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Autore: ShopaHolic    13/03/2013    1 recensioni
Estate 2009. Dopo quattro anni dall’uscita di American Idiot, i Green Day sono tornati con un nuovo album, e il tour è finalmente alle porte. Ma se le cose non andassero esattamente come erano state previste? Se un improvviso imprevisto li costringesse a rimandare la partenza, e la cosa avesse ripercussioni serie sull'animo di Billie Joe Armstrong? E se fosse l'incontro fortuito con una curiosa ragazza dal nome evocativo e dal passato misterioso, totalmente estranea al suo mondo, a portare scompiglio nella vita di tutti?
Dal capitolo 20:
«Mi rendo perfettamente conto che è sbagliato, e che è un errore essere qui adesso. Ed è anche rischioso, considerando l’accanimento mediatico che c’è su di te ultimamente, ma ci sono persone che si sono sacrificate tanto, per me, affinché io fossi felice, e pur sapendo che queste persone non approverebbero mai quello che sto facendo, io sento che è quello che voglio. Io voglio sentirmi viva e felice. E non so per quanto durerà tutto questo, ma io mi sento così, adesso, e se anche dovesse finire tutto nel giro di cinque minuti, io sarò lo stesso contenta di averlo vissuto.»
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Billie J. Armstrong, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questa volta lo metto all’inizio, il commento, perché ci tengo davvero tanto a dirvi un paio di paroline prima che cominciate la lettura, sempre ammesso che sia rimasto, in questo sito, qualcuno che seguiva questa storia. Ricordo che l’ultima volta aggiornai a distanza di sei mesi, circa, e già allora mi sembrò inaccettabile. Questa volta ricompaio dopo oltre un anno, e veramente non so cosa altro fare se non scusarmi con tutti voi. Ho almeno una decina di motivi per non aver pubblicato prima –la maturità, l’inizio dell’università, la prima sessione di esami...-, ma la verità è che più passa il tempo e meno mi riconosco in questa storia che, mi rendo conto solo adesso, è nata la bellezza di tre anni fa, e immagino che non servano le mie parole per farvi capire quanto possa cambiare una persona in tutto questo tempo. Ebbene sono cambiata io, è cambiato il mio modo di rapportarmi con il mondo e, chiaramente, è cambiato il mio stile di scrittura. Già l’anno scorso mi ero messa a revisionare questa storia dall’inizio, non riconoscendomi più affatto nello stile che avevo, e se rileggo tutto quanto adesso già mi viene voglia di cambiare tutto di nuovo, ma mi rendo conto che non è possibile. Avevo promesso a me stessa e a tutti quelli con cui ho avuto modo di parlare di questa storia che non l’avrei mollata prima di arrivare alla fine. Ammetto senza troppi problemi che inizia a starmi stretta davvero: mi sta stretta la storia e mi stanno stretti i personaggi, dopo tutto questo tempo credo che sia normale, ma tenterò ugualmente di fare il possibile per portarla a termine. Non posso promettervi di aggiornare frequentemente, è una promessa che non sono in grado di mantenere, ma farò di tutto per non lasciarla morire incompiuta così com’è.
Ci tengo comunque a ringraziare chi ha seguito questa storia sin dall’inizio, commentando puntualmente e facendomi sentire sempre e comunque il proprio sostegno. Allo stesso modo ringrazio chiunque di voi si fermerà a leggere questo nuovo capitolo (o l’intera storia, magari, se siete nuovi lettori), e come sempre vi invito a lasciarmi un commento, giusto per farmi sapere che ne pensate, sia che la storia vi piaccia sia che non vi piaccia affatto. So che è dal confronto e dalle critiche che si ha la possibilità di migliorare, quindi mi rimetto alle vostre opinioni. Sentitevi pure liberi di crocifiggermi (e già solo in base ai miei tempi di aggiornamento, ammetto che me lo meriterei!).
Non ho nulla da dire riguardo al capitolo, se non che, in tutto il mio rammarico per questo mostruoso e indecente ritardo, sono per lo meno soddisfatta di ricomparire con questo, dal momento che è decisamente uno tra i più importanti capitoli dell’intera storia, ma questo avrete modo di constatarlo da soli.
Detto questo, spero di aver fatto un buon lavoro e, chiaramente, di tornare il prima possibile con un nuovo capitolo.
Un bacio grande a tutti voi.
