Videogiochi > Assassin's Creed
Ricorda la storia  |      
Autore: Fluxx    14/03/2013    5 recensioni
Ero abbattuto, sconsolato e – il vuoto che provavo dentro – sembrava allargarsi a macchia d'olio per ogni pagina che voltavo del suo diario.
Avevo passato tutta la notte a leggere il diario di Haytham Kenway, mio padre.
Fu solo quando chiusi il suo diario, avendo assimilato fino all'ultima riga, che mi sentii nuovamente libero di riflettere e pensare... E forse sarebbe stato meglio per me che quel momento non fosse mai arrivato visto che il senso di colpa mi colpì forte come uno schiaffo in faccia.
Il mio sguardo era perso, dritto di fronte a me, nel nulla. Avevo un peso che mi gravava sul petto, in alcuni momenti sembrava mi rendesse difficoltoso quasi il solo semplice respirare... Ed un peso ancora più grosso gravava sulla mia coscienza.
Che cosa avevo fatto..?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Connor Kenway, Haytham Kenway
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'The Templar and the Assassin'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Forgiven





Non l'ho mai conosciuto. Lo credevo, ma fu solo nel leggere il suo diario che mi resi conto di non averlo mai conosciuto.
Ora è troppo tardi.
E' troppo tardi per dirgli che mi ero fatto un'idea sbagliata di lui.
Troppo tardi per dirgli che mi dispiace.”

<< Assassin's Creed: Forsaken >>


La tenuta non mi era mai sembrata più silenziosa ed abbandonata. Nella realtà dei fatti non lo era, ormai parecchie persone la popolavano... Ma io mi sentivo più solo che mai.
Charles Lee era morto, le colonie erano libere ma il mio popolo era stato mandato via.
Ero solo. Anche Achille mi aveva lasciato. Lui mi aveva messo in guardia, mi aveva avvertito.
“Nella foga di salvare il mondo, ragazzo, stai rischiando di distruggerlo.” Mi aveva detto... Ed aveva ragione, solo che io ero troppo preso dalla mia causa per dare ascolto a chiunque altro.
Mi mancava, così come mi mancava mia madre.
Ero abbattuto, sconsolato e – il vuoto che provavo dentro – sembrava allargarsi a macchia d'olio per ogni pagina che voltavo del suo diario.
Avevo passato tutta la notte a leggere il diario di Haytham Kenway, mio padre. Avevo trascorso le ore più buie dentro alla stanza, inghiottita dalle tenebre, seduto allo scrittoio e rischiarato solo dalla fioca luce di una candela, la cui fiammella danzava veloce e leggera, lasciandosi trasportare aggraziata da ogni minima corrente d'aria che incontrava.
Ero talmente preso da quella lettura e dalla voglia di scoprire di più su di lui - comprendendo via via che non era l'uomo che mi ero figurato - che non mi resi conto che si era fatta già l'alba.
Fu solo quando chiusi il suo diario, avendo assimilato fino all'ultima riga, che mi sentii nuovamente libero di riflettere e pensare... E forse sarebbe stato meglio per me che quel momento non fosse mai arrivato visto che il senso di colpa mi colpì forte come uno schiaffo in faccia.
Appoggiai una mano sulla copertina rigida del manoscritto, sentendo sotto le mie dita i precisi intagli e gli eleganti ricami della stessa.
Il mio sguardo era perso, dritto di fronte a me, nel nulla. Avevo un peso che mi gravava sul petto, in alcuni momenti sembrava mi rendesse difficoltoso quasi il solo semplice respirare... Ed un peso ancora più grosso gravava sulla mia coscienza.
Che cosa avevo fatto..?
La sua vita non era stata affatto facile, così come non lo era stata neppure la mia. Mi sembrava, in quel momento, di sentirlo vicino a me più che mai.
Era stato abbandonato, la vita stessa lo aveva soggiogato, offrendogli l'illusione di quanto più bello e prezioso potesse esserci al mondo come il calore e l'amore di una famiglia, per poi riprendersi tutto, lasciandolo nella più mera desolazione.
Aveva visto morire il padre che tanto amava davanti ai suoi occhi, proprio come io avevo visto morire mia madre di fronte ai miei.
Era stato inghiottito dai sensi di colpa quando sua madre era morta, maledicendosi per non averle dedicato più tempo, nonostante lei lo vedesse oramai solo come un assassino.
Era la stessa cosa per la quale mi stavo maledicendo io: avrei dovuto dedicargli più tempo e cercare di capirlo, di leggere nei suoi occhi, di scorgere quel velo di tristezza ed abbandono che li animavano... Ma ero troppo preso dalla mia convinzione che lui mi vedesse solo come un Assassino.
Un istante dopo mi venne chiaro cosa avrei dovuto fare: mi alzai dalla sedia e mi avviai all'uscita. Una volta che mi ritrovai fuori dovetti portarmi una mano di fronte al viso: la giornata era parecchio soleggiata – nonostante il clima ormai fresco di Ottobre – e la mancanza di sonno aveva reso le mie pupille particolarmente sensibili a tutta quella luce.
Mi diressi verso la stalla, sellai velocemente uno dei cavalli e salii in groppa.
Solo pochi istanti dopo ero in sella al mio destriero, coprendo la distanza che mi divideva da New York, al galoppo... Probabilmente prima di arrivare a destinazione, però, avrei fatto una breve deviazione tra i boschi.


