Il
Re Nero
Reims, 1994
<<
Io…
non ri…. Non posso ….>>
Il
respiro
del ragazzo era accelerato, il suo corpo tremava, scosso dai singulti
che non
riusciva a trattenere. L’uomo alto ed elegante che lo aveva
accompagnato nella
stanza si accorse ben presto di non poterlo guardare negli occhi, e
decise di
interpretare il suo tremore come una conseguenza del freddo invernale.
Chiuse
con premura la finestra, ma non distolse lo sguardo dalla città di
Reims sotto
di lui.
<<
Siediti,
ragazzo. >> intimò senza voltarsi.
L’ansia
del
giovane era quasi palpabile. Ci mise qualche secondo per realizzare il
significato delle parole dell’uomo, poi fece pochi passi verso il
tavolo, quasi
inconsciamente. I suoi occhi erano
ancora sbarrati e puntati verso il pavimento. il più vecchio lo guardò
impassibile.
<<
Non
è possibile… non è…. Possibile. >>
<<
Per
quanto ancora credi che lo ripeterai? >>
Il
ragazzo
alzò lentamente il capo, zittendosi all’istante. Aprì la bocca, ma la
voce gli
morì in gola davanti all’espressione gelida dell’uomo.
Lo
vide
mordersi il labbro, ignorando la sua presenza.
Guardava distrattamente i tetti delle case e i passanti.
<<
Buffo.
>> sorrise, divertito. << Tu
non hai la minima idea di chi io sia… eppure ti fidi ugualmente di me.
>>
Il
ragazzo
si passò una mano sul viso, cercando di riprendere coraggio e lucidità.
Strinse
i pugni. Era un giornalista, uno che andava in cerca di belle storie.
Mai si
sarebbe aspettato una storia come quella.
L’uomo
si
mosse verso il fondo della sala, aprì un armadietto attaccato al muro
tirandone
fuori due bicchieri e una bottiglia di China. Tornato al tavolo la
stappò con
eleganza.
Ancora
spaesato, il giovane si trovò tra le mani un bicchierino ricolmo di un
liquido
ramato.
<<
Se
fosse stato sempre così facile guadagnarsi la fiducia degli uomini non
avrei
mai avuto problemi. >>
E
mentre lo
osservava ridacchiare, il ragazzo scoprì di riuscire a riflettere con
più calma
sulle sue parole, anche se non poteva ignorare l’inquietudine che
sentiva a
stargli vicino. Era vero, si era subito fidato di quell’uomo, forse
perché non
aveva avuto scelta, forse a causa del suo carisma e della sincerità dei
suoi
occhi quando gli aveva detto di volerlo aiutare.
<<
Tutto
questo…. >> cercò di dire il ragazzo, la voce che tremava e lo
sguardo
che vagava ovunque pur di non posarsi sull’italiano seduto di fronte a
lui.
<<
Non
è un sogno >> sorrise l’uomo.
<< Né una allucinazione. >>
Il
silenzio
fu opprimente, anche se durò solo pochi istanti. Nella mente del
giovane
giornalista regnava la più completa confusione, e intanto l’uomo lo
studiava.
<<
Tu
non sai che cos’è. >>
Parole
terribilmente semplici, quasi mormorate con poco fiato, che
racchiudevano un
significato enorme.
Forse
troppo
grande, per un semplice giornalista in cerca di una bella storia.
<<
Tutto
questo è ….. >> il ragazzo si guardò la punta delle scarpe,
mentre
un’orrenda ma lucida consapevolezza gli riempiva il torace.
<<
… Qualcosa
che non avrei mai dovuto vedere… >>
L’uomo
sembrava colpito, o almeno così si poteva intuire dal suo silenzio.
<<
Sì,
è così. >>
Che
senso
avrebbe avuto mentire? Il destino di quel ragazzo era già scritto, e
non
sarebbe servito a niente tenerglielo nascosto.