 

Batticuore

 
Alle due in punto di pomeriggio, Billie Joe Armstrong vide Gloria uscire dal vialetto di casa accompagnando due ragazze che dovevano avere pressappoco la sua età; aveva l’aria allegra e ridacchiava per qualcosa che una delle sue amiche le aveva appena detto. Il frontman dei Green Day si issò sul sedile posteriore della sua automobile e rimase in silenzio a osservare la scena da dietro il muro della villetta che faceva angolo alla strada. Aspettava, al sole, seduto in macchina da quasi un’ora; aveva sete, e se non avesse avuto l’aria condizionata accesa al massimo, probabilmente sarebbe morto di caldo già da un pezzo. Erano trascorsi due giorni dall’ultima volta che aveva visto Gloria, e da quel pomeriggio -quello delle loro chiacchiere e del bacio sotto la pioggia- non le aveva più scritto nemmeno un sms. Quando, quella sera, si era recato a cena dai suoi amici, il suo comportamento era stato quello di sempre: aveva scherzato, riso, parlato con loro come se tutto fosse stato normale, ma quando, poi, aveva fatto ritorno a casa, aveva staccato il telefono, tirato le tende e si era buttato sul divano con una valanga di fogli bianchi, una penna, e un paio di birre a portata di mano sul tavolino. Aveva iniziato a scrivere, aveva iniziato a scrivere tutto ciò che gli fosse passato per la testa: frasi, pensieri, parole, nomi, linee di inchiostro nero sparse a caso lungo i fogli. Aveva tracciato disegni stilizzati, mordicchiato il tappino della penna, bevuto un sorso di birra ed era tornato di nuovo con la punta sui fogli, fumando una sigaretta. E ancora aveva scritto lettere, parole, frasi incompiute, schizzi disordinati, pensieri senza senso. Si era addormentato, ubriaco, alle prime ore del mattino, dopo aver disseminato il tappeto di bottiglie di birra vuote e riempito il posacenere di mozziconi fumati solo per metà. Aveva fatto un sonno tranquillo e senza sogni. Si era svegliato nel tardo pomeriggio, madido di sudore e con la familiare sensazione di cerchio alla testa. Allora si era preparato un caffè, aveva ingoiato un analgesico e fatto una telefonata a sua moglie e ai ragazzi; dalle tende filtrava, fioca, la luce aranciata del tramonto. Non si era fatto la doccia e non aveva aperto le finestre. Semplicemente si era di nuovo rintanato nel salotto, in quella stanza che ora puzzava di sudore e di chiuso, e fumando una sigaretta aveva riletto quello che aveva scritto la notte precedente. Si era messo a contare i fogli che aveva riempito: una dozzina, in tutto. Li aveva sfogliati con estrema attenzione, osservando gli schizzi mentre si sforzava di capire cosa rappresentassero alcuni di loro, leggeva le frasi ripetendole ad alta voce. Il nome di Gloria compariva, tra quelle pagine, centoquattordici volte, circondato ora da un cerchio ora dai nomi di tutte le persone che avevano avuto un ruolo importante nella sua vita: sua moglie, i suoi figli, Mike e Trè Cool, sua sorella Anna, suo padre. Aveva stracciato i fogli e afferrato una chitarra, una classica, e aveva iniziato a muovere le dita lungo la tastiera, ripetendo arpeggi già conosciuti o creandone di nuovi. Mentre suonava, però, la sua mente era altrove, si era persa indietro nelle ore, intrappolata tra i rami degli alberi del parco dove, il giorno prima, era stato con Gloria. Aveva ripensato al peso della sua testa addormentata sulle sue gambe, alle guance tinte di rosso per la febbre, alle sue labbra calde.  Così aveva iniziato a suonare sempre più velocemente, dagli arpeggi era passato a pennate più decise, cambiava accordi senza seguire un ritmo preciso. Continuava a pensare a Gloria e il suo sguardo era fisso sulla parete come se la sua mente si fosse improvvisamente staccata dal corpo e fosse tornata indietro di ventiquattro ore. Una corda si era rotta senza preavviso, e della nota stonata era rimasta un’eco tenebroso, simile al suono di una campana a morto. Billie Joe Armstrong era tornato alla realtà e si era accorto di essere senza fiato, il cuore gli martellava nel petto e goccioline di sudore gli colavano dalla fronte, aveva fame. Aveva ordinato abbondante cibo cinese e, nell’attesa che arrivasse, trangugiato una mela per fermare i morsi della fame. Di nuovo aveva telefonato a sua moglie, e nel sentire la sua voce si era reso conto di quanto le stessero mancando il suo sorriso e i suoi modi di fare gentili e allo stesso tempo decisi. Si erano salutati con un «ti amo» sincero, e quando aveva riagganciato si era sentito più confuso e abbattuto che mai. Nella sua vita non mancava nulla, aveva riflettuto: aveva una bella casa, degli amici fantastici, due figli splendidi e una moglie perfetta. Si era realizzato come musicista, certo, ma anche come marito, come padre, come uomo, insomma. Era soddisfatto della vita che era riuscito a costruirsi. Quelli erano i punti cardine della sua esistenza e per nulla al mondo avrebbe rinunciato anche solo a uno di essi. Eppure in quei momenti, chiuso in quella casa troppo grande e vuota per una persona sola, sentiva la mancanza di quegli occhi azzurri e di quel sorriso giovanile, e si era chiesto come fosse possibile non riuscire a impedirsi di desiderare quella ragazza e, allo stesso tempo, continuare ad amare sua moglie alla follia. Aveva riflettuto a lungo con lo sguardo fisso sul soffitto fino a che non si era addormentato di nuovo. Una volta sveglio si era sentito subito estremamente calmo e riposato. Aveva arieggiato la stanza dove era rimasto chiuso per un giorno e mezzo, aveva fatto una doccia e si era rasato. Si era vestito, aveva mangiato quello che era rimasto del cinese della sera prima ed era uscito di casa intorno a mezzogiorno.
