Serie TV > Torchwood
Segui la storia  |       
Autore: Glinda    09/03/2013    3 recensioni
Riassunto generale: Non è un fix-it di Children of Earth. O forse lo è. Non è una versione AU di Torchwood o di Doctor Who, né un what-if. O forse sì. Una storia nella storia, una realtà dentro un'altra realtà. Passati, presenti e futuri che si mescolano e si confondono. Possibili domande a cui non esistono risposte, e impossibili risposte a domande che non dovrebbero esistere. In poche parole, Jack Harkness e la sua inarrestabile sete di verità. Può il passato essere invertito, può il presente essere manipolato, e può il destino essere riscritto?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Ianto Jones, Jack Harkness, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Disclaimer: Torchwood, Doctor Who e i personaggi e/o situazioni a essi inerenti non sono di mia proprietà, bensì degli aventi diritto (Russell T. Davies, BBC Wales, ecc. ecc.), tranne Harlan Andrews. Lui sì che lo rivendico!

 

 

Capitolo 18: Gli inconvenienti del mestiere, parte prima

 

Lo spontaneo commento di Andrews non preannunciava nulla di buono, e così, pur ancora intontito dagli antidolorifici e dall’effetto dei nanogeni, iniziai ad agitarmi anch’io.

 

“Non mi tenga sulle spine, professore,” lo incalzai. “Che cos’ha scoperto di tanto sconvolgente?”

 

Ma Andrews non sembrò darmi subito retta. Si alzò di scatto dalla sua poltrona, e si mise a camminare avanti e indietro borbottando in una lingua strana, mai sentita prima, ma che trovai decisamente piacevole, almeno per le mie orecchie. Osservai preoccupato i suoi movimenti, e alla fine il professore mise di nuovo mano al suo Manipolatore. “Non ora, e soprattutto non qui, Jax. Vado subito a parlare con gli infermieri; il tuo quadro clinico è tornato normale, e credo tu possa ormai essere dimesso senza problemi.”

 

“Meno male,” sospirai sollevato, e mi alzai finalmente dal letto. “Non vedo l’ora di riavere il mio bracciale, e di tornare alla vita di sempre. Ma quei picchi di energia di prima, allora, non significavano niente di eclatante?”

 

“Oh, per averlo lo avevano, un significato. Un significato ben preciso, che però è meglio ti spieghi una volta che saremo all’esterno. Sempre che si possa parlare di esterno, su questo asteroide,” rispose ironico il professore. Dopodiché mi fece un cenno con la testa, e si avviò verso l’uscita della stanza. Lo seguii senza battere ciglio.

 

***

 

Assioma n°1: L’obiettivo degli Agenti è quello di cambiare senza interferire, di ottenere l’effetto previsto senza lasciare prove del loro intervento, di essere introvabili, irriconoscibili, invisibili. A tutti gli effetti, gli Agenti non esistono.

 

Questo è il primo concetto insegnato agli Agenti Temporali operanti sul campo, anche se in realtà inizia a essere inculcato ben prima di raggiungere tale livello. Basta chiedere a qualsiasi studente dell’Accademia. Siano essi matricole o prossimi al diploma, tutti sapranno recitarlo a memoria senza alcuna difficoltà.

 

Si può probabilmente capire la ragione per cui gli Agenti debbano sottostare all’assioma. L’oscurità è la regola, l’inafferrabilità un’esigenza da cui nessuno può prescindere. Più si è anonimi, più i risultati del proprio lavoro saranno efficaci.

 

Si tratta di un insegnamento logico, quasi ineluttabile, a mio parere. Modificare gli eventi temporali in maniera tale da non provocare un totale sconvolgimento del continuum spazio-temporale è infatti un compito estremamente delicato e arduo; ogni singolo, minimo cambiamento può determinare conseguenze impreviste e catastrofiche, se programmato insufficientemente o effettuato in modo non adeguato. Perché, più spesso di quanto non si pensi, calpestare un’insignificante farfalla può davvero causare un disastro su scala planetaria.

 

Ma tali regole valgono per gli Agenti che, in fin dei conti, sono dei singoli esseri umani, dunque in grado di muoversi con precisione estrema nei meandri del Vortice del Tempo, e di calcolare con accuratezza gli effetti del proprio operato. Che dire, invece, dell’Agenzia Temporale stessa? Un’organizzazione vasta, tentacolare, con sedi sparse un po’ dappertutto nell’Universo conosciuto, è decisamente ardua da ignorare, al contrario dei suoi membri, presi uno per uno. E soprattutto, difficile da nascondere da possibili nemici.

 

Nel quarantanovesimo secolo, all’epoca cioè della fondazione dell’Agenzia, il primo problema che si pose fu per l’appunto quello di dove collocarne la sede principale. Si sapeva che essa, per questioni prettamente logistiche, sarebbe stata posta all’interno della Via Lattea. La questione era: quale punto della galassia si sarebbe rivelato ideale per porre l’ente al riparo da occhi indiscreti?

