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Autore: Valeromanzi    16/03/2013    4 recensioni
Il tempo passato in viaggio verso casa è il momento migliore per pensare.
Soprattutto quando non riesci a toglierti dalla mente il ragazzo che ti ha spezzato il cuore.
Dalla storia: "Una tenue macchia gialla attirò i miei occhi. Erano i primi fiori dell’anno. Sentii le mie labbra incresparsi in un sorriso amaro. Il nostro amore era stato proprio come una primula [...]"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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primula

~Come una primula~

I campi ricoperti di brina scorrevano oltre il finestrino senza che i miei occhi li vedessero davvero, creando quell’atmosfera cupa e sospesa che solo l’alba delle mattine di febbraio può donare; quella della nebbiolina sottile posata sui fili d’erba cristallizzati dal gelo, quella dei raggi pallidi del sole che cerca di averla vinta sulle nuvole cariche di neve.
Se fosse stato un giorno come un altro avrei sospirato felice, riflettendo assonnata su quanto fosse bello quello scenario spettrale da film gotico che mi accompagnava lungo la strada verso casa ogni settimana, ormai da mesi, ma quel mattino non dava inizio ad un giorno qualunque; quel mattino che ancora doveva nascere sarebbe stato il decimo della mia vita senza di lui.

Sospirai, la testa appoggiata contro il vetro, e il mio respiro formò una patina di condensa sulla sua superficie, fredda contro la mia guancia. Osservai per qualche secondo la nebbiolina opaca che avevo involontariamente creato e considerai quanto fosse simile a quello che sentivo di avere nella mia mente in quell’istante. Con un improvviso gesto di stizza, la cancellai con un unico movimento circolare. Non ne lasciai nemmeno la minima traccia, augurandomi di poter fare lo stesso con i miei pensieri. Decisi di non considerare l’alone che si era riformato sul finestrino, illudendomi di poter davvero rimuovere definitivamente qualcosa, nella mia vita. Dopotutto, era evidente che con lui avrei dovuto farlo.
Sentii distintamente l’istante in cui il mio inconscio prese il sopravvento sulla mia forza di volontà, distogliendomi da ogni mio buon proposito e facendomi tornare con la mente a Matteo. Sospirai di nuovo e per la seconda volta il vetro si appannò sotto il mio respiro. Lo fissai meditabonda. Come volevasi dimostrare. Un fallimento su tutta la linea.

