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Autore: lapiramiderossa    10/03/2013    1 recensioni
"La collera e l'ansia mi assalirono, facendomi ribollire il sangue, e la pelle si scaldò diventando rovente. Sentivo uno strano potere, una forza che non avevo mai sentito; forse era l'adrenalina o semplicemente la rabbia ma, qualunque cosa fosse, mi piaceva. Non mi ero mai sentita tanto viva, o forte. E non parlo di una forza fisica, ma di una forza mentale, molto profonda. Qualcosa che nacque dalla mia testa, non dai muscoli. Per un istante, un lungo silenzioso attimo, non sentii niente; tutto il mio essere si congelò,insieme al tempo e allo spazio; i miei occhi guardavano, ma non vedevano; il vento sferzava, ma non mi colpiva, la mia testa non pensava; il mio mondo, all'improvviso, si frantumò.
Non so come feci, ma un secondo prima che riuscissero a lanciarmi sul fondo del bidone, tutti i rifiuti saltarono fuori come se lo stesso contenitore li avesse risputati e, anche se faceva paura ammetterlo, sapevo che ero stata io.
L'avevo sentito. "
"Solo dalla paura può nascere il coraggio" questo Charlie lo impara a sue spese immergendosi in un mondo nuovo, un mondo dove le verità scottano e i segreti feriscono.
Lei non è umana, non interamente.
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rabbia

 
Nel sogno non ero nel mio letto. Neanche a casa mia, a quanto pare, né nella mia città.
In effetti, non avevo nessuna idea di dove mi trovassi.
Che cavolo di posto è questo?
Pensai, decidendo che stavolta la mia immaginazione aveva superato decisamente il record di stranezze.
Mi guardai in torno e quello che vidi somigliava tanto allo sfondo di un cartone animato.
Funghi giganti? Ma andiamo!Sembrava il luogo di una favola di cui mi sfuggiva il nome... Alice in, qualcosa.
Oppure ero diventava Pollicina ed ero semplicemente in un bosco pieno di funghi.  Che ne dici, Alice o Pollicina?
Ti starai chiedendo perché dovrebbe fregarmene e ,hai ragione, per questo ti racconterò una storia.
Una volta, tanto tempo fa -Precisamente sette anni fa- avevo nove anni e i miei avevano portato me e mio fratello ad un nuovo parco giochi fuori città; si chiamava Waterland ed era semplicemente fantastico sopratutto perché tutte le attrazione erano basate sull'acqua. Ovviamente era estate e faceva un caldo pazzesco, perciò,  mentre aspettavamo in fila per lo scivolo dissi a Scott che volevo un gelato. I nostri genitori  erano nell'area ristorante a prenotare un tavolo e mi avevano affidata a mio fratello perché volevo a tutti i costi fare un altro giro sullo scivolo - il ventesimo, probabilmente. Ma hey, ero solo una bambina-  e mi avevano raccomandato di stare sempre vicino a lui. Quando insistetti nel volere il gelato, lui mi disse di restare a fare la fila mentre lo andava a prendere ed io, da bambina stupida che ero, me la fila appena se ne andò.
C'era una giostra che mi piaceva tantissimo, si chiamava "il giro dell'acqua" perché i ragazzi dovevano sedersi su un gommone e farsi trasportare da un getto d'acqua fortissimo che li portava sotto cascate o finte grotte. Insomma, era molto più emozionante dello scivolo ma non volevano che ci andassi. Dicevano che era troppo pericoloso per una bambina cosi piccola. All'epoca mi sembrava un ingiustizia, quindi, alla prima occasione, m'infilai nella fila passando davanti a tutti e mi sedetti sul gommone. Quando scesi dalla giostra ero al settimo cielo. Era stata la cosa più divertente che avessi mai fatto e lo rifeci per due o tre volte.
Poi mi accorsi che cominciava a fare buio.
Mi misi alla ricerca della giostra dove avevo lasciato Scott, ma non riuscii più a trovarla. Non sapevo dove fossi e cominciai ad avere un po' paura- Okay, avevo molta paura- di essermi persa. Raggiunsi un area del parco che non avevo mai visto, quella dove tenevano le giostre spaventose.
Vidi una vecchia signora seduta in un chiosco viola pieno di veli e stelle, mi avvicinai per chiederle indicazioni ma lei parlò per prima.
-Vuoi che ti legga il futuro, cara? - mi sorrise cordiale. Ma non mi stava guardando. Teneva lo sguardo fisso davanti a lei, vuoto.
Scossi la testa. Fissai i suoi vestiti stropicciati, e i capelli un po' in disordine legati in una crocchia; la gente che passava le lanciava sguardi un po' strani, come quando si vede un barbone in città e pensi ad allontanarti prima che ti derubi, o cose del genere. A me sembrava a posto, ma dopotutto, ero solo una bambina.
