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Autore: Alkimia    14/03/2013    6 recensioni
[CONCLUSA]
«Stanotte ho sacrificato la verità e la mia anima per il tuo futuro, Loki. E ti giuro che farò tutto quanto è in mio potere perché questo futuro sia il più radioso che un individuo possa ottenere».
Il bambino fece uno sbadiglio e chiuse più volte gli occhi, come se volesse dormire. Lei gli posò un bacio sulla fronte liscia e pallida poi se ne andò.

Ogni storia ha un “prima”. Prima del male, prima della caduta, prima della sconfitta c'erano i due figli di Odino e la loro precettrice.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Thor, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ehm, ehm...
*tira via le ragnatele e i batuffoli di lanuggine*
No, non avevo dimenticato questa storia anche se l'ho lasciata per tutto questo tempo a macerare nell'oblio. In molti di voi mi hanno chiesto delle sorti di questa fanfiction in privato e vi ringrazio, perché è stato uno dei motivi che mi ha spinto a non dimenticarla – non che ne avessi intenzione, comunque.

Mi scuso per il tremenderrimo ritardo con cui aggiorno e tutto quello che posso fare per farmi perdonare è promettervi che per il prossimo aggiornamento non ci vorranno mesi (^_^'')

*******



3° Episodio

''Saper leggere il libro del mondo
con parole cangianti e nessuna scrittura,
nei sentieri nascosti in un palmo di mano,
segreti che fanno paura...''

Loki si alzò in piedi. La sua ombra sembrò incombere su Snotra come se lui fosse capace di modellare il buio che si era drappeggiato attorno.
Il cuore della donna mancò un battito.
Lui prese a camminare per l'angusto spazio della cella. Snotra seguì i movimenti del giovane principe con la coda dell'occhio: il suo passo era stanco, strascicato e le catene che ancora gli tenevano i polsi tintinnavano nel silenzio vuoto della prigione.
La luce del sole che filtrava dalla finestrella triangolare si era fatta leggermente più calda e intensa, una lama di pulviscolo dorato che attraversava la stanza chiusa e che non bastava a sfoltirne le ombre.
Loki si fermò di fronte al letto sul quale la donna era rimasta seduta, si appoggiò con le spalle al muro in una posa che voleva sembrare indolente, beffarda, e la fissò.
Snotra cercò di rimanere insensibile al peso di quello sguardo, al colore di quegli occhi così simile ai riflessi azzurrini del ghiaccio perenne del mondo da cui Loki proveniva.
Non era uno sguardo che faceva domande, gli occhi del principe caduto parlavano e basta. Le dicevano che lei aveva fallito, le dicevano che era come tutti gli altri. Avevano parole dure che affondavano come lame, e ogni parola era corroborata da un fiotto di sangue che la donna sentiva fuggirle via dal cuore.
Non era mai stata una guerriera, le lunghe settimane della sua gioventù trascorse al campo di battaglia durante la campagna di Jotunheim non facevano di lei una combattente, una donna d'azione e mai, prima di quel momento, Snotra si era trovata a riflettere su quanto coraggio possedesse, se fosse in quantità necessaria ad alzarsi e lasciare quella cella, lasciare Loki al suo destino fingendo di poter dimenticare. Si chiese se fosse più coraggioso voltargli le spalle o togliergli quella museruola e starlo ad ascoltare.
Quando la sua mano scivolò nella tasca a cercare la piccola chiave argentata, si disse che non occorre alcun coraggio per gettarsi da un precipizio, che basta solo una scintilla di pazzia e lei era stata folle tutta la vita, folle nel credere che Loki potesse salvarsi, che il ghiaccio e il vento freddo di Jotunheim non avessero scritto sulla sua pelle un destino già segnato e pieno di dolore. Il dolore che avrebbe inflitto agli altri, il dolore che continuava a infliggere a se stesso, il dolore che lei aveva finto di non vedere e aveva seguitato a ignorare con la stolida convinzione di poter contribuire a sconfiggerlo in nome di una promessa fatta sulla culla di un bambino in fasce.
Loki guardò con una punta di divertito interesse la chiave che Snotra reggeva tra le dita.
Quando la donna infilò la chiave nella piccola fessura sul retro della museruola, questa si staccò e cadde sul pavimento con un tonfo metallico che le sembrò talmente forte da scuotere le intere fondamenta del palazzo e da procurarle un leggero tremore che sperò di nascondere, ritraendosi immediatamente da Loki.
«Sei invecchiata, lady Snotra»
«Sì, è vero».
La voce del principe caduto, arrochita dalle lunghe ore di silenzio, sembrava provenire da molto lontano.
La museruola aveva lasciato un alone livido sulle guance del dio e dei piccoli solchi sul contorno delle labbra, come i segni di una cucitura, come la sua bocca non fosse altro che una cicatrice stralabrata, un taglio infetto e purulento da cui non poteva sgorgare altro che sangue misto a veleno.
Snotra ebbe la sensazione di un pugno allo stomaco. Si portò con quanta più compostezza poteva una mano al ventre e cercò di non piegarsi su se stessa. Le girava la testa e il peso degli occhi di Loki non le sembra più così sopportabile.
Loki, il dio dell'inganno, capace di trasformare il suo tradimento e la sua caduta nella colpa e nella condanna di tutti coloro che lo avevano amato, con la stessa capacità con cui la sua magia creava illusioni e trasformava una fiamma in una colomba.
Di certo, il Padre degli dei lo aveva privato dei suoi poteri nell'istante stesso in cui aveva messo piede sul suolo di Asgard, ma certi sortilegi, certe capacità erano l'essenza stessa di Loki, facevano parte della sua persona tanto quanto il nero corvino dei capelli o le mani affusolate.
Snotra realizzò che erano trascorsi lunghi istanti di silenzio, troppo lunghi. Si accorse di non avere nulla da dire e questo le parve una sconfitta che Loki non mancò di farle notare.
«Nemmeno una parola dalla mia maestra?» domandò canzonatorio. «Nessun rimprovero? Nessuna domanda per soddisfare una mente curiosa come la tua?».
«Non sono mai stata quel genere di maestra, puoi forse negarlo?» replicò lei, meravigliandosi della calma che riusciva ad ostentare, riuscendo a imprimere alla voce persino un po' di ilarità.
«Già, non lo sei mai stata. Tu sei il secondino mosso a pietà che porta una coperta calda al prigioniero dopo che tutti gli altri lo hanno maltrattato fino allo sfinimento».
Lo aveva amato moltissimo. Il dolore che le provocarono quelle parole le fece capire che lo amava ancora, che da questo punto di vista nulla era cambiato e nemmeno il peggior crimine che lui avrebbe potuto perpetuare avrebbe fatto vacillare la solidità di quell'effetto.
«Pietà...» borbottò a mezza voce, con un sorriso di amaro sarcasmo, come se quella parola le suonasse come uno scherzo di cattivo gusto. Scosse la testa, poi tornò a guardare il suo interlocutore. «Menti, stai cercando di insultarmi o è davvero così che ti sei sentito in tutti questi anni: un prigioniero maltrattato fino allo sfinimento?».
Ora fu il turno di Loki di sorridere amaramente e scuotere la testa. Guardò oltre la sua spalla, forse alla lama di luce che spaccava a metà il buio.
«Le mie azioni non sono state mosse da sogni e fatti immaginari. Se così fosse, sarei folle e allora davvero fareste bene ad avere paura» replicò il dio dell'inganno. E parlava con quel suo tono formalmente cortese, con la sua algida calma e il suo contegno regale. Parlava come se, in fin dei conti, non fosse accaduto niente perché forse per lui era sempre stato così che dovevano andare le cose, perché forse tutta la sua vita era stata vissuta in funzione di quel momento, e il fatto che fosse stato sconfitto era solo un imprevisto che non aveva saputo prevedere. Un imprevisto al quale già meditava di porre rimedio.
Snotra non sapeva cosa rispondergli, se non che quasi certamente uno di loro due era pazzo davvero.
«Tu sapevi, lady Snotra, quello che il Padre degli dei ha tenuto celato all'intero regno? Ha tessuto una menzogna immane per tutta la mia vita, e poi chiamano me il dio dell'inganno. Tu sapevi?» domandò Loki. Ora la sua voce suonava incrinata, aveva agitato le mani parlando e il tintinnio delle catene era suonato come una tempesta, amplificato dalla totale assenza di altri rumori.
Snotra abbassò lo sguardo.
«Tu sapevi» sentenziò Loki. C'era una nota di disappunto e stupore nella sua voce.
Quando la donna tornò a guardarlo, si accorse che l'espressione del giovane principe era quanto meno perplessa: una crepa nella sua corazza di ghiaccio.
Loki si staccò dal muro, alzò lo sguardo al soffitto e per lunghi secondi sembrò risucchiato dai suoi stessi pensieri. I suoi occhi si muovevano febbrili come se stessero tentando di contemplare ora un ricordo vagamente felice e ora uno triste; come se le reminiscenze danzassero davanti a lui vorticosamente, simili a fanciulle ad un ballo mentre gli spettatori cercano inutilmente di distinguere i loro volti che si confondono nella rapidità dei movimenti.
Il dio dell'inganno tornò a voltarsi verso di lei, con uno scatto repentino, come un assetato che allunga la mano verso una caraffa di acqua fresca.  
«Eppure, non mi hai mai considerato da meno di Thor...» sussurrò.
Era solo questo il punto? Ah, ma di certo doveva essere un punto focale, doveva essere il punto per Loki, il fulcro della questione, l'origine di ogni cosa.
«Non sei mai stato da meno di Thor. Se solo fossi stato in grado di capirlo, Loki...».
Snotra sentì il pianto farsi una massa dentro il suo petto, come una valanga di neve pronta a travolgere ogni cosa. Ma sapeva che non poteva concedersi di piangere ora, non davanti a Loki.
Lei e il principe si scambiarono una lunga occhiata, poi la donna dondolò appena la testa in un cenno rassegnato; si voltò e lasciò la cella. Le sbarre si dissolsero al suo passaggio per poi ricomparire dietro di lei con quel suono metallico, poi non ci fu altro rumore se non il fruscio delle vesti e il battito del proprio cuore che Snotra sentiva pulsarle nelle tempie.
Il corridoio era vuoto, buio come una tomba e la donna lo percorse con passi resi rapidi dalla marea di penose emozioni che la stavano sommergendo, offuscandole la ragione.
All'ingresso delle segrete, le guardie la scrutarono cercando di capire se fosse tutto a posto.
Il prigioniero era dove doveva essere. Il criminale giaceva sconfitto e incatenato come meritava. Nessuno doveva preoccuparsi che l'ordine delle cose venisse turbato, del resto era solo questo che importava a tutti loro, il loro prezioso ordine, quel mantenere intatto il dorato delle superfici.
Ritornata al pianterreno, Snotra affrettò ancora di più il passo. Non incontrò nessuno nella grande galleria; un vento dal sapore estivo agitava i tendaggi di raso, facendoli gonfiare ad ogni folata.
La donna si mosse di lato, come attirata da quella brezza, dalle promesse di sole e calore che prometteva, come se potesse soffiarle via il gelo che sentiva paralizzarla fin dentro le viscere. Spostò con gesti nervosi una tenda che si rifiutava di aprirsi e si ritrovò su una lunga balconata che percorreva quasi per intero un lato del palazzo.
Si appoggiò alla balaustra con i palmi delle mani, come se temesse di poter rovinare a terra da un momento all'altro. Guardò Asgard, esageratamente bella sotto quel sole; guardò l'orizzonte seminascosto dalle costruzioni della città, oltre il mare opalescente che sprofondava tra le stelle.
Le sembrò impossibile che ombre tanto grandi potessero allungarsi sulla Patria Eterna, minacciare la sicurezza e la felicità dei suoi abitanti.
Il cielo terso e assolato di quella tarda mattinata le riportò alla mente un ricordo che le fece esplodere il pianto nel petto, e lei si trovò, piegata in avanti contro il parapetto a piangere lacrime che il vento estivo non era in grado di asciugare.