Matteo. Matteo era una ferita fresca sulla mia pelle metafisica. Anzi, era uno di quei taglietti che ci si fa con la carta sulla punta delle dita, di quelli che a malapena si vedono ma fanno lo stesso un male tremendo.
Ecco, Matteo era il taglio e il foglio di carta che me l’aveva procurato; e quel foglio di carta era il copione della mia vita negli ultimi sei mesi, che, vista in prospettiva, sembrava davvero una di quelle commediole all’italiana che si filano alternativamente le adolescenti o le ultracinquantenni.
Patetica. Non trovavo definizione più calzante per descrivermi, a posteriori.
Patetica come solo una diciannovenne che si affaccia al mondo per la prima volta poteva esserlo, decidendo che la prima cosa giusta da fare era innamorarsi del classico coglione stereotipato che doveva, per forza di cose, strapparle il cuore e darlo in pasto alle belve feroci.
Perché ad una ragazza piace essere, di quando in quando, infelice in amore. Lo diceva pure la Austen in Orgoglio e pregiudizio.
Sbattei leggermente la testa contro il finestrino, sprimacciandomi gli occhi. Dio, quanto avrei voluto odiarlo; ma pensare a Matteo voleva dire ricordare i suoi baci, le sue carezze, la tenerezza con cui mi stringeva ogni volta che lo incrociavo per sbaglio in facoltà, perché sapeva che a me non piaceva dare spettacolo e quindi limitava le effusioni in pubblico.
Pensavo a lui e non potevo dimenticare la tenacia con cui si era scavato un tunnel sotto la cinta muraria che proteggeva i miei sentimenti, la pazienza che aveva avuto nel rispettare i miei tempi.
Sbuffai al ricordo di lui che mi aspettava fuori dall’aula, fingendo di fare altro e di avermi incrociato per caso, del suo sguardo, che si circondava di piccolissime rughe quando mi sorrideva, dei suoi denti bianchissimi, che mi ritrovavo a fissare ogni volta.
Non aveva mai voluto dirmi come aveva fatto a notarmi in mezzo a migliaia di studentesse molto più belle di me, né perché avesse scelto me. Era semplicemente comparso nella mia vita come un fulmine a ciel sereno e poi c’era rimasto, come l’elettrostaticità che riempie l’aria dopo il suo passaggio.
Soffocai un singhiozzo. Non avrei pianto per lui, non dopo che aveva deciso di tradirmi con una puttanella qualsiasi.
Lo vedevo ancora davanti a me, venerdì pomeriggio, mentre rideva abbracciandola per strada, chinandosi a baciarla come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Mi era davvero parso di sentire il sangue gocciolare dal mio cuore infranto, ma avevo indossato la mia migliore faccia inespressiva e l’avevo salutato come se niente fosse. Aveva ricambiato sovrappensiero, poi era gelato sul posto. Non aveva nemmeno provato a negare.
Mi ero allontanata prima che mi vedesse piangere, come se non mi importasse nulla di lui o del mondo.
Mi ero trincerata di nuovo dietro le barriere di un’insensibilità cronica, certa che, se avessi tagliato fuori ogni sentimento, non avrei potuto soffrire. In dieci giorni ero riuscita a disfare quasi tutto quello che lui aveva fatto per me; ero quasi tornata ad essere la ragazza introversa che era arrossita fino alle orecchie la prima volta che l’aveva baciata, quella che nascondeva l’insicurezza dietro una patina di perfezione, che pretendeva troppo da se stessa e dagli altri.
Non mi aveva cercata. Non si era scusato. Da un giorno all’altro era scomparso dalla mia vita, quasi fosse stato soltanto un bellissimo sogno ed io mi fossi finalmente svegliata, scoprendo che la mia vita era irrimediabilmente vuota senza di lui, senza i suoi capelli corti e il suo tatuaggio assurdo, che mi aveva tanto incuriosita all’inizio: sei cerchi sottilissimi che correvano a spirale lungo la sua nuca. Uno per ogni persona che avrebbe portato nel cuore in eterno, mi aveva confidato un giorno. Avrei voluto esserci anch’io, incisa sulla sua pelle, proprio come lui era inciso nel mio cuore.
I primi raggi del mattino mi ferirono gli occhi, facendomeli socchiudere.
I campi ricoperti di rugiada ghiacciata si stavano lentamente sciogliendo, sotto l’effetto del sole che sorgeva. Era uno spettacolo che mi emozionava sempre.
Ferma all’ultimo semaforo, lasciai vagare lo sguardo su quello sprazzo di vita che nasceva ogni giorno. Una tenue macchia gialla attirò i miei occhi. Erano i primi fiori dell’anno. Sentii le mie labbra incresparsi in un sorriso amaro. Il nostro amore era stato proprio come una primula: delicato, bellissimo, terribilmente fragile. Distolsi lo sguardo dal finestrino; distolsi lo sguardo da quello che avremmo potuto essere lui ed io assieme. Ero arrivata.