-Allora preferisci che interpreti i tuoi sogni? Scommetto che una bella bambina come te ha molta immaginazione.
Come faceva a dire che ero bella se neanche mi stava guardando?
In quel momento però, non ci feci caso perché, ero così curiosa di conoscere il significato dei miei sogni che alla fine gliene raccontai uno.
Lo ripeto, ero una bambina.
E proprio perché ero una bambina, finii per raccontargliene una dozzina.
All'inizio la donna, che si chiamava Mel, mi sorrise e mi disse che il fatto che avessi sognato mucche volanti e pesci parlanti era una cosa molto comune per la mia età e significava che ero felice e che forse vedevo troppi cartoni animati ma poi, quando le raccontai gli ultimi sogni - quelli che un po' mi avevano fatto paura- fece una faccia così strana che ancora me la ricordo.
-Bambina, fammi vedere la mano- sembrava al quanto nervosa, quindi le porsi la mano. Finalmente si voltò verso di me. Aveva un visto che mi sembrava in qualche modo familiare, ma non poteva essere no?
-Non c'è dubbio- disse, fissando il mio palmo- sei una bambina molto speciale, non è vero?-
Io non avevo la minima idea di cosa stesse dicendo.
-Faresti meglio a stare attenta, non dovrai mai, e dico mai, dire a qualcuno di cosa sei capace- I suoi occhi grigi erano talmente chiari da ipnotizzarmi; improvvisamente mi sentii un po' a disagio, spaventata.
-I tuoi sogni parlano bambina mia, il tuo futuro è scritto- sussurrò. L'attimo dopo era come se non ci fosse più.
Il suo sguardo si catapultò altrove, su qualcosa alle mie spalle e fu come se non mi vedesse. Rimase immobile.
Proprio mentre stavo per chiederle di che cavolo stesse parlando, due ragazze che lavoravano per Waterland mi chiamarono e mi presero da parte.
-Sei tu Charlotte Ross?-         mi chiesero.
Annuii.
-La tua famiglia ti sta cercando da più di due ore. E' stata quella vecchia cieca a prenderti?
Scossi la testa.
Mentre mi trascinavano lontano dal quell'ala del parco voltai lo sguardo alla ricerca della vecchia dagli occhi bianchi. Cieca, avevano detto.
Allora come aveva fatto a vedermi?
So che è una sciocchezza, ma da quel giorno faccio particolarmente attenzione a quello che sogno.
Quindi, tornando al sogno, decisi che probabilmente non ero né Alice né Pollicina e, aspettando che mi svegliassi, mi sedetti su un sassolino lì affianco.
Un sassolino decisamente gigante.
Stavo quasi per cominciare ad annoiarmi quando successe qualcosa di strano.
Il cielo, azzurro e senza nuvole, cominciò ad incupirsi e divenne scuro, quasi come fosse scesa la notte all'improvviso. Un tuono rombò e illuminò il paesaggio con la sua luce, minacciando l'arrivo di un violento temporale.
Mi riparai sotto il cappuccio di un fungo giusto in tempo prima che le gocce iniziassero a cadere.
Quel sogno cominciava a non piacermi.
-Svegliati, idiota!- mi dissi ad alta voce.
Poi , ad un tratto, lo vidi.
Emerse dal buio della foresta, o dato che ero piccola, probabilmente era solo erba. Mi fissava.
Aveva degli occhi strani.
Era lo stesso ragazzo con cui mi ero arrabbiata a scuola, quello che avevo visto di sfuggita.
Era immobile, accerchiato da un alone scuro che lo faceva apparire come una nuvola nera. Gli occhi, grigi come la pioggia che lo sfiorava e luminosi, su quella pelle oscurata,  mi fissavano insistenti.
Cominciai a irritarmi.
Doveva rovinare anche i miei sogni adesso?
Mosse un passo ed io scattai in piedi. Solo che non lo feci nel sogno, ma nella realtà.
Ero in piedi sul mio letto,con un gran mal di testa e la sveglia che squillava segnando le otto e venti sull'orologio.
Oh mio dio!Pensai Non posso fare tardi!
Cominciai a prepararmi più in fretta possibile, neanche mi accorsi di aver indossato due paia di scarpe diverse, con il risultato che a metà scale ero di ritorno in camera a cercare un paio di scarpe abbinate per non sembrare più ridicola di quanto non fossi già.
Dimenticai di pettinarmi e di prendere l'ombrello, afferrai il primo giaccone che trovai sull'appendiabiti e lo infilai. Ero già uscita di casa, quando mi ricordai che mia madre e Scott erano andati via e non sapevo se avessero dato la colazione a Back, quindi, tornai indietro e trovai il cane seduto davanti alla ciotola vuota, mi guardava come se mi stesse rimproverando di non avergli dato i suoi croccantini.
