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Autore: Fiby_Elle    13/03/2013    11 recensioni
“Cosa facciamo, Zayn… cosa facciamo se muore…” mi chiede Harry con la voce rotta, ancora con Louis che non molla la presa dai suoi fianchi.
Li guardo e quasi mi viene da ridere.
Luis sta immobile come se un solo movimento potesse consegnarti alla morte ed Harry… Harry ha questa malsana convinzione che io abbia sempre la risposta… quel suo modo sfacciatamente infantile di prendere la verità dal fango e buttarla in faccia…
Già, cosa facciamo se muori, eh Liam?
Cosa faccio IO se muori?
“Non muore, Harry… è semplice…”
“Sì, Zayn, ma se muore? Se muore davvero?”
“No Hary, Liam non muore… perché io proprio non lo so che cazzo facciamo se muore!”
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Liam ha un incidente brutale ed è appeso a un filo, tra la vita e la morte. Zayn non piange, non si dispera, ma decide di non lasciarlo andare senza la sua personale verità, senza essersi spogliato di tutto ciò che ha nel cuore. Il ricordo di un amore consumato, ma mai vissuto, puro e sbagliatissimo, nascosto agli occhi delle fans e soprattutto nel profondo di Zayn. Le confessioni di un ragazzo innamorato, che ha paura che oramai sia troppo tardi...
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Liam Payne, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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9.



Il locale è tranquillo, Liam, uno di quei club di periferia piccoli e curati riservato a pochi adepti, ragazzi già uomini in giacca e cravatta, bambole truccate dai vestiti invisibili.

La musica è forte, i corpi sulla pista oscillano seguendo il ritmo, sopra di loro c’è una cupola trasparente, di cristallo, dove il cielo di Roma si staglia bello come un dipinto, un fulgido manto di nuvole e stelle.

Il proprietario ci ha riservato le balconate, il privè più esclusivo, ci ha arenato su dei divanetti costosissimi quasi fossimo i Re Magi e pensando di farci un favore ha fatto salire un gruppetto di gente, una decina di bambine disinibite e qualche ragazzino, così, per sentirsi a posto con la coscienza.

A me si avvicina subito una bionda, la vedo che mi punta e ci mette pochi secondi a raggiungere la mia postazione con un bicchiere pieno alla mano. Dice di chiamarsi Dalila, parla un inglese un po’ stentato, ma si fa capire con gli occhi, le labbra, le mani, mi chiede come va la serata, se mi piace l’Italia, se penso di tornare.

Che ti frega, vorrei dirle, io per te sarò un nome da vantare con le amiche, da portare a spasso con superbia come un cagnolino di razza.

Mentre blatera, mi guardo intorno.

Harry e Niall sono circondati da donne luccicanti come Dalila e flirtano, bevono, ridono facendo un gran casino, senza pensieri scomodi a occludere loro la gola.

Perché questa è la normalità, Liam, quattro chiacchiere, mani che scivolano e sesso senza sostanza. È così che si fa, è così che gira il mondo, è esattamente così che giravo anche io prima di incontrarti, ma adesso guardo questa lucciola sperduta, le sue ciglia troppe lunghe, le sue braccia troppo candide, osservo la voglia che ha negli occhi, la malizia nelle sue labbra laccate e dov’è la tua innocenza, Liam, spiegamelo, dove sta la tua purezza, la tua audacia di piccoli gesti, la tua nuca spoglia e tesa, disegnata sulle vertebre per posarvi in mezzo un bacio?

Bevo, bevo tra le ciarle insignificanti della mia lucciola, mi gira la testa, sono ubriaco.

Non importa, Liam, non importa.

Tu sei seduto a un tavolo studiatamente appartato e Dylan ti fa ridere coi suoi sussurri all’orecchio, la sua fronte contro al tuo collo, la mano stretta casualmente intorno alla coscia.

Non importa, Liam, non importa.

Non so chi sono, non so cosa sto dicendo, balla pure con lui, lascia che i vostri fianchi si incontrino, non badare a questo vigliacco che ti osserva e ti scopa in silenzio, non ha il coraggio di ammettere il tuo pensiero neanche alla sua anima stupida.

Balla, piccolo mio, sorridi.

Io vado in bagno a fottere la mia lucciolina, questo volto senza senso in cui io imprimo, a forza, le tue sembianze.

