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Autore: LeFleurDuMal    02/10/2007    10 recensioni
“Diamond Dust!” Gridò Camus, con la sua voce limpida e fredda, come a evocare quella nebbia d’argento e averla per sé. Hyoga la guardò e la trovò stupenda. Come luna sbriciolata. Come diamanti ridotti in polvere.
Il ghiaccio si incrinò. Il ghiaccio infrangibile della Siberia. Sotto la Polvere di Diamanti creata da Camus.
Poi, scricchiolando, si spezzò in due.

Neve è un tributo amorevolissimo a Hyoga e a tutta la “Siberian Family”, tirando dentro anche Milo che la completa, pur restandone nella sua Atene. Copre il periodo dell’addestramento del Saint di Cygnus in Siberia con Camus e Isaac - e con Milo che si intrometterà, appunto, qualche volta - dal suo arrivo fino al ritorno a Tokyo.
Di tanto in tanto capiteranno capitoli Shonen Ai / Yaoi più espliciti. Non mi sembra il caso di cambiare il rating generale della storia, poiché episodi simili saranno molto rari ( l'unico Shonen-Ai/ Yaoi previsto riguarda la coppia MiloxCamus, quindi, considerata la presenza marginale di Milo, si tratta di una percentuale davvero scarsa sulla fanfiction ), ma li indicherò laddove si presenteranno, capitolo per capitolo.
[Unica considerazione forzata: si parla del regista Evgenij Bogratjonovic Vachtangov. In realtà Vachtangov muore mel 1922, quindi diversi anni prima della nascita di Hyoga. Gli ho DECISAMENTE allungato la vita. A voi, ora, decidere se ne è valsa la pena.]
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Aquarius Camus, Cygnus Hyoga, Kraken Isaac, Scorpion Milo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO: Come fuoco che arde al mattino

PERSONAGGI: Hyoga e Camus

IN PROPOSITO: Camus incontra Hyoga, che sarà suo allievo. Primi passi tra i due. Primi passi in tutti i sensi, davvero.

 

 

 

Quando si fermò fu per riprendere fiato, a metà della salita. Ansimava. Si era sforzato di mettere un piede davanti all’altro più veloce che poteva, per stare al passo del giovane che era venuto a prenderlo. Solo a metà salita, Hyoga si era però reso conto che l’impresa non era roba da ridere.
Sentiva il cuore spingere contro il petto, freneticamente, come se gli allenamenti a con gli altri bambini a Villa Kido, fossero stati soltanto un sogno sciocco. Girò gli scarponi nella neve gelida, ascoltando il rumore che faceva sotto le suole. Come cristallo frantumato sotto un tappeto soffice.

Guardò la fila ordinata di orme che avevano lasciato: le sue, piccole e vicine, tracciavano la strada fino alla locanda della gentile Avrora, ma a tratti il vento, che fischiava minaccioso, le aveva spazzate via e presto avrebbe cancellato ogni traccia del loro passaggio. Hyoga sentì la gola stringerglisi senza un motivo. Quelle della sua silenziosa guida descrivevano invece falcate più ampie, ma erano leggere, perfino più leggere delle sue, come lasciate da un corpo senza peso.

“Non fermarti” la voce lo raggiunse, tagliente come il vento, e Hyoga sussultò.
Si girò nuovamente e riprese la salita. Sgomento si rese conto di quanto fosse difficoltoso ripetere quei movimenti semplici, come se le gambe fossero fatte di piombo. La pelle, arrossata dal freddo e dalla febbre era un contatto con il mondo quasi doloroso. Orgogliosamente si spinse in avanti.