 

La soluzione migliore per tale dilemma venne senza ombra di dubbio dall’Assioma n°11, che recita più o meno così: Il miglior nascondiglio possibile è visibile a tutti.

 

La zona intorno alla radiosorgente Sagittarius A* si rivelò la candidata idonea per ospitare gli imponenti edifici dell’Agenzia. Nessuno con un briciolo di cervello si sarebbe infatti mai sognato di andare a scovarla nei pressi di un buco nero supermassiccio, posto fra l’altro al centro della Via Lattea stessa.

 

La distanza di sicurezza da Sagittarius A* fu stimata intorno ai 100 miliardi di chilometri, e come sede della base operativa venne scelto l’asteroide S502-X. Per certi versi si trovava ancora fin troppo vicino al buco nero, visto che l’intera area era sottoposta a turbolenze non da poco, ma almeno restava in larga parte al riparo da ben più micidiali flussi di onde radio, raggi gamma e raggi X. In ogni caso, il vantaggio più evidente di una tale posizione derivava dal fatto che nessuno avrebbe mai sospettato che le regolari, quotidiane emissioni energetiche provenienti dalle parti di S502-X derivassero non solo dal materiale inghiottito all’interno della singolarità gravitazionale, ma anche – e soprattutto – dalle nostre attività di Agenti Temporali.

 

Le uniche radiazioni di una certa potenza che riuscivano ad arrivare fino al nostro asteroide erano quelle sulla lunghezza d’onda dell’infrarosso e dell’ultravioletto. Dunque, calore e luce. Ma calore e luce a un livello inimmaginabile. Così intensi da far evaporare e uccidere all’istante qualsiasi forma di vita, persino la più elementare.

 

Per questo motivo, benché la scelta fosse ricaduta su quel corpo roccioso in particolare, S502-X non poteva di certo essere considerato il luogo più ameno in cui vivere. E così, tutt’intorno agli spazi occupati dall’Agenzia venne innalzata una speciale cupola, che ci avrebbe protetto dall’effetto deleterio delle radiazioni di cui sopra. Ovviamente, una seppur minima percentuale veniva lasciata passare, così da fornirci una fonte di riscaldamento e di illuminazione pressoché illimitata e gratuita.

 

Ciò aveva consentito fra l’altro la nascita di un ambiente artificiale piuttosto notevole. Un esempio era costituito dal campus dell’Accademia. Dotato di campi sportivi e di giardini attrezzati con tavoli e comode panchine, esso offriva a tutti la possibilità di studiare con tranquillità, o semplicemente di rilassarsi. Alcuni, fra cui il sottoscritto, erano particolarmente affezionati alle numerose aree boschive presenti all’interno del parco principale. Lascio immaginare la ragione.

 

***

 

Dopo essere usciti dall’infermeria, era per l’appunto in uno dei numerosi giardini dell’Accademia che Harlan Andrews mi aveva condotto. Mentre camminavamo fianco a fianco, mi sfregai per l’ennesima volta il polso sinistro, lieto di percepire di nuovo sotto le dita la familiare presenza del mio bracciale.

 

Al professore non sfuggì il mio gesto. “Sei contento di aver riavuto indietro il tuo Manipolatore?”

 

“Sicuro,” annuii. “Senza, mi sentivo praticamente nudo… E non nel senso più amabile del termine.”

 

“Posso immaginarlo,” commentò divertito il professore. Rimase qualche secondo in silenzio, e poi riprese a parlare con quella che mi sembrò quasi una nota di nostalgia. “Sai, il modo in cui hanno trasformato questo posto… Assomiglia molto al mio pianeta d’origine. Calmo, tranquillo, immerso nella natura. L’ideale se si vuole prendere un po’ di riposo dalle fatiche della vita.”

 

“Non credo mi abbia portato qui per discutere del suo mondo,” gli feci notare con garbo.

 

“No, effettivamente no… Però, se un giorno ti capitasse l’occasione, dovresti farci un salto, Jax. Sono sicuro che piacerebbe anche a te.”

 

“Mi dispiace interromperla, professore, ma…”

 

“Hai ragione, hai ragione. Perdonami se tendo a divagare, è un vizio che ultimamente sta prendendo il sopravvento, purtroppo,” si scusò lui. Poi assunse un’espressione pensierosa, come se stesse decidendo da dove iniziare il proprio discorso. Attesi con pazienza che raccogliesse le idee.

 

“Intanto devo porti una domanda, Jax, di cui temo di conoscere già la risposta, purtroppo,” cominciò Andrews. “Hai mai sentito parlare della degenerazione spazio-temporale?”