 
Doveva parlare con Gloria, e doveva farlo nell’ora di pranzo, quando sapeva che sua sorella sarebbe stata occupata al ristorante e lei sarebbe stata sola a casa, allora era passato con la sua auto di fronte alla sua villetta, ma vi aveva visto parcheggiata nel vialetto una moto e, immaginando che avesse visite, si era appostato lì intorno in attesa che la motocicletta se ne andasse assieme al suo proprietario. A guardarle così, da una certa distanza, Gloria e le due amiche che erano con lei rispecchiavano pienamente quel prototipo di amicizia presente in qualsiasi telefilm americano, quella che si viene a creare in gruppetti di tre o quattro ragazze inseparabili, a detta loro, ognuna diversa dalle altre, sia caratterialmente che fisicamente,  e che basano la specialità del loro rapporto proprio su tutte le loro differenze, su ciò che le rende uniche nel loro gruppo, anche se sostanzialmente identiche alle altre centinaia di migliaia di ragazze che, come loro, avevano costruito un’amicizia del genere. Una di loro aveva i capelli rossi, indubbiamente tinti e tagliati cortissimi, e un anellino al naso. Era tozza e bassina, anche più di Gloria. L’altra aveva i capelli biondi e mossi, lunghi fino a pochi centimetri sotto le spalle. Era alta e snella, e il vestitino estivo che indossava lasciava intravedere morbidamente le curve giuste. Aveva il viso gentile e sorrideva con naturalezza, mentre l’espressione della sua amica rossa era più maliziosa e provocante.
Per passare il tempo provò a immaginare i loro ruoli all’interno del gruppo: la ragazza bionda doveva essere quella timida e riservata, quella che sorrideva sempre e che faceva girare tutti i ragazzi ai quali passava davanti, quasi senza rendersene conto. Quella dai capelli rossi, invece, sembrava essere la parodia di un punk; il frontman dei Green Day immaginò che dovesse essere la ribelle, l’anticonformista, quella perennemente in lotta con le convenzioni: il tipo di ragazza che, generalmente, non sta simpatica alle persone, tanto meno ai ragazzi.Poi c’era lei, Gloria: statura media, magra come un fuscello, curve praticamente inesistenti e sguardo della persona qualunque. Era anonima, Gloria. Era anonima in mezzo alle altre due ragazze. Era anonimo il suo modo di sorridere, il suo modo di vestire, di tenere i capelli, ma fu proprio quando capì chiaramente tutte queste cose, che Billie Joe Armstrong si rese conto del perché, quasi inconsapevolmente, avesse apprezzato sin da subito, e così tanto, quella ragazza: perché in un periodo in cui per i giovani contava avere un ruolo preciso e ben definito all’interno della società, contava identificarsi con un determinato gruppo di persone, Gloria sembrava volersi allontanare da tutti i luoghi comuni per rintanarsi in quello che i suoi coetanei avrebbero definito il più svantaggioso di tutti: l’anonimato. Non in maniera consapevole, certo, ma era così. Fu questo, che convinse Billie Joe: a un occhio poco attento Gloria non aveva nulla della ragazza speciale. Aveva una personalità particolare, contraddittoria come solo quella di un’adolescente poteva essere, non indossava abiti alla moda, o che comunque potessero rimandare a qualche stile particolare, e anche fisicamente non era né il tipo di ragazza davanti alla quale i ragazzi sbavano come lumache, né il tipo di ragazza che lascia totalmente indifferenti. Una ragazza qualunque, insomma, ma speciale proprio perché vera, totalmente priva di artifici. Quella ragazza non era la ribelle, la diva, la tosta. Era semplicemente se stessa, semplicemente Gloria, e questa era un’altra cosa che avrebbe voluto dirle non appena fossero rimasti soli.
Fortunatamente le due ragazze filarono via in motorino dopo pochi minuti, e Billie Joe Armstrong comprese che quello era il momento più adatto per uscire e andarle a parlare. Percorse a piedi, lentamente, i pochi metri che lo separavano dalla casa di Gloria e, una volta giunto lì di fronte, si fermò per un istante davanti all’accesso del vialetto sulla strada. Era una villetta bianca a due piani, non particolarmente grande, ma circondata da un bel giardino dalle siepi basse e curate. Un percorso lastricato collegava la strada alla porta di casa, e le girava tutto intorno mentre nello spazio restante vi era il prato inglese. Intravide la figura di Gloria sul retro, nell’angolo di giardino dove erano posizionati un gazebo e un tavolino di legno con delle sedie. Era voltata di spalle, e sembrava stesse facendo ordine sul tavolo. Mentre poggiava su un vassoio i bicchieri e la brocca di succo di frutta che aveva offerto alle sue amiche, sembrava non essersi accorta della figura che, silenziosa e risoluta, stava avanzando verso di lei. Si sentì chiamare per nome nel momento in cui si accinse a voltarsi per dirigersi verso la porta del retro. La voce che la chiamò si intromise nei suoi pensieri come il boato di un tuono, facendola trasalire. Il vassoio le scivolò via dalle mani e i bicchieri si frantumarono a contatto con il lastricato. Con uno scatto si voltò spaventata in direzione di quella voce con il cuore in tumulto e le pupille dilatate e solo quando si accorse di chi si trattava tirò un silenzioso sospiro di sollievo, mentre il suo viso rimase totalmente inespressivo. Lentamente spostò lo sguardo verso terra, dove i frammenti di vetro catturavano i raggi del sole, per poi tornare a rivolgerlo nuovamente verso il frontman dei Green Day mentre si piegava sulle ginocchia a recuperare il vassoio.