***

Snotra camminava per la grande galleria che portava alla biblioteca.
Era una di quelle giornate in cui chiunque, anche il più triste degli individui, avrebbe potuto pensare che nell'universo c'è solo bellezza. Il sole era caldo e un vento piacevole accarezzava la città portando ora l'odore dell'erba dei campi a nord, ora l'aroma del mare che si stendeva a perdita d'occhio alle porte di Asgard.
Rettangoli di luce si riflettevano sul pavimento, intervallati dalle strisce di ombra proiettata dalle colonne che reggevano l'alto soffitto istoriato.
Snotra lanciò un'occhiata da entrambi i lati del corridoio: non c'era nessuno. Sorrise e strinse un po' più forte i libri che aveva tra le mani, poi cominciò a percorrere il corridoio saltando, in modo da atterrare solo sulle strisce più chiare, dove la luce del sole filtrava tra il colonnato.
Si sentiva allegra. Gli ultimi anni erano stati pieni di soddisfazioni e il destino le aveva regalato la vita che aveva sempre sognato.
Inoltre, era la precettrice dei figli del re e i suoi due allievi le davano continue soddisfazioni.
La chiamavano la dea della saggezza. Titolo quanto mai altisonante e pieno di responsabilità per una donna ancora piuttosto giovane.
Alle volte si chiedeva se in futuro il destino le avrebbe fatto scontare tanta buona sorte.
Piroetta dopo piroetta, aveva quasi raggiunto l'ingresso della biblioteca, quando si aprì una porta e la figura maestosa di Odino comparve alla fine del corridoio proprio quando Snotra aveva fatto l'ultimo balzo un po' più lungo degli altri.
La giovane donna atterrò a un palmo dal suo re. Sentì il rossore coprirle il viso con la stessa rapidità di una fiamma su una superficie cosparsa di pece, e proprio come il fuoco con la pece si sentì bruciare tanto che c'era da meravigliarsi che non le uscisse fumo dalle orecchie.
Saltellare per i corridoi del palazzo come un infante: una condotta non particolarmente adatta alla dea della saggezza e nemmeno a una semplice donna che svolgesse il ruolo di precettrice dei due potenziali eredi al trono.
«Mio re...» farfugliò con la voce stridula per l'imbarazzo. Un'altra vampata di rossore le fece sentire le guance sul punto di fondersi. «M... magnifica giornata, non trovate?».  
Odino sorrise bonario. Il dorato delle sue vesti sembrava attirare tutta la luce proveniente dall'esterno.
«Lady Snotra, giornata magnifica davvero, specie per una cavalcata» disse il sovrano. «Ti unirai a noi questo pomeriggio, voglio sperare».
Era più che un semplice invito. Snotra aveva imparato a cogliere il tono di comando anche nelle richieste più affabili del Padre degli dei poiché il sovrano le portava un grande rispetto e sembrava incapace di darle ordini in modo secco e diretto. In cuor suo, Snotra gli era grata per questa sorta di trattamento di favore.
Odino aveva un enorme riguardo per il sapere e la conoscenza e quindi per coloro che ne erano i depositari nel suo regno. Per questo spesso, quando i suoi figli erano ancora bambini, li prendeva con sé e li portava nella galleria dei trofei, nel cuore del palazzo, dove raccontava loro le molte vicende della storia dei Nove Regni. Ad ogni storia corrispondeva un insegnamento, e gli insegnamenti di un padre erano assai più validi di qualsiasi lezione Snotra avrebbe mai potuto impartire ai due giovani principi.
«Sarò molto lieta di unirmi a voi, maestà» asserì la donna, con un sorriso cordiale. «Ehm... unirmi a cosa, comunque?»
«A una cavalcata, come avevo accennato. Oggi porterò i miei figli a visitare un campo di addestramento dell'Accademia d'armi. Dovresti venire, anche se nei miei ricordi l'equitazione non è la tua dote migliore».
La donna rispose con un sorriso tirato e un rapido cenno di assenso.
In tutti quegli anni, Odino non aveva mai fatto neppure lontanamente menzione al segreto che lei condivideva con i due sovrani, non si era mai lasciato scappare neppure la più vaga allusione alla cosa, tanto che il ricordo di ciò che era stato aveva quasi smesso di tormentarla quando era da sola. Tanto che a volte poteva fingere che non fosse mai successo, che non aveva fatto ritorno da Jotunheim in gran segreto, portando con sé un bambino che aveva dovuto scortare a cavallo fino ai confini del regno, sotto lo sguardo vigile dei corvi di Odino.
I ricordi di quella lunga e scomoda cavalcata, il peso di quell'atto che era allo stesso tempo un atto di tradimento e di misericordia, erano stati offuscati dalla speranza che il presente rinnovava giorno dopo giorno, che tutto sommato Loki fosse felice, che fosse a tutti gli effetti figlio del re e della regina di Asgard e, come tale, destinato a grandi cose.
Snotra trattenne un sospiro, accennò un inchino con fare ossequioso e si voltò per raggiungere la biblioteca.
Si chiuse pesantemente la grande porta di ottone alle spalle, come a voler lasciare dietro di sé i pensieri che per un attimo l'avevano turbata.
Non c'era ragione di essere preoccupata. Loki era al sicuro da quel passato che, in qualche misura, nemmeno lo riguardava e lei aveva prestato fede alla sua promessa, aveva fatto tutto quanto era in suo potere per aiutarlo, perché lui avesse la vita serena che meritava; ormai lui era un ragazzo venuto fuori dall'infanzia, attento a ciò che avrebbe potuto diventare in futuro e ancora indeciso sul tipo di strada da scegliere, con l'insicurezza tipica di ogni giovane. Del resto, il risultato degli sforzi di Snotra non era privo di imperfezioni, ma queste erano da imputarsi al carattere del giovane principe, Loki era così desideroso di mostrarsi capace e degno agli occhi della sua famiglia, Loki era... era lì, seduto allo scrittoio più distante dall'ingresso, in fondo al labirinto di scaffali e vani straripanti di antiche pergamene. Era seduto da solo, davanti a un enorme libro con i margini delle pagine ingialliti e rovinati; doveva essere uno di quei volumi dimenticati a cui nemmeno Snotra metteva mai mano, uno di quelli molto molto vecchi, che minacciavano di cadere a pezzi al solo guardarli.
Tuttavia, Loki non stava guardando le pagine. Guardava lei, ancora ferma a ridosso della porta. Da quella distanza, la donna non riusciva a distinguere l'espressione negli occhi chiari del giovane principe, ma dopo qualche secondo lo vide accennare un sorriso.
Snotra lo raggiunse e ricambiò il sorriso. Quando fu vicino a lui e allo scrittoio, Loki balzò in piedi e mosse un passo.
«Che ci fai chiuso qui dentro, con un sole simile?» domandò la donna, scuotendo il capo.
«Tutto questo sole mi fa venire mal di testa» borbottò il ragazzo, come se lo imbarazzasse doverlo ammettere.
Certo che il sole gli faceva male, pensò Snotra, cercando di non far trasparire il suo turbamento. Per quanto potesse credere che certi ricordi fossero sopiti, in realtà erano disseminati ovunque ed era fin troppo facile riportarli alla luce, alle voste bastava davvero solo un raggio di sole.
«Verrai con noi, oggi?» le chiese poi Loki.
«Sì. Sei stato tu a chiedere a tuo padre di coinvolgermi in questa... gita, quindi?»
«Pensavo che con te ad accompagnarci sarebbe stata meno noiosa».
Loki sorrise con quel suo strano ghigno sghembo. Snotra si chiese come fosse possibile che il sorriso di quel ragazzo apparisse allo stesso tempo così innocente eppure tanto artificioso. Pensò che fosse perché ormai Loki stava crescendo, il suo viso aveva perso i tratti ancora un po' morbidi e arrotondati dell'infanzia – paffuto non lo era mai stato, comunque – e aveva assunto lineamenti affilati e decisi, gli zigomi pronunciati, il naso diritto, le labbra sottili che avevano perso la pienezza e la dolcezza che erano state tipiche del bambino; i suoi capelli erano diventati più scuri, di quel nero lucido d'inchiostro così diverso dal biondo dorato o ramato degli asgardiani e che sembravano gridare a gran voce la sua diversità.
