Fanfic su attori > Johnny Depp
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Autore: Nadim    17/03/2013    2 recensioni
Qualcuno vuole fare del male , qualcuno vuole vedere morto il famoso attore.
Lei è solo una cavia. E’ solo il suo lavoro e come tale lo deve svolgere al meglio.
Ma ella è inconsapevole. Si, scaltra,ma ingenua. Intelligente,ma sciocca.
Forse,questa volta, si è immischiata in un caso più grande di lei. Forse.
 ‘Il suo crimine?’ Pensava.
Non lo sapeva,ma non aveva importanza .Lei doveva solo uccidere.
Genere: Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Ed era stato così. Non era andata a Tokio. Come aveva detto, il suo obiettivo l’aveva raggiunto e non c’era motivo di fare un altro viaggio, giusto per rivedere la Première dello stesso film e riprendere un caffè con lui. Nonostante ciò però, un po’ci  aveva sperato. Sì, aveva sperato di rivederla; magari appollaiata su un albero, o magari vicino alla sua macchina in un parcheggio…
ma quando a Tokio aveva rivolto lo sguardo sia all’uno che all’altro, non la vide. E fu li che si rassegnò e cercò di accantonare l’immagine di quella ragazza, nei filamenti più oscuri della sua mente.
Per i primi tre giorni, infatti, dopo il loro ultimo incontro, lui non riuscì a fare altro che pensare a lei. Ai suoi occhi e al suo sguardo, ai suoi lineamenti e alla pelle del suo viso.
“Perché?”
Si chiedeva.
Perché doveva essere così? Perché aveva l’impressione di averla già incontrata? Perché la sentiva così familiare? Perché c’era una luce nei suoi occhi che contraddiceva quella familiarità? Perché?
Non lo sapeva. Non riusciva a darsi una risposta. Aveva provato, tante, tantissime volte a trovarne una. Ma non c’era, questo era il problema. E per tre giorni, non riuscì a darsi pace, non riuscì a non pensarla. Le era sembrata così tranquilla al bar. Di solito i fan impazzivano quando lo vedevano. Lei no. Lei non l’aveva fatto. Questo, non poté altro che fargli piacere –visto che non gli era mai piaciuto essere ‘osannato’- però…però contemporaneamente questo gli faceva accrescere la sua curiosità nei confronti della ragazza.
“Evelyn. Evelyn Jonson.”
Un nome che non aveva mai sentito. Mai.
E poi lei aveva negato quando lui gli chiese se si erano già incontrati prima; aveva letteralmente negato. Per la prima volta, la situazione gli era sfuggita di mano; in quel bar, con lei, era rimasto silenzioso, in imbarazzo, indeciso. Non gli era mai capitato, non che le persone che non conosceva…solo una volta; con Tim. Ma allora, Tim Burton era il regista con cui avrebbe dovuto fare il “provino” per un film. Che poi, quell’incontro, “provino” non fu…solo una chiacchierata con parole sospese. Ma ora Tim Burton era l’amico, con cui faceva i film, non un film. Ed era cambiato tutto. E il suo ottavo film, Dark Shadows , era oramai una conferma al loro solido rapporto. Come le loro Première insieme. Quella Première alla quale non era andata. Ma perché il suo pensiero ricadeva sempre e solo su di lei?
Quella Première, però, come abbiamo già detto , fu anche il luogo e il momento in cui decise di dimenticarla. In cui cercò di convincersi che erano solo coincidenze. Nulla di più. L’avrebbe dimenticata, sì.

Ma come si sa, il proprio inconscio agisce da solo, all’oscuro della ragione. Ed è proprio nell’inconscio che vacilla la speranza che riporta in vita figure che abbiam messo di forza da parte. Ed è la speranza che agisce. Fu quel sentimento nascosto che portò Johnny a Los Angeles.
“E se lei non abitasse a Los Angeles?
 Merda. Ancora.”
Era venuto solo per un libro. E in libreria sarebbe andato. Certo, dal Giappone all’America. Da Tokio a Los Angeles…
“E se fosse ancora a Londra?”
No. Un libro. Solo un libro.