«Mi hai messo paura.» ammise Gloria con voce tremante sostenendo il suo sguardo. Aveva l’aria strana, Billie Joe. Il volto era rigido, il suo sguardo impenetrabile. Sotto gli occhi aveva disegnate due mezzelune scure e sulla linea della mascella aveva un sottile taglio che doveva essersi procurato facendosi la barba. Sembrava una sfinge. Anche il tono di voce con cui l’aveva chiamata aveva un che di strano. Gloria l’aveva notato immediatamente, ed era per questo che si era spaventata.
«Vedo che stai meglio.» annunciò lui con voce più calma chinandosi a sua volta proprio di fronte a lei, aiutandola a rimettere nel vassoio i pezzi di vetro più grandi mentre la guardava negli occhi, così vicini ai suoi, e sentiva di nuovo degli strani movimenti all’interno del suo stomaco che sembravano togliergli il respiro.
«La febbre è scesa quasi subito.» rispose lei, spiccia.
Lui annuì senza dire nulla.
Gloria continuò ad osservarlo circospetta. Sembrava di rivederlo come quella prima mattina al locale. Aveva gli occhi lucidi e il suo respiro aveva un vago odore di alcol.
«Sei strano, Billie. Perché sei venuto qui?» domandò lei dopo aver constatato che lui non avrebbe parlato. «Avresti potuto mandarmi un messaggio, se volevi sapere come stavo.»
Billie Joe scosse la testa.
«Dovevo parlarti.»
«E di che?»
Lui cacciò fuori un respiro pesante.
«Dello scorso pomeriggio.»
Gloria annuì con un movimento del capo pressappoco impercettibile, abbassando lo sguardo per qualche istante.
«Certo. È ovvio.» mormorò con uno strano sorriso sulle labbra.
Era da quello stesso pomeriggio, che Gloria stava aspettando il momento in cui lui le avrebbe detto di voler chiarire quanto era successo tra loro, e anzi le sembrava decisamente strano che avesse lasciato passare due interi giorni prima di farsi vivo, anziché contattarla telefonicamente e mettere in chiaro le cose in quella maniera, con il minor coinvolgimento possibile da parte di entrambi.
«Dovevo parlartene faccia a faccia.» spiegò lui quasi in risposta ai suoi pensieri.
Gloria annuì nuovamente e alzò lo sguardo su di lui, sul suo viso ancora così vicino e sui suoi occhi, fissi su di lei ma impossibili da penetrare.
«Ora siamo faccia a faccia. Parla.»
Billie Joe fece per aprire la bocca e parlare, ma si accorse solo in quel momento che in realtà non aveva la minima idea di cosa dire. Erano troppi, i pensieri che aveva nella testa e proprio non sapeva da che parte cominciare a spiegarsi: paradossalmente, proprio lui che aveva scritto testi per le sue canzoni che avevano fatto emozionare milioni e milioni di persone in tutto il mondo, non riusciva a trovare le parole per confessare a quella ragazza tutto quello che stava succedendo dentro di sé. Dopo un istante di silenzio lungo una vita si abbandonò ad un sospiro frustrato, nascondendosi la testa tra le mani.
Gloria osservò confusa quel suo strano atteggiamento.
«Billie, ma che-»
«Senti.» la interruppe lui con voce dura, alzandosi in piedi con uno scatto per poi passarsi una mano tra i capelli.
Gloria sentì che piegata in quel modo sulle ginocchia iniziava a sentire male alle caviglie, così si poggiò a terra a sedere, senza mai staccare lo sguardo dall’uomo che aveva di fronte e che la stava letteralmente mandando in confusione con quel suo insolito modo di fare.
«Non ti dirò che non amo più mia moglie.» precisò umettandosi le labbra. «E non ti dirò nemmeno che sono stufo di stare insieme a lei, o che non facciamo più sesso da una vita.»
Lei sgranò gli occhi e aggrottò la fronte in un’espressione perplessa.
«Perché non è così: sappi che io amo Adrienne e -tanto per mettere le cose in chiaro- noi facciamo sesso.»
Gloria sbatté le palpebre più e più volte.
«Facciamo tantissimo sesso.» ribadì guardando la ragazza dritta negli occhi come a voler essere certo che lei stesse capendo ciò che le stava raccontando. «Scopiamo come conigli.»
Lei non resistette oltre e con voce decisa ribatté: «Ok, l’ho capito che fai ancora sesso con tua moglie, ma perché lo stai raccontando a me?», e notando che lui esitava a rispondere proseguì:
«Tu pensi che io possa aver frainteso quello che è successo l’altro giorno, è vero? Beh, io ti assicuro che non è così.»