Giorno dopo giorno, Loki assomigliava sempre di più all'uomo che sarebbe diventato; diverso dal resto della sua gente, eppure in lui c'erano già i segni evidenti di una regalità e di una bellezza dissimile da quella che caratterizzava gli altri asgardiani, ma proprio per questo ancora più capace di risaltare agli occhi di chi avrebbe saputo guardare; una goccia di splendore che non tutti sarebbero stati in grado di afferrare.
«Cosa stavi leggendo?» domandò Snotra, allungando uno sguardo oltre la spalla di Loki per cercare di riconoscere il libro poggiato sullo scrittoio.
«Niente di importante». Lui si voltò bruscamente e chiuse il volume con un tonfo, lo prese e se lo strinse al petto per evitare che la donna ne potesse riconoscere la copertina o il titolo.
«Lo sai che non mi piace quando menti». Snotra si accigliò.
La sua espressione severa sembrò colpire il ragazzo.
«Oh, in realtà vorrebbe essere una sorpresa, per te. Vedrai, sarai fiera di me».
La donna avrebbe voluto replicare che era già fiera di lui, ma il rumore di vetri infranti le impedì di parlare. Lei e Loki sobbalzarono e si voltarono nella direzione da cui era provenuto il rumore.
Una freccia aveva colpito la finestra ed era volata dentro, rompendo il vetro e atterrando sul pavimento.
Il giovane principe assunse un cipiglio da guerriero coraggioso – poco ci mancò che gonfiasse il petto per apparire più grande di quanto non fosse – e si avvicinò alla finestra, facendo cenno alla sua maestra di restare indietro. Quando guardò di sotto, nel cortile interno su cui affacciava la biblioteca, vide Thor guardare verso l'alto con aria mortificata, reggendo in mano un arco. Alle sue spalle, il suo istruttore aveva ancora le mani premute sul viso per lo spavento e sbirciava tra le dita, preoccupato di ciò che avrebbe potuto vedere.
«Siamo sotto assedio?» chiese Snotra scherzosamente, per cercare di mitigare un po' la tensione del momento e lo spavento collettivo.
«Snotra, fratello... state bene?» gridò Thor dabbasso. «Non volevo colpire la finestra, mi... mi dispiace».
«Noi stiamo bene. La finestra un po' meno» scherzò Loki, con un mezzo sorriso, poi raccolse la freccia e la gettò oltre il davanzale. Suo fratello l'afferrò al volo.
«Torna pure ad allenarti, Thor. Ma se io fossi nel tuo addestratore, ti farei esercitare al tiro con l'arco in un luogo più distante dalle finestre del palazzo»
«Avete ragione, lady Snotra, perdonate...» sospirò l'istruttore, ancora un po' scosso.
Snotra guardò i due che si allontanavano verso il fondo del cortile, avvolti dal sole prepotente di quella tarda mattinata.
Anche il principe Thor era cresciuto, era molto più alto di Loki e più robusto. Il suo viso era meno spigoloso, e appariva più dolce grazie ai suoi occhi, azzurri come il cielo d'estate e altrettanto luminosi, a differenza di quelli del fratello, che erano glaciali anche quando rideva. Thor aveva conservato qualcosa di infantile nel suo aspetto, malgrado le braccia che si erano fatte forti e muscolose e le mani grandi che sembravano fatte appositamente per impugnare ogni tipo di arma, il suo viso non aveva perso del tutto quelle rotondità tipiche dei volti dei bambini, anche se le sue guance cominciavano ad essere ricoperte di una sottile peluria dorata. Anche per Thor era evidente che da grande sarebbe diventato bellissimo, di quella bellezza che avrebbe fatto voltare tutte le fanciulle al suo passaggio e che probabilmente lo avrebbe riempito di corteggiatrici più o meno interessanti. Quel tipo di bellezza che però avrebbe potuto apparire tanto abbagliante quanto scontata a occhi meno superficiali.
«Il tiro con l'arco non è una disciplina adatta a Thor» mormorò Loki. Snotra si voltò a guardarlo e vide che stringeva ancora al petto il suo libro.
Era vero, Thor non aveva la pazienza necessaria a tendere l'arco, prendere la mira e assicurarsi di tenere la mano perfettamente salda al momento di scoccare, né era in grado di regolare in modo adeguato la sua straordinaria forza. L'ultima volta che Snotra aveva ricevuto un abbraccio dal figlio di Odino, le erano rimasti i lividi per giorni... e Thor era un giovanotto affettuoso che amava dispensare abbracci, una caratteristica che invece Loki aveva perso quando si era lasciato alle spalle gli anni dell'infanzia, malgrado non mancasse mai di ricordare alla sua maestra quanto le volesse bene in altri modi – come prometterle una sorpresa e dirle che l'avrebbe resa fiera di lui.
«No, il tiro con l'arco non è la sua miglior attitudine» convenne Snotra. «Ma sarebbe sciocco lasciare che smetta di tentare».
Loki annuì con poca convinzione. «Preferisco impiegare il mio tempo per cose in cui sono certo di aver successo, a che serve sforzarsi per niente?»
«Ad essere certi di aver provato e aver dato il meglio, immagino. Dobbiamo sempre lasciare a noi stessi la possibilità di sorprenderci, dovresti ricordartelo invece di preoccuparti così tanto di sorprendere gli altri».
Se Loki aveva colto il velato suggerimento, non lo diede a vedere.
«Sono un arciere migliore di Thor, anche se ho impiegato più tempo di lui a riuscire a tendere l'arco» disse, voltandosi per andare a riporre il libro su uno scaffale.
Per un attimo, Snotra fu tentata di guardare dove il giovane principe avrebbe lasciato il libro, per ritrovarlo quando lui se ne fosse andato e riuscire così a scoprire che cosa stesse studiando così in segreto, ma si disse che sarebbe stata prova di grande mancanza di fiducia e andava contro tutte le lezioni sull'onestà che aveva cercato di impartire ai suoi due giovani allievi. E poi, il ragazzo aveva detto che era una sorpresa.  
«Sì, sei un arciere migliore di Thor, lo so. E questo cosa c'entra?» domandò la donna, alzando la voce per farsi sentire oltre la fila di scaffali dietro i quali Loki era sparito.
«Nulla. Mi chiedevo se lo sapesse anche nostro padre» rispose lui, rispuntando dal lato opposto a quello da cui si era allontanato.
«Non commettere l'errore di pensare che tuo padre non tenga il suo sguardo ben puntato su di te» lo ammonì lei.
Loki sorrise di nuovo in quel suo modo così bello e così ambiguo.
«No, certo che no» concluse.
Anche lui stava diventando bravo con le armi. Tempo prima, Odino gli aveva fatto dono di alcuni pugnali dalla forma elegante e il manico scuro con intarsi di ossidiana; lui forse non aveva la forza fisica necessaria a brandire una grande spada o armi pesanti, ma era diventato bravissimo a maneggiare quelle piccole lame, e a differenza di Thor aveva grande pazienza, un'ottima capacità di concentrazione e una mano molto ferma per questo era anche un eccellente tiratore. Aveva i movimenti fluidi di un felino e quando lanciava i pugnali questi saettavano in direzione del bersaglio con la stessa micidiale precisione delle onde di luce che si sprigionavano dalla lancia di Odino.
Loki era un guerriero ma, come in molte altre cose, lo era a modo suo, nella misura in cui decideva di esserlo, secondo regole che lui stesso sceglieva.
Un giorno Snotra, o forse suo padre, gli avrebbe impartito una lezione sul fatto che un guerriero – come anche un re o qualsiasi individuo ricopra una posizione di responsabilità – non può pensare di agire sempre e solo secondo le sue regole, che sono gli eserciti a vincere le battaglie, non i singoli uomini, che sono i popoli a fare i regni e non il cerchio dorato di una corona. Ma Loki era solo un ragazzo e forse crescendo avrebbe imparato da solo tutto ciò di cui necessitava.