Chissà se oltre a un bacio, ella non mi rubi anche il tormento.
 


Ho perso il senso del tempo.

Non so cosa sia successo in quel bagno, non ne ho ricordo.

L’ultima cosa che rammento è un vestito che scivola, forme che non ti appartengono, sigarette che si trasformano magicamente in canne.

Altro alcol, altro sesso.

Voglio morire.

Quando mi accorgo di star vagando senza meta, sono già al centro delle balconate. La testa gira così forte che ho le vertigini, le immagini di Niall ed Harry impegnati in incontri amorosi appartati sui divanetti scorrono passive nel mio cervello, ma sono distorte, superflue, le registro come un rumore di sottofondo e intanto i miei occhi girano ancora inquieti per la sala.

Il respiro si spezza alle possibilità che formula la mia testa.

Non ti vedo.

Non vedo Dylan.

La paura di voi insieme, aggrovigliati su di un letto, mi straccia a brandelli l’anima.

Vacillo un secondo, il mondo finisce e la voglia di distruggere tutto si annida nelle mie vene così intensa che mi tremano le mani.

È in quel momento che ti vedo.

Sei da solo, non ti sei mai mosso, appoggiato alla ringhiera di ottone, osservi pensieroso il formicaio che danza di sotto e sei talmente bello tra quelle luci psichedeliche, Liam, così bello che sembri un angelo appollaiato a curiosare tra gli umani.

Ti raggiungo in pochi passi, ti accorgi della mia presenza solo quando ti plano addosso come un avvoltoio e affondo il mio viso tra il tuo collo e le spalle.

Sussulti. Sei sorpreso. Lo sono anch’io.

Ma ho avuto così paura, Liam, così paura di averti perduto che se adesso il tuo odore non raggiunge subito il mio petto e mi rassicura il cuore, sento che il battito si ferma ed io ti muoio, qui, tra le braccia.

Provi a dire qualcosa, qualunque cosa.

Io ti bacio la nuca.

“Zayn…” sussurri.

Le mie mani scivolano tremando sui tuoi fianchi, sulla tua pelle nuda, sotto la stoffa.

Ti sta battendo il cuore così forte, Liam, che lo sento sul mio sterno, nel palmo della mia mano.

“Vieni via con me, Liam..” dice la mia voce, non so cosa abbia in mente.

“Dove?”

“Non lo so. Lontano. Fuori dal mondo. A Roma…”

Ti giri lentamente, nel mio abbraccio di ossa e carne.

Alzi il volto; i tuoi occhi liquidi incontrano i miei ed è come nascere, di nuovo, mille volte, senza fine.

“Sei ubriaco…” rispondi, ridendo di imbarazzo.

Ti prendo il viso tra le dita.

“E tu sei bellissimo, Zahir*…”

Ci perdiamo negli occhi l’uno dell’altro, ridiamo come due deficienti, sei un po’ brillo anche tu.

Poi la tua mano si intreccia alla mia, all’improvviso, e cominciamo a correre, insieme, non so bene dove, io con la testa che gira, tu coi capelli troppo lunghi, cresciuti questo inverno, che ti saltellano sulle spalle.

La sicurezza si accorge troppo tardi della nostra fuga, prova a prenderci, ma noi siamo furbi questa notte, Liam, ci perdiamo tra la folla e le luci ci nascondono, mentre quegli omaccioni rotolano sul primo gradino, noi siamo già alla porta di ingresso, un passo verso libertà.

Mi volto indietro solo un secondo.

Harry e Niall saltellano dai balconi, tenendosi su malamente i pantaloni calati, fanno un tifo da stadio.

Tra gli sguardi attoniti della gente, uno di ghiaccio, gelido, meschino.

Dylan.

 

Ci infiliamo in un taxi a caso, apriamo la portiera bianca della prima monovolume italiana che ci troviamo davanti e ci buttiamo dentro così all’improvviso che il povero taxista fa un balzo sul sedile, sfiorandosi teatralmente il cuore con la mano.

Ci guarda mentre ridiamo a squarciagola come due bambini, tenendoci la pancia, intrecciando ancora le dita. Rimane perplesso, ma poi scrolla la testa e con un sorriso parte, chiedendoci semplicemente la nostra destinazione.