Poi con voce meno aggressiva e con sguardo sincero aggiunse: «Davvero.»
Contro ogni sua aspettativa, però, Billie Joe Armstrong si fiondò nuovamente in ginocchio davanti a lei e, senza darle nemmeno il tempo di capire, le prese il viso tra le mani. Gloria iniziò a tremare impercettibilmente, incapace di sottrarsi a quel contatto, e non solo a quello delle sue mani contro le guance, ma anche a quello dei suoi occhi, che sembravano comunicarle un qualcosa che lei non riusciva a decifrare.
Cosa stava succedendo?
Non conosceva Billie Joe, non abbastanza. Era un estraneo, era nel giardino di casa sua e la stava guardando con occhi che le facevano venire la tremarella.
«Gloria.» fece lui, accarezzandole le guance con i pollici. «Non sto capendo più niente.»
La sua voce era bassa ma risoluta.
«Io ci ho provato, te lo assicuro. Ci ho provato in tutti i modi, ma non riesco a starti lontano.»
Quelle parole fecero tremare Gloria più di quanto non stesse già facendo, il suo cuore sembrò fermarsi per un istante per poi ricominciare a battere più velocemente di quanto avesse fatto mai.  Con grande incertezza tirò indietro la testa e portò le mani su quelle di Billie, facendo in modo che si staccassero dal suo viso.
«Non guardarmi così. Quello che mi è successo da quando ti conosco -quello che ho fatto da quando ti conosco-... spiazza anche me, e tanto. È una cosa che non riesco neanche a descriverti, Gloria. Tu sei entrata nella mia vita in punta di piedi, ma lo hai fatto con una dirompenza pazzesca, e io non riesco più a pensare ad altro che a te.»
Parole del genere non se le era mai sentite dire da nessuno, e dentro di sé mai avrebbe immaginato che qualcuno avesse potute rivolgergliele, e ascoltarle così, provenire dalle sue labbra, dalle labbra di Billie Joe Armstrong, fu, in assoluto, la sorpresa più grande della sua vita. Sentiva la gola secca, aveva caldo e in più le sembrava di avere le guance in fiamme, forse le stava tornando la febbre, e non riusciva a trovare la forza di rimettersi in piedi.
Cosa le stava dicendo quell’uomo? Stava scherzando o faceva veramente sul serio?
Il dubbio la opprimeva, ma nonostante tutto si rifiutava di credere che fosse davvero così, anche se nei suoi occhi non c’era traccia né di ilarità né di qualsiasi altra cosa che avrebbe potuto far pensare a uno scherzo o a una presa in giro.
Si stava agitando, si accorse maledicendosi. Quelle parole la stavano spaventando, e tanto. Avrebbe voluto rispondergli di non dire cavolate simili, avrebbe voluto chiedergli spiegazioni, ma per qualche strana ragione che non seppe spiegarsi l’unica cosa che riuscì a dire fu:
«Non dare la colpa a me.»
Lui rimane di sasso per un istante.
«Non ti sto dando la colpa di niente.» rispose confuso.
«Sì, invece.» ribatté lei. «Tu stai dicendo che sono stata io a mettermi tra i tuoi passi e che sono stata io a sconvolgerti la vita, ma non è così. Io non sono entrata nella vita di nessuno, Billie. Eri tu quello fuori posto, l’altra mattina, al bar. Io ero esattamente dove dovevo essere, per cui non sono io che mi sono infilata nella tua esistenza. È tutto il contrario, semmai. Io non ho fatto assolutamente niente, hai fatto tutto tu. Sei tu che sei entrato al bar, sei tu che sei entrato nella mia vita, e quando sei tornato per regalarmi il cd, sei tornato lì perché tu volevi tornare. Non ti ho invitato io, ci sei venuto da solo.»
Di fronte a quelle parole lui sembrò fare qualche passo indietro.
«Lo so. Lo so, è vero, hai ragione, scusa. Non è colpa tua se sono arrivato a tutto questo. È colpa mia, ma ti assicuro che non avrei voluto. Non avrei voluto né metterti in mezzo, né tanto meno fare qualcosa di sbagliato nei confronti della mia famiglia, ma a questo punto non credo che serva a qualcosa cercare di capire di chi sia la colpa... perché non cambierebbe le cose. Io ormai ci sono dentro, e non posso ignorare quello che sento. Non posso più considerarti solo una semplice amica, non è quello che voglio.»
I suoi occhi esprimevano una sincerità spaventosa, e la cosa sconvolgeva ancora di più i pensieri già sufficientemente confusi della ragazza, che non riuscì a trovare altro modo di rispondere se non prendendo di petto la situazione.
«Ma ti senti? Che vuol dire che non è quello che vuoi? Che cosa vorresti, allora? Fammi capire, vorresti che stessimo insieme noi due? Che giocassimo a fare gli innamorati? A me non sembra una buona idea, sai?.»
«Perché?»
La sua voce era calda e onesta. Sembrava davvero che non riuscisse a vedere dove fosse il problema in tutto ciò, e Gloria tentennò per qualche istante prima di riuscire a darsi un contegno e rispondere alla sua domanda.
«Come perché? Perché... è folle. Sei sposato, hai dei figli, io ho vent’anni meno di te. Che futuro abbiamo?»
