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Autore: HamletRedDiablo    19/03/2013    4 recensioni
I corsari giunsero a Marsiglia. E fu l'inizio dell'ultima storia.
"Mio caro lettore.
O forse dovrei dire miei cari lettori. Non offenderti, tu che leggi queste righe, ma spero vivamente che non sarai il solo a soffermarsi su questa storia. Sono abbastanza conosciuto come l’aedo della Marsiglia, ma assai di rado mi sono dedicato alla scrittura. Ritengo che un racconto debba essere vissuto, assaporato, visualizzato, e niente meglio di una novella ben raccontata al tepore di una locanda può farlo.
Tuttavia, questa è una storia che voglio scrivere. Voglio che i miei lettori possano sapere come sono andate le cose anche quando la mia lingua sarà polvere nella terra consacrata. Voglio che questa storia mi sopravviva, e che il mito dei suoi protagonisti possa essere raccontato ancora e ancora, in Francia, in Inghilterra, in Spagna, in America, in tutti i luoghi che i personaggi di questo racconto hanno toccato."
[Pair: Spamano, FrUk]
[Seguito di Rosario Cuentas]
Genere: Malinconico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Rosa de los Vientos'
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Capitolo Quattro: Inverno

 

Un cielo di cenere gravava sui tetti di Marsiglia, attorcigliando le sue nubi perlacee ai tetti delle case.

L’albero maestro della Queen of Pirates non avrebbe pungolato quell’aria gravida di neve: i corsari non avrebbero fatto ritorno prima dell’avvento di marzo.

La primavera è certamente la stagione più consona al poetare d’amore: i boccioli sembrano il calco floreale delle promesse ancora non pronunciate degli innamorati.

Ritengo però che l’inverno sia sottovalutato, a riguardo: il freddo pungente che spinge le persone a stringersi tra di loro per riscaldarsi non è forse ammiccante? E la notte che si protrae più a lungo, concedendo maggiore intimità a chi non può vivere il proprio amore alla luce del mattino, non è più suggestiva di un sole spietato?

Temo, tuttavia, che la mia rivalutazione dell’inverno sia nata il giorno in cui i corsari fecero ritorno e un nuovo pettegolezzo da galeone giunse alle mie orecchie, bisbigliato dal mio adorato squalo. E temo che quel piccolo italiano turbolento conficcherebbe la mia testa su una picca se solo intuisse che mi sto concedendo la licenza poetica di narrare le sue romanticherie.

 

«Hai dimenticato la pipa?»

Le mani del capitano talvolta afferravano l’aria, le dita disposte come per agguantare il ventre rotondo del legno tanto caro all’inglese, per scuotersi un secondo dopo, memori del destino della pipa. Antonio aveva notato quella strana patologia già da alcune settimane.

«Devo averla scordata da qualche parte» recise Arthur, stringendosi nei vestiti pesanti. Una bufera di neve, come non se ne vedevano da decenni, li aveva bloccati sulle gelide coste inglesi. La cicatrice di Antonio era quasi impazzita con quel clima, e l’uomo era stato costretto a passare qualche giorno senza camminare prima di arrischiarsi ad afferrare il nuovo bastone da passeggio.

«Strano. Non l’hai mai dimenticata prima d’ora» lo stuzzicò con indifferenza Antonio, puntando gli occhi verdi sulla fiamma che scoppiettava nel camino.

«Sarà la tua influenza nefanda che mi fa rimbecillire» ricambiò Arthur, particolarmente scontroso.

Lo spagnolo non aggiunse altro, pago del tono spinoso dell’inglese: questioni sentimentali avevano trattenuto la sua pipa a Marsiglia. Impossibile confondere quella particolare tonalità acida con le altre.

Il capitano tese i palmi verso le braci, aprendo le dita a guisa di stella marina: i polpastrelli erano arrossati e induriti dal freddo, nonostante gli abiti di lana e i camini accesi, e le nocche piagate dai geloni. L’inverno inglese era una bestia terribile e ingorda.

«Che importanza potrebbe mai avere un simbolo?» sbottò così all’improvviso che perfino Antonio, pur essendo assuefatto ai suoi sbalzi di umore, si sorprese.

«Ti avveleneresti il sangue per un oggetto?» ribadì il capitano, quando le iridi smeraldine gli trasmisero solo confusione.

Il navigatore passò una mano tra i capelli scuri, inselvatichiti come se il maltempo fosse rimasto intrappolato tra di essi.