Già, qual è la nostra destinazione, Liam? Cosa stiamo facendo? Dove stiamo andando?

Frugo tra i miei ricordi di storia, quel poco di scuola che ho fatto e “A San Pietro!” urlo e non so nemmeno di cosa sto parlando. Ci mettiamo poco a raggiungere la meta, probabilmente ho indicato senza volerlo un luogo vicino, l’autista ci indica una stradina, ci spiega di seguirla tutta per ritrovarci alle spalle esatte della piazza che cerchiamo.

Gli allungo una banconota di taglio troppo grande, vuole darmi il resto, ma noi stiamo già fuggendo nel silenzio di quella notte folle.

Stai tranquillo autista, mi stai regalando la notte più bella della mia intera esistenza. Ti assicuro che quella banconota, insieme a tutto il denaro del mondo, non sarebbe abbastanza.

Torniamo a correre. Mi stai avanti, Liam, sei più allenato, guardo le tue gambe mangiare centimetri in pochi passi e vorrei stringerti le ginocchia. Ogni tanto ci guardiamo negli occhi, nel buio non distinguiamo le immagini, i colori, eppure io sento i brividi mentre so che le nostre pupille, a tentoni, si cercano nell’oscurità.

All’improvviso ti fermi, mi fermo. Siamo arrivati.

Piazza San Pietro è enorme, così grande che noi ci confondiamo coi sampietrini incastonati al suolo, sotto le nostre scarpe; ci stringiamo l’uno all’altro perché ci sentiamo piccoli come stelle, schiacciati da quella magnificenza antica, austera.

Sei il primo a prendere coraggio. Ti avventuri, scivolando via dalle mie dita, giri la testa a destra e a sinistra, non sai di cosa sorprenderti per prima e con la luce di quei marmi, di quei lampioni caldi sulla tua pelle di sabbia ritorniamo alla prima sera che ti ho conosciuto, quell’alba meravigliosa in cui ti sei insinuato nei miei pensieri. Sei così bello, Liam, così bello e così innocente che ho paura di scoprire che tu sia fatto di marmo, che tu non sia altro che una di queste incredibili statue di angeli che ci osservano con le loro orbite cieche.

Lentamente arriviamo al centro della piazza. Fai un giro su te stesso, per bearti a pieno di quella bella visione, io invece mi avvicino a te in silenzio, coi passi delle scarpe che però risuonano, sorde, in tutta la piazza vuota.

Sono le quattro e trenta del mattino ed io ti prendo il polso.

Osservi la mia presa sulla tua carne, timidamente cerchi i miei occhi, barcollando un attimo subito dopo. Le tue guance si infiammano, colorandosi di rosso acceso ed io non resisto più, con uno strappo deciso, ti porto incontro al mio corpo e ti tengo, stretto, questa volta non ho voglia di abbandonarti.

Le nostre gambe si intrecciano, i nostri fianchi sono incollati, le mie mani indirizzano il tuo collo, raccolgono il tuo viso freddo e morbido; le nostre fronti, i nostri nasi, si sfiorano.

San Pietro è immobile, le statue zitte, c’è solo il suono dei nostri cuori che corre tra le colonne, tra le case della gente, sveglia tutta Roma.

Affoghiamo negli occhi l’uno dell’altro. Tremiamo così forte, le emozioni sono così intense che cerchiamo inconsciamente di avvicinarci ancora, fino a fonderci, miscelare le nostre sostanze, magari le nostre forze, per evitare di cadere al suolo.

Le nostre labbra schiuse poggiano l’una sull’altra senza muoversi.

E non lo so cosa succede, Liam. Davvero non lo so. So solo che sulla Terra l’ossigeno è finito tutto, non ce ne è più un grammo, non c’è più niente e se io non rimango lì, a respirare il tuo respiro, a nutrirmi del tuo alito caldo, con le nostre bocche che combaciano appena, ma immobili, io muoio, Liam, capisci, mi sembra che crolli il mondo.

E forse la mia vita è stata tutta un’apnea, piccolo mio, un lungo trattenere il fiato.

Finché non sei arrivato tu.

È un secolo.

Sono minuti in cui la vita ci passa davanti, tutta insieme, rapidissima.

Poi la bolla scoppia.

“Li ho trovati! Mario li ho trovati!”

