
 
L’urlo della Jones questa volta era decisamente scioccato. Non aveva mai sentito il proprio ragazzo parlare così ad anima viva: Sturgis era quello con il sorriso perenne sulle labbra, quello dolce con tutti, giusto, equo e mai troppo duro.
 
Podmore si alzò all’improvviso, furioso, senza badare alle occhiate furenti di Hestia ne a quelle più pacate ma comunque ferite di Dearborn. Fenwick osservava senza perdersi una virgola di nulla.
 
-fammi almeno la cortesia di non prendermi per il culo, Caradoc. Se lasci la squadra non è perché credi sia meglio così, ma perché non hai le palle per opporti a quel piantagrane di tuo padre-.
 
-Sturgis, abbassa la…-
 
-col cazzo che abbasso la voce- sbottò alla volta di Hestia dando uno scatto con la testa verso Caradoc –è ora che inizi a prendersi le proprie responsabilità, che tiri la testa fuori dalla sabbia. Il mondo non sarà per sempre ai tuoi piedi, Caradoc, quindi è meglio se la smetti di fare il principino del cazzo e se affronti la realtà così com’è-.
 
-e com’è? Com’è, la realtà così com’è?-.
 
Dearborn più che essere arrabbiato sembrava solo decisamente stanco. Gli occhi di un trent’enne sul volto di un diciassettenne.
 
-guardati per una volta allo specchio senza tutte le tue maschere e tutti quei ninnoli del cazzo che fai vedere in giro- ribattè Podmore scrollandosi il terriccio dal mantello –perché lo sappiamo tutti che l’unica persona che davvero vuoi prendere per il culo sei tu-.
 
Detto questo se ne andò velocemente, camminando a passo svelto senza però correre in modo deciso. Nonostante il sole non si fosse mosso di un millimetro, tutti e tre i ragazzi rimasti sentirono all’improvviso decisamente più freddo, quasi fosse sopraggiunta una nuvola inaspettata.
 
Caradoc Dearborn, sempre seduto a terra, si lasciò cadere all’indietro di schiena, aprendo gli occhi su un cielo azzurro e sereno.
 
-vagli dietro, Hes- mormorò scrollando il capo e chiudendo gli occhi. Sorrise tristemente quando sentì una lieve brezza sfiorargli il volto, delicata. Represse un brivido e tornò a ripetersi –vai da lui. Se incroci gli altri dì loro che oggi pomeriggio non si gioca-.
 
Ancora un po’ intontita dalla reazione decisamente inaspettata del proprio ragazzo, Hestia si alzò lentamente ed esitò un attimo.
 
-sei sicuro che…-
 
Dearborn socchiuse gli occhi per guardarla da sotto le ciglia. Accentuò per un attimo il sorriso, dolcemente.
 
-vai. Tornerà quando si sarà sfogato. Torna sempre-.
 
 

*

 
 
-direi che siamo a buon punto, Signorina Meadowes- le sorrise incoraggiante la Professoressa McGranitt tendendole un’ultima lista di libri –questi sono gli ultimi quattro libri che sia io che il Professor Silente riteniamo indispensabili al fine di prepararla al meglio su questo tipo di magia. Crede di poter completare le letture entro la fine del mese?-.
 
Dorcas scorse con sguardo attento i pochi titoli scritti sulla pergamena, annuendo.
 
-non dovrei avere problemi-.
 
La McGranitt annuì concorde.
 
-perfetto, dunque. L’ultimo fine settimana di Novembre ci sarà un’uscita ad Hogsmeade, se per lei non è un problema rinunciare alla visita al villaggio potremmo iniziare a parlare un po’ più seriamente di questa sua sperimentazione-.
 
-certamente, Professoressa, nessun problema-.
 