«Dipende dal tipo di oggetto» valutò infine. «Se fosse qualcosa di particolarmente caro…»

«Davvero ti rovineresti il sonno per un gingillo?»

«Bastava un monile con accenni pagani per essere arrestati dall’Inquisizione» la tristezza passò sul viso di Antonio rapida come una folata di vento, subito sostituita da un’espressione meditabonda: «Comunque, credo che sia il valore affettivo a decretare l’importanza di un oggetto. O quello simbolico. Pensa alle fedi nuziali: sono solo due cerchi di metallo, eppure gli sposi le conservano con cura per tutta la vita; si fanno addirittura seppellire con quegli anelli.»

Arthur alzò gli occhi al cielo e li riabbassò con uno sbuffo, corrugando le spesse sopracciglia: paragonare la sua pipa ad una fede era come comparare una scultura marmorea ad un pugno di fango. E non voleva pensare di aver dato un pegno di fedeltà a quel tediante, pedante, irritante francese.

Quasi a contraddirlo per dispetto, le sue dita ebbero di nuovo il guizzo di stringersi attorno alla conca legnosa. Doveva arrendersi alla realtà: aveva lasciato la sua preziosa pipa a Francis Bonnefoy, sarto di Marsiglia. E l’aveva abbandonata nella sua stanza come tacita promessa di fare ritorno.

Sprimacciò i capelli stopposi, inspiegabilmente inviperito: la compagnia di quello spagnolo innamorato era più contagiosa dell’influenza invernale. Sfortunatamente, non si era vaccinato in tempo per restarne immune, e, come risultato, la sua pipa giaceva sullo scaffale di una bottega francese. Era bello avere qualcuno da incolpare per quell’inspiegabile eruzione di sentimenti che lo aveva colto a Marsiglia.

«C’è qualche oggetto che ti rode l’anima, Arthur?» si preoccupò Antonio, con la premura canzonatoria della volpe.

«Assolutamente no» negò l’inglese, con troppa veemenza per risultare credibile.

Lo spagnolo accettò la sua versione con un cenno del capo, accomodante. La razza anglosassone, dopo tanti secoli di evoluzione, ancora non era riuscita a stipulare patti chiari con il proprio cuore.

Mosse le dita davanti alle braci, immergendosi in un altro tipo di riflessione.

Lui e Lovino non avrebbero mai potuto indossare gli anelli del matrimonio. La loro relazione era quasi costata la vita a entrambi, sotto la scure dell’Inquisizione, ed era un miracolo poter passare la vita assieme senza dare adito a troppi sospetti o maldicenze.

Tuttavia, desiderava un simbolo che gridasse al mondo che quel giovane era soltanto suo.

Sospirò, passando una mano sulla vecchia cicatrice. Forse un giorno anche per le coppie come loro ci sarebbe stata la possibilità di scambiarsi promesse eterne in presenza di testimoni, ma era un futuro troppo lontano per potervi riporre qualche speranza.

Un’idea affiorò pian piano ai limiti della sua mente, e si fece strada fino a non lasciare spazio ad altro.

Antonio si alzò in fretta, si congedò velocemente dal capitano perplesso e si precipitò nei corridoi.

L’italiano sobbalzò quando il navigatore irruppe nella sua stanza.

«È scoppiato un incendio?» domandò, anche se l’espressione di puro tripudio dello spagnolo non lasciava presagire catastrofi incombenti.

Antonio scosse la testa con forza, e ignorò felicemente la dura invettiva della cicatrice quando si inginocchiò ai piedi della sedia su cui era adagiato il giovane.

«Lovino!» riuscì solo a pronunciare il suo nome, mentre gli porgeva il palmo aperto.

Le palpebre dell’italiano si incontrarono un paio di volte, le idee che si chiarivano ad ogni nuovo battito: la mano dello spagnolo era il trono di una normalissima peseta, legata da un sottile cordoncino nero. Non faticò molto nel collegare quella moneta all’assurda gioia del compagno.

«Non mi dirai che questa è… quella peseta?» sillabò, incerto tra la sorpresa e l’irritazione.

All’epoca del loro primo incontro, l’italiano era tornato alla locanda per riscuotere la moneta mancante per la gerla di pomodori che aveva portato durante la mattina. Era stato allora che Antonio lo aveva assunto, e la peseta era stata la scusa ufficiale per il suo soggiorno lavorativo alla locanda fino alla sera in cui si era unito all’ex-capitano per la prima volta.

Credeva che fosse rimasta abbandonata in qualche angolo della camera patronale, o che Antonio l’avesse spesa in qualche modo. Di certo non immaginava che l’altro l’avesse conservata.