La stazione era quasi deserta. Scesi dall’autobus stringendomi nel cappotto e sistemandomi la sciarpa, che svolazzava sotto la spinta del vento freddo. Rabbrividii, decisa ad arrivare a casa nel minor tempo possibile e a gettarmi nella mia vita piena di impegni, che mi avrebbe assicurato la pace mentale per almeno qualche ora. L’autista mi porse la valigia ed io lo ringraziai con un sorriso di circostanza, chiedendomi se sarei riuscita di nuovo a produrne uno vero. Lasciai scorrere lo sguardo sulle poche persone presenti.
Lui era lì, seduto su una panchina ancora nell’ombra. Anche visto di spalle era impossibile per me non riconoscerlo. Lo osservai mentre se ne stava immobile a contemplare il fiume che scorreva a fianco della stazione. Sentii che tirava su col naso, un’abitudine che non avevo mai sopportato, e dovetti reprimere l’istinto di prendere un pacchetto di fazzoletti dalla borsa e lanciarglielo addosso, come avevo fatto mille altre volte, per scherzo. Percepii il freddo che provava dal modo in cui si strinse nel cappotto.
Vederlo senza difese, da lontano, mi tolse il respiro. Il suo profilo era pressoché perfetto, con quel naso dritto e il ciuffo di capelli corvini che gli svolazzava attorno agli occhi. Non li vedevo, ma sapevo che erano grigio antracite, con una sfumatura più chiara verso il centro. I raggi deboli del sole lo illuminarono da destra, facendo capolino da un banco di nuvole dello stesso colore delle sue iridi. Era bello da star male, sembrava risplendere di luce propria.
Mi odiai per averlo davvero pensato; mi ero imposta di dimenticarlo e in quel momento stavo buttando al vento giorni e giorni di auto convincimento forzato, struggendomi per un ragazzo che aveva evidentemente deciso che non lo meritavo.
Feci leva sul mio orgoglio ferito e sui miei sentimenti calpestati come foglie secche d’autunno per voltargli le spalle e continuare con la mia vita, decisa ad ignorare le urla strazianti del mio cuore.
Faceva dannatamente male.
Fu questione di un istante:, mi stavo già girando quando un raggio di sole lo ferì agli occhi, facendogli voltare la testa nella mia direzione.
I nostri sguardi si scontrarono, intrecciandosi, lottando tra loro. Lo vidi alzarsi e muoversi verso di me, sillabando il mio nome quasi fosse in trance, ed io reagii d’istinto: mi voltai e scappai, cercando di mettere quanta più distanza tra me e lui, perché sapevo che non sarei riuscita a resistere ancora e non avrei mai perdonato me stessa se gli fossi crollata davanti, facendogli vedere quanto fosse diventato indispensabile nella mia vita.
«Annalisa, aspetta!» La sua voce mi raggiunse con la violenza di una stilettata alle costole. Non potei evitarlo, il mio corpo decise per me. Mi fermai senza voltarmi.
«Perché?» Lasciai a lui il capire cosa gli stessi veramente chiedendo; a conti fatti, non lo sapevo con certezza nemmeno io.
«Io... io... non lo so. Annalisa, ti prego.» Il tono di supplica nella sua voce mi fece serrare le palpebre, lottando contro le lacrime che
aspettavano da giorni di sfuggire al mio controllo. Presi un respiro per calmarmi. Lui non ti ama, mi dissi. Me lo ripetei un’altra volta, per sicurezza, facendo leva sul dolore che quel pensiero mi provocava per sembrargli indifferente.
«Non sai cosa, Matteo?»
«Non so perché l’ho fatto.»
«È molto semplice, in realtà: non ero abbastanza per te.» Avrei voluto che ci fosse meno amarezza nella mia ultima frase, ma la voce mi tremò, portando con sé lo strascico di un lutto del tutto personale. Piangevo il mio cuore ormai perduto, donato ad un ragazzo che l’aveva considerato alla stregua di un giocattolo nuovo di cui si era stancato fin troppo in fretta, troppo monotono o fragile per divertirsi davvero ad usarlo.