Ci allontaniamo l’uno dall’altro di scatto e il calore sulle nostre giacche, sui nostri indumenti, quasi ci brucia per quel brusco distacco. È un poliziotto italiano quello che si avvicina a passi svelti verso di noi, ha la faccia assonnata, ma sta sorridendo; tra le mani inguantate stringe dei pezzi di giornale e osserva un paio di volte quelle e noi, prima di annuire deciso e illuminare il volto rugoso in segno di vittoria.

Gira il muso verso il suo collega e come stesse parlando di un giocattolo, un oggetto, squarcia l’aria un’altra volta per urlare: “Li ho trovati! Chiama in albergo! Sono sani e salvi!”

Ci chiede di seguirlo con gentilezza, ma lo stesso ci mantiene per i gomiti fino alla macchina. Ci butta dentro una Fiat, piccola, sgangherata, ci saluta con un cenno gentile, ma subito dopo chiede all’autista di partire e assicurarci la portiera.

Tu ed io restiamo in silenzio, non ci guardiamo, tutte quelle sensazioni ci hanno distrutto e siamo lontani da quella terra, in realtà, anni luce.

Ogni tanto l’autista ci scruta dallo specchietto retrovisore, si assicura di far bene il proprio lavoro, forse si chiede pure cosa abbiano di tanto speciale questi due ragazzini da costringerlo a star sveglio alle cinque del mattino, ma se pure mentalmente ci stesse maledicendo, non mi importerebbe comunque.

Nel trambusto della mia testa, volto il mio viso verso il tuo, intento a osservare la strada. Noti il mio riflesso nel vetro, appoggi come me la nuca al sediolino e poi restiamo a fissarci così, in silenzio, per un tempo che non si potrebbe umanamente calcolare.

 Le mie dita scivolano sul velluto, afferrano due a caso delle tue falangi, le tengono strette.

Stasera sono coraggioso, Liam, ho spento il cervello, seguo soltanto il cuore.

Stasera sono italiano.

“Li baci tutti? I ragazzi che conosci da una sera? Da una cena? Li baci tutti?” mormoro, vergognandomi di quella domanda, ma non riuscendo in alcun modo a liberare le pupille dalla tua presa.

Dimmi che sono l’unico, Liam, dimmi che nessuno ha mai forzato la tua purezza all’audacia, come ho fatto io.

Rimani un attimo interdetto, poi accenni un sorriso.

L’alba di Roma incastrata sul tuo volto.

“No.” Sussurri appena e solo questo riesci a dire Liam, solo questo perché l’attimo dopo io ti ho afferrato il mento e ti ho morso le labbra.

Ci baciamo. Ci conosciamo. Ci incastriamo. Le nostre lingue giocano insieme ai denti scomposte e disordinate. Non c’è verso, non c’è direzione, non c’è senso, ma dopotutto neanche in noi, Liam, soprattutto in noi e quindi chi se ne fotte, di che ci preoccupiamo.

L’autista sposta gli occhi in febbrile imbarazzo tra noi e la strada.

E che ci guardi pure, Liam, non fa niente, si metta pure a studiare la funzione delle nostre lingue, il suono delle nostre mani che premono, racconti ai suoi colleghi tutta la passione che ci corrode il sangue.

Io ti bacio e un pianeta da qualche parte sta esplodendo, ho un infarto, ne sto avendo cento, qualche osso s’è spezzato, poi si è ricomposto, la Terra ha interrotto il suo giro un solo secondo e poi ha ripreso, più veloce, ma dalla parte sbagliata.

Non importa, Liam, che ci bruci pure il sole, che ci cada addosso la luna, io sono qui e sono morto, la vita me la dai tu in questo momento, soffiandomela in gola.

La macchina si ferma all’improvviso, bruscamente, il modo poco galante dell’autista per dirci che siamo arrivati.

Le nostre labbra si staccano con uno schiocco sordo, ci guardiamo negli occhi due secondi e forse ci parliamo più così che in mesi di convivenza. Ti accarezzo la guancia; non usciamo da qui Liam, il mondo è cieco, fa spavento, io e te qui stipati in questa monovolume siamo un paradiso intoccabile, nessuno può farci del male.

Ma la portiera si apre lo stesso, l’aria fredda ci investe di colpo, in italiano sporco due uomini ci intimano di camminare.