«Tu sei malato!» inveì.

«Non è proprio quella peseta» ammise malinconicamente Antonio. «Temo che quella sia rimasta sotto il comodino, alla locanda.»

Lovino quasi sospirò di sollievo: lo spagnolo non era del tutto ammattito, fortunatamente.

«Perché sei venuto con una peseta, allora?» l’imbarazzo gli graffiò la voce: c’era qualcosa di strano nella posizione inginocchiata dell’uomo, in quella mano protesa verso di lui e nello scintillio degli occhi color sottobosco. Antonio sorrise in risposta alle guance di Lovino, il cui rossore non era provocato dal calore del camino.

«Non potremo essere come Diego e Consuelo» sistemò più comodamente le gambe, poiché la cicatrice aveva deciso di complicare quella dichiarazione. «Ma vorrei che tu portassi questo.»

Lovino squadrò la moneta con sospetto: grazie alla sua forma circolare, non era complicato capire di quale oggetto fosse la sostituta.

«Potresti pentirtene» borbogliò Lovino, distogliendo lo sguardo dalla peseta che lo fissava speranzosa.

«In che modo?» chiese Antonio, paziente nonostante il dolore della cicatrice sotto sforzo.

L’italiano si abbracciò le spalle magre, indeciso se rigettare l’acido che si era cagliato sul suo stomaco da quando avevano levato gli ormeggi dal porto di Marsiglia. Un piede salì sul piano della sedia, facendolo assomigliare a un buffo fenicottero quando rimbrottò:

«Un giorno potresti desiderare un figlio, per esempio.»

Non concluse la frase: il suo fisico indubbiamente mascolino, sprovvisto di utero, parlava con sufficiente chiarezza.

«Lovino…»

«Ci sono tante cose che legano le coppie normali, al di là dei sentimenti. Una di queste sono i marmocchi.» Anche in quel caso, non terminò il paragone. Loro avrebbero dovuto fare affidamento solo sulle proprie emozioni, come garanzia per un futuro assieme.

Come sempre, Antonio estrasse dal proprio repertorio la risposta più ovvia e più stupida. E anche quella più capace di frantumare le difese dell’italiano.

Si sollevò sulle ginocchia, andando a catturare gentilmente con le dita i capelli ribelli sulla nuca del giovane.

«Tu sei la mia occasione, Lovino, e non mi serve altro. Non ti fidi abbastanza di me per crederci?»

L’italiano girò il capo con troppa forza, e le loro fronti si strofinarono nell’abbozzo di una testata.

«Non mi fido del tempo. Cambia sempre le cose, e sempre in peggio» ringhiò.

«Quindi la nostra relazione è il meglio, per te.»

«Smettila di tagliare dal discorso solo le parti che ti sono comode!» la testata fu completata, dopo quell’imprecazione, e il navigatore dovette massaggiarsi la fronte mentre l’italiano si rannicchiava contrariato sulla sedia.

«E se un giorno ti rendessi conto che in realtà desideravi una famiglia?» lo sfidò, polemico.

«Non accadrà» replicò tranquillo lo spagnolo.

«Come fai a esserne certo?» protestò Lovino.

«Perché nessuna donna mi ha mai fatto ringraziare la Dea del Mare per avermi lasciato sulla parte sabbiosa del suo regno. Nessuno, prima di te.»

Le labbra dell’italiano dipinsero un cerchio basito, prima di accartocciarsi in una brusca invettiva:

«Sei davvero un idiota!»

Il palmo dell’uomo fluttuò davanti al suo naso, porgendogli la peseta.

«La indosserai?» lo invitò, la voce arrochita di un’ottava.

Lovino fissò con ostilità la moneta che palpitava per la sua risposta.

«Si arrugginirà» notò caustico.

«Te ne regalerò un’altra» replicò pratico Antonio.

«Potrebbe cadermi in mare.»

«Anche in quel caso, te ne regalerei un’altra.»

«Perché ti sei intestardito su questa peseta

Le dita del navigatore accarezzarono la nuca ribollente di imbarazzo, e un sorriso amalgamato dalla felicità e dalla malinconia si stese sulle labbra dell’uomo.

«Perché vorrei poterti regalare una fede, Lovino, e non posso. Ma posso donarti qualcosa che abbia valore solo per noi.»