«Ma chi l’ha detto che per stare insieme bisogna avere per forza un futuro assicurato, Gloria? Non possiamo semplicemente vederci e stare insieme e vivere quello che c’è finché dura?»
Gloria sentì la testa vorticarle paurosamente mentre si massaggiava le tempie con due dita cercando, senza troppo successo, di fare chiarezza tra i suoi pensieri. Non ci riusciva, non era in grado di trovare la calma e la lucidità necessaria per rispondere pacatamente, così piuttosto che spiegare ragionevolmente le sue motivazioni si ritrovò ancora una volta ad attaccare lui, le sue idee.
«Tu devi essere pazzo.  Tutto ciò è una vera follia, Billie. Come puoi anche solo minimamente pensare che la cosa funzionerebbe? Credi davvero che valga la pena di mandare a puttane la tua vita per una cosa passeggera come questa? Sei folle, se lo pensi davvero.»
Fece una breve pausa per poi riprendere immediatamente senza neppure dare lui il tempo di replicare.
«Va’ a trovare tua moglie, fatti una bella chiacchierata con lei e vedrai che tutta questa confusione passerà in un battibaleno, fidati di me. E per quello che mi riguarda, forse è il caso che io te la smettiamo di sentirci e vederci. Sì, è molto meglio così.» e mentre pronunciava queste ultime parole, poggiò le mani a terra e tentò di fare leva sulle braccia per rimettersi in piedi, ma fu fermata da Billie Joe che le poggiò le mani sulle sue e le parlò a pochissimi centimetri dal suo viso. Il respiro di Gloria accelerò istantaneamente di fronte a quello sguardo che sembrava violentarla tanto riusciva a scavare in profondità nei suoi occhi spaventati.
«Lo sai benissimo anche tu che non funzionerebbe mai, Gloria. Non puoi farlo. Non puoi chiedermi di sparire dalla tua vita, perché ora come ora non mi è più possibile.»
La sua voce era, ancora una volta, dolce e carezzevole. Non c’era traccia di menzogna, né di opportunismo, e Gloria non trovò la forza, almeno per il momento, di ribattere.
 «Io ho vissuto per tutti questi anni senza di te, e ho sempre sentito che nella mia vita non mancava assolutamente nulla: io non desideravo niente di più di ciò che avevo, ma adesso, adesso che so che ci sei, ora che so che esisti e che sei vicina, io non posso far finta di non averti mai incontrata.»
Quelle parole le colpirono il cuore come la più affilata delle lame. Le sentiva, nello stesso istante, lacerarle le carni e poi rigenerarle e risanarle nuovamente. Comprendeva che quel contatto così intimo tra i loro sguardi avrebbe potuto farla cedere da un momento all’altro, e fu per questo che ancora una volta sottrasse le mani dal suo tocco e allontanò il viso dal suo, fissandolo questa volta con aria di rimprovero.
«Allora fai uno sforzo, Billie, perché tutto questo potrebbe creare seri danni, e io non voglio essere la causa di una famiglia distrutta. Mi dispiace che tu possa aver frainteso i miei atteggiamenti nei tuoi confronti, ma ti assicuro che si trattava di amicizia: nient’altro. Adesso, per cortesia, finiamola qui.»
La sua voce era diventata fredda e tagliente; Billie Joe Armstrong stentò a riconoscerla come la sua.
«Sembra quasi che tu sia scappando, sai?» commentò lui con uno strano sorriso sul viso.
Gloria aggrottò la fronte senza capire.
L’altro soffocò una risata scuotendo lievemente la testa.
«È così, stai scappando. Io sono sicuro che tu stia morendo di paura, in questo momento, perché se così non fosse ti renderesti conto che in realtà tu vuoi veramente stare insieme a me.»
Lei sbatté le palpebre più e più volte.
«Scusami?»
«Tu hai detto di no perché, secondo te, non ne varrebbe la pena. Ma non ne varrebbe la pena per chi? Per me, vero? Hai detto di no perché sono sposato, ho dei figli e vent’anni più di te. È solo questo, il problema, lo vedi? Tu hai rifiutato per paura, perché se non fossi stato sposato e non avessi avuto dei figli, tu non ti saresti fatta tanti problemi e saresti corsa tra le mie braccia senza farti pregare. Dimmi se sbaglio.»
Gloria abbassò lo sguardo a terra e scosse la testa, domandandosi tra sé e sé come accidenti fosse arrivata a quel punto, a quella discussione maledetta che la stava logorando dal più profondo di se stessa.
«Billie, tu hai una moglie e due figli. Ti sembra poco? Mi pare ovvio che non rinunceresti né a tua moglie né a loro ma, se è così, come accidenti ti passa per la testa l’idea che io possa anche solo pensare di diventare la tua... amante? E, soprattutto, come penseresti di nascondere tutto quanto alla tua famiglia, ai tuoi amici, o ai paparazzi? Non sei una persona comune, tu, te ne rendi conto o no? Non puoi permetterti certe libertà, lo sai benissimo.»
