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Autore: MissSyl    20/03/2013    2 recensioni
E' sotto il cielo della Francia che scoppierà la passione travolgente e intensa tra due giovani. 1900, Josephine era sdraiata sotto i primi raggi primaverili ed proprio in quel momento che la sua vita cambiò del tutto.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Passarono gli anni. Eliane fece ritorno in Gran Bretagna, ma solo per recuperare le sue ultime cose. Aveva nella memoria il racconto di sua … nonna . Le faceva strano sapere di avere anche lei una nonna, anzi, era strano venire a conoscenza  di tutta la storia di sua madre e l’uomo che aveva sempre amato. Era un grandissimo insegnamento da prendere e che per sempre avrebbe conservato nel cuore, ne era certa. Mentre finiva di fare le sue valige le capitò sotto gli occhi una foto, sorrise e la prese. La osservò attentamente era leggermente rovinata e faceva attenzione a non sciuparla ulteriormente. Era in bianco e nero ed era una delle poche foto che aveva di lei insieme a sua madre. Sorridevano entrambe gioiose e più andava avanti più vedeva l’incredibile somiglianza che aveva con sua lei. Gli stessi capelli color miele, gli stessi occhi e lo stesso modo di pensare, forse. Sospirò e mise quella foto tra le pieghe dei vestiti poi chiuse la valigia e si guardò intorno. Era difficile lasciare quel posto, era nata lì dentro, era cresciuta e ci aveva condiviso moltissimi ricordi. Fece il giro della stanza, cercando di memorizzare qualsiasi cosa, non voleva dimenticare quel posto. Respirò profondamente cercando di imprimere nei polmoni l’odore del legno e dei fiori di lavanda che erano sistemati con cura nel vaso pieno di acqua sul tavolino. Poi si avvicinò al pendi abito prendendo la giacchetta celestina che era abbinata alla gonna ampia  che arrivava fino sotto  al ginocchio e alla camicetta bianca abbottonata fino a sopra e la infilò, poi prese i guantini bianchi e il cappellino anch’esso celeste e lo mise. Sistemò le pieghe della giacca e poi sospirò, si avvicinò alla sedia e prese le sue valigie ed usci da quella casa. Per sempre. Appena fuori arrivò l’automobile a prenderla, si avvicinò al signore che scese e pensò a sistemare le sue valigie e poi risalì, - dov’è destinata signorina?-  domandò lui sorridendole – al porto, grazie.- rispose al sorriso e poi si concentrò a guardare la strada, decise di non voltarsi a guardare la sua casa per l’ultima volta, pensava che se lo avrebbe fatto non sarebbe mai più andata via.
 
Era diretta verso L’Italia.
 
Roma era bellissima. Si respirava aria buona, ad Eliane dava una sensazione di pace e magia allo stesso tempo. Aveva deciso di trasferirsi in Italia senza un logica precisa, forse ne aveva sempre sentito parlare sin da bambina ed ora che ne aveva la possibilità lo aveva fatto. In Gran Bretagna era rimasta sola, sua nonna Claire dopo che sua nipote aveva rifatto ritorno nella sua patria, venne a sapere che era morta, non sentiva la sua mancava ma il peso di non averla conosciuta prima la opprimeva in tal modo da sentirsi quasi in colpa.
Senza neanche rendersene conto, stava camminando da quasi venti minuti, sorrise pensando a quanto quella città sapeva “prenderla” in quel modo. Posò per un momento le valigie a terra e si ricordò di avere nella borsetta un indirizzo, prese a frugar e essa senza trovare quella che stava trovando sospirò battendo un piede a terra perdendo la pazienza e sospirò – ma dov’è? Dio mio eppure era qui!- sospirò di nuovo stava per perdere anche l’ultimo briciolo di calma e serenità, - non posso averlo dimenticato a casa, non posso .- ad un certo punto sentì frenare e qualcuno urlare qualcosa dietro alle sue spalle, - signorina si sposti, signorina attenzione!- Eliane era  così sovrappensiero che non sentì minimamente nulla e improvvisamente cadde a terra. Si alzò e si guardò intorno, cercò la sua borsa che era poco più lontano da lei e la prese, - ma dico è impazzito o cosa?! – un ragazzo si alzò aiutando la ragazza che aveva travolto – mi perdoni, non volevo, anche lei però le ho detto di spostarsi ma non ha fatto una mossa! – quando la ragazza fu in piedi lui pensò a riprendere la