«Annalisa», sussurrò, la voce rotta, «lo sai che non è vero. Tu sei sempre stata troppo per me, ero io che non ero mai abbastanza.»
«È per questo che mi hai tradito?»
«Io non ti ho tradito.»
Sussultai all’inconfondibile sincerità che mise nelle sue ultime parole, quasi mi avesse schiaffeggiata.
Mi voltai nella sua direzione e incontrai il suo sguardo.
«Non mentirmi», e suonò più come una preghiera che come un ordine.
Matteo allungò una mano verso il mio viso, cauto, e accarezzò la mia guancia delicatamente, spazzando via lacrime che non mi ero nemmeno accorta di aver smesso di trattenere.
«Non ti sto mentendo. Non c’è mai stato niente, era un bacio senza significato.»
«Non esistono baci senza significato.»
«Non voleva dire quello che dicono i nostri, allora.»
«E cosa vogliono dire?»
«Che ci amiamo.»
Il mio cuore perse un battito. Inclinai il capo andando incontro al suo palmo aperto e chiusi gli occhi, lasciando andare con un sospiro il fiato che avevo inconsciamente trattenuto.
Aveva le dita gelate, ma non mi importava. Avevo percepito la sofferenza nel suo sguardo plumbeo, nella sua voce tesa; aveva commesso uno sbaglio e ne stava pagando le conseguenze.
Presi una decisione: feci un passo verso di lui, abbandonando la valigia e l’incertezza, ed eliminai ogni distanza rimasta tra noi due. Le sue braccia mi circondarono, stringendomi come se fossi la cosa più preziosa che avesse mai posseduto, avvolgendomi nel suo calore, nel suo profumo indescrivibile, nei suoi sentimenti.
Finalmente mi sentii a casa, in mezzo ad una stazione semi deserta, con il vento gelido che lottava contro i nostri abiti e le sue parole che mi cullavano, scuse e promesse sussurrate al mio orecchio; le mie labbra ritrovarono finalmente le loro gemelle. Sarei potuta rimanere così in eterno.
«Ti devo mostrare una cosa», mi disse, sciogliendosi infine dal nostro abbraccio ed allontanandosi di un passo. Sentii subito più freddo e rabbrividii, mentre lo guardavo incerta sfilarsi la sciarpa. Mi diede le spalle e si abbassò il collo della giacca e del maglioncino che indossava sotto.
Sulla sua pelle, ancora circondato da un alone arrossato, c’era un nuovo cerchio nerissimo, il settimo. Rimasi senza parole, fissando ipnotizzata quella sottile linea sulla sua pelle, tracciata con inchiostro indelebile. La sfiorai con le dita, con un gesto delicato.
Matteo rimise a posto gli abiti, poi si voltò di nuovo verso di me. Lessi la determinazione nel suo sguardo.
«Nel bene e nel male, tu per me sei un “per sempre”.»
Scoppiai a piangere come una neonata, singhiozzando e aggrappandomi alla sua giacca, incerta se riempirlo di pugni o di baci, sconvolta dalla disarmante sincerità con cui mi aveva sopraffatto. Matteo mi cullò, tenendomi stretta finchè non mi fui calmata.

Sapevo che non avrebbe capito, ma sentivo che ci sarebbe stato tutto il tempo per spiegarglielo; glielo sussurrai all’orecchio che le primule non muoiono alla prima gelata.

 

~Fine~

Tediosissime note dell’autrice (sì, perchè adoro parlare in terza persona di me stessa):

Questa storia partecipa al contest di Phoenix_esmeralda “Le sfumature del dolore”; con il promt Malinconia, che non credo di essere riuscita ad esprimere granché, ma si fa quel che si può.
Qui potete trovare un (orribile) modello del tatuaggio di Matteo, se a qualcuno potesse interessare. La mia adorata sorellina lo ha delicatamente definito “un cesso di tatuaggio”, ma per me conta più il suo significato che la sua estetica. Anche se un po’ ha ragione.
Grazie a tutti per aver letto/ commentato/ disprezzato/ deriso/ qualunque altra attività correlata alla storia possiate aver fatto.

Read you soon ;)

Vale



  
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