I cavalli li attendevano nel cortile.
C'erano due bellissimi purosangue dal pelo fulvo che erano stati sellati per i due principi e una giumenta con una criniera liscia, quasi argentea, destinata a Snotra.
Le tre bestie, che nulla avevano da invidiare ai migliori rappresentati della loro specie, se ne stavano in disparte, a una rispettosa distanza dal cavallo di Odino, il leggendario destriero a otto zampe dal pelo nero. Una creatura maestosa che si diceva fosse in grado di correre anche tra le stelle.
Snotra aveva avuto ben poche occasioni di ammirare il destriero del Padre degli dei, per un attimo fu quasi tentata di avvicinarsi a lui e provare ad accarezzargli il muso, ma come se l'animale le avesse letto nella mente, si voltò a guardarla in modo quasi minaccioso, e la donna indietreggiò, avvicinandosi agli altri cavalli, con i loro grandi occhi liquidi e neri che li facevano apparire assai meno spaventosi.
«Non avevo mai visto una donna vestita da uomo» esclamò alle sue spalle la voce del giovane Thor.
Snotra lo guardò perplessa poi abbassò gli occhi facendo un breve inventario del suo abbigliamento. Indossava dei calzoni sotto la lunga casacca di velluto.
«Non sono vestita da uomo» protestò, ridacchiando.
«Hai una concezione ben curiosa delle donne, fratello» borbottò Loki.
«Meglio averne una concezione curiosa che non averne affatto una» replicò il figlio di Odino con un'occhiata canzonatoria.
Il volto pallido di Loki divenne così rosso che Snotra non riuscì a trattenere una leggera risata. Quando rise, Loki alzò di scatto lo sguardo su di lei, ed era uno sguardo ferito.
Così suscettibile, mio giovane principe?
Decise di ignorare l'accaduto e fece cenno ai ragazzi di montare in sella. «Vostro padre sta arrivando, è meglio che ci trovi pronti a partire».
Odino li raggiunse dopo qualche minuto, un mantello di fili d'oro drappeggiato sulle spalle. Il sovrano sembrava essere di buon umore: la compagnia dei suoi figli, al di fuori delle formalità del palazzo, gli era sempre cosa gradita e Snotra si sentì quasi un'intrusa in quel momento di intimità familiare, né le era chiaro come mai Loki avesse chiesto a suo padre di portarla con loro.
Per un attimo le sovvenne un'idea che subito però le sembrò esagerata, impossibile: che lui si sentisse a disagio quando era con Thor e suo padre?
Pensò che avrebbe potuto chiederglielo, ma si ricordò che era una cosa sciocca e insensata e che non c'era motivo di turbare Loki con un simile quesito. Perché mai avrebbe dovuto sentirsi a disagio? Davvero avvertiva di essere in qualche modo più profondo diverso da loro, da suo fratello?
Snotra osservò i due giovani portare i cavalli nella scia del poderoso destriero del re.
Sì, i due principi di Asgard apparivano estremamente diversi, anche nell'abbigliamento, per il quale si ostinavano a scegliere sempre gli stessi colori – il blu e il rosso per Thor, il verde e il nero per Loki – ma questo succede spesso anche tra figli nati dagli stessi genitori.
Snotra deglutì. Loki le voleva bene e si fidava di lei, invidiava la forza di Thor ed era ansioso di dimostrare di essere bravo almeno quanto lui in tutto ciò che riteneva importante, ma se avesse provato qualcosa di così disturbante gliene avrebbe certamente parlato e lei sarebbe riuscita a rassicurarlo.
Non c'è assolutamente niente che non va in te, mio caro ragazzo...
Spronarono i cavalli.
Gli zoccoli del destriero di Odino facevano quasi tremare la terra, sollevando schizzi di rena e ghiaia dal pavimento del cortile. Era come rincorrere la scia di un tuono.
E Snotra aveva decisamente dimenticato com'era stare in sella.
Quando le guardie aprirono una delle porte del palazzo, i cavalli videro davanti a loro solo un'immensa prateria e si lanciarono al galoppo senza che ci fosse bisogno di spronarli.
La donna strinse nervosamente le redini e diede un piccolo strattone, pregando che l'animale rallentasse, ma così non fu; la giumenta continuò a correre e lei sentì il calore dello sforzo emanare dal pelo argenteo.
Percorsero a velocità folle una distanza che non fu in grado di calcolare e solo quando i cavalli cominciarono ad essere stanchi si decisero a rallentare. Allora Snotra si voltò e si accorse che la città non era altro che un'increspatura dorata all'orizzonte, con il profilo del palazzo del re che svettava come la pennellata imprecisa di un pittore.
«Hai un brutto colorito, Snotra» disse Thor, avvicinandosi e scrutandola a metà tra il divertito e il preoccupato. «Da quanto tempo non cavalcavi?».
«Da troppo tempo, evidentemente».
«Possiamo fermarci per qualche minuto, se vuoi» intervenne Loki.
Snotra guardò davanti a sé, la sagoma di Odino si stagliava sulla cima di una salita coperta di morbida erba. Se fosse caduta di sella almeno non sarebbe stata una caduta troppo dolorosa, pensò, soprattutto finché il suo cavallo non si fosse di nuovo messo a correre all'impazzata.
«Vostro padre ci aspetta» replicò la donna con stoicismo. «Non si fa aspettare un re».
 