Fermai il mio cavallo e scesi, feci passare le redini oltre il suo collo per poi legarle alla bianca e rovinata staccionata.
Presi i fiori che con cura avevo strappato da quelle terre e non me ne vergognai nel pensare che li avevo scelti scrupolosamente, uno per uno.
Alzai lo sguardo per un istante e vidi il crocifisso in cima alla chiesa, illuminato dal sole, il quale - quest'ultimo - di tanto in tanto spariva sotto le nuvole che si rincorrevano veloci nel cielo limpido ed azzurro.
Mi feci forza e finalmente, mettendo un piede dietro l'altro, entrai nel piccolo cimitero antistante l'edificio, camminando tra quelle lapidi ormai dimenticate da chissà quanto tempo. Camminavo lento, senza fretta, prendendomi il mio tempo... Tuttavia la vergogna mi assaliva sempre di più ad ogni passo, finché non mi fermai, finché non fui dinnanzi a lui.
Appuntellai un ginocchio sul terriccio morbido, inginocchiandomi. Passai una mano sulla lapide fredda ed opaca, pulendola per quanto possibile dalla polvere delle strade, alzata dai cavalli durante il loro passaggio, che si andava a posare su quelle pietre quasi a voler offuscare il ricordo dei nostri cari.


'In loving memory of Haytham Kenway, the Grand Master of the Knights Templar.
A brave and honorable man who sacrificed his life for the Order.
1725 – 1781
R.I.P.'


Nel leggere quelle poche e brevi righe mi sentii quasi uno stupido ad essermi recato lì. Non per lui, ma per me. L'avevo ucciso io, dopotutto.
Rimanendo nella medesima posizione allungai le braccia ed appoggia il ricco mazzo di fiori colorati appena sotto la lapide, la quale già sembrava assumere un tono diverso.
Rimasi ad osservarlo per qualche istante mentre nella mia testa si accavallavano le righe del diario, i miei sentimenti, la sua voce ed i momenti passati insieme.
“Ciao...” Iniziai allora, con un filo di voce. “Riesci a sentirmi, non è così? .. Per tutto il tragitto fino a qui non ho fatto altro che chiedermi se tu volessi che venissi oppure no... Eppure ho letto il tuo diario, padre, e mi sbagliavo.” Ammisi. Nel pronunciare quelle parole, finalmente, realizzai quanto in realtà avessi torto sul suo conto.
Ci furono lunghi istanti di stasi e di silenzio in cui sentivo il vento scivolare tra le fronte degli alberi, dare vita a ciò che intorno a me sembrava morto, accarezzare l'erba. Accarezzare me.
Per un attimo ebbi l'illusione che mio padre volesse entrare in contatto con me attraverso la natura.
“Sai, quando ero piccolo mi chiedevo spesso chi fosse in realtà mio padre... E lo chiedevo ancor più spesso a mia madre.” A quel punto appoggiai entrambe le mani sul terriccio, dandomi modo di mettermi più comodo, a gambe incrociate.
“Lei non ne parlava spesso, anzi, quasi mai.. Ma diceva che eri un principe, un uomo pieno di coraggio e di ambizioni e che ti somigliavo molto.” L'ombra di un sorriso m'illuminò il viso al dolce pensiero di mia madre. “E a dir la verità, ripensandoci, è vero... Ho letto le righe del tuo diario, devi essertene accorto anche tu. Ero il frutto del vostro amore... Il frutto proibito del vostro amore.” Mi corressi.