Tentò, con queste ultime parole, di mantenere saldi i nervi, di mantenere la calma, ma soprattutto cercò di essere lucida e di farlo ragionare, di metterlo davanti alla verità nuda cruda, all’impossibilità concreta di poter stare insieme, ma lo sguardo che Billie Joe continuava a puntare su di lei le dava da pensare che le sue parole fossero finite al vento.
«Lo so, infatti.» rispose lui, spiccio. «Tu hai perfettamente ragione, Gloria, ma io ancora non ti ho sentito smentire ciò che penso su di te.»
«Certo che l’ho fatto.»
«No, non è vero.»
Gloria sentì il sangue ribollirle nelle vene e fluire sulle sue guance. Non sopportava quella sue insinuazioni, non sopportava quella sua aggressività e, più di ogni altra cosa, non sopportava quella sua presunzione di sapere tutto quanto di lei.
«Ma si può sapere che diavolo vuoi, tu, da me?»
La voce di Billie Joe Armstrong, però, non risultò aggressiva come lei aveva immaginato. Piuttosto era una voce calda, sincera, che le fece tremare le gambe e, per questo, ringraziare di essere ancora seduta a terra.
«Io non voglio niente da te, te lo assicuro. Non volevo spaventarti, e non ti chiederei mai di diventare la mia amante, perché sarebbe troppo squallido ed è una cosa che non vorrei mai, per te. L’unica cosa che vorrei da te è... che tu riuscissi a gettare via questa maschera.»
Gloria sentiva il suo respiro farsi sempre più rarefatto, mentre per l’ennesima volta permetteva agli occhi di quell’uomo di violare l’intimità del suo sguardo.
«Io vedo qualcosa nei tuoi occhi, la stessa cosa che sono sicuro tu riesca a leggere nei miei. Io sono convinto che la mia presenza abbia su di te lo stesso effetto che la tua ha su di me, e che magari non te ne rendi conto fino in fondo perché non ti sei mai fatta domande a riguardo, perché hai preferito non farti domande a riguardo. Ma io sono sicuro di non essermi sbagliato, su di te.» disse scuotendo leggermente il capo, concludendo il suo discorso in un sussurro.
«Ne sono sicuro.»
«Che cosa pensi di fare, allora?» riuscì a domandare lei dopo diversi istanti di silenzio, senza riuscire controllare la tremarella, che si manifestò in tutta la sua evidenza mentre pronunciò quelle parole.
Billie Joe Armstrong prese tra le dita una ciocca dei suoi capelli, osservandola con sguardo indecifrabile per poi puntare nuovamente gli occhi dritti nei suoi.
«Niente. Solo una piccola prova.»
I sensi di Gloria scattarono all’istante, quasi in risposta a quelle strane parole, e la ragazza si ritrovò piegata sulle ginocchia, pronta a fare perno sulle punte dei piedi per tirarsi su e allontanarsi da lui, ma anche Billie Joe Armstrong si mosse repentinamente, posandole le mani sulle ginocchia per trattenerla a terra. Qualcosa dentro di sé le gridava convulsamente di allontanarsi, di fuggire, ma sentiva di non avere via di fuga, con le mani di lui poggiate così saldamente sulle sue. Incapace di muoversi, lo guardò questa volta con occhi spaventati.
«Che vuoi fare?»
Il leader dei Green Day non rispose, semplicemente si limitò ad avvicinare pericolosamente il viso a quello della ragazza.
«Billie?»
«Shh, non voglio farti niente.» rispose lui con voce carezzevole, proseguendo il suo avvicinamento. «Solo avere una prova di ciò che hai detto.»
Gloria avvertì distintamente il respiro di lui sulle sue labbra e con uno scatto si ritrovò a voltare la testa di lato, impedendo che avvenisse il fatidico contatto, ma si scoprì impossibilitata a controllare il fremito che le sconvolse per intero la spina dorsale, quando avvertì le labbra dell’uomo poggiarsi delicatamente sul suo collo in quello che le parve l’istante più lungo della sua vita. Sentiva il sangue scorrerle gelido nelle vene, ma quella porzione di pelle, quella a contatto con la bocca di Billie Joe Armstrong, scottava come il fuoco.
Poi le sue labbra si staccarono da quel punto e si andarono a posare più in avanti in un bacio leggero, per poi proseguire il proprio percorso ancora, ancora, ancora più avanti, ancora più su, sino a giungere alla mandibola in una scia di baci che le facevano venire la pelle d’oca e rizzare i peli delle braccia.
«Stai tremando.» sussurrò lui sorridendo lievemente senza mai perdere il contatto con la sua pelle.