<<
Guardami,
ragazzo. >>
La
sua voce
si era addolcita, e il suo viso sembrava più preoccupato che ostile, ma
il
giovane fece comunque un enorme fatica ad obbedire.
Il
giornalista teneva il bicchiere tra le mani poggiate sul tavolo. Le nocche stavano impallidendo per la
pressione troppo forte con cui stringeva le dita, e il suo volto era
cinereo,
cadaverico e madido di sudore freddo. Quanto doveva apparire stupido e
insignificante ad un uomo come quello che gli stava di fronte!
Eppure,
nonostante l’imbarazzo e la paura, quegli occhi grigi così calmi e
attenti
verso il mondo lo avevano paralizzato. E non riusciva a non guardarli,
perché
gli sembrava che racchiudessero dentro le iridi un passato neanche
immaginabile.
<<
Lei…
lei è… >>
<<
Umano?
>> completò l’uomo al posto suo, con un sorriso sarcastico.
<<
Sì,
io sono umano…. >> esitò, lanciando un’occhiata al tesserino che
il
giornalista teneva attaccato alla custodia della macchina fotografica. << Richard Andersen. >>
Con
un
elegante movimento del braccio, l’uomo alto e canuto svuotò il suo
bicchiere.
Poi si rilassò contro lo schienale della sedia.
<<
Non
devi avere paura di me. >>
Per
qualche
assurda ragione che nemmeno lui sapeva spiegarsi, Richard
Andersen sembrò
tranquillizzarsi. Però continuava a non
dire una parola.
<<
Parla
pure liberamente con me. Se avessi voluto farti del male l’avrei già
fatto, e
non ti avrei portato via da… bè, lo sai.
>>
<<
No…
a dire il vero non lo so. >>
mormorò in risposta il giornalista.
<<
Ti
starai chiedendo chi sono io. >>
Il
ragazzo
deglutì.
<<
Immagino
che lei non voglia rispondere a questa domanda. >>
L’uomo
non
rispose subito. La sua espressione si era rabbuiata.
<<
Non
c’entra che io lo voglia o no. >> i suoi occhi puntarono sul viso
del
giovane. << Io non posso. >>
Il
ragazzo
rifletté su quelle parole. Aveva ancora il nodo allo stomaco per la
paura, ma
la sua sfrenata curiosità quasi gliela faceva dimenticare. E poi, al
momento
l’unica scelta che aveva era fidarsi del suo ospite. Anche se gli
sembrava di
vivere in un incubo.
<<
Qualcuno
le impedisce di farlo? >> chiese,
la voce ridotta a poco più di un sussurro e le mani strette intorno ai
braccioli di un antica sedia di epoca rinascimentale.
L’uomo
fece
un vago e indifferente gesto con la mano, prima di fare spallucce.
<<
Non
è soltanto questo. Dirti chi sono
implicherebbe non soltanto rivelarti il mio nome, ragazzo.
Non lo sai che le nostre esperienze possono
dire di noi molto più di quanto noi possiamo narrare di loro? E io non
posso
dirti chi sono, perché sarebbe troppo complicato da spiegare. Mi
capisci?
>>
Il
ragazzo
si affrettò ad annuire, ma l’uomo si era già risposto da solo.
<<
No
che non capisci. Tu non puoi capire. >>
Il
suo
sorriso gli mise addosso una terribile angoscia. Non sapeva come
definirlo. Divertito, malinconico,
arrogante, disincantato?
<<
Perché
non può raccontarmi la sua storia? >>
Ecco
che
finalmente Richard Pember dimenticava per un istante la paura e la
sostituiva
con la curiosità. Ecco che veniva fuori il giornalista alla ricerca di
belle
storie.
<<
Più
che altro, ragazzo… perché è troppo lunga.
>>
<<
Ma
io sono abituato a sentire storie lunghe! >> esclamò il
giornalista, per
poi arrossire subito dopo, vergognandosi di essere stato tanto
avventato.