L’uomo lo fissava dall’altura. Era alto e longilineo, eppure emanava d sé una forza straordinaria, come se fosse compatta sotto la pelle. Aveva i capelli lunghi e curati di un rosso strano e accattivante, come il sole che arde al mattino. Lo aspettò finché non lo vide rimettersi in marcia, poi proseguì a sua volta, scomparendo alla vista del bambino. Non si fermò nemmeno quando lo sentì cadere alle proprie spalle. Hyoga tentò di chiamarlo, ma le parole non raggiunsero le sue labbra, spazzate via dal vento, che gli schiaffeggiò le guance, e gli spinse via il cappuccio della giacca, esponendolo al vento. Tentò di rialzarsi, ma il movimento del ginocchio in avanti lo fece scivolare più in basso. Tentare di arrestare il movimento artigliando la neve caduta con le dita fu un grosso errore: fu più o meno come stringere nelle mani i frantumi di un bicchiere rotto. Allentò la presa e scivolò più in basso ancora, ma il ghiaccio gli ferì le mani, macchiando la distesa candida di sangue.

Il piccolo spalancò gli occhi azzurri, fissando il sangue, e quella macchia gli parve un oltraggio su tutto quel gelido candore. Strinse i denti e serrò le labbra. Affondò le dita doloranti nella neve dura e si tirò più su, sul pendio. Poi lo fece con l’altra e guadagnò altri centimetri. Mano a mano, raggiunse il tratto pianeggiante, fino a trovarsi, rannicchiato nella neve ai piedi del giovane.

 

“Come ti chiami?” La neve aveva smesso di cadere ed erano entrambi seduti sul bordo della pendenza.

“Hyoga.”

“Hyoga?”

Il bambino alzò lo sguardo, interrogativo. Hyoga. Che problemi c’erano con il nome Hyoga? Lo pensò distrattamente, frastornato dalla stanchezza e dal rumore del vento che si era placato, ma il cui rumore ancora gli infuriava nelle orecchie.

“Hyoga è un nome giapponese.” L’altro assottigliò gli occhi, scrutandolo come se dovesse estirpargli un segreto. “Vuol dire qualcosa come fiume di ghiaccio, non è così?”

Però. Non ti sfugge niente, eh? Hyoga evitò di dare voce a quel pensiero. Affondò il visetto nelle mani e si limitò ad annuire.
”Ma tu sei russo. Non sei giapponese.”

“Mio padre era giapponese.” Hyoga strascicò la voce. Palesemente non gradiva quell’argomento. “Mia madre ha scelto per me un nome della sua terra. Mi ha detto così, almeno.” Nel dire mia madre, il suo tono si fece più carezzevole, in qualche modo.

“Capisco.”

“E tu come ti chiami?”

“Camus.”

“Camus?”

Camus abbassò lo sguardo, serrando le labbra. Probabilmente era seccato dal tono familiare con cui gli venivano poste le domande. Probabilmente  era seccato dal fatto che il ragazzino trovasse strano il nome tanto quanto lui trovava assurdo il suo. A sua volta, si limitò ad annuire.

“Che razza di nome è Camus?”

“E’ un nome francese. Lo portava anche uno scrittore famoso.” Tagliò corto.

“Sei francese?”

“Lo sono stato.” Si alzò e si liberò i pantaloni dalla neve. Era arrivato il suo turno di glissare su un argomento. Hyoga non chiese niente, in proposito, e si alzò a sua volta, pronto a seguirlo.

Proseguirono ancora, dopo quel breve intervallo, e proseguirono per ore. Camus aveva rallentato il passo, permettendo così al bambino di camminargli al fianco, senza dovergli per forza dargli le spalle. Hyoga lo guardò a lungo, in silenzio, quel giovane uomo alto e longilineo, che pure emanava da sé una forza straordinaria, come se la tenesse compatta sotto la pelle, con i capelli lunghi e curati, di quel rosso strano e accattivante che ha il fuoco che arde al mattino.

Camus che sarebbe stato il suo maestro.

“Non fa poi così schifo il nome Camus” Lo rincuorò, trotterellandogli di fianco, quando rischiò di essere nuovamente lasciato indietro.

“Nemmeno Hyoga, infondo. Alla fine ci si abitua.”

   
 
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