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Autore: Gaia Bessie    19/03/2013    4 recensioni
Sono poche le persone che Gloss ricorda: una marea di volti e nomi sono stati dispersi nella moltitudine di pensieri e ricordi che affollano caoticamente la sua testa. È come se tutto fosse immerso in una nebbia densa e impenetrabile, che gli impedisce di scrutare tutto e inquadrare con chiarezza le situazioni che tanto lo angosciano. Che gli impediscono di toccare, vedere, sentire, odiare tutto ciò che ha già vissuto: il fumo e le rose, l’oro e la cenere, l’angoscia e i diamanti. In verità, non c’è nulla che lui desideri veramente vedere, oltre quell’inutile foschia. Non ci sono persone di cui valga davvero la pena avere un ricordo duraturo, sepolto sotto tutto il resto.
Sono poche le persone di cui Gloss sente la mancanza, un numero così ristretto che sosta facilmente sulla punta delle sue dita. Il campo, in verità, si restringe su una persona che non c’è più.
E Gloss la ricorda e ne sente la mancanza, soprattutto quando guarda suo figlio.
Basta che guardi i suoi occhi.
La vede in ogni istante di vita di Rich.
Ogni volta, quel maledetto verde menta lo uccide.
{Gloss/Glimmer}
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Cashmere, Gloss, Lux
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Attenzione: Possibile OOC e What if spropositato.


Bastava



L’aveva vista durante la sera delle interviste: era riflessa nel fondo argenteo degli occhi di Katniss Everdeen, appena sfocata in quella superfice indurita dalle intemperie della vita. Subito, una fastidiosa ondata di nostalgia l’aveva fatto fremere, costringendolo a ripercorrere con le unghie un sentiero sulle sue mani, già vecchio di mesi. Ormai non faceva nemmeno male, era solo un lieve pizzicore che si disperdeva nel sangue, permettendo alle sue mani troppo rabbiose di trovare una valvola di sfogo.
Ogni volta, pensava sempre alla perpetua assenza che dilagava, come un potente veleno, attorno alla sua persona. E si sentiva solo soltanto per quel pensiero scomodo, che nulla poteva scacciare.
 
Le sue chiacchiere, però, potevano essere mandate via. E così la voce di Katniss Everdeen diventava un brusio di sottofondo, unito a quello di Cashmere e di tutti gli altri. È da un po’ che Gloss sogna di ucciderli tutti, di poter vincere solo per continuare a ricordare quel volto che ormai non c’è più.
L’hanno sfregiato senza ritegno e nei suoi incubi, Gloss non ricorda mai com’era prima. E, a quel punto, si sveglia sempre gridando un nome che gli graffia le labbra.
Il minuto dopo, l’ha già dimenticato.
 
Si costringe ad ascoltarle, quelle parole che non vogliono dire assolutamente nulla. Tenta, forse invano, di sorridere soltanto e non scoprire i denti in direzione di Katniss.
E poi, lentamente, parla. Strascica parole che non riconosce in discorsi che non vuole affrontare, perdendo di vista il vero fulcro della conversazione.
Poi, tormenta la tasca dei pantaloni con insistenza, facendo sobbalzare l’oggettino che vi ha riposto.
E così, come nella lenta litania che risuona nella sua testa, ripete continuamente quel motivetto fatto di azioni basilari che è ancora in grado di compiere.
Sorride, ascolta, parla.  E, nel frattempo, combatte il dolore che gli provoca ogni azione, ogni respiro in più che un’altra persona non conoscerà mai.
 
Capta una sola proposizione – Chi hai lasciato a casa? – e subito sobbalza, ferito. Ma non è un dolore nuovo, è così vecchio che adesso si stupisce della sua sproporzionata intensità. Non riesce a dimenticarlo o isolarlo, è sempre lì, pronto a ferirlo in mille modi diversi.
«Io» dice, con voce bassa e strascicata. «Ho lasciato a casa mio figlio».
 