Nessuno, guardando quella moneta, avrebbe immaginato qualcosa di diverso dal metallo un po’ scheggiato e delle incisioni spagnole lievemente consumate. Solo Antonio avrebbe rivisto un ragazzino denutrito che tornava piegato dalle botte del padrone, e solo Lovino avrebbe ricordato il comodino sotto cui era scivolata la peseta, durante la loro prima notte insieme.

«Sei davvero un cretino…» ripeté, incapace di articolare pensieri più complessi, le orecchie così rosse da mimetizzarsi con la tinta ramata dei capelli.

Le dita di Antonio stesero il cordoncino in tutta la sua lunghezza, lasciando che la peseta penzolasse strategicamente davanti al collo del giovane.

«Posso allacciarla?» s’informò, vellutato.

Lovino deviò lo sguardo, non potendo fare lo stesso con la risposta.

«Fai come vuoi» concesse, abrasivo.

Le braccia dell’uomo gli circondarono le spalle e il calore del petto del compagno si schiacciò sul suo mentre il filo veniva annodato dietro la sua testa. La peseta si depositò trionfale nella conca del suo sterno quando la procedura fu ultimata, entusiasta per la vicinanza con il cuore.

Antonio sollevò la moneta con due dita, e vi accostò le labbra: il pescatore sentì quel bacio bruciare sul proprio petto, come se la bocca dell’uomo avesse sfiorato lui e non il metallo freddo.

«Ti sta benissimo, Lovino» si complimentò, rilasciando la presa. L’italiano non gli permise di farlo: avvinghiò con la propria la mano del compagno, che ancora stringeva la peseta, e trascorse qualche istante a mordersi le labbra prima di lasciare loro la libertà di muoversi.

«Questa maledetta isola è gelida.»

«Chiederò ad Arthur se hanno qualche altra coperta…»

«Ho detto che è gelida

Le guance del ragazzo competevano con il fuoco del camino per il titolo di oggetto più rosso e caldo nella stanza. Antonio racchiuse tra le mani le gote lisce e arroventate, depositando un bacio su entrambe.

«Hai proprio ragione» concordò, occhieggiando verso il letto. «Questa camera è un ghiacciaio.»

Quella sera i borbottii dell’italiano non rumoreggiarono a tempo con i crepitii del camino: Lovino fu stranamente accondiscendente, quella notte, anche se non si negò qualche istante di pura ribellione.

La peseta scottava sul suo petto, ma senza fargli male: era un bruciore che si innestava nel cuore, e lì ne accelerava i battiti fino a dargli il capogiro.

Avrebbe voluto urlare qualcosa di velenoso contro quello spagnolo dal sorriso beato, o perlomeno sibilargli qualche insulto, ma l’unica protesta vocale che riuscì a emettere furono inconsulti brontolii trattenuti tra i denti.

Era una specie di bizzarra prima notte di nozze, in fondo. Doveva cercare di essere un poco più romantico.

Nascose la testa sotto il cuscino in un impeto di rabbia, quando si accorse di aver pensato a una simile sciocchezza appiccicaticcia di sentimentalismo: la stupidità dello spagnolo non aveva colpito solo il capitano inglese.

«Lovino?»

«Stai zitto, bastardo! È sempre colpa tua!»

Antonio cercò di sbirciare oltre l’orlo del cuscino, che per tutta risposta venne premuto contro la faccia del giovane fino a quasi soffocarlo.

«Di quale colpa sono accusato?» domandò. La sacca di piume emise un suono strozzato, per poi zittirsi completamente. Antonio attese che le nocche riprendessero colore dopo essere sbiancate per la forza della stretta, e allontanò il guanciale dal viso del giovane.

«Hai ancora una pronuncia orrenda» sentenziò Lovino con un cipiglio disgustato, riemergendo dalle pieghe del cuscino.

Antonio impresse il suo sorriso sulle labbra del giovane, mentre una mano maliziosa scivolava sotto la sua camicia grezza.

«È passato troppo tempo dall’ultima volta che te l’ho detto» considerò amareggiato lo spagnolo, senza allontanarsi dalle sue labbra.

Lo disse di nuovo, quella notte, ma non troppe volte per non sciupare l’incantesimo che quelle due parole stendevano su di loro: lo disse abbastanza da far arrossire e scalciare l’italiano, lo disse con sufficiente passione da sciogliere le sue resistenze poco convincenti, e mentre il corpo del ragazzo si stringeva a lui, rabbrividendo per gli spifferi e per le carezze, gli parve di sentire una piccola frase ruzzolargli sulla spalla.

La bocca del giovane si sigillò contro la curva del suo collo, e si rifiutò di ripetere.