I
suoi occhi
ardevano di interesse. Voleva sapere, voleva poter dare una risposta a
tutte le
sue domande. E credeva anche di meritarselo, dopo quello che era stato
costretto a vedere.
La
risata
dell’uomo lo colse di sorpresa. Si era aspettato un atteggiamento
infastidito,
e invece lui rideva.
<<
Non
credo che tu abbia mai sentito raccontare una vita come la mia. >>
Il
suo
ospite fu sul punto di riempirsi nuovamente il bicchiere, ma le sue
dita si
fermarono prima di toccare la bottiglia.
<<
Ho
promesso a me stesso che non avrei esagerato. >> si giustificò a
mezza
voce.
<<
Quando?
>> chiese il ragazzo distrattamente.
<<
Molto
tempo fa. Dimmi, ragazzo. Quanto sono lunghe le tue storie? >>
<<
Delle
volte anche settant’anni. >> annunciò fiero il giornalista,
esagerando
apposta per impressionare il suo interlocutore.
E
a questo
punto nella sua fantasia già si delineava il viso dell’uomo contorto in
un
espressione stupita. Sentì un fiotto di soddisfazione salirgli alla
gola.
Aprì
la
bocca per aggiungere qualche dettaglio, ma dovette richiuderla
immediatamente,
mordendosi nervosamente il labbro inferiore.
Inutile
descrivere la stizza e lo sconcerto che provò nel non vedere realizzate
le sue
speranze.
<<
Come
pensavo. >> commentò pacatamente il padrone di casa, con un
sorriso a
metà tra il sarcastico e lo scettico.
<<
Ora,
se vuoi scusarmi… >> il ragazzo continuava a guardarlo come se
fosse un
alieno, ad occhi sbarrati.
L’uomo
lo
ignorò e si alzò dalla sedia.
<<
Vado
a riposare un po’. È stata una giornata stressante. >>
Prima
di
arrivare alla porta, voltò appena la testa verso il giornalista ancora
impietrito sulla sedia.
Era
terribilmente pallido, le labbra esangui e le sopracciglia aggrottate.
<<
Anche
tu hai bisogno di una dormita, ragazzo. Le chiavi della stanza degli
ospiti
sono accanto alla porta, in fondo al corridoio. >>
*
<<
Non
vuole dirmi nemmeno il suo nome? >> chiese il giornalista con la
gola
secca.
Era
prima
mattina, e lui era già in piedi, le occhiaie viola ben marcate sotto
gli occhi
e i capelli spettinati. Non aveva chiuso occhio quella notte. Una
miriade di
domande continuavano ad affollargli la testa, incessantemente.
Ma
quel che
era peggio era che continuava a rivedere le immagini del giorno prima
come se
ce le avesse davanti agli occhi in ogni istante.
Un
uomo
basso e dai tratti irregolari nascosti sotto la corta e ispida barba
grigia,
che tendeva una mano in avanti sprigionando scintille gialle contro una
creatura che sembrava arrivata direttamente da un girone infernale. Le
sue
zanne micidiali, l’enorme testa di
coccodrillo che pareva quasi incastrata nella parte anteriore del corpo
da
leone.
Il
giornalista rabbrividì e tornò a guardare colui che, per qualche ignota
ragione, aveva deciso di ospitarlo, nel disperato tentativo di
distrarsi.
L’uomo
aveva
sicuramente sentito la domanda che Richard gli aveva posto, ma non si
era
nemmeno voltato, continuando ad armeggiare con i fornelli e le tazze
per la
colazione. Fischiettava.
Erano
più le
volte che Richard veniva ignorato, che quelle in cui si degnava di
rispondere
con frasi evasive o cambiando argomento.
<<
Io
devo sapere. >>
La
voce del
ragazzo si era fatta più convinta e aveva alzato il tono, come per
sovrastare
il fischiettio dell’uomo.