 

“Degenerazione spazio-temporale?” replicai d’istinto. “No, mai.”

 

“Non vi ha per caso accennato nessuno dei tuoi altri docenti? Mai, in alcun corso, durante i tuoi cinque anni di studio?” insistette il professore.

 

Scossi la testa.

 

Andrews sospirò. “Non che mi aspettassi qualcosa di diverso, del resto. Non è cambiato niente, in tutti questi decenni, quindi non vedo perché dovrebbero avervi messo al corrente della faccenda.”

 

“Professore, si spieghi meglio, perché non ci sto capendo nulla. Cosa sarebbe questa degenerazione? E come mai me la nomina proprio ora, se in tutto il mio periodo di addestramento nessuno ha nemmeno lontanamente pensato di farlo?”

 

“Perché si tratta di informazioni che, se rese pubbliche, potrebbero minare l’integrità e l’esistenza stessa dell’Agenzia Temporale,” rispose cupo. Poi, d’un tratto interruppe i propri passi, si voltò di scatto verso di me e mi afferrò per un braccio. Mi lasciai sfuggire un’esclamazione di sorpresa.

 

“Giurami che non dirai niente a nessuno, Jax,” mi intimò.

 

Mi limitai a spalancare gli occhi e ad agitare frenetico la testa, ma il professore non accennò a mollare la presa. “Giuramelo,” ripeté.

 

“Lo giuro,” sussurrai.

 

Soddisfatto, Andrews mi lasciò andare. “Bene. Molto bene. Si tratta di argomenti di una gravità considerevole, per questo finora ero stato restio a discuterne con chicchessia. Ma, considerando quel che ti è successo poco fa, non credo di poter più rimandare.”

 

Il professore riprese a camminare, e con la testa indicò un albero imponente, poco distante da noi. Dopo un paio di minuti, e dopo aver controllato con circospezione che la folta distesa d’erba ai suoi piedi fosse ragionevolmente asciutta, ci sedemmo sotto di esso. Infine, Andrews iniziò nuovamente a parlare.

 

“Il Manipolatore del Vortice che ogni singolo Agente possiede, Jax, permette il viaggio nello spazio-tempo, com’è ovvio, e inoltre funge da comunicatore e localizzatore, oltre a una miriade di altre funzioni, più o meno utili. In un certo senso, se lo si guarda da questo punto di vista, lo si potrebbe considerare una specie di computer da polso ipertecnologico,” mi illustrò il professore.

 

Tutti dettagli già noti, mi venne da ribattere, ma trattenni la voce.

 

“C’è però un’altra caratteristica che non ti hanno mai rivelato, quella che io considero la più importante. Mi sto riferendo allo Scudo. Nemmeno questo ti dice niente, giusto?” si informò Andrews.

 

“No,” risposi.

 

“Ed è qui che, secondo me, l’Agenzia ha sempre sbagliato. Vedi, il problema è che noi esseri umani non siamo fatti per viaggiare nel tempo. La cosa può provocare squilibri mentali, indisposizioni, malattie fisiche vere e proprie… Secondo i miei calcoli, nessuna specie vivente è completamente al riparo dalle ripercussioni negative del viaggio spazio-temporale, tanto sono distruttive.”

 

“Nessuna? Come fa a esserne sicuro?” gli chiesi, dubbioso.

 

“Beh, a dire la verità, nell’ambiente circolano delle leggende secondo le quali da qualche parte nell’Universo vi sarebbe un’unica razza in grado a malapena di sopportarne gli effetti deleteri senza ricorrere a protezioni artificiali,” rispose pensieroso il professore. “Purtroppo, pare anche che questa razza sia ormai del tutto estinta. Sempre che sia realmente esistita, s’intende.”

 

“Ma professore, io mi sento benissimo. E anche lei è in ottima forma, e così pure Becca, e tutti gli altri nostri colleghi. Se le cose stessero come dice lei…”

 

“E qui torniamo al mio discorso di prima, Jax. Lo Scudo è una sorta di campo di forza, e serve proprio a questo: contenere entro dei limiti accettabili i danni provocati dal viaggio spazio-temporale. Ecco perché viene raccomandato fin dal primo anno di Accademia di non togliersi mai di dosso il Manipolatore, per nessun motivo, persino mentre si dorme. Tu stesso, poco fa, mi hai riferito che senza di esso ti senti indifeso, no?”

 

“Vero,” confessai, e ancora una volta mi portai automaticamente la mano al bracciale. Lo osservai con attenzione. “Però, all’infermeria me l’hanno prelevato, professore. Vuol dire che il personale medico non è conoscenza dello Scudo, e della protezione che offre a noi Agenti?”

 

“No, non lo sanno, ma il motivo per cui l’hanno fatto è un altro,” replicò Andrews. “Gli infermieri hanno dovuto togliertelo in via precauzionale, visto che avrebbe potuto interferire con l’azione guaritrice dei nanogeni.”