Antonio preferì strappare a quelle labbra imbronciate altri baci anziché una confessione. Inoltre, anche se l’italiano si era sforzato di mangiarsi le parole, aveva capito benissimo.

«Hai ragione, Lovino» bisbigliò, abbracciandolo con tutto il suo corpo. «La mia pronuncia è davvero orrenda…»

La bocca del ragazzo si contrasse indispettita, ma le braccia non smisero di stringerlo.

«Avrai tutta la vita per migliorarla. Perfino uno stupido come te ce la farebbe, dopo anni e anni.»

«Ciò significa che dovrai stare al mio fianco per correggermi» patteggiò scaltro Antonio.

«Dovrò farti da insegnante per anni?» si nauseò Lovino.

Non riuscì a dire altro perché le sue gambe vennero ripiegate contro il petto, e una folla di gemiti si incastrò nella sua gola.

«Per tutta la vita» mormorò Antonio al suo orecchio imbarazzato. «Sarà necessario molto tempo per imparare…»

«Perché sei un idiota.»

Quello fu l’ultimo insulto che gli rivolse, per quella notte. La peseta sul suo petto, e la promessa di cui quel metallo era testimone, lo ammansirono come mai prima di allora.

Non si fidava del tempo e non si fidava della gente; sapeva che non si potevano fare progetti per un futuro troppo lontano, poiché sarebbero stati inevitabilmente sgretolati dallo scorrere degli anni.

Ma Antonio aveva una specie di sortilegio nella sua voce roca, un incantesimo che rendeva tutto semplice. Abbastanza semplice da potervi riporre fede.

 

Lovino non credeva negli ideali della patria, non confidava nella Provvidenza, non si fidava delle persone.

L’unica persona in cui riponeva fiducia era Antonio. Perché la patria chiedeva morte e restituiva medaglie al valore; Antonio domandava solo di rimanergli accanto, e ricambiava con sorrisi solari. Perché dove gli dei tacevano Antonio rispondeva, quando le persone voltavano la testa Antonio tendeva la mano.

E il suo amore era caldo, presente e vivo, al contrario dell’attaccamento freddo a un paese, all’affetto inudibile delle alte sfere o l’indifferenza sterile del popolo.

Probabilmente, Lovino è consapevole di questi suoi sentimenti, ma non ha l’onestà dei francesi, né la loro alata abilità narrativa.

Nonostante ciò, ammetto che è un’impresa ardua tentare di descrivere la sua espressione, quando si presentò nuovamente alla sartoria. Una peseta ciondolava al suo collo, e il suo viso era una contraddizione continua: la bocca serrata in un broncio manteneva un barbiglio di sorriso negli angoli; le sopracciglia erano aggrottate, ma gli occhi scintillavano come solo quelli degli innamorati riescono a fare; le spalle erano contratte, a dispetto delle mani, che sembravano smaniare per l’assenza del compagno.

Ho sorriso vedendo la sua peseta, e ho sorriso ulteriormente guardando la mia pipa.

Sono giuramenti, al pari delle fedi nuziali di Consuelo e Diego, sono promesse che dureranno per una vita intera.

Una vita intera.

Sembra un lasso di tempo ridicolmente breve.

 

 

 

 

 

 

Ritardo pazzesco e mostruoso, me ne rendo conto çAç

I preparativi per la partenza hanno assorbito tutto il mio tempo, purtroppo .-. Scusatemi ancora ç_ç

Anyway… questo era l’ultimo capitolo. Manca solo l’epilogo, e la saga dei pirati potrà dirsi conclusa ç____ç

Perlomeno, questa saga di pirati. Perché, una volta pubblicato l’epilogo, posterò l’inizio della nuova serie. Come darvi qualche anticipazione senza spoilerare troppo… dunque, avete presente l’Isola del Tesoro della Disney? E 1982 di Orwell? Bene, anche se vi sembrano affini come l’olio e l’acqua, tentate di mescolarli e otterrete la traccia generale su cui si muoveranno i personaggi. Per quanto riguarda le coppie… Spamano come centrale, GerIta e RoChu; le altre sono in fase, diciamo così, “mobile” XD Grandi interrogativi: UsUk o FrUk, Franada o PruCan? E così via… insomma, da definire XD

Altre informazioni (e, possibilmente, il link al primo capitolo<3) saranno rilasciati con il prossimo capitolo (l’epilogo ç_________________ç oddio çAAAç).

Grazie ancora a tutti per il sostegno e l’affetto dimostrato alla storia e a questa autrice derelitta<3

Un bacione<3

Red

   
 
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