<<
Che
cosa è successo ieri? Che cosa era quella creatura? E chi era
quell’uomo che la
ha aiutata a fermarla? >>
Fece
una
pausa, riprese fiato, e subito dopo riattaccò, deciso più che mai a far
parlare
il suo interlocutore.
<<
E
lei, chi è, esattamente? Che cosa è?
>>
L’uomo
volse
lentamente il capo, i suoi occhi grigi si posarono con una pacata
imperscrutabilità sul ragazzo. Per un
attimo, Richard temette con un brivido di orrore di averlo in qualche
modo
offeso. La freddezza del suo sguardo lo spaventava, e fu presto
costretto ad
abbassare gli occhi.
<<
Quanto
zucchero vuoi? >>
La
voce
calma dell’uomo stonava, in un certo senso, con quelle sue iridi che
sembravano
due pozzi senza fondo.
Richard
ci
mise qualche secondo per trovare il fiato per rispondere.
<<
Du…
due zollette… grazie… >>
Dopo
avergli
servito una tazza di caffè, l’uomo si sedette di fronte a lui.
Richard,
malgrado tutti i suoi sforzi, non riusciva a ritrovare la quiete
perduta.
Osservò ammirato il riflesso del sole sulle tendine bianche ricamate,
la grande
cucina chiara, semplice ma raffinata.
Dopo
vari
minuti, Richard prese fiato.
<<
Sa,
signore… >> disse, facendo distogliere l’attenzione dell’altro
dal
giornale posato sul tavolo e staccandosi la tazza dalle labbra.
<<
Adesso
sembra tutto così tranquillo…. Sembra troppo tranquillo…. Questa calma
è falsa,
non è reale…. Non può esserlo, dopo quello che ho visto ieri. >>
L’uomo
alto
e dai grandi occhi grigi lo ascoltò in silenzio, il volto impassibile.
<<
Sarebbe
anche…. Piacevole, bere il caffè insieme a lei. >> continuò
Richard, il
capo chino. << se sorvoliamo il fatto che ieri ho visto una
creatura
mostruosa che non dovrebbe esistere, e un uomo che non avrebbe dovuto
fare
quelle cose… >> prese un respiro, accorgendosi di aver detto il
tutto
troppo velocemente.
<<
E
lei…. Lei che …. Le sue mani…. >>
Il
ragazzo
osservò le mani dell’uomo, che ancora reggevano il giornale, come se
potessero
sprigionare volute di fumo bianco da un momento all’altro.
E
ancora una
volta ebbe paura, una paura folle, ma allo stesso tempo non riusciva a
fare
niente di concreto, e continuava a farsi manovrare dagli eventi, troppo
impietrito dal terrore per prendere in mano la situazione.
Guardò
con
orrore l’uomo che gli stava di fronte, con la terribile consapevolezza
che non
era un uomo normale. Era sovrannaturale.
Nonostante ciò che gli aveva detto il giorno prima, Richard non poteva
credere
che fosse umano.
L’altro
dovette leggergli tutti quei pensieri in faccia, perché ripiegò il
giornale con
la calma e l’atteggiamento di un adulto che ha il noioso compito di
spiegare
qualcosa a un bambino.
Lo
guardò
impassibile, poi allungò una mano verso il vassoio di brioche e glielo
porse.
Richard
afferrò la colazione quasi con timore e spaesamento. Alzò appena gli
occhi in
direzione del suo salvatore, in una domanda muta.
<<
Non
posso rispondere alle tue domande. >>
constatò questi, laconico.
<<
Ma
io ho bisogno di sapere…. >>
<<
Forse
non mi sono spiegato, ragazzo. >> l’uomo accompagnò la sua voce
brusca
con un gesto stizzito.
<<
Tu
non puoi sapere. Nulla. >> poggiò i gomiti sul tavolo e congiunse
le
punte delle dita davanti alla bocca.
<<
Ascolta.