-credo allora che potrebbe raggiungermi qui nel mio ufficio verso le dieci, in modo da occupare un paio d’ore prima di pranzo con qualche esercizio di concentrazione. È un lavoro lungo e faticoso, ma non dubito che con la giusta dose d’impegno e con il suo talento arriverà sicuramente a raggiungere l’obbiettivo finale senza dilungarsi troppo-.
 
La Meadowes sorrise lievemente.
 
-la ringrazio, sarò puntuale-.
 
Dopo un ultimo saluto Dorcas si diresse alla porta, richiudendosela alle spalle una volta uscita dall’ufficio.
 
Scorse ancora una volta con lo sguardo i pochi titoli della lista, alzando lo sguardo verso le scale una volta che fu arrivata nel corridoio centrale.
 
All’esterno il clima prometteva decisamente bene, e forse se fosse scesa subito nel Parco avrebbe trovato tutti gli altri ancora intenti a giocare; se fosse andata in Biblioteca, invece, avrebbe potuto subito mettersi a leggere con tranquillità senza sentire in sottofondo il rumore degli sbuffi di Ben, che solitamente impegnava il proprio tempo per farle capire chiaramente quanto poco fosse d’accordo con la sua idea di diventare Animagus.
 
Dopo un ultimo sguardo alle scale decise di scendere verso il Parco, sorridendo appena al ricordo del sincero dispiacere della Jones nell’apprendere che non sarebbe potuta essere presente al pomeriggio di svago.
 
Arrivata sulla soglia, però, vide Hestia venirle incontro con l’espressione un po’ scombussolata.
 
-va tutto bene?- chiese lievemente preoccupata per lo sguardo rannuvolato della ragazza.
 
Dietro di sé sentì giungere i passi di un piccolo gruppetto di ragazzi. Amelia Bones –in ritardo di almeno quarantacinque minuti sull’orario dell’appuntamento- sopraggiungeva in compagnia dei Prewett, di Shacklebolt e di suo fratello.
 
-Hestia?- domandò Kingsley.
 
La Jones diede in un sorriso un po’ impacciato.
 
-Caradoc ha avuto una ricaduta alle gambe, Sturgis lo ha accompagnato in camera- spiegò indicando con un cenno la porta della Sala Grande –perché non stiamo un po’ tutti in Sala Grande? Potremmo giocare a Mazzobum per ingannare il tempo-.
 
-ma…- fece Gideon per protestare, indicando l’esterno con un sospiro.
 
Hestia lo incenerì con lo sguardo.
 
-una partita ogni tanto fa bene! Vado a vedere se Sturgis vuole scendere con noi, voi intanto precedetemi al tavolo. Forza-.
 
 
*
 
 
Dopo quella che gli parve una piccola eternità, Fenwick vide Dearborn riaprire gli occhi.
 
-ti ho rovinato il pomeriggio, Fenwick- si scusò sinceramente dispiaciuto –ti avevamo promesso una partita a Quidditch-.
 
Benjamin si lasciò scappare un sorrisetto ironico.
 
-si, sono davvero offeso, ho contato i minuti per tutta la settimana!-.
 
Caradoc sorrise appena, lasciandosi poi andare in un vero sorriso e mano a mano in una risata quasi contagiosa. Tempo mezzo minuto, e si ritrovò a ridere come non faceva da tempo, steso sulla riva a guardare il cielo.
 
Niente in quello strano pomeriggio aveva stupito Fenwick quanto vedere Caradoc Dearborn lasciarsi andare tanto serenamente. Lo guardò ridere, divertito come un bambino, con gli occhi puntati al cielo. Per il tempo di qualche minuto sembrò togliersi dalle spalle un peso quasi enorme –o forse semplicemente tutte le maschere di cui Podmore aveva parlato solo qualche tempo prima-: se lo scrollò via di dosso come fosse stato un abito impolverato, restando semplicemente un ragazzo senza troppi pensieri sdraiato sotto un albero.
 
-Hestia aveva detto che Fabian ti ha incastrato per oggi pomeriggio, ma non pensavo te la fossi presa tanto- mormorò alla fine di tutto Dearborn.
 