Mi lasciai scappare una risatina immaginando nella sua testa frasi tipo " vergognati! Sei una pessima padrona" o roba simile.
Dopo avergli riempito la ciotola corsi di nuovo fuori casa e dimenticai ancora di prendere l'ombrello. L'ultima cosa che volevo era tornare dentro quindi pregai che non piovesse.
Arrivai a scuola dopo una bella corsa, era tardi, ma potevo ancora farcela per la seconda ora.
Ero quasi arrivata all'ingresso dell'edificio quando sentii quella voce.
-Eccola qui.- Mi voltai. A parlare era stata Jessica Style, la ragazza che mi odiava; era a pochi metri da me e mi fissava con le mani sui fianchi - ti stavamo aspettando .
Con lei c'erano le solite seguaci, ma un secondo dopo notai quattro ragazzi che le si avvicinavano.
Che cavolo sta succedendo?Pensai, mentre la mia mente mi suggeriva di squagliarmela il più in fretta possibile.
La porta era ancora lontana, nel cortile non c'era nessuno, due di loro mi sbarravano la strada per la scuola; correvo veloce, ma non avrei mai potuto superarli senza rischiare che mi prendessero.
Due ragazzi, che riconobbi come Jason Holm e Lucas Malcolm, erano il triplo di me ed arrivai alla conclusione che non erano lì solo per guardare Jessica insultarmi.
-Che diavolo pensi di fare, spaventarmi?- dissi, spavalda.
Se solo avessi potuto prendere il cellulare in borsa...
-Voglio solo darti quello che ti meriti.
-Non dirmi che te la sei presa per quello che ti ho detto ieri.
-Voglio solo darti una bella lezione. Prendetela!-
Dopo il suo ordine, tutto divenne sfocato, veloce e confuso; successero tante cose contemporaneamente: non ebbi il tempo di pensare a una soluzione e il mio istinto reagì nel momento esatto in cui il gruppo si muoveva verso di me. Mi misi a correre verso la scuola, riuscendo a superarli di poco, cercai di recuperare il cellulare nella borsa ma quello mi cadde quando uno di loro mi afferrò per la tracolla.  
In un attimo ero circondata, non potevo scappare e non potevo difendermi. Mi presero.
- Mettetela dove dovrebbero stare quelle come lei, nella spazzatura!-
Oh no.
Alle mie spalle c'era il cassonetto dei rifiuti, grande e verde, quello dove volevano gettarmi.   I quattro ragazzi mi afferrarono per le braccia e le gambe sollevandomi da terra.
Stavano per farlo, stavano per lanciarmi nella spazzatura.
Non sono ancora sicura di quello che successe dopo. So solo che ad un tratto cominciai ad agitarmi parecchio, ad arrabbiarmi.
Si, ero arrabbiata.
Infuriata.
Non volevo finire in quel cassonetto, volevo che ci finissero loro. Volevo essere forte, e non la ragazzina magra e debole che credevano fossi, volevo che fossero loro quelli deboli e che, mai e poi mai, pensassero di potermi umiliare cosi!
La collera e l'ansia mi assalirono, facendomi ribollire il sangue, e la pelle si scaldò diventando rovente. Sentivo uno strano potere, una forza che non avevo mai sentito; forse era l'adrenalina o semplicemente la rabbia ma, qualunque cosa fosse, mi piaceva un sacco. Non mi ero mai sentita tanto viva, o forte. E non parlo di una forza fisica, ma di una forza mentale, molto profonda. Qualcosa che nacque dalla mia testa, non dai muscoli. Per un istante, un lungo silenzioso attimo, non sentii niente; tutto il mio essere si congelò,insieme al tempo e allo spazio; i miei occhi guardavano, ma non vedevano; il vento sferzava, ma non mi colpiva, la mia testa non pensava; il mio mondo, all'improvviso, si frantumò.
Non so come feci, ma un secondo prima che riuscissero a lanciarmi sul fondo del bidone, tutti i rifiuti saltarono fuori come se lo stesso contenitore li avesse risputati e, anche se faceva paura ammetterlo, sapevo che ero stata io.
L'avevo sentito.
Quando i rifiuti colpirono le loro facce, i ragazzi che mi tenevano lasciarono la presa ed io finii con la schiena a terra, spezzando di netto la quiete che sentivo dentro l'anima, veloce come era arrivata.
Spazzatura di ogni tipo continuava a saltare fuori mescolandosi alle urla di coloro che colpiva e scappava spaventato.