Non voglio essere sgarbato con te. Ma tu non puoi permetterti di fare
domande,
perché, perdona la franchezza, dovresti già essere morto.
>>
Richard
deglutì, sgranando gli occhi, ma cercò di darsi coraggio e di
rispondere con
più lucidità possibile.
<<
Lei
mi ha trascinato qui, in casa sua! Ero andato in periferia per scattare
foto, e
mi sono ritrovato di fronte a dei.... >>
Mostri, aggiunse dentro di sé,
istintivamente. Quando vide l’espressione gelida dell’uomo si sentì
mancare.
<<
Mostri? >> completò quest’ultimo, una traccia di sorriso nel
volto e la
voce incolore.
<<
Fenomeni
sovrannaturali. >> lo corresse Richard, dei brividi fastidiosi
che gli
correvano lungo la schiena.
<<
Come
può pensare che adesso io non faccia qualche domanda? >>
Il
sorriso
sul volto di quel sempre più misterioso personaggio si allargò.
<<
Essere
curiosi è un pregio. >>
Poi
si
sporse sul tavolo, del suo ghigno non c’era più nessuna traccia, i suoi
occhi
erano più seri e penetranti del solito.
<<
Ma
tu non esserlo. >>
Nella
cucina
cadde improvvisamente un silenzio opprimente che il giornalista non
aveva la
forza di spezzare.
<<
Ti
faccio paura, non è così? >>
L’uomo
sembrava sinceramente interessato allo stato d’animo del ragazzo, che
continuava a torturarsi le mani e il labbro inferiore, con lo sguardo
basso.
Al
suono di
quella domanda, sobbalzò leggermente.
<<
N…no….
Lei… mi ha salvato, dopotutto… >> provò a rispondere, cercando di
dare al
suo tono una certa sicurezza.
<<
Invece
dovresti averne, di paura. >>
Richard
lo
osservò per un lungo momento, gli occhi distanti e assorti in pensieri
e
domande irrisolte.
<<
Perché
mi ha salvato? Perché l’ha fatto, anche se non avrei mai dovuto sapere
niente?
>>
L’uomo
sospirò annoiato.
<<
Lo
vuoi un consiglio, ragazzo? Vattene di qui. Cambia stato. Cambia nome,
fa
quello che vuoi, ma non cercare la verità. È pericolosa, per quelli
come te.
>>
Rivelò i denti bianchi in un rapido ghigno,
accavallò le gambe e rilassò la schiena poggiandola contro la sedia.
<<
E
un’altra cosa. Cambia mestiere. Fare il giornalista ti fa male. >>
Richard
aprì
la bocca per ribattere, ma la richiuse di colpo, colpito e intimorito
dalla
figura appena comparsa sulla soglia. Portava un cappello ampio quanto
bastava
per gettargli ombra sugli occhi, e quando parlò lo fece muovendo
impercettibilmente le labbra, a capo chino.
<<
Signore. È qui. >>
L’uomo
annuì
imperturbabile. Richard aveva la sensazione che fosse successo qualcosa
di
importante, di molto importante, anche se l’espressione del suo
salvatore non
lo dava a vedere.
<<
Grazie. Arrivo subito. >> lanciò una rapida occhiata a Richard,
come per
avvertirlo di non fiatare.
<<
Ora
parlerò con una persona. Tu devi stare in silenzio, e fare tutto ciò
che ti
dice lui >> e indicò con un pacato gesto della mano la figura
sulla
soglia, ancora immobile. Richard capì in un lampo che non avrebbe
potuto
disobbedire, e fu assalito da un terrore folle, che lo impietrì. Non
riusciva
più a pensare a niente di sensato. Voleva solo dimenticarsi di tutto,
ricominciare
quei due giorni d’inferno da capo, svegliarsi da quell’incubo.
L’uomo
si
alzò, lanciò un’occhiata significativa a quello che doveva essere il
suo
segretario, e uscì con tutta calma dalla stanza.