È finita Liam, torniamo alla realtà.

La prima persona che ci viene incontro quando mettiamo piede in albergo è Paul. È così furioso che ha il volto paonazzo, temo che la pressione gli sia arrivata a trecento, ci sgrida non preoccupandosi di controllare il volume della voce, gesticolando in modo così brusco e nervoso che qualche poliziotto si allarma e cerca di calmarlo.

“Ma siete impazziti? Scappare in questa maniera? In piena notte! Ubriachi come siete! Poteva succedere qualsiasi cosa!” prende ad urlare, guadagnandosi qualche sguardo spaventato da parte delle signorine della reception.

Ha ragione poteva succederci qualsiasi cosa ed in effetti a me è successa, Liam, ho perso il cuore, me lo hai succhiato via dalla bocca a Piazza San Pietro e adesso te lo tieni dentro, avvolto dentro al tuo, come un embrione nella pancia.

Mentre quei rimproveri ci piovono addosso, le nostre teste si abbassano, i nostri occhi sono incollati alle scarpe, ma qualcosa in sordina, attira lo stesso la mia attenzione.

Con la coda dell’occhio, nel piccolo salottino di lettura, Dylan Atwood parla col poliziotto che ci ha trovati e quell’autista guardone, ringraziandoli con una stretta di mano e un sorriso cordiale fin troppo sincero.

In un attimo i suoi occhi cerulei cercano i miei, li trovano, li incatenato, sono due frecce avvelenate.

Con le mani affondate nelle tasche, si avvicina a noi ed io so già di dover avere paura.

“Paul, Paul! Ti verrà un infarto se continui a stressarti in questo modo, fai un bel respiro, avanti!” dice col suo tono suadente, portando un braccio intorno alla spalla della nostra guardia del corpo e stringendola forte.

“Ma… ma…” prova a balbettare, eppure la sua forza bruta non può niente contro quel sorriso disarmante, uno sguardo intenso e la bestia si ammansisce, diventa creta nelle mani del suo domatore.

“Siamo stati tutti adolescenti, Paul, non dirmi che non hai mai fatto una bravata. Zayn e Liam sono qui ora e stanno bene, questo è l’importante no? Non è successo niente, vero?”

E la sua espressione è dolce, Liam, paterna, imbambola tutti voi, ma il modo in cui pronuncia l’ultima domanda, quella voce che inchioda, sono i rintocchi di una condanna che io avverto sulla pelle, trasformati in brividi.

È in quel momento che capisco.

Dylan sa.

Dylan sa tutto.

“Che ne pensate se adesso ce ne andiamo un po’ a dormire? A mezzogiorno prendiamo l’aereo e tutta questa incresciosa faccenda ce la lasciamo alle spalle, sarebbe fantastico no?”

Tutti annuiscono molto più calmi e sorridono a quel demagogo sensuale senza accorgersi di essere un branco di pedine.

Muovo un passo verso l’esterno, sicuro di poter finalmente scappare, invece la sua voce tagliente mi raggiunge di nuovo.

“Paul perché non accompagni Liam alla sua stanza? Io penso a Zayn.”

Mi volto di scatto.

Paul annuisce, circonda le spalle di Liam e si avviano verso le loro camere, al piano terra.

Dylan mi si avvicina, mi stringe la spalla e “Andiamo?” chiede, trascinandomi con una presa leggera fino agli ascensori.

Non mi muovo, il mio respiro è pesante, scrollo la sua mano calda con uno scatto brusco.

Appena l’elevatore arriva ci saliamo dentro e quando le porte si chiudono io mi faccio in un angolo, deciso a non farmi toccare ancora da lui. Ma Dylan intuisce le mie intenzioni e mi blocca di nuovo, questa volta con più decisione, portandosi dietro di me.

Siamo soli, ma la sua voce è un sussurro malizioso all’orecchio, le dita strette sul mio fianco, sul mio gomito.

Alzo gli occhi verso lo specchio e rabbrividisco.

Dylan ha il viso incastrato sulle mie spalle e gli occhi talmente vivi di cinismo che mi fanno paura.

Provo a muovere un piede, lui mi inchioda facendo finire la mia fronte ad un soffio dallo specchio.

Ferma l’ascensore.