***

“…e poi ho girato per la città per scoprire se ci fossero alcuni luoghi che è solito a frequentare.”
“ E?”
“ E niente.”
“Come niente?”
“Non molto. La gente fa fatica a parlare…si, insomma c’è una certa fiducia istaurata tra Star e negozianti di Los Angeles.”
“ Fiducia dettata dai soldi.”
“Probabile…”
“Sai che a noi i soldi non sono un problema.”
“Il problema è che c’è un problema a dare i soldi per risolvere il problema.”
“Odio i vostri giochi di parole.”
Sospirò appena.
“Nel senso che ‘corrompendoli’ , rischierei.”
“Giusto…”
“Bravo William e poi, sono senza autista. Sai che mi sto facendo i chilometri a piedi in una Città così grande!”
“La prassi è prassi. Sai che noi autisti non possiamo interferire con le missioni. E poi credo che sia ora che lei prenda la patente…”
“William, non ho intenzione di prendere la patente, ne abbiamo già parlato.”
“Ma-”
“William, lo sai. Non mi va di parlarne”
Silenzio.
“Sì, scusate, io non volevo-”
“So che non volevi. Tranquillo.”
“Cosa dico al Signor White riguardo il procedimento della missione?”
“La verità.”
“Ovvero?”
“Che non mi hai ancora chiamato, perché non hai avuto tempo.”
“Signorina!”
“Dai ti prego. Due giorni. Due giorni e avrò delle notizie. Promesso!”
“Vedo cosa si più fare…”
“Grazie Will, sei il migliore!”
“Figuratevi, a due giorni allora.”
“A due giorni.”
 
Chiuse la chiamata e gettò il telefonino su letto, dopodiché fu lei a buttarsi su quel comodo materasso, facendo fare un lieve ribalzo al cellulare. Sospirò chiudendo gli occhi e stiracchiandosi, allungando così le braccia al soffitto per poi farle ricadere a peso morto sulla sua pancia e sospirando ancora. Quando aveva staccato la chiamata con William, le era rimasto un senso di amaro in bocca, nel corpo, nella mente. In un certo qual modo ricordarle che non aveva la patente, aveva fatto nascere dentro di lei un senso di…vuoto.  Un vuoto che conosceva bene, che l’aveva accompagnata durante tutta la sua infanzia, che era aumentato durante la sua adolescenza e che si ripercuoteva sotto forma di vendetta da quando lei era diventata maggiorenne.
 
April non aveva mai conosciuto i suoi genitori e di loro sapeva ben poco; William le aveva raccontato poco e niente. Sapeva, che sua madre si chiamava Angel e suo padre Mark. Angel e Mark Powell. Due coniugi. Due ragazzi che si amavano molto, troppo. E da quel troppo amarsi era nata lei, April. April Powell , il frutto dell’amore di un uomo e una donna. Sapeva che lei assomigliava molto a sua madre, il viso, le forma del corpo, i capelli. L’unica cosa, che aveva di suo padre, erano gli occhi. William glielo diceva sempre.


Morirono in un incidente stradale.
Erano solo andati a comprare dei pannolini per April, che –ancora troppo piccola per uscire- fu lasciata nelle mani di William, amico fidato della coppia di sposi. Da quel giorno in poi, William si prese cura di lei e coloro che avevano provocato l’incidente, non erano stati arrestati.
Per questo April uccideva. La sua era pura e semplice vendetta inculcatale da William, quando lei era ancora una bambina. Visse con la concezione che uccidere fosse giusto. Che vendicarsi sulle anime innocenti fosse una cosa divertente. Una cosa che tutti meritavano, perché lei a causa della non-giustizia non aveva mai conosciuto i suoi genitori. E la giustizia doveva pagare. Pagare, pagare , pagare. Anche se a volte, quando William le diceva queste cose, giurava di vedere dentro i suoi occhi un espressione afflitta, quasi di penitenza.
Era solo un’ impressione.
E poi era anche per questo che non guidava, che aveva deciso di non prendere la patente;  un auto aveva provocato la morte dei suoi genitori, coloro che le avevano dato la vita, coloro che lei avrebbe amato per sempre. Ma non c’erano. Non c’erano mai stati, come l’amore che si erano portati via…