Gloria non lo ascoltò nemmeno. Solo sentì le labbra di Billie Joe Armstrong risalire inesorabilmente: in una manciata di secondi avrebbero raggiunto le sue labbra, e allora -sapeva per certo- sarebbe stata davvero la fine, avrebbe perso qualsiasi appiglio dalla realtà, e non avrebbe più avuto alcuna via di fuga. Cosa diamine doveva fare, adesso, lei? Aveva la salivazione azzerata, il cervello totalmente annebbiato e sentiva il corpo gelato nonostante avesse la faccia rossa e bollente. Già da diverso tempo aveva chiuso gli occhi, e sentiva il proprio corpo iniziare a sciogliersi come un ghiacciolo lasciato al sole. Non poteva resistere un minuto oltre, tanto più che il suo cervello era completamente offuscato e non sarebbe stato minimamente in grado di controllarsi. Avrebbe voluto alzarsi e dire lui di smetterla, avrebbe voluto tranciare -e di netto, anche-  i fili di quella strana amicizia che, senza controllo, troppo velocemente, era diventata qualcosa di più, ma aveva diciotto anni e l’inesperienza e la voluttà degli adolescenti, e sentiva di dover lottare contro qualcosa di straordinariamente potente, per sottrarsi a quello che stava accadendo.
Improvvisamente, poi, la bocca di Billie Joe Armstrong pose fine al proprio percorso sfiorando un angolo delle sue labbra, mentre una mano era salita lungo il braccio, su per la spalla, e le era arrivata alla base del collo. Quelle dita le sfioravano la pelle con una lentezza che la ricopriva di brividi.
«Lasciati andare, Gloria.» mormorò lui con le labbra ormai poggiate su quelle della ragazza.
Gloria rilassò involontariamente la bocca, quasi come se il suo corpo avesse deciso di ribellarsi alla sua mente, sfidandola a fermarlo e accettando quel bacio che tanto le aveva fatto attendere.
Billie Joe interpretò quel gesto come un abbandono totale a lui, a quel sentimento strano e improbabile che li teneva uniti pur contro le regole e la morale, e sorrise mentre cercava di approfondire quel contatto, ma contro ogni sua aspettativa sentì le labbra di Gloria sfuggire via dalle sue con uno scatto.
«No!»  quasi gridò lei sottraendosi a quel bacio e scattando immediatamente in piedi, con tutto quanto che le roteava di fronte agli occhi. «Non possiamo.»
Deglutì a fatica, ingoiando quel nodo immenso che le aveva otturato la gola, e si portò le mani sulle tempie, che pulsavano furiosamente sotto le sue dita.
«Senti, mi dispiace. È sbagliato, tutto questo. Mi dispiace di averti fatto fraintendere qualcosa, ma non so proprio come aiutarti. Torna dalla tua famiglia e fa’ come se non ci fossimo mai incontrati. Vai via, per favore. » e così dicendo corse via dentro casa richiudendosi la porta alle spalle, senza aggiungere altro, lasciando quell’uomo fuori dalla sua porta e, assieme a lui, non soltanto i cocci di quella brocca che era andata in frantumi sul lastricato, ma anche tutti i frammenti del loro strano rapporto, e di quel bacio che sembrava essere sul punto di sbocciare e che, invece, era appassito prima che lui avesse avuto anche solo il tempo di accorgersene, di vederlo morire, polverizzato nell’aria.
Billie Joe Armstrong era ancora piegato sulle ginocchia, e fissava la porta chiusa dinanzi a sé quasi come non avesse capito quello che era appena successo. Gli aveva chiesto di sparire dalla sua vita, lo aveva pregato -anzi, obbligato- di andarsene. Lo aveva rifiutato proprio nel momento in cui si era convinto che avrebbe potuto veramente averla sua. Non poteva essere svanito tutto in così poco tempo. Avrebbe voluto che tutto ciò fosse semplicemente il frutto della sua immaginazione, avrebbe voluto aver sognato tutto, tutto quanto: quel pomeriggio troppo caldo, quelle parole che gli erano state dette, quella ragazza davvero troppo bella per lasciarsela scappare. Ma non era un sogno, si accorse. Lui era ancora lì, in ginocchio sul lastricato di quel giardino sconosciuto, con il sudore che gli imperlava la fronte, il fiato corto e, soprattutto, quella porta serrata davanti a sé. Non c’era davvero più alcun modo di aggiustare le cose.
 
Gloria aveva la schiena poggiata contro la porta. Aveva le guance in fiamme e le labbra che le pizzicavano per quel contatto a cui si era sottratta così repentinamente, vincendo una volta per tutte le pulsioni del suo corpo. Un rivolo di sudore le colava dalla fronte, aveva le braccia coperte di brividi e nelle orecchie il rumore martellante del suo cuore. La testa le girava vorticosamente dandole l’impressione di poter svenire da un momento all’altro, ma non era in grado di muoversi da lì: se avesse tentato di staccare la schiena dal muro sarebbe caduta a terra in quattro e quattr’otto, tanto sentiva le gambe fatte di sabbia. Guardava fisso davanti a sé con le pupille dilatate e il respiro affannato come se avesse avuto ancora le mani di Billie addosso e queste la stessero conducendo inesorabilmente verso il piacere più intenso che avesse provato in vita sua. Facendo scorrere la schiena lungo la superficie della porta si ritrovò seduta a terra mentre cercava di stabilizzare il ritmo del proprio respiro, e di recuperare quel po’ di lucidità sufficiente a ripensare a quello che era appena successo, e mentre cercava di tenere a bada quella vera e propria sindrome da batticuore tentò di convincere sé stessa che quello che aveva appena fatto fosse la cosa giusta o, quanto meno, l’unica cosa che avesse potuto fare.
 
[Continua]
   
 
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