L'accampamento sorgeva in una gola tra due dolci colline, oltre uno sterminato campo di grano.
La città era lontana e Snotra si sentì come in un altro mondo. Lasciava così di rado il palazzo e in tutti quegli anni, dalla morte di Lord Alcuin, non aveva mai lasciato la capitale del regno.
Certo, Asgard era il luogo più bello di tutti Nove Regni, opulenta e superba, simbolo di ordine e potenza, la degna dimora di una stirpe di dei che da sempre proteggeva l'armonia dell'universo. Eppure in quel momento le parve che nulla potesse competere con lo spettacolo del cielo terso che faceva da cupola a quel mare d'erba, al bosco che si scorgeva in lontananza, dove gli alberi e le piante erano cresciuti senza alcun ordine preciso, dove la natura non aveva nulla da dimostrare.
Il campo dell'Accademia delle armi, dove i più promettenti guerrieri del regno venivano mandati a completare il loro addestramento, era circondato da palizzate di metallo opaco alte almeno tre metri. Una porta semicircolare fu aperta per permettere al sovrano e al suo piccolo corteo di entrare all'interno.
Le palizzate delimitavano un'area molto vasta, per metà occupata da file ordinate di robuste tende e padiglioni. Nell'altra metà c'erano grandi spazi aperti, intervallati da colonne o bacheche alle quali erano appese spade e pugnali o faretre piene di frecce.
A Snotra non sfuggì l'esclamazione di entusiasmo che Thor non era stato in grado di trattenere. Loki invece si guardava attorno incuriosito, ma non sembrava particolarmente colpito da ciò che stava osservando.
Gli ufficiali avevano chiamato a raccolta tutti i giovani cadetti che si erano disposti in quattro file, in ordine di età. Quando Odino smontò da cavallo, tutti loro si inginocchiarono nello stesso istante e per un attimo rimasero immobili, il capo chino, come se nemmeno respirassero.
Snotra sentì Loki accanto a lei trattenere il fiato.
Odino allargò le braccia e posò le mani sulle spalle dell'ufficiale più alto in grado, in testa alla colonna. I giovani guerrieri si alzarono tutti contemporaneamente, con un unico movimento agile, in un leggero fruscio di stoffa e tintinnio di lame.
«Mio re, miei principi, siate i benvenuti» salutò l'ufficiale. «Mia lady, benvenuta anche a voi».
La donna rispose con un sorriso formale al saluto del militare e ascoltò distrattamente Odino parlare con lui e gli altri responsabili del campo. Accanto a lei, Thor e Loki parlavano tra loro a bassa voce, commentando ogni particolare del campo di addestramento.
«Non sarebbe male trascorrere un paio di mesi in questo posto, eh fratello?» bisbigliò Thor, entusiasta.
«Non sarebbe male. Ma avranno una biblioteca da campo?» replicò il più giovane.
«Cosa te ne fai di un libro se puoi avere una spada?»
«Thor, questa potrei rammentarla in futuro» interloquì Snotra.
Il giovane biondo aggrottò la fronte,
«Io voglio essere un guerriero» borbottò con un cipiglio quasi infantile. «In questo i libri non possono aiutarmi... cioè... sono, ehm, interessanti, ma le mie aspirazioni vanno al di là, ecco».
La donna sospirò pesantemente,
«E come credi di fare, se un giorno sarai re, quando ti necessiterà la conoscenza oltre che la forza?» lo sfidò.
Thor ristette, si guardò le punte dei piedi, in evidente disagio, poi sollevò lo sguardo sorridendo beffardo. «Per quello avrò sempre Loki a darmi una mano!» esclamò, dando una pacca sulla spalla del fratello. Corse via prima che Snotra avesse tempo di replicare, raggiungendo suo padre che era diversi metri più avanti, insieme agli ufficiali che gli stavano parlando dell'organizzazione del campo e delle reclute più promettenti.
«Che idiota borioso» sibilò Loki, guardando il fratello correre via.
«Loki!». Snotra cercò di non gridare troppo forte, ma non poté fare a meno di mostrarsi scandalizzata.
«Lo hai sentito anche tu, no?» replicò il principe, sulla difensiva.
«Sì, l'ho sentito. Quello che non gli ho mai sentito sulle labbra però sono insulti rivolti a te»
«Io non dico cose stupide. Perché dovrei meritarmi degli insulti?».
«Thor non è stupido, è solo concentrato su certe cose invece che su altre». Snotra passò una mano tra i capelli corvini del ragazzo e sembrò che Loki facesse uno sforzo immane per non sottrarsi a quella carezza. «Crescerà e il fatto che tu sia più acuto e più maturo non ti dà il diritto di denigrarlo, non è un comportamento né giusto né saggio».
Lui arricciò il naso. «Sono... più acuto e più maturo?».
«Sì, ma non essere così vanesio» concluse Snotra con una smorfia canzonatoria. Loki sorrise. «E adesso raggiungiamo tuo padre e tuo fratello».
La visita all'accampamento si protrasse più di quanto previsto. Odino ebbe la cortesia di parlare personalmente con ogni recluta, spronando i giovani a dare del loro meglio, perché anche in tempi di pace come quelli, è utile mantenere alta la guardia.
Dopo aver visto tutto quanto c'era da vedere, il re si intrattenne nel padiglione degli ufficiali a parlare con loro delle truppe di stanza negli altri regni e delle notizie che giungevano dai luoghi al di là dei confini di Asgard. Volle che Loki e Thor fossero presenti e ascoltassero, e così anche Snotra si trattenne con loro, ma la sua mente non era lì; i suoi pensieri erano tornati alla campagna di Jotunheim, alle sconfinate distese di ghiaccio e roccia, al cielo immerso nel buio di una notte senza fondo. Sentì persino il freddo serpeggiarle oltre i vestiti, lambirle la pelle.
«Stai tremando, Snotra» sussurrò Thor, seduto accanto a lei.
La donna scosse la testa e tentò di sorridere,
«Non ero più abituata a trascorrere tanto tempo all'aperto».
Il figlio di Odino le prese la mano come per trasmetterle un po' del suo calore. Era sempre caldo, come il sole di quella bella giornata, e come quel sole sembrava portare con sé promesse di gloria e grandezza.
Sì, sarebbe cresciuto e avrebbe imparato ad essere saggio e avveduto, come si addice a un uomo del suo rango.
Odino stava ancora parlando con gli ufficiali e Snotra aveva del tutto perso il filo del discorso, quando dall'esterno si levò un coro di grida.
I responsabili del campo si scambiarono occhiate basite. Dopo tanto tempo passato a insegnare rigore e disciplina ai loro allievi ecco che accadeva un imprevisto proprio durante la visita del sovrano.
Snotra pensò, non senza una certa irriverenza, che le piacevano gli imprevisti e che forse quella gita avrebbe smesso di essere noiosa.
«Vi porgo le mie più umili scuse, mio re» disse l'ufficiale più alto in grado, alzandosi con movimenti rigidi. «Con il vostro permesso, vado ad assicurarmi che sia tutto a posto. Voi continuate pure, il discorso è troppo interessante per essere interrotto dagli schiamazzi di un paio di ragazzi».
Quando l'ufficiale uscì dalla tenda, le grida ripresero e nel giro di pochi secondi divennero un unico coro di voci, un suono inarticolato nel quale non si riusciva a distinguere una sola parola.
«Ha l'aria di essere una questione più interessante dei nostri discorsi» commentò Odino. Snotra riuscì a cogliere una leggera nota di ironia nella sua voce, ma gli altri ufficiali che erano con lui trasalirono e i loro volti sbiancarono di colpo.