Che poi,tutto cosa? Si era solo fatto una risata. Una bella risata.
 
Scocciato dai propri pensieri Fenwick scrollò il capo.
 
-beh, non me la sono presa poi tanto. Sono qui, no?-.
 
Ancora sdraiato, Caradoc lo guardò negli occhi. Senza nessuna maschera sembrava quasi un ragazzo normale.
 
-si- annuì.
 
E Merlino solo sapeva perché.
 
 

*
 

 
Amelia Bones aveva ovviamente fiutato qualcosa nelle giustificazioni di Hestia, dal momento che la Corvonero –dacché mondo era mondo- faceva schifo nel raccontare bugie.
 
Le gambe di Dearborn stavano benissimo, probabilmente.
 
Il vantaggio del non essere parte della Patria dei Bellocci era, a suo parere, la possibilità di non entrare nelle dinamiche interne che talvolta scaturivano nei rapporti di quella compagnia di amici.
 
Conosceva, ad esempio, la sottile gelosia che pervadeva Gideon Prewett ogniqualvolta Kingsley decideva di fare gruppo con Fabian anziché con lui; conosceva lo scetticismo di Edgar su Caradoc, sapeva esattamente quanto suo fratello si ritenesse in disaccordo con Dearborn e perché; conosceva anche l’idea che Sturgis aveva sul padre –e in generale sulla famiglia- di Caradoc, sapeva che quello era l’unico vero argomento in grado di scatenare tensioni all’interno del rapporto tra Podmore e Dearborn.
 
Era a conoscenza di tutto, ma il suo distacco dall’intero gruppo le permetteva di rimanere un vero e proprio territorio neutrale. Aveva opinioni su tutto e su niente, e nella maggior parte dei casi preferiva farsi gli affari propri.
 
-Benjamin è riuscito a farsi spedire il libro di Pozioni da casa?- domandò a Dorcas mentre questa rimescolava le carte, al termine dell’ennesima partita a Mazzobum. Assunse un’espressione colpevole e poi diede in un sorrisino –vorrei per lo meno ricomprarglielo, se proprio non riuscirà ad averne un altro dalla sua famiglia. Non volevo davvero bruciarglielo-.
 
Dorcas soffocò un sorriso, seriamente divertita.
 
-Benjamin è abituato ad avere a che fare con me, che non sono certo l’alunna migliore in Pozioni, non lo hai sconvolto più di tanto- la tranquillizzò annuendo –ha già scritto a casa, ma probabilmente dovrà aspettare che Jodie torni dall’Algeria; il libro è il suo, e ci sono buone possibilità che non lo si riesca a trovare senza il suo aiuto-.
 
-Algeria?- domandò interessato Kingsley –viaggia davvero molto. Dev’essere un lavoro davvero interessante-.
 
Dorcas sorrise appena.
 
-certamente interessante, ma forse costa più di quel che vale-.
 
Kingsley assottigliò appena lo sguardo, pensoso.
 
-perché dici così?-.
 
La loro conversazione aveva attirato lo sguardo anche dei Prewett e di Edgar, che adesso la guardavano interessati. Dorcas esitò, in soggezione.
 
-beh, Jodie…- mormorò in imbarazzo. Amelia sorrise, e la Corvonero prese coraggio –Jodie è in viaggio da cinque anni, ormai. Non sono mai viaggi semplici, sono logoranti sia fisicamente che mentalmente. Ha sacrificato tanto di se stessa per fare il lavoro che fa-.
 
Edgar annuì.
 
-casa, famiglia, amici. Tu non lo faresti?-.
 
Dorcas arricciò appena le labbra, pensosa.
 