Richard
non
perse mai divista i suoi movimenti con gli occhi febbrili. Non fece in
tempo ad
inghiottire la saliva in eccesso che il segretario lo afferrò, si calò
ancora una
volta il cappello sugli occhi e lo afferrò saldamente per un braccio.
Con ben
poca grazia trascinò via il giornalista verso la parte opposta rispetto
a
quella dove era sparito l’uomo, e lo infilò in uno stanzino con una
velocità
impressionante.
Richard
si
sbilanciò e riuscì a fatica a rimanere in piedi, quasi inciampando
nelle sue
stesse caviglie.
Il
segretario non lo degnò più nemmeno di uno sguardo, ma chiuse la porta
e ci
appoggiò l’orecchio sopra.
Richard
lo
guardò incredulo, ma si trattenne dal pronunciare qualunque parola. Ma
cosa
sperava di sentire, quel tipo? L’uomo alto e canuto doveva aver
attraversato
almeno due stanze per raggiungere lo spazio riservato agli ospiti. Non era possibile sentire…
Oppure no?
*
Il
dottor
John Dee sembrava essere la tranquillità personificata. Anche lui,
dopotutto,
aveva avuto un sacco di tempo per imparare a nascondere le proprie
emozioni.
Ma
Niccolò
Machiavelli lo conosceva troppo bene per non percepire la sua rabbia.
Si
sentiva vagamente a disagio. Non era abituato ad agire con imprudenza,
senza
avere un’idea precisa di ciò che si apprestava a fare. Eppure, quando
aveva
salvato quel ragazzo, era esattamente questo che aveva fatto.
Si
era
aspettato una visita del Mago. Dee sospettava di lui in ogni occasione,
per
principio, e qualche volta capitava che avesse anche ragione.
Adesso più che mai, devo
confidare
nell’aiuto di Dagon,
rifletté Machiavelli, con lucidità.
Salutando
con un sorriso di circostanza l’altro immortale, si trovò a pensare se
fosse
davvero una buona idea lasciare in vita il giornalista. C’erano cose
che
dovevano rimanere nascoste per l’umanità, questo era nell’interesse
degli
Oscuri Signori che lui serviva.
Eliminare
i
testimoni. Non era la prima volta che lo faceva.
Non
si
soffermò troppo a pensare sulle ragioni che lo avevano spinto a quel
gesto,
forse perché non voleva darsi delle risposte, o forse perché al momento
la
priorità era liberarsi del Mago.
<<
Machiavelli, dov’è il figlio degli homines?>>
Niccolò
scosse appena la testa con un sorriso. Passano
i secoli, ma alcune cose non cambiano proprio mai.
<<
Buongiorno anche a te, dottore. Sì, in effetti è una bellissima
mattinata.
Posso offrirti del caffè? >>
Il
viso del
Mago si contorse in una smorfia di rabbia mista a disgusto.
<<
Non
sopporterò il tuo sarcasmo, non oggi.
Rispondi! Dov’è il ragazzo? >>
Niccolò
si
scompigliò i capelli e si lasciò cadere su una sedia con uno sbadiglio.
<<
Se
ti dicessi che non so di cosa parli, mi crederesti? >>
<<
No.
>>
<<
È
davvero un peccato. Perché, vedi, dottore…. >>
Niccolò voltò la testa in modo da guardarlo
in faccia con gli occhi gelidi.
<<
Io non so di cosa parli >>
John
Dee
rimase rigido, in piedi in mezzo alla sala, la sua figura trasudava
tutto il suo
furore.
<<
Tu…
>> Niccolò osservò a gambe incrociate il suo sorriso di scherno.
<<
Non puoi immaginare quanto ti disprezzo. >>
<<
Sicuro?
Ho un immaginazione molto fertile. >> sorrise Machiavelli,
ironico.
<<
Che
cosa vuoi, John, questa volta? >>
Dee
sbuffò.