Thor e Loki si scambiarono una rapida occhiata e si affrettarono a seguire il re fuori dal padiglione.
A prima vista, sembrava esserci stata una specie di rissa. Un ragazzo dall'armatura di cuoio lavorato stava in piedi davanti al primo ufficiale con il naso rotto, ridotto a una chiazza sanguinolenta, schiumante di rabbia. Alle sua spalle si era radunato l'intero accampamento che ne stava palesemente prendendo le parti. Dall'altro lato, c'era un altro ragazzo, di corporatura più piccola, completamente coperto di fango, con un brutto taglio sul palmo della mano, sorretto da un giovane corpulento con una gran massa di capelli rossi.
Odino non sembrò gradire lo spettacolo. Si accigliò e spostò più volte lo sguardo tra i due ragazzi – tra il ragazzo sanguinante e lo scricciolo ricoperto di fango.
«E questi incidenti accadono spesso?» domandò torvo agli ufficiali.
«No, mio re, affatto. Ma ci premureremo immediatamente di allontanare chi ha causato questo increscioso episodio» disse l'ufficiale, guardando ostile la recluta coperta di fango come se desse per scontato che fosse colpa sua, anche se, a quanto sembrava, nessuno aveva ancora interrogato i giovani sull'accaduto.
«Non sono stata io!» strillò questa, sussultando e disseminando ovunque schizzi di fanghiglia grigia.  Strinse i pugni e dalla mano ferita caddero grandi gocce scarlatte che si persero nell'erba.
Stata?...
«Come osi, Sif?» esclamò l'ufficiale, incollerito. «Aggredisci un tuo compagno e ora hai anche la sfrontatezza di mentire dinnanzi al Padre degli dei! Ti ho accettata tra le mie reclute per l'amicizia che mi lega a tuo padre, ma sapevo fin dall'inizio che questo non è posto per una ragazzina».
La giovane di nome Sif si passò il dorso della mano sul volto, cercando di tirare via un po' di sudiciume. Non servì a molto.
L'idea che una giovane fanciulla avesse scelto la vita da soldato era interessante, almeno quanto era odioso il fatto che venisse palesemente sfavorita dai suoi superiori che evidentemente non aspettavano altro che una scusa per mandarla via.
«Volstagg!» disse l'ufficiale, al ragazzone dai capelli rossi che continuava a sorreggere Sif. «accompagnala nei suoi alloggi e assicurati che si ripulisca e faccia i bagagli».
Lui esitò, guardando la compagna con un misto di pietà e comprensione.
«Sei forse diventato sordo, ragazzo?».
«Agli ordini, signore...» borbottò Volstagg, con uno sguardo polemico che contraddiceva la formalità delle sue parole. Appoggiò le grosse mani sulle spalle esili della ragazza, incurante del fango, e la strattonò con quanta più delicatezza poté – non molta, ad ogni modo, pur con tutta la buona volontà la delicatezza non sembrava appartenergli.   
«Aspettate!».
Nello stupore generale, Thor fece un passo avanti.
Snotra incrociò per un istante lo sguardo di Odino e capì che il Padre degli dei era curioso di vedere cosa aveva da dire suo figlio e come avrebbe gestito quella questione, tanto quanto lo era lei.
Per un attimo il giovane principe parve intimidito dall'aver attirato su di sé l'attenzione di tutti, ma fu solo un attimo. Subito dopo assunse un cipiglio serio e autoritario e si voltò verso gli ufficiali,
«Non avete lasciato che la ragazza spiegasse le sue ragioni. Lui ha il naso rotto ma anche lei è ferita oltre che... ehm, sudicia» disse.
Snotra vide il lampo di un sorriso fiero passare rapidamente sul volto del re. Pretendere giustizia anche per una causa poco rilevante era senz'altro una dote che un futuro sovrano avrebbe dovuto possedere.
Gli ufficiali zittirono. Erano già pieni di collera e vergogna per l'increscioso episodio avvenuto sotto gli occhi del loro re, non si sarebbero messi anche a contraddire il principe di Asgard.
Sif fece un cenno di gratitudine alla volta di Thor,
«Mi stavo allenando da sola al lancio del giavellotto, vicino al ponte sulla pozza di fango quando lui è venuto a importunarmi» spiegò in tono monocorde. Certo, una giovane in un accampamento di reclute non è una buona idea, ma non per le ragioni che volevano far valere gli ufficiali.
«L'ho allontanato con una spinta e lui ha sguainato la spada. Gli ho detto di metterla giù e quando ho alzato le mani mi ha tagliata. Non ci ho visto più, e gli ho tirato un pugno con la mano sana, lui mi ha spinta e sono finita nella pozza».
«Bugiarda!» esclamò il ragazzo, tamponandosi il naso. «Mi ha aggredito, io non le ho fatto niente».
«E il taglio sulla sua mano, come lo spieghi?» chiese Thor.
«Mi ha aggredito, dovevo pur difendermi»
«Sta mentendo» disse un'altra voce. La piccola folla di reclute si aprì per lasciar passare due ragazzi che dovevano essere più o meno coetanei di Thor e Loki. «Noi non sappiamo com'è cominciata, ma abbia visto che è stato lui a ferirla per primo».
«Sif era disarmata quando lui ha sguainato la spada».
Dai ragazzi radunati fuori al padiglione si levò un borbottio sommesso. Sif e i suoi difensori erano in netta minoranza, avevano tutti contro, ma avevano la giustizia dalla loro parte.
Odino alzò un braccio e il parlottio cessò di colpo. «Quindi, Thor?».
«Questa la voglio proprio sentire...» sussurrò Loki all'orecchio di Snotra.
La situazione non era facile come sembrava. Anche appurato che Sif fosse nel giusto, aveva comunque attirato su di sé il malanimo di quasi tutto il campo, era evidente che lì non era benvoluta né dai suoi compagni né dagli ufficiali addestratori e con quell'episodio aveva compromesso ancora di più la sua posizione. La fanciulla aveva il destino segnato comunque, se non ora, avrebbero trovato in futuro un altra scusa per cacciarla via, senza contare che i ragazzi che si erano schierati dalla sua parte ne avrebbero comunque risentito perché il resto delle reclute li avrebbe considerati come dei traditori.
Scegli bene, mio giovane principe...
Snotra teneva gli occhi fissi su Thor e quasi poteva sentire il suo cervello agitarsi nel tentativo di trovare una soluzione.
«È vero, un campo di addestramento forse non è un posto adatto a una fanciulla» esordì il figlio di Odino.
«Cos...». Sif tentò di protestare, ma Volstagg le lanciò una gomitata per zittirla.
«Specie per una fanciulla che dimostra un tale valore» proseguì Thor. «Io penso che lady Sif si meriti qualcosa di più, così come pure i suoi compagni che si sono comportati in modo onorevole nei suoi riguardi. C'è posto per loro, al palazzo di mio padre».
Un mormorio attonito scosse la folla di reclute. Forse la benevolenza di Thor era stata un po' eccessiva, ma aveva trovato comunque una valida soluzione al problema.
Odino sembrava soddisfatto.
«Non avrebbe fatto meglio a chiedere in dono un cucciolo?» scherzò Loki, parlando a bassa voce perché solo Snotra potesse sentire.
«Si è assicurato dei compagni che molto probabilmente gli saranno fedeli» rispose lei. «È stato incredibilmente astuto»
«Vuoi dire per uno come lui?».
Snotra non ebbe tempo di replicare, perché Thor si avvicinò a lei e a Loki e li guardò come in cerca di approvazione.
«Credo che tuo padre sia molto fiero di te» gli disse lei.
«Ma spero che io resterò sempre il tuo compagno di giochi preferito» aggiunse Loki.
Thor gli rivolse un sorriso affettuoso, «Sempre, fratello».