Si alzò di scatto, richiudendo quella voragine che avrebbe riaperto nel momento il cui avrebbe ucciso Johnny Depp. Si sistemò i capelli, prese la borsa e uscì, alla ricerca di qualche informazione. Aveva fatto una promessa e l’avrebbe mantenuta.
“Anche se non so come.”
Erano cinque giorni che non aveva notizie di lui.
Cinque giorni dall’ultima volta. Era stata stupida. Doveva seguirlo anche a Tokio, anche se pensava che così avrebbe forzato troppo la mano. Intanto, in quei cinque giorni aveva girato per le strade di Los Angeles, entrando in tantissimi negozi da quelli di musica a quelli di abbigliamento, da quelli di elettronica alle librerie. Ma purtroppo, non aveva scoperto niente. La maggior parte dei proprietari dicevano o che era passato, ma giusto per dare un’occhiata agli oggetti esposti oppure che magari passasse Johnny Depp lì, da quelle parti. Anche se dopo, dietro il bancone, vedeva  una foto incorniciata appesa alla parete, nella quale poteva riscontrare il viso del cassiere /proprietario/ commesso insieme al volto di Johnny. Il restante, invece, che veramente non l’aveva mai incontrato, dichiaravano che sì, Johnny Depp era passato e che da quell’incontro era nata veramente una bella amicizia, ma purtroppo il loro tono di voce, a volte canzonatorio a volte pieno di falsa vanità, non aveva mai convinto April.
E poi la sua casa. Quello si che era un grosso, grossissimo problema. Insomma se era tanto grande come dicevano, allora doveva essere facile da notare, no?
Esattamente, no! Non lo era.
Sì, ok. Aveva visto tante case veramente molto grandi, ma nessuna era quella giusta.
“Va bene che  fa tantissimi viaggi, ma avrà pure una casa. Altrimenti dove vive? Su Marte?
Categoricamente, odio il Signor White e le sue missioni altamente difficili. Per non dire altro. ”

E tutto ciò non era agevolato dai mezzi di trasporto. Certo, per spostarsi prendeva bus e treni, ma fine ad un certo punto, poi doveva proseguire per forza a piedi, e di camminare ce ne era  tanto. E anche prendere i mezzi di trasporto non era una passeggiata: le sue corse per non tardare, il caldo della stagione di Maggio, i vari ritardi del mezzo stesso , la gente che si affollava tra i sedili dell’autobus…tutto questo rendeva le cose molto più difficili.
Ed era stanca, questi giorni erano stati stressanti…ed era per questo, che ora aveva deciso di camminare per le strade vicine, senza allontanarsi più di tanto da casa. 
Incominciò il suo giro di “indagini”, entrando in una libreria.
Tanto, la procedura era sempre la stessa: entrare, fingersi interessata ai prodotti (a volte anche acquistarne uno), e poi intrattenersi con un commesso dicendo frasi del tipo “Certo, voi qui a Los Angeles siete fortunati, chissà quante Star vengono a spendere in questo posto!”.
E poi si sa, una domanda tira un’altra e alla fine scopriva sempre ciò che voleva sapere.
Ora, doveva fare solo la stessa cosa.
Entrata, le sue narici si riempirono di quel delizioso profumo particolare, che solo i libri riescono a dare.
“Buongiorno.” Disse , ma non ebbe risposta. Così, decise di continuare a camminare.
Era un luogo veramente grazioso, grande, ordinato e addirittura pulito. Di solito le cose grandi non sono mai pulite, ci sono sempre dei granelli di polvere che stonano il tutto.
Come le persone. Più sono potenti, e più sono sporche; è raro trovarne una pulita.
L’atmosfera poi, era una delle più tranquille e serene: sembrava non ci fosse nessuno, solo lei e migliaia personaggi racchiusi all’interno delle pagine dei libri. Pagine che si trovavano su enormi scaffali di legno, poggiati al lato destro e sinistro delle pareti, lunghe parecchi metri. Gli scaffali erano separati tra loro, di qualche centimetro, per genere e assumevano colori particolari a causa delle varie copertine dei libri. Al centro, invece vi erano mobiletti cavi messi l’uno sopra l’altro, all’interno dei quali vi erano ancora altri libri. Anche questa “linea divisoria” si prolungava per tutta la lunghezza delle pareti e divideva la zona in due parti: una destra e una sinistra. E infondo, infine vi era una parete in plastica dove  erano esposti alcuni segnalibri e film tratti da vari libri. Lì, poi la zona si biforcava in due bracci uno a destra che era collegato con il corridoio destro precedente e uno a sinistra anche lui collegato con il corridoio di sinistra precedente. Anche qui c’erano scaffali colmi di libri.