“È così divertente giocare con le bambole, vero Zayn? Un vero spasso…”

I miei muscoli si irrigidiscono.

Il mio riflesso nello specchio dell’ascensore ha gli occhi sbarrati per la sorpresa.

“Oh no, no, no! Non guardarmi così, cucciolo! Non c’è bisogno! Li ho avuti anch’io diciassette anni e lo so... lo so quanta voglia tu abbia di sperimentare... provare... toccare...”

La sua voce si assottiglia e una risata cattiva, un po’ isterica, gli riempie la bocca, scaldandomi il padiglione auricolare. Vorrei scacciarlo e correre via, invece sono così teso dalla rabbia che non riesco neanche a muovermi.

“Non so di cosa tu stia parlando…” riesco soltanto a dire e svio i suoi occhi di cielo, che si divertono a scavare dentro i miei.

“Oh ma sì che lo sai, Zayn. Lo sai benissimo, lo sappiamo tutti e due… e come darti torto dopotutto… Liam è così… così… perfetto…”

“Smettila!”

“La sua innocenza da sporcare… la sua pelle da sfreggiare… Liam è la bambolina più bella di tutte, vero Zayn? La più succulenta!”

Ed è un secondo.

La rabbia mi invade le vene con tale prepotenza che mi accorgo di aver reagito solo quando il collo di Dylan è tra le mie mani e la sua testa è contro le pareti dorate del nostro ascensore.

Stringo, stringo forte la sua pelle, la voglia incontrollabile di spezzargli le ossa.

“Non parlare così di lui…” sibilo, scandendo le parole tra il respiro rotto per l’impeto e il sangue che accelera.

Lui ride, tossisce, un po’ soffoca, ma ride.

“Mi hai capito?! Non nominarlo! Non parlare così di lui! Non provare nemmeno a…”

“A fare cosa di preciso, Zayn?! Dillo! Avanti! A toccarlo?! A scoparlo?! A fare esattamente quello che faresti anche tu se solo ne avessi il coraggio?!”

E la testa di Dylan sbatte contro la parete prima che la mia mano lo lasci, si nasconda dietro la schiena.

Mi ritraggo in un angolo, vigliacco e spaurito come un topo di fogna.

“Non è vero...” sussurro così piano che le mie labbra tra le parole si incollano “Non è vero... tu non sai niente...” dico a Dylan e forse lo dico anche un po’ a me stesso, a quella parte di me che ha paura che le accuse di Dylan siano vere, che la mia ossessione per te, per il tuo odore di rosa, non sia altro che l’egoismo di volere il tuo corpo, la tua distruzione, solo ed esclusivamente per me.

Dylan si rialza lentamente, tenendosi lo zigomo già un po’ livido, un po’ gonfio.

Mi osserva dal suo lato del quadrato e questa volta non ghigna, non ha niente di beffardo, ma il suo volto inclinato, se possibile, fa ancora più paura perché per un secondo, io ho l’impressione che cerchi qualcosa in me e dopo lungo scavare, la trovi.

D’un tratto mi sento nudo, è come se le sue iridi belle mi avessero sottratto qualcosa.

Scuote la testa facendo ciondolare i capelli corvini, un’espressione crudele si fa strada sul suo volto.

“Tu sei innamorato di lui…”

Mi rompo.

“Tu sei innamorato di lui!” ripete, come avesse scoperto l’America, la cura del cancro, un tesoro inestimabile.

Ed io mi faccio piccolo, Liam, vorrei confondermi con questa parete, prendendo alla sprovvista Dylan riesco ad arrivare al quadro di comando e far ripartire l’ascensore fermo, ma poi lui mi afferra, di nuovo, e questa volta mi sbatte la testa contro lo specchio che si infrange come la pelle mia all’altezza della tempia.

Sento il sangue che cola inesorabile lungo la guancia.

Non è vero che ti amo, Liam, non è possibile, io non posso amare nessuno che non sia me stesso, nessuna che abbia il potere di farmi del male. Io l’amore non lo conosco, non lo voglio, non posso nutrirlo per te, uomo, amico, alleato.

Ma allora cosa voglio?

Questa paura che mi prende, questo brivido che sento dentro mentre ti guardo, ti prego spiegami, dimmi cos’è.