<<
Finiscila
con questa farsa, italiano. Pensi che non mi sia accorto dell’umano
sbucato
fuori da quel vicolo, ieri? Un attimo prima c’era, l’attimo dopo non
più. Sei
stato tu. >> sentenziò il Mago con una sicurezza ferrea.
Niccolò
rimase impassibile, sospirando con sufficienza.
<<
Dottore,
dottore. È mai possibile che non riesci a vedere oltre ciò che vorresti
fosse
vero? >>
Niccolò
gli
lanciò un’occhiata divertita, che fece fiammeggiare di rabbia gli occhi
di John
Dee.
<<
Ho
combattuto quella bestia al tuo fianco. Spiegami come avrei potuto
portare in
salvo un ragazzo. Perché è qui che vuoi arrivare, vero? >>
Alzò
le
spalle, indifferente.
<<
Non
bisogna per forza essere il più grande manipolatore al mondo per capire
che è
scappato. >> aggiunse con ironia.
John
Dee lo
studiava, non trovando sul suo volto alcuna traccia di menzogna.
Eppure, quando
c’era di mezzo Niccolò Machiavelli, non si fidava nemmeno dei suoi
stessi
occhi. Ed era sicuro che fosse lui la mente dietro la scomparsa del
figlio
degli homines.
<<
Comunque…
>> andò avanti Machiavelli << se vuoi che ti dia una mano a
ritrovarlo, possiamo metterci d’accordo. Ovviamente sarai in debito con
me.
>>
Dee
strinse
i pugni davanti alla sua mezza risata.
<<
È un
tuo dovere servire gli Oscuri Signori tuoi padroni! >> sbraitò,
furioso,
puntando il dito contro di lui.
E
anche se
Machiavelli continuava a non battere ciglio, per il Mago era troppo
tardi per
fermarsi e riprendere il controllo di sé.
<<
Se
davvero non sei stato tu a farlo scappare e a nasconderlo, allora
dovresti già
essere sulle sue tracce! Non comodamente seduto in poltrona a farti gli
affari
tuoi! >>
Niccolò
si
alzò lentamente. Si mosse fino in fondo alla sala e prese dallo
scaffale una
vecchia scacchiera che poggiò sul tavolo.
<<
John.. >> cominciò, con pazienza, disponendo i pezzi di legno
sulla
scacchiera.
<<
Io
faccio sempre ciò che mi viene richiesto. Tu hai più volte sottolineato
che
dovevo sparire subito dopo averti aiutato a completare la missione. Ti
sei
vantato, hai detto che eri tu l’immortale a cui era stato ordinato di
guidare
la missione. Gli Oscuri Signori mi hanno ordinato di aiutarti a
uccidere la
creatura, ed è quello che ho fatto. Hai detto che avresti ricevuto
tutti gli
onori tu soltanto. >>
Fece
una
breve pausa, sedendosi, prendendo un alfiere bianco fra due dita e
portandoselo
davanti agli occhi.
<<
E
allora, dottore… a te sono riservati anche gli oneri. Io ho svolto il
mio
dovere, perché la bestia è stata distrutta. >>
Si
avvicinò
con passo calmo e col sorriso sulle labbra, portandosi vicino
all’inglese. E
nascondendo qualcosa in una sola mano, dietro la schiena.
<<
Io
servo i miei padroni, John, non te. >>
Niccolò
Machiavelli tese il braccio in avanti, e John Dee seguì per un secondo
l’ondeggiante pedina del re nero davanti al suo viso, con le iridi
grigio
ferro.
E io sono ancora qui a pubblicare storie sui Segreti e ad interessarmi di questa saga, con quei pochi ma specialissimi fan della serie.
Questa long sarà una grande sfida per me, me lo sento. Sarà un traguardo più ambizioso da raggiungere. Ringrazio tutti quelli che la leggeranno e se c'è qualcosa che non vi piace o non vi convince fatemelo sapere. Mi aiutate a migliorare.
Grazie : )
tacet