April si diresse nella parte sinistra, verso il reparto “Horror/ Thriller”. Il suo preferito, come ovvio che sia.
Tra i tanti libri appoggiati sulle mensole del grande scaffale in legno cercò quelli di Stephen King; li aveva letti più o meno tutti, poteva considerarsi una vera e propria appassionata di quell’autore.
Il miglio verde. “Ce l’ho.”
L’acchiappa sogni. “Ho anche questo.”
La bambina che amava Tom Gordon. “Ah, ah questo pure.”
E i prossimi dieci minuti li passò constatando che aveva tutti i libri che considerava.
“Uh. No. Questo no.”
22/11/’63.
Lo prese tra le mani e lo osservò.
Edizione 2011. Ecco perché ancora lo doveva comprare, era uscito recentemente.
Si soffermò a leggere la trama, poi come suo solito aprì il libro, prendendo così una pagina a caso. Iniziò a leggere quella pagina casuale con attenzione e poco dopo, richiuse il libro.
Le piaceva sì, l’avrebbe sicuramente comprato e così quel librò non fu rimesso più al suo posto, ma continuò a restare nelle mani di April.
Era un suo vecchio metodo quello di aprire una pagina a caso e leggerla, se questa l’avrebbe attirata, allora comprava il libro, altrimenti no. Come era anche sua abitudine vedere, una volta comprato, la prima e l’ultima parola con cui comincia il racconto.
Continuò la sua “visita”, camminando con lentezza a testa bassa, leggendo i vari titoli dei libri, e percorrendo lo stesso corridoio sinistro, fino a girare, appunto, lungo quel braccio sul fondo ad esso collegato. camminò ancora per un po’ cercando sempre un titolo che suscitasse la sua attenzione, quando proprio questa, però, venne attirata non da un titolo, ma da una mano, intenta a pescare un libro. Una mano con un tatuaggio. Un tatuaggio a forma di tre. Alzò lo sguardo sul proprietario di quell’arto. Deglutì. Stava scrutando il libro con molta attenzione; sembrava su un altro pianeta.
Che la fortuna stesse giocando di nuovo a suo favore? Avrebbe chiesto qualcosa in cambio, la fortuna. Ma quale persona non coglie l’occasione al volo? Solo uno sciocco. E lei, sciocca non era.
L’avrebbe ripagata un giorno la fortuna. Ma ora, non poteva proprio rifiutare quell’occasione posta su un piatto di argento.
Si avvicinò lentamente a lui, con delicatezza, senza fare rumore. Ora, gli era letteralmente di fianco, ma lui non l’aveva ancora notata talmente che era concentrato. Fece finta di vedere qualche libro, poi decise di dare aria alla bocca.
“Non recupera ragazzine sugli alberi, oggi?”