E fu così che passai la mia intera giornata: rimasi lì, nel cimitero antistante la chiesa, seduto accanto la lapide di mio padre.
Parlai, parlai a lungo... Gli raccontai della mia vita, della mia infanzia, di quando ero solo un bambino. Gli raccontai di come vidi bruciare viva mia madre davanti ai miei occhi, ma questa volta senza un vero e proprio rancore rivolto verso di lui.
Gli raccontai dello strano viaggio che mi fecero fare 'Coloro che Vennero Prima' e di come sul suo diario ne avevo letto più volte. Gli raccontai della tenuta, di Achille e dell'addestramento, di quando finalmente fui pronto a diventare un Assassino... Gli raccontai delle mie sfide, delle mie imprese e dei miei viaggi.
Forse sembrava stupido ma non era la prima volta che lo facevo. Mi ero ritrovato più volte di fronte la tomba dello stesso Achille a parlargli e a raccontargli di ciò che mi accadeva, dei miei dubbi e delle mie incertezze, certo che lui potesse sentirmi e che in qualche modo mi avrebbe mandato un segnale, anche minimo, per portarmi sulla giusta strada... Eppure ciò non era accaduto. Aveva passato quello che gli rimaneva della sua vita a mettermi in guardia riguardo a ciò che stavo facendo, tanto che forse – una volta all'aldilà – aveva capito che non avrebbe potuto dissuadermi, che ero una testa calda, che avrei proseguito per le mie certezze fino alla fine... E dunque perché ascoltarlo da morto, visto che non l'avevo fatto fintanto che era vivo?
Continuavo a parlare, a parlare e ancora a parlare. La gente che passava mi osservava quasi come se fossi un matto. E poi parlavo, parlavo e parlavo ancora: di tutto, di qualsiasi cosa passasse per la mia testa. Forse era un po' perché avevo letto il suo diario che mi trovavo in dovere di parlargli di me, forse era un po' perché mi illudevo che non fosse troppo tardi per conoscerci un po'... O che per lo meno lui mi conoscesse un po'.
Lentamente cominciai ad accorgermi di quanto si era fatto tardi dal calo della temperatura e dal cielo che diveniva sempre più scuro, non solo per il sopraggiungere del crepuscolo ma anche per le nuvole minacciose di pioggia.
Sospirai contrariato, comprendendo che forse era ora di fare ritorno alla tenuta. Mi posi nuovamente sulle ginocchia mentre cominciai a sentire le raffiche di vento più forti muovere con violenza i rami degli alberi mentre l'erba – alta ed incolta – ne seguiva la direzione.
Lessi nuovamente ciò che v'era scritto sulla lapide, silenziosamente. Mi resi conto di come uno per uno avessi fatto fuori tutte le persone intorno ad Haytham e di come il suo ricordo fosse destinato a scomparire se non lo avessi tenuto in vita almeno io.
A quel pensiero una reale e totale sensazione di sconforto, misto a senso di colpa, mi investì. Strinsi i denti mentre sentii le sopracciglia incurvarsi e far assumere al mio volto una sincera espressione di dolore.
Le prime goccioline di pioggia cominciarono a cadere dal cielo scuro, sopra il mio cappuccio bianco, tirato sul capo.
Mi morsi il labbro con forza, quasi a farmi male, cercando di dominare quel vortice di emozioni che si facevano strada via via sempre più impetuose nel mio petto... Ma non vi riuscii, e due lacrime solcarono le mie guance. Le prime di una lunga serie.
“.. Mi dispiace..” Sussurrai a quel punto, aprendomi forse per la prima volta – realmente – dopo tutto il giorno passato lì. “.. Mi dispiace davvero.. Scusami.”
Sentii la mia voce afflitta. Ero distrutto, ecco cos'ero... E lo avevo fatto da solo, mi ero distrutto con le mie mani. Avevo rovinato tutto, io, solamente io, per continuare secondo le mie certezze. Avevo fallito. Avevo perso la mia famiglia.. Achille, senza dargli mai ascolto, mio padre, la mia terra.
“.. V-vorrei solo stringerti adesso..” Dissi con la voce rotta dai lievi singhiozzi che cercavo di reprimere e le copiose lacrime che mi rigavano le guance. Strinsi gli occhi ed abbassai il capo.
“.. Mi dispiace così tanto, padre...” Aggiunsi in un sibilo. Portai le mani nel terriccio ormai bagnato, facendomi spazio in esso con le dita e stringendo poi i pugni, quasi a voler creare un contatto con lui. Sì trovava lì, poco distante, sotto di me... Eppure la distanza che ci divideva sembrava infinita.
Non seppi perché, ma davanti a lui riuscii a sciogliermi. Ciò che non ero riuscito a fare per anni, ciò che non ero riuscito a fare da quanto le mie disgrazie ebbero inizio, riuscii ad esternarlo solo di fronte a lui.
Per un attimo mi sentii come un bambino: impotente, debole ed indifeso, in cerca solo di un po' di conforto, di un po' di aiuto. Finalmente, per una volta, riuscii ad esternare quella baraonda di dubbi, incertezze e delusioni che ero e che provavo, sin da quando ero solo un bambino, sin da quando avevo imparato a stringere i denti e a passarci sopra.
“.. Vorrei solo stringerti forte a me, adesso..” Ripetei, distrutto dal dolore.
Rimasi lì, assieme a lui, per un tempo indefinito, fintanto che i sensi di colpa non si sarebbero attenuati, fintanto che avrei avuto lacrime da versare.