Snotra si offrì di prendersi cura della ragazza. Portò Sif in una tenda, l'aiutò a lavarsi via il fango e le medicò il taglio alla mano.
Da sotto quello strato di sporcizia melmosa emerse una fanciulla con un viso bellissimo, illuminato da grandi occhi verdi. Da grande sarebbe stata il genere di donna capace di sedurre anche principi e re, era sorprendente che invece avesse scelto la vita guerriera.
«Mi trovate strana, lady Snotra?» domandò Sif portandosi al petto la mano fasciata da una garza di lino.
«Certo che no. Sai, ho scelto anche io una strada che non tutti ritengono adatta a una donna...»
«Oh, quindi non siete un'ancella?».
Snotra fece una smorfia. «Un'ancella?!».
Sif arrossì e distolse lo sguardo, mordendosi il labbro. «Perdonate...» farfugliò imbarazzata. «Pensavo foste... me evidentemente no... cioè, che cosa fate?».
«Curo la biblioteca del palazzo di Asgard, dove è depositato tutto il nostro sapere e la nostra storia. E sono la maestra dei figli di Odino... il che fa di me una specie di eroe da leggenda, suppongo».
La fanciulla rise. Aveva una risata allegra e argentina, da ragazza; in lei c'era qualcosa che la risolutezza del suo carattere e la disciplina militare non erano stati in grado di cancellare, qualcosa che emergeva nettamente nella bellezza del suo volto quando sorrideva.
«Il principe Thor è stato generoso nei miei riguardi e verso Fandral, Hogun e Volstagg» ammise Sif.
«Thor ha un cuore bellissimo». Il cuore di un re.
Snotra lasciò la ragazza ai suoi preparativi per l'indomani, quando lei e gli altri tre giovani guerrieri sarebbero partiti per raggiungere la città.
L'idea della cavalcata che l'attendeva al ritorno non era abbastanza inquietante da guastarle l'umore, ma avrebbe preferito addormentarsi e risvegliarsi l'indomani già a palazzo.