Johnny sussultò al suono della sua voce. Alzò subito gli occhi dal libro e la guardò. Era lei.
“E’ lei.”
Ma come era possibile? Che la fortuna stesse giocando a suo favore in quel momento? Probabile. E lui, non poteva rifiutare. Cercò di sembrare il meno sorpreso possibile, infondo era pur sempre un attore.
“Hey, non ci siamo già incontrati?”
April sorrise compiaciuta a quella domanda che faceva direttamente riferimento alla loro ultima conversazione.
“Si.” Rispose lei. “Ma non si risponde ad una domanda con una domanda.”
Mh. L’aveva detto anche con Jerry.
“La mia datrice di lavoro, oggi, si è presa un giorno di ferie.”
“Ah, davvero? Non deve essere tanto seria, lei.”
“No, non lo è affatto.”
Doveva inventarsi qualcosa e alla svelta. Era lì, impalato a guardarla con quel sorrisetto sarcastico stampato sulle labbra. Non lo doveva perdere, non di nuovo…
E poi tutt’ad un tratto ebbe un colpo di genio, secondo il quale se tutto fosse andato bene sarebbe riuscita ad intrattenerlo per un bel po’; così, senza perdere tempo fece per parlare.
 
Avrebbe dovuto invitarla a prendere un caffè, un qualcosa. Non la doveva perdere, non ora. Doveva trovare risposta a tutte le sue domande. E lei ora era lì. Certo, avrebbe dovuto conoscerla un po’, altrimenti quelle fatidiche risposte non le avrebbe mai trovate e lui non sarebbe riuscito ad avere un po’ di pace…ma si sarebbe sacrificato. Infondo era solo qualche ora che avrebbe dovuto passare con una ragazzina e lui, stranamente, per il momento, non aveva impegni. Così aprì la bocca per parlare, ma lei lo anticipò.
“Che libro è?” Chiese curiosa.
“Hell's Angels: A Strange and Terrible Saga. Lo conosci?”
Avvicinò il libro ai suoi occhi. Lei lo guardò e lo sfiorò con un dito. Poi, lui allontanò quelle pagine da suo sguardo, rimettendole a posto, nello scaffale.
“No…di chi è?”
“Thompson, lui lo conosci?”
“Si…si. Ne ho sentito parlare. Lo conoscevi di persona, non è così?”
“Si. Era un carissimo amico.”
“Capisco…ma sai questo genere di libro non mi piace molto.”
Lui alzò un sopracciglio.
“Ah no?”
“No.” Disse lei con tono deciso.
“Mmmh. E vediamo, quale genere ti piace ?”
April diede il libro che aveva in mano a Johnny, il quale lo afferrò delicatamente con curiosità.
“Stephen King. 22/11/’63…mh.” Lesse ad alta voce.
“Mai letto?”
“No, mai. Non è un genere che preferisco.”
Le restituì il libro.
“Ah davvero? Eppure ci hai fatto un film, Secret Window, no?”
“Si, ma i film sono diversi dai libri, non trovi?”
“Certo.” Sospirò. “Quali altri autori ti piacciono oltre  Thompson?”
“Beh c’è  Kerouac e poi Bulgakov, Roberts, Salinger, Hemingway, Poe e Joyce.”
April lo guardò per un momento accigliata.
Cavolo, non lo vedeva come uomo appassionato ad autori del genere. Pensava che gli piacesse leggere Horror, come lei...si era sbagliata. E il suo piano, così andò in fumo. Credeva che avendo una cosa in comune poteva discutere con lui, magari ad una cena, di quale libro fosse più bello o quale fosse più brutto. Ma quella cosa in comune non c’era e lei non era un tipo che riusciva a confrontarsi con qualcuno che non condivideva gli stessi suoi interessi. Anche se in quel momento non doveva essere April, ma Evelyn. Il che era totalmente diverso…solo che…solo che Evelyn non la conosceva ancora del tutto bene. E non conosceva nemmeno Johnny. Magari avrebbe fatto entrare in gioco Evelyn quando sarebbe stata più sicura sul carattere di Johnny…intanto, doveva pensare a come rimediare, per sostituire il suo piano. Doveva studiare un'altra strategia, al momento.
 