_______________________________
Angolo Autrice:

Yeeee! Viva le fyccine molto felici e piene di vitalità della Evelyn!
Yup, lulz!
Ok, seriamente... Un po' di tempo fa mi era venuto in mente, non ricordo scaturita da che cosa e così un paio di giorni fa iniziai a scriverla.
Spero di aver reso bene il finale, perché deve apparire un Connor distrutto ed impotente, un bambino indifeso di fronte all'enormità della vita e di fronte alle conseguenze delle sue azioni, che trova sfogo ai suoi sentimenti solamente di fronte al padre defunto.
Ho letto Forsaken, il libro/diario di Haytham Kenway.. Non l'ho finito del tutto ma ci sono quasi.
Inizialmente avrei voluto infilarci delle cose in più del libro, dei riferimenti, ma poi mi sono astenuta per chi magari non l'ha letto e mi son limitata al padre, alla madre e cose così.
Tra i personaggi della storia ci ho messo pure Haythm, sì, perché se anche non fisicamente ma lui c'è.
Ah e questa l'ho messa nella serie, insieme alle altre due fyccine che ho scritto dedicate a loro.
(QUI il link per The Flame of Hope
 e QUI il link per The Last Thoughts of a Templar... And a Son in caso ve le foste perse e aveste voglia di leggerle).
E nulla, credo sia tutto, spero che la fyccina sia di vostro gradimento e... A voi la parola!
Alla prossima!


Evelyn

   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Assassin's Creed / Vai alla pagina dell'autore: Fluxx