L’affermazione cade nel silenzio imbarazzato della ragazza in fiamme e nel fuoco dell’occhiataccia di Cashmere.  In un turbine di capelli biondi, sua sorella si volta e sorride alla ragazza più giovane.
«Noi non ne parliamo mai» cinguetta, innocente.
«Tengo una sua foto, qui» dice Gloss, un sorrisetto beffardo rivolto alla sorella. Estrae un medaglione dalla camicia color panna e lo apre, mostrando una foto ovale di un bambino davvero piccolo.
Ride, nel vedere il colore che abbandonava il viso di Katniss Everdeen. Questa volta, non si cura nemmeno di nascondere il ghigno di lupo che gli affiora sul volto.
«Per certi versi» aggiunge, palesemente divertito. «Mi ricorda tantissimo sua madre».
E si sofferma volutamente sull’espressione perplessa di Katniss, che scorre verso la foto e poi verso il suo viso, e la sua bocca mima numeri che vengono condensati per assumere un senso in quel tempo troppo breve.
«E’ con sua madre, adesso?» domanda lei, incerta.
Ottiene un’occhiata divertita e un sorriso amaro. E Gloss ricomincia: sorride, ascolta, parla.
«Dovresti saperlo, dov’è sua madre».
Gloss, in verità, non l’ha mai dimenticata.
 

***

 
Parla. Racconta a una folla di quanto tutti siano gentili con lui e Cashmere, sorride come se fosse grato a quelle persone.
Sorride. Ma il suo sorriso s’incrina ogni volta che pensa che, in verità, l’hanno uccisa loro. E, a quel punto, il suo sorriso non sembra più vero e il rancore esplode nel suo sguardo.
Ascolta gli applausi della folla, ma dentro sente solo quel vuoto che avanza inesorabilmente dentro di lui. E sente la sua anima che viene dilaniata, mentre una signora bionda gli sorride con aria sensuale.
 
La notte non dorme più, perso in un fiume di ricordi che minaccia di soffocarlo con quell’intensità dolorosa.
Eppure, solitamente gli incubi non lo tormentano: ha imparato a sopprimerli, regolarmente, per non sentirli più. Non è colpevole di nessun peccato, secondo la sua coscienza.
Bugiardo.
 
La verità è che di una morte, è colpevole: perché lei si era fidata di lui e poi Gloss l’aveva vista morire.
 
Non ha fatto nulla per salvarla.
 

***

 
Si sveglia solo per un momento, da quell’agonia senza fine: Cashmere si siede sul letto e porta con sé il profumo dolciastro della sua innocenza forzata.
«Vuoi parlarne?» domanda, i contorni nascosti dal buio.
Gloss si costringe ad abituarsi a quell’oscurità perché, in quel modo, Cashmere somiglia tremendamente a lei. Di quella somiglianza malata che ormai era la caratteristica migliore di tutte le donne.
«Di cosa?» biascica lui.
«Di lei» sbuffa Cashmere, impaziente.
«No» è la risposta secca di Gloss. «Che cosa vorresti sapere? Tu c’eri».
«Non puoi non parlarne per sempre» osserva lei, prima di andarsene.
 
«Speravo di poterlo fare» sussurra al buio, la voce che tradisce le lacrime che non arrivavano mai. «Perdonami, se ho fallito».
E per un attimo vede lei che lo guarda e capisce di essere spacciato.
 
Quella sera, decide di alzarsi.
E, per la prima volta, corre. Non sorride o parla o ascolta. Corre.
Si ferma solo davanti a sua sorella addormentata.
«Voglio parlare di lei» esala, risoluto.
Cashmere sorride, ancora semi-addormentata.
«Parla».
 