“Wow. Pensa, sono autori che proprio detesto.”
Ora fu Johnny a guardarla in modo un po’ strano.
“Perché?” Chiese.
“Mmmh…troppi giri di parole. Per esprimere un concetto, tipo, impiegano circa venti pagine.
Preferisco le cose dirette e coincise.”
Johnny fece una piccola risata.
“Vedi,  forse è per questo che non mi piace Stephen King, anche se anche lui a volte impiega pagine per esprimere un concetto…”
“Certo. Ma sai, Stephen King gioca di sulla suspense, gli autori che tu mi hai elencato si soffermano di più sulla psicologia.”
“Probabile.”
Disse. Oh. No, non poteva liquidarla con un solo “probabile”. Doveva parlarle, attirarla, conoscerla. Si, ma come?
“Non sarei capace di leggere un libro su sfondo psicologico, sai?”
“Ah, no? Sai, dovresti provare.”
“Mmmh…mi annoierei.”
Johnny sorrise.
“Nemmeno io ci riuscirei con uno di  Stephen King, sai? Mi annoierei. ”
E in quel momento April ebbe un’ottima idea.
“Perché non scommettiamo?”
Johnny Depp spalancò gli occhi più forte che potè.
“Scommettere?!”
“Si. Hai mai provato a leggere un libro di Stephen King?”
“N-no…ho recitato solo nel film di Secret Window.” Johnny storse un po’ il naso.
“Esatto. Io non ho mai letto un libro degli autori che mi hai elencato. Conosco solo il genere di cui si occupano e ho visto il film The Rum Diary e Paura e delirio a Las Vegas, tratti entrambi dagli scritti di Thompson.”
“Quindi?” Chiese lui curioso.
“La scommessa consiste in ciò: io ti consiglio un libro di Stephen King, magari ecco, quello che più mi è piaciuto. Tu, invece, mi consigli un libro a tuo piacimento di qualunque autore tu voglia, naturalmente di quelli che mi hai elencato. Il primo che finisce di leggerli, vince.”
 
Johnny abbassò un attimo lo sguardo e cominciò a riflettere.
Gli aveva lanciato una sfida, come rifiutare? Era una scommessa un po’ strana…ma se questo gli avrebbe permesso di rivederla ancora, l’avrebbe fatto.
“Cosa si vince?”
“Una cena, offerta da chi perde.”
Sì, decisamente. L’avrebbe fatto.
“Affare fatto allora.”
Si strinsero la mano, e mentre erano uniti in quel contatto April aprì bocca.
“Due giorni.” Disse.
“Due giorni?!”
“Esatto. Tra due giorni dovremo finire di leggere il libro. Senza imbrogli.”
Le loro mani si staccarono.
“Ma sei impazzita?! Come si fa in due giorni?”
Lei lo guardò in segno di sfida.
“Ti tiri indietro?”
Johnny guardò la sua aria spavalda, sicura di se. Questa sua espressione gli fece gelare il sangue nelle vene e allo stesso tempo lo innervosì. Strinse i denti e infine decise di accettare.
“Tra due giorni, qui. Alle undici della mattina.”
“Perfetto.”
Si sorrisero sfidandosi, così come la prima volta che si erano incontrati.
 
Da quella libreria, quindi, April uscì con due libri.
22/11/ ’63 di Stephen King e On the road di Kerouac.
Johnny invece ne uscì con uno solo.
Duma Key di Stephen King.
Infondo, Johnny doveva andare in libreria solo per un libro, no?
Un libro. Solo un libro.
 
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 Ok, Se pubblico un capitolo al mese, qua non mi smuovo più hahahaha.
Vabbè, faccio presto che sto per crollare, sono l’1:06, della notte ç_ç
Comunque, adoro Stephen King. Non so se si era capito hahaha. Questo capitolo mi piace particolarmente, non so perché. Forse perché c’è un po’ di storia di April…si insomma, si è capito perché questa ragazza uccide. Anche se *si tappa la bocca* eheh. LOL
E poi va beh, si parla di libri, altra cosa che adoro. Spero che vi piaccia l’idea della scommessa e che vi piaccia il capitolo come piace a me. Ora devo proprio andare. Alla prossima, ciaus  <3

  
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