“Sai qual è la differenza tra me e te, Zayn Malik? Che io, a differenza di te, non ho niente da perdere.”

Il suo corpo grava sul mio affondando la ferita nella spaccatura, togliendomi l’ossigeno premendo sullo sterno.

“Cosa penserà tuo padre, quando gli confesserai che hai voglia di fotterti un uomo? Cosa penseranno le vostre fans, quei milioni di ragazzine che vi seguono solo con la speranza di portarvi a letto, che baciano i vostri poster, che vi sognano la notte e si bagnano le mutandine? Eh, cosa penseranno loro quando scopriranno che sei frocio? Che ti piace il cazzo? Che non hanno speranze!”

Cerco di dimenarmi con tutta la forza che trovo, scalcio, urlo, premo sulla superficie dorata nel tentativo di allontanarmi almeno dal vetro, ma le sue parole sono pesanti, Liam, più pesanti del suo corpo e mi buttano a terra, ancora prima che lo facciano le sue mani serrate.

Rilasso i muscoli delle braccia, delle gambe, del collo.

Mi arrendo e sono un burattino nelle sue mani.

“Il contratto con la Modest parla chiaro: dovete curare il vostro aspetto, apparire sorridenti e disponibili, altrimenti non vendete, è un dato di fatto. Le bambine sono volubili, Zayn, non è colpa di nessuno, seguono quello che dice loro l’ormone e appena sapranno che avete infranto i loro sogni la maggior parte si arrabbierà con voi e vi abbandonerà. Alcune vi supporteranno, è logico, ma poi arriverà un’altra boyband di ragazzotti belli e soprattutto etero e anche loro, alimentate dai sogni, dalle speranze, se ne andranno via.”

Il corpo di Dylan si allontana dal mio, la sua stretta si allenta dai miei capelli ed io posso finalmente respirare. L’aria mi ferisce i polmoni, la testa mi gira e il sangue ormai mi bagna il colletto della camicia, trasformando il blu della stoffa in un ebano scuro.

Potrei, ma non riesco a oppormi alla sua carezza, ai suoi occhi che inchiodano il mio riflesso inanimato, il tono paterno della voce con cui continua a infliggermi martellate alla pancia.

Quanto può essere dura la verità, Liam?

Possibile che qualcuno sopravviva?

“È davvero a questo che vuoi condannare Louis, Harry e Niall? Per una scopata, per una cotta adolescenziale sei sicuro di voler far perdere loro tutto quello per cui hanno lottato?”

Le porte dell’ascensore si aprono e uno spiffero d’aria pura, come uno schiaffo, colpisce la mia pelle accaldata, ma restituisce un po’ di luce.

Dylan fa qualche passo verso l’esterno, senza smettere di guardarmi, sistemandosi la giacca e la cravatta come non fosse successo niente, come se non mi avesse appena aperto una voragine nella testa.

È già oltre il mio campo visivo nello specchio quando sento la sua voce offrirmi l’ultima stilettata.

“Ci hai messo così poco ad arrivare in cima, Zayn Malik, così dannatamente poco… quanto pensi che ci voglia a cadere al suolo e spaccarti le ossa?”
 
 



* Zahir: parola araba che indica un pensiero ricorrente, una sorta di chiodo fisso alla quale la mente non può smettere di pensare.

Sono quasi sicura che arrivata a questo punto la parte criminale di voi, sia già riuscita a formulare almeno 100 modi per uccidere Dylan. Lo so, lo so, tranquille, fate molto bene e vi assicuro che a lungo andare sarà anche peggio, credetemi. Vi dico soltanto che fino ad adesso lo stronzetto si è limitato alle parole, ben presto passerà ai fatti e vi assicuro che lo farà in maniera del tutto inaspettata.

Questo capitolo per me è uno dei più importanti: c’è il primo vero bacio di Liam e Zayn e la scena di Piazza San Pietro che mi sta particolarmente a cuore. È lì che io e quello che è il mio attuale marito ci siamo scambiati il primo bacio, quindi fate un po’ voi.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che questo famoso primo bacio Ziam nella macchina della polizia, vi sia piaciuto e sia riuscito ad essere abbastanza originale. La scena della piazza invece dovrebbe più o meno somigliare ad una cosa simile:

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Io vi lascio al nuovo Papa gente, un saluto benedetto a tutti voi! <3

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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