La mia pelle era ancora calda,sentivo che la testa mi scoppiava e le immagini cominciavano a muoversi nei miei occhi come la pellicola sbiadita di un film. Non mi sentivo più tanto forte, ora. Era tutto sparito:la rabbia, l'adrenalina. Avevano lasciato il posto a qualcosa che non mi piaceva per niente.
Faceva male.
Mi aggrappai a qualcosa che non riuscii ad identificare e a fatica tornai in piedi cercando di mantenere i nervi saldi; era come se fossi stata investita da un autobus e la mia testa fosse un sacco preso a pugni continuamente da un boxer professionista.  Una volta in piedi cercai di mettere a fuoco quello che mi circondava: mancava qualche metro all'entrata della scuola, potevo farcela? Mi reggevo a malapena in piedi, come avrei potuto coprire una distanza così senza finire a terra? Guardai verso le classi; alcuni ragazzi si erano accorti di quello che stava succedendo e premevano i nasi contro le finestre per vedere meglio.
Dovevo andarmene, non potevo rischiare che qualcuno si accorgesse che ero stata io.
Cercando di fare attenzione, e di non badare al dolore allucinante che colpiva ogni secondo la mia testa, mi incamminai velocemente verso la scuola, dove avrei potuto nascondermi; caddi sulle ginocchia un paio di volte ma riuscii a reggermi fino alle scale dove afferrai il corrimano scivoloso e mi ci aggrappai. Inciampai su un gradino e le mie ginocchia toccarono il pavimento freddo. Un suono acuto, metallico, mi colpì le orecchie insieme a tanti altri mormorii incomprensibili che confondevano il mio cervello, costringendomi a rannicchiarmi su me stessa .
Ormai ero entrata, mi trascinai a fatica verso la prima porta che vidi, doveva essere la biblioteca. Quando il suono mi colpì di nuovo cercai di tapparmi le orecchie con le mani e sentii sulla pelle qualcosa di freddo e liquido che colava sul mio volto.
Sangue.
Oh no, no. Che diavolo mi sta succedendo?
Un panico che non avevo mai provato mi avvolse, insieme all'ansia e al respiro irregolare.
Il sangue mi bagnava i vestiti.
Riuscii a raggiungere la porta della biblioteca, la spinsi e una voltata entrata la richiusi con un calcio. Afferrai una delle sedie da lettura e la usai per rialzarmi ma il rumore metallico tuono di nuovo nella mia mente, gli occhi mi si appannarono dal dolore e la testa mi faceva talmente male che avrei voluto staccarmela dal collo. Lanciai un urlo.
Sentii di nuovo un suono acuto,ma stavolta era diverso.
Qualcosa di appuntito mi colpi, ferendomi il viso e le mani ancora posate contro le orecchie, non riuscii subito a capire cosa fosse stato, ma poi mi accorsi che le vetrate della sala erano scoppiate, frantumate in mille pezzi; ed ero stata io.
Non resistevo più: il dolore era troppo forte.
Ancora un po' e sarei svenuta.
O sarei morta.
Ad un tratto avvertii qualcosa di caldo che mi sfiorava la spalla. Una mano? Qualcuno mi stava toccando.
Non riuscivo a capire chi fosse, non era un tocco familiare; avevo la vista troppo appannata per vedere qualcosa che non fosse sfocato ma, poi riuscii a capire.
Lo avvertii inginocchiarsi di fronte a me e le sue mani mi presero il viso. Incontrai i suoi occhi e finalmente vidi qualcosa. Erano nitidi e luminosi, l'unica cosa che riuscii a distinguere in quel vortice scuro.
Erano grigi.
Hai capito di chi parlo, vero?
Eccolo lì, di fronte a me: il ragazzo del sogno; il ragazzo che avevo odiato.
Disse qualcosa, ma non riuscii a capirlo per via dei mille mormorii che m'invadevano il cervello. Mi concentrai sul suo viso, non avevo nient'altro.
Posò le mani sulle mie orecchie e, non so come fece, ma il suono sparì, insieme a parte del dolore. 
-Andrà tutto bene-  finalmente riuscii a distinguere la sua voce. Non avevo mai sentito un suono così bello.
Possibile che solo ieri l'avessi trovata sciocca ed irritante?
Mi spinse verso di sé e mi ritrovai col viso sul suo petto.
Avvertii le sue braccia che mi avvolgevano stringendomi forte, e la sua voce che continuava a ripetermi che andava tutto bene e che dovevo respirare profondamente.
-Fidati di me- disse.
In quel momento, era la cosa che volevo di più.
Non ricordo molto quello che successe dopo, so solo che, come se niente fosse, il dolore scomparve; la mia mente era di nuovo libera e i miei occhi vedevano ancora.
L'ultima cosa che ricordo è che persi i sensi mentre ancora mi stringeva.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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