***

 
Sono poche le persone che Gloss ricorda: una marea di volti e nomi sono stati dispersi nella moltitudine di pensieri e ricordi che affollano caoticamente la sua testa. È come se tutto fosse immerso in una nebbia densa e impenetrabile, che gli impedisce di scrutare tutto e inquadrare con chiarezza le situazioni che tanto lo angosciano. Che gli impediscono di toccare, vedere, sentire, odiare tutto ciò che ha già vissuto: il fumo e le rose, l’oro e la cenere, l’angoscia e i diamanti. In verità, non c’è nulla che lui desideri veramente vedere, oltre quell’inutile foschia. Non ci sono persone di cui valga davvero la pena avere un ricordo duraturo, sepolto sotto tutto il resto.
 
Sono poche le persone di cui Gloss sente la mancanza, un numero così ristretto che sosta facilmente sulla punta delle sue dita. Il campo, in verità, si restringe su una persona che non c’è più.
 
E Gloss la ricorda e ne sente la mancanza, soprattutto quando guarda suo figlio.
Basta che guardi i suoi occhi.
La vede in ogni istante di vita di Rich.
Ogni volta, quel maledetto verde menta lo uccide.
 
«Non so da dove iniziare» ammette, costernato.
«Dall’inizio» dice Cashmere, incoraggiante.
Gloss sospira, affranto, mentre ricorda per l’ennesima volta.
 

***

 
Inizia dal principio e quasi non ci crede: inizia da quando tornò per la prima volta e stava sempre solo e non parlava con nessuno. Lei era lì.
Si conoscevano appena e lui non aveva voglia di stare con nessuno.
Ma lei, in verità, era proprio nessuno.
 
«Non abbiamo mai iniziato» sussurra Gloss, sottovoce. «Abbiamo solo finito».
 

***

 
C’era una ragazza, nel Distretto 1. Gloss aveva notato la sua presenza per mera casualità, una mattina, mentre vagava per quelle strade troppo vuote.
Aveva capelli biondi e occhi verdi e lo guardava con fastidiosa insistenza. Sembrava assolutamente impossibile per lei distogliere lo sguardo.
Non parlava mai.
 
«L’ho incontrata quando sono tornato dai Giochi» sussurròaGloss, la testa fra le mani. «Odiavo tutto e non volevo parlare con nessuno».
 
“Ciao” disse un giorno lui, vinto dalla curiosità.  Non la capiva, quella ragazzina, appena poco più piccola di lui. “Chi sei?”
Lei sorrise e gettò indietro la chioma bionda. “Nessuno” rispose, scrollandole spalle. “Come la maggior parte delle persone, qui”.
E lui rise, mentre scivolava accanto a lei.
“Sono Gloss” disse, tendendole la mano. “Come ti chiami, ragazzina?”.
“Glimmer” rispose lei, ridacchiando.
“Perché stai qui tutti i giorni, tutto il giorno?” domandò, incuriosito.
Lei rise sul serio, quella volta, illuminandosi sotto gli occhi di lui. “Perché so che passerai anche tu, alla fine”.
 
«E poi?» domanda Cashmere, sottovoce.
Gloss ride.
«E poi» dice. «Niente».
 
“Perché mi aspetti?” domandò un giorno, perplesso.
Lei rise, divertita.
“Perché, se io non ti aspettassi, lo farebbe qualcuno?”.
 
«Non me l’ha mai detto, perché mi aspettava» Osserva Gloss, una tangibile nota di autentico rimpianto nella sua voce.
 

***

 
C’era un ragazzo, nel Distretto 1. Gloss si era visto allo specchio, un giorno e aveva finalmente notato i segni della disperazione che si portava dietro.
Si era spaventato ed era corso via, per le strade, a dimenticare ciò che aveva visto. Ma sembrava impossibile distogliere il pensiero da quell’immagine.
Dallo specchio, emergevano sempre gli occhi freddi di un assassino.
 
“Ciao” lo salutò lei e subito si accorse della sua disperazione. “Cosa non va?”.
Gloss rise e scosse la testa. Avrebbe voluto piangere, ma non osava: che uomo sarebbe diventato, altrimenti?
“Nulla” rispose quindi, lapidario.
Lei rise, sinceramente divertita. “Non hai ucciso per nulla” disse, dolcemente. “Io lo so”.
 