Raggiunsero la capitale che era già sera.
Le stelle sospese sopra le costruzioni dorate sembravano una miriade di fiamme. In notti come quelle, il cielo sembrava davvero incendiarsi di luce.
Loki e Thor lasciarono i cavalli alle cure degli stallieri e corsero a cercare la regina, per raccontarle i fatti avvenuti durante la visita all'accampamento.
Odino li guardò sparire oltre la soglia del palazzo e restò per qualche secondo immobile, fermo in mezzo al cortile.
«Fa quasi paura vederli crescere» mormorò.
«Farebbe paura se non fossero i degni figli di un grande re, maestà» rispose Snotra, con un sorriso.
«Sono anche i degni allievi di un'ottima maestra»
«Voi mi lusingate, mio re...»
«Lascia queste formalità ad altri, Snotra, la corte è piena di amanti della cortesia e dell'etichetta. Io ti sono grato per quello che stai facendo per i miei figli». Odino strinse le labbra ed esitò, ma infine aggiunse: «Soprattutto per Loki».
Lei scrutò il viso del sovrano nella penombra della sera. Il Padre degli dei non si poteva ancora definire vecchio, ma il tempo aveva lasciato segni evidenti sul volto nobile e fiero.
Snotra avrebbe voluto chiedergli se quello che si stava facendo per Loki fosse abbastanza, ma non ebbe il coraggio di insinuare un tale dubbio nella mente del suo re. Del resto, il tempo era dalla loro parte: se c'era ancora qualcosa da fare per Loki, avrebbero potuto farla in futuro, appena se ne fosse presentata l'occasione.
Non era una combattente, era vero, ma quella era la sua personale battaglia.
La donna si ritirò nelle sue stanze senza nemmeno cenare. La lunga giornata l'aveva sfiancata e il viaggio a cavallo le aveva lasciato in dono una scia di dolore sordo in fondo alla schiena e lungo le gambe.
Si fece preparare un bagno caldo per cercare di distendersi.
Il vapore profumato che si levava in spire leggere dalla vasca appannava le pareti a specchio della stanza da bagno. Snotra prese un gran respiro e lasciò che i pensieri si dissolvessero come la condensa sulle superfici lucide.
Raggomitolata nell'acqua che si andava via via raffreddando, con i lunghi capelli rossi sparsi come un mantello sulle spalle puntellate di lentiggini, la donna assaporò per una buona mezz'ora il piacere del silenzio, quando anche la mente si svuota e non resta altro che un piacevole limbo di tranquillità.
Indossò una veste da camera e si chiuse nelle sue stanze. Si accorse di non essere nemmeno in grado di leggere e decise di mettersi a letto.
Con il viso poggiato di lato sul guanciale, guardava il rettangolo di cielo stellato incorniciato dalla finestra. Lo fissò fino a quando l'arabesco di luci non si confuse in un'unica massa indistinta di bianco e nero e le palpebre le si fecero pesanti.
Forse aveva appena preso sonno quando delle bussate decise alla porta la fecero destare di colpo. Forse il rumore l'aveva strappata alle grinfie di qualche strano sogno molesto e agitato.
«Snotra?». La voce di Loki.
La donna si stropicciò il viso con le mani e rammentò: lui le aveva promesso una sorpresa.
Si alzò in fretta e si avvolse in una vestaglia verde, come il colore del mantello che Loki amava portare.
Il ragazzo era sulla soglia della porta, gli occhi accesi da una scintilla di entusiasmo quasi vorace.
Le prese la mano e la condusse con sé. Snotra non fece domande, sarebbero state superflue e inutili e poi, lei si fidava di Loki.
Il palazzo dormiva, avvolto nel silenzio e protetto dal buio grazie alla luce delle stelle, la stessa luce che permetteva a Snotra e Loki di vedere dove mettevano i piedi mentre attraversavano corridoi e scale e saloni deserti.
L'intera città dormiva, quieta e al sicuro sotto il suo cielo.
Il giovane principe portò la sua maestra fino alla biblioteca. Dentro era tutto buio, ad eccezione di alcune candele accese in un candelabro a quattro braccia; le loro fiammelle creavano una bolla di luce dorata che illuminava a malapena uno scrittorio e una sedia.
Loki usò una candela per accendere un paio di lampade, illuminando un intero corridoio formato da due file parallele di scaffali alti quasi fino al soffitto, poi fece cenno a Snotra di sedersi.
Lei si sistemò su una delle sedie accanto agli scrittoi e rivolse al suo allievo un sorriso incoraggiante.
«Sto aspettando» lo spronò. Si accorse che l'attesa e la curiosità l'avevano davvero resa impaziente.
Loki si allontanò di qualche passo e in mezzo alla luce tremula delle fiamme sembrò un attore su un palcoscenico. Tolse una candela dall'alloggio del candelabro, tenendola con cautela tra due dita per non scottarsi con la cera calda che colava.
Un brutto presentimento attraversò la mente di Snotra e lei strinse le palpebre. Cosa voleva fare il ragazzo?
Loki chiuse il pugno attorno alla fiamma.
Lei trattenne il respiro, augurandosi di aver capito male, ma quando il giovane aprì la mano e le mostrò la fiammella che gli danzava sospesa sul suo palmo senza bruciarlo, si rese conto che aveva capito fin troppo bene.
«Loki...»
«Aspetta».
Il principe agitò l'altra mano sulla piccola lingua di fuoco che si appiattì e poi si allargò, cambiò forma e colore. Quando lui allontanò le mani, c'era una colomba dal piumaggio bianchissimo poggiata sui suoi palmi. Loki le diede una piccola spinta e la colomba volò diritta verso Snotra, andandosi a posare nella conca delle braccia che teneva incrociate in grembo.
Il ragazzo sorrideva compiaciuto e soddisfatto, aspettando la reazione entusiasta della sua maestra.
Ma la donna era sconvolta.
La magia faceva parte di Asgard, era la forza al di sopra di tutto e tutti che teneva in vita Yggdrasil, fino alle sue radici dove dimoravano le Norne. Ma che qualcuno decidesse di farne un'arte e di usarla come strumento era un'altra cosa, qualcosa di presuntuoso e persino meschino, per certi versi. La magia apparteneva all'universo, gli individui che lo popolavano non dovevano affidarsi a un tale strumento perché ne avevano a disposizione altri... armi per combattere e non trucchi da codardi, medicine per guarire e non incantesimi con cui ingannare il destino, la volontà e i talenti per perseguire i propri fini e non le scorciatoie offerte dalla magia.
E Loki aveva tutto questo, aveva delle personali abilità guerriere, e aveva tutto il talento e la forza d'animo di cui un individuo può necessitare per nutrire le proprie aspirazioni.
«Loki... come ti è venuta in mente una cosa simile, perché non me ne hai parlato?» domandò Snotra sentendo la colomba agitarsi tra le sue mani nel tentativo di sbattere le ali e spiccare il volo.
Il giovane principe contrasse il viso in un'espressione contrariata. «Volevo riuscirci da solo, doveva essere una sorpresa... pensavo che saresti stata contenta di me».
Snotra deglutì e scosse il capo. «Io sono contenta di te, come lo è la tua famiglia...»
«Non è vero! Non sono contenti di me come lo sono di Thor! Io... volevo solo avere qualcosa di speciale»
«Ma tu sei speciale, Loki! Proprio per questo non ti serve la magia, è un insulto a te stesso, alle tue doti e alla tua intelligenza perdere tempo con questo genere di cose quando hai mille altre possibilità di riuscire in ciò che desideri».
Il respiro del ragazzo si era fatto affannoso come se cercasse di trattenersi dallo scoppiare a piangere o mettersi a gridare.
«Non ho mille possibilità, ne ho molte poche. Questa è quella che ho scelto, è una mia scelta!»
«È la scelta sbagliata!». Ora fu Snotra a gridare; la colomba le volò via dalle mani e percorse il poco spazio che separava la donna dal suo interlocutore. Loki l'afferrò, stringendola nervosamente; l'animale lanciò un pigolio i protesta.
«Pensavo che saresti stata contenta» ripeté lui, gli occhi arrossati da lacrime di frustrazione. «Pensavo che tu... che tu fossi diversa da tutti loro».
Loro? Loro cosa, chi?...
Per gli inferi, cosa stava accadendo?
Snotra non si era mai sentita così confusa. La rabbia di Loki era come un terremoto che aveva fatto crollare ogni cosa, spostato i profili delle montagne, delle sue certezze e delle sue speranze.
Forse la sua reazione era stata troppo aggressiva, pensò, forse se avesse cercato di essere un po' mano diretta, di non mostrarsi subito così sconvolta... forse, forse...
Non c'era forse che tenesse, non sarebbe cambiato niente; Loki non stava chiedendo alcun consiglio  o parere, desiderava solo un'approvazione incondizionata. Un'approvazione che Snotra non poteva concedergli e in qualunque modo gli avesse fatto notare il suo errore e perché era tale, sarebbe stato lo stesso...
«Loki, ascolta, ti prego». Avrebbe voluto fare un altro tentativo, se non altro per calmarlo, perché non poteva sopportare di vederlo così sconvolto.
Lui fece una passo all'indietro. La rabbia e il disappunto sparirono dal suo viso, scivolando via come una maschera, e lasciarono il posto a un'espressione gelida che non esprimeva alcuna emozione.
Dopo averle rivolto un ultimo sguardo indecifrabile, Loki si voltò e corse via.
«Aspetta!» gridò Snotra. La sua voce si spanse nel silenzio della biblioteca, perdendosi nel buio.
La donna corse dietro al ragazzo, tenendo sollevato l'orlo della veste e sentendo il dolore dei muscoli tesi per la cavalcata accendersi di nuovo. Corse goffamente fuori dalla biblioteca, lungo la galleria, incapace di raggiungerlo. Loki sparì tra le ombre della notte.
Snotra chiamò il suo nome, ma lui non si fermò, non tornò indietro.
A un certo punto, il piede della donna impattò contro qualcosa lasciato sul pavimento e lei quasi inciampò. A quel punto capì che era inutile continuare a inseguire Loki e restò ferma ai piedi di una scala, con il fiato corto. Abbassò lo sguardo per cercare di capire contro cosa era andata a urtare.
La colomba era abbandonata accanto al primo gradino, le ali aperte e il petto squarciato, macchie di sangue scarlatto imbrattavano il candore delle piume.
Snotra si chinò, sfiorò con la punta delle dita la curva di un'ala e in quel momento seppe che la sua battaglia era perduta, che il destino l'aveva sconfitta.   








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Note:

Il film non è che dica granché su Asgard in generale, né mostra molto del regno di Odino per questo io mi sono presa la libertà di fare a modo mio e sì, nella mia testa, ad Asgard hanno un'accademia militare e nella mia testa Babbo Orbo (che comunque non è un personaggio che amo particolarmente) assolve i suoi compiti di sovrano anche andando a far visita alle varie maestranze del Regno, tra cui appunto, i tizi dell'Accademia...
Odino il cavallo a otto zampe ce l'ha pure nel film, lo si vede nella scena in cui va a recuperare Thor&Co. su Jotunheim.
Non ho un bestiario asgardiano a portata di mano XD ma se hanno cavalli credo sia plausibile che ci possano essere anche le colombe.
A proposito di colombe... NESSUN ANIMALE È STATO MALTRATTATO PER SCRIVERE QUESTA FANFICTION.

La citazione iniziale è dal brano Khorakhanè

   
 
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