 

“Allora, quei famosi picchi di energia…” Lentamente, stavo cominciando a capire, e ciò che il professore mi stava rivelando non mi piaceva affatto.

 

“Erano causati direttamente da te, Jax, dal tuo corpo non più protetto dal Manipolatore, e non da un fattore esterno. Mi sono stupito perché di solito la degenerazione spazio-temporale è un processo lento, grazie al cielo,” spiegò Andrews. “Di fenomeni come questo ne ho già incontrati, in passato. Inizia ad avere effetto sugli Agenti solo dopo alcuni anni che operano sul campo, non pochi mesi come nel tuo caso, quindi non vedo come… Jax, ma sei pallidissimo! Ti senti male?!”

 

Il professore mi posò la mano sulla spalla in un gesto di conforto. Io, dal mio canto, non potevo di certo negare che quel che era appena uscito dalle labbra del professore non mi avesse colpito profondamente. Mi coprii il volto con le mani, inspirai a fondo, e infine lo guardai in faccia. “Ho appena avuto un déjà-vu,” mormorai. “Una delle frasi che ha pronunciato qualche secondo fa… Credo di averla già sentita mentre ero svenuto. Parola per parola.”

 

Andrews raddrizzò la schiena, e strinse la mano che ancora mi teneva posata sulla spalla. “Cosa? Ne sei assolutamente certo, Jax? Sei certo che fossero le stesse parole, e soprattutto pronunciate da me?”

 

Assentii. “La rammento bene: Di fenomeni come questo ne ho già incontrati, in passato. Era chiaramente la sua voce. Non potrei mai confonderla con un altro, professore. Non con quel suo accento così particolare.”

 

Andrews fece scivolare via la mano dalla mia spalla. Chiuse gli occhi, emise un lungo sospiro, dopodiché tornò a fissarmi, e a scuotere la testa. “Allora la situazione è completamente diversa da quel che pensavo, Jax.”

 

Mi chiesi allarmato cosa diavolo intendesse dire il professore, e notai che sulle sue labbra aleggiava ora un debole, enigmatico sorriso.

 

***

 

Note esplicative al testo:

- L’Assioma n°1 è liberamente tratto da una frase di un romanzo di Doctor Who uscito nel 2004, intitolato Sometime Never… (Testo dell'originale inglese:The Agents' purpose is to change without interfering, to leave an effect without evidence of cause. To be untraceable, undetectable, invisible. To all intents and purposes, the Agents do not exist.)

- L’immagine della farfalla calpestata e degli effetti deleteri causati da quest’azione proviene dal racconto di fantascienza A Sound of Thunder, scritto da Ray Bradbury e pubblicato per la prima volta nel 1952.

- La NASA fornisce una spiegazione ‘ufficiale’ sull’origine delle misteriose emissioni giornaliere di raggi X provenienti da Sagittarius A*. La potete leggere cliccando qui: http://www.nasa.gov/mission_pages/chandra/multimedia/saga.html

- In questo capitolo, con la mia idea della degenerazione spazio-temporale cerco di ovviare a quella che considero una lieve ‘sfilacciatura’ all’interno dell’intricata trama di Torchwood… La questione dei danni provocati agli umani dai viaggi nel tempo mi sembra fosse stata accennata dal Dottore in uno o più episodi, non ricordo esattamente quali. Comunque, ho sempre trovato strano il fatto che nessuno degli autori abbia mai spiegato perché il delicato lavoro di Agente Temporale tendesse a essere affidato a persone con un equilibrio mentale decisamente instabile, come ad esempio John Hart. Per certi versi, anche lo stesso Jack ha rischiato di rientrare in tale categoria, prima di incontrare Rose e il Nono Dottore… Quindi, secondo la teoria da me espressa qui, John sarebbe sempre stato un personaggio un po’ sopra le righe, ma il fatto di viaggiare nel tempo l’avrebbe fatto ulteriormente degenerare, coi risultati che sappiamo (droghe, alcol, tendenze omicide, ecc.).

- Per la serie pubblicità-progresso: a partire da lunedì 11 marzo andrà in onda in prima serata su Italia1 il telefilm Arrow. Ve lo segnalo perché in esso compariranno, seppur in ruoli secondari, John Barrowman e Alex Kingston. Fra l’altro, mi sembra che fra tre settimane, su Rai4, andrà in onda invece il quinto episodio della terza stagione di Warehouse 13, in cui ha una particina anche Gareth David-Lloyd. Ma vi saprò ridire di preciso un po’ più in là.

- E per finire, le anticipazioni. Nel prossimo capitolo farà la sua ricomparsa Becca, e avremo la conclusione delle spiegazioni del professor Andrews…

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Torchwood / Vai alla pagina dell'autore: Glinda