Quel giorno, lei gli mostrò casa sua.
Piccola, anonima, vuota: una manciata di stanze ancora piene di scatoloni.
“Vivo sola da un po’” era stata la spiegazione.
Gloss era stato trascinato in una camera dalle pareti lilla, mentre formulava quella domanda.
Perché?
Cadde sul letto e capì di non voler sapere.
 
«Perché?» domanda Cashmere, in un sussurro. «Vi conoscevate appena».
Gloss ride, un suono forzato che non gli è per niente familiare.
«Io…» sussurra, incerto.
«Non dirlo» mormora lei, incerta. «Non se non è vero».
«Io l’amavo» dice lui, scrollando le spalle. «Bastava».
 

***

 
C’era una ragazza e c’era un ragazzo, nel Distretto 1. Un giorno si erano svegliati e si erano trovati, nella ricca desolazione di quel luogo.
E un giorno lei aveva deciso di confidargli quel segreto che le spezzava il cuore. La promessa che aveva fatto a suo padre, anni prima.
“Parteciperò ai Giochi”.
Avrebbe compiuto diciannove anni esattamente tre giorni dopo la Mietitura.
 
Glielo disse presto, però, così presto che ancora non erano passati due mesi dall’ultima edizione dei Giochi.
 
E poi, disse anche quell’altra cosa.
 
“Sono incinta”.
 
«Perché non l’hai mandata via?» sussurra Cashmere, afflitta. «Perché non l’hai mandata via, lei e il bambino?».
Gloss ride e sembra davvero pazzo, gli occhi puntati con ostinazione sul muro. Vede solo un’ombra.
«Bastava».
 
Non aveva il coraggio di chiederglielo o anche solo di dirle ciò che si era promesso, cosa lo costringeva a fare.
Ce l’avrebbe fatta, Gloss, a guardare la pancia di lei che cresceva. Avrebbe visto suo, loro, figlio.
Non avrebbe tentato di catapultarsi fuori dal mondo, non più.
 
“Non andare”.
La luce giocava con i contorni sbiaditi del corpo di Glimmer.
“Devo”.
 
«Mi manca» ammette Gloss, in un disperato tentativo di sincerità.
Cashmere gli sfiora la chioma dorata e non sa cosa dire. Ma vede che Gloss sorride e non smette, non lo lascia.
Bastava?

 
***

 
Sono poche le persone che Gloss ama o anche solo sopporta, in un principio di amore che non riesce mai a ignorare del tutto. Ora è solo un pizzicore fastidioso, appena accennato, un ricordo.
 
Glimmer.
 
Non gli rimane poi molto, di lei: è sempre il suo corpo debole, morto, che richiama tutti i ricordi.
E poi si ricorda di quel bambino paffuto, dolce, con grandi occhi.
 
Verdi.
 
Ricorda sempre quel che aveva pensato quand’era tornato, aveva impugnato un coltello e si era seduto davanti alla culla di Rich.
Basta così, si era detto.
Ma suo figlio piangeva e lo guardava, con gli stessi occhi che aveva lei.
 
Bastava.
 
E adesso guarda Cashmere e non capisce più dov’è che comincia la somiglianza con Glimmer e dov’è che finisce.
Sente solo le sue mani fra i capelli e ha paura di guardarla negli occhi, sapendo che non troverà quel verde tanto agognato.





Okay, sono definitivamente andata: un'altra Gloss/Glimmer :3 E ampiamente "What if", direi.
Non so che farci, è nata per caso ed è cresciuta con la mia follia.
Diciamo che è da tempo che questa cosina mi ronza attorno e così, eccoci.
Spero che qualcuno l'apprezzi, dato che segna il mio ritorno nel Fandom dopo un periodo lungo di silenzio da parte mia :)
R & R
Bess
   
 
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