-io e Jodie siamo le persone più diverse sulla faccia della terra, paragonarla a me non dà risultati molto soddisfacenti. Jodie ha alle spalle una realtà molto solida, e non ha nemmeno venticinque anni.  Non si è mai preoccupata per il futuro, lei ha qualcosa da cui partire, una base su cui costruire. Per questo, credo, si è appassionata a questo lavoro che in fin dei conti prima o poi finirà. È interessante, certo, ma una volta che si sarà stancata di viaggiare, quando la curiosità si sarà spenta, che cosa farà? Questa domanda non la terrorizza, come invece farebbe con me-
 
Fabian inclinò appena il capo, incuriosito.
 
-Erbologia, Pozioni, Incantesimi. Vuoi entrare al San Mungo una volta uscita da Hogwarts?-.
 
Dorcas scrollò le spalle, sempre più imbarazzata.
 
-forse-.
 
 

*

 
 
Fu in una clima di calma piatta che Caradoc Dearborn scoppiò nuovamente a ridere.
 
Dopo il precedente scambio di battute, Dearborn e Fenwick non si erano mossi di una virgola dalle loro posizioni iniziali: il Corvonero era rimasto semidisteso sull’erba, mentre lo studente più giovane era tornato a guardare il Lago, seduto con la solita imperturbabilità che sempre lo caratterizzava.
 
Erano rimasti così, nel silenzio più assoluto e quieto, per un tempo indefinitamente lungo, attimi scanditi da una strana tensione nell’aria. Non si erano più guardati, non si erano più mossi.
 
Erano rimasti come intrappolati nella loro stessa quiete.
 
Infine, improvvisamente, Dearborn era scoppiato a ridere per la seconda volta dacché Hestia Jones aveva deciso di seguire il proprio fidanzato.
 
Fenwick, sorpreso da un tale inaspettato suono, sobbalzò prima di voltarsi.
 
-che cosa…?- ancora una volta era rimasto senza parole, fissando con sguardo sorpreso lo strano compare.
 
Dearborn si ricompose, si rialzò con la schiena e rimase per un attimo seduto con le ginocchia tirate al petto, ricambiando ancora divertito lo sguardo di Benjamin.
 
-pensavo che è ironico che tu, il cui molliccio si trasforma in un’onda altissima, sia finito nell’unica Casa di Hogwarts con i dormitori sotto il Lago-.
 
Fenwick borbottò qualcosa tra i denti, arricciando irritato le labbra.
 
Ci aveva pensato spesso anche lui: l’acqua lo terrorizzava al punto che, per tutta la durata del primo anno scolastico a Hogwarts, entrando in Sala Comune, era stato costretto a soffocare l’inizio di stupide crisi di panico alla sola vista della grande vetrata.
 
-e tu come fai a sapere in cosa di trasforma il mio molliccio?-.
 
Dearborn diede in un sorriso dal retrogusto fanciullesco.
 
-mi sono informato- esclamò divertito, intrecciando le dita con aria assorta –l’intera serata è stata una mia idea, non me la sarei mai persa completamente-.
 
-è stata una pessima idea- borbottò contrariato.
 
Trattenendo una risata che fece comunque capolino dagli occhi, Dearborn scrollò le spalle.
 
-lo considero un complimento, detto da te- mormorò Caradoc arricciando le labbra.
 
Fenwick diede in un sorrisetto ironico.
 
-e per quale motivo?-.
 
Dearborn esitò un solo secondo.
 
-scommetto che odi le feste, non riesci mai a trovarti a tuo agio con il divertimento e la compagnia, odi le persone che ridono troppo perché non ti rispecchi in loro e le trovi decisamente volgari, stai sempre attento a non risultare troppo originale, perché di solito l’originalità è sinonimo di stravaganza-.
                                                   
Benjamin inarcò le sopracciglia, scettico.
 
-non…-
 
–scommetto che porti lo stesso taglio di capelli da prima di arrivare ad Hogwarts, che hai letto almeno otto volte “Storia di Hogwarts” e che in Pozioni segui sempre dettagliatamente le istruzioni del libro, senza mai provare a sbizzarrirti-.
 
Dearborn adesso lo guardava con occhi seri, arrabbiati. Sembrava irritato, in una certa misura, ma sempre perfettamente controllato. Pareva voler ferire , Merlino solo sapeva perché, ma sembrava incapace di lasciarsi completamente possedere dall’ira.
 
-sembri proprio quel tipo di persona tetra e triste che odia tutte le cose divertenti- continuò -e che si rintana in un angolo passando il tempo a brontolare su quanto sia sciocca la gente che invece riesce a entusiasmarsi con poco-.
 
 

*

 
 
Benjamin Fenwick non era stato nemmeno un po’ contento all’idea di dover andare al Parco, quel pomeriggio, per giocare a Quidditch, da solo, insieme all’intera Patria dei Bellocci.
 
Aveva sospirato, sbuffato, strepitato –non che fosse una persona particolarmente chiassosa, ma lo aveva fatto a modo suo- e alla fine, persa ogni speranza, aveva ceduto e si era diretto al Faggio, senza Dorcas e con il morale particolarmente basso.
 
La sola idea di passare l’intero pomeriggio della Domenica in compagnia di nientemeno che Caradoc Dearborn, solo qualche giorno prima lo avrebbe schifato.
 
Come gli era potuto succedere, quindi, di ritrovarsi invischiato in una situazione simile?
 
Nonostante nulla di quanto detto da Dearborn fosse molto lontano dalla verità, sentirselo sbattere in faccia con uno spregio simile, proprio come un insulto, lo frustrò profondamente.
 
Aveva perso un pomeriggio, e fino a qualche minuto prima la cosa non gli era nemmeno pesata. Aveva perfino pensato, ad un certo punto, di aver fatto bene a non mancare all’appuntamento.
 
Si sentiva preso in giro e umiliato dal tono e dalle parole del Corvonero.
 
-e tu sembri esattamente quel tipo di persona che non sa trovare niente nella propria vita e nutre quindi il costante bisogno di riempirla di cose frivole- mormorò alla fine in risposta, con tono tagliente.
 
Dearborn sgranò gli occhi, senza distogliere lo sguardo.
 
Fenwick lo guardava. Per un solo secondo al Corvonero parve di leggere una sfumatura delusa nello sguardo del più piccolo, come se si stesse chiedendo per quale motivo erano passati a insultarsi se solo una manciata di secondi prima stavano ancora parlando di mollicci.
 
Ad una prima occhiata Benjamin poteva anche sembrare impassibile, ma lo sguardo lucido e lievemente sgranato, il colore appena rosato delle guance e la linea dura delle labbra svelavano ad un osservatore più attento l’arrabbiatura che il giovane tentava di mascherare.
 
Senza aggiungere altro, il Serpeverde distolse lo sguardo, si alzò e si diresse al castello.
 
 

*

 
 
Il brivido che aveva seguito l’uscita di scena di Podmore era nulla in confronto al vero e proprio gelo lasciato dalla scia di Fenwick.
 
Caradoc richiuse la bocca –non si era nemmeno accorto di aver socchiuso le labbra dalla sorpresa alle parole di Benjamin-.
 
All’inizio quella di Dearborn intendeva essere una battuta, qualcosa su cui ridere.
 
Fenwick era sempre così posato, così controllato. Si era chiesto se ci fosse, da qualche parte, un modo per incendiarlo.
 
 Aveva bisogno di allontanare i propri pensieri dal precedente litigio con Sturgis, dal dolore sordo e dall’inquietudine pressante.
 
Detestava litigare con Sturgis, che era il suo migliore amico. Per un sacco di tempo era stato anche l’unico.
 
E pensare che al primo anno ad Hogwarts lui e Sturgis non si parlavano neanche: per il serio e controllato Dearborn, il giovane Podmore era sempre troppo contento, troppo vivace. Rideva molto, rideva troppo.
 
“odi le persone che ridono troppo perché non ti rispecchi in loro e le trovi decisamente volgari”
 
Quel ragazzetto fin troppo simpatico aveva la mania di mettersi a canticchiare sotto la doccia, di fischiettare la mattina appena sveglio e di schioccare la lingua quando invece era irritato da qualcosa. Era una di quelle persone entusiaste della vita, che per vivere si devono far sentire.
 
Era stato quasi automatico, per Caradoc, odiarlo.
 
Podmore faceva sempre coppia con McKinnon. Insieme a Max aveva provato a fare le selezioni per il Quidditch, il primo anno, e Caradoc li aveva visti dalle tribune sbagliare quasi tutti i tiri, e ridere.
 
Sembrava impossibile togliergli la risata di bocca. Rideva di tutti, soprattutto di se stesso.
 
Una volta, quando la squadra di Corvonero aveva vinto la partita contro Grifondoro, Caradoc si era ritrovato nel mezzo della prima vera festa della sua vita. Non era niente di simile a ciò che succedeva a casa sua in quelle imbarazzanti cene di gala date dai suoi per mascherare il gelo intrinseco nella sua famiglia. Era caotica, rumorosa, affollata. Non gli era piaciuta.
 
Poi aveva visto quell’idiota di Podmore in piedi su un tavolo, mentre cantava allegramente in compagnia di qualche altro simpatico ragazzo, e quella festa l’aveva odiata.
 
Sentendosi solo come un cane, si era ritirato in un angolo e aveva passato la serata a guardare il cielo da dietro alle vetrate.
 
“scommetto che odi le feste, non riesci mai a trovarti a tuo agio con il divertimento e la compagnia”.
 
Durante il secondo anno ad Hogwarts erano diventati invece davvero amici. Era successo in punizione, mentre entrambi imprecavano contro Gazza e sfregavano il pavimento del bagno con forza. Mal comune mezzo gaudio.
 
Tifavano squadre diverse, preferivano materie diverse, avevano caratteri diametralmente opposti, arrivavano da ambienti diversi, eppure c’era un solo argomento in grado di dividerli veramente.
 
Perché tuo padre non ti guarda neanche quando ti parla?
 
Quella era stata la prima domanda che Sturgis gli aveva posto su suo padre, quando aveva preso un po’ più di confidenza con lui. Era l’inizio del quarto anno ad Hogwarts, la domanda era arrivata dopo un complimento gentile rivolto alla Jones, perché Podmore adorava imbarazzarla e vederla arrossire di botto.
 
Vedendo Sturgis imbambolarsi davanti allo sguardo dolce di Hestia, Caradoc aveva eluso la domanda. Podmore aveva presto capito che parlare del Signor Dearborn rendeva l’amico decisamente taciturno.
 
Proprio in quel periodo Hestia aveva iniziato a sbocciare. Prima era una ragazzina da prendere garbatamente in giro, poi era diventata una ragazza capace di ridurre al silenzio adorante con un solo sguardo.
 
Quando Sturgis l’aveva invitata ad uscire, con quel modo un po’ scanzonato e un po’ scodinzolante tipico di Podmore, Caradoc aveva tentato di capire perché si sentisse come vuoto. Una volta che ebbe capito come riempire il vuoto che aveva dentro, aveva iniziato con l’invitare a Hogsmeade Miranda Jenkins, che poi era diventata Amy Reichs, che poi aveva lasciato il posto a Jane, e a Rose, e a Harriet.
 
“e tu sembri esattamente quel tipo di persona che non sa trovare niente nella propria vita e nutre quindi il costante bisogno di riempirla di cose frivole”.
 
-Fenwick!- lo richiamò indietro alzandosi di scatto.
 
Sotto quell’albero adesso c’era troppo freddo, forse per l’ora un po’ tarda o perché, per l’ennesima volta, era rimasto davvero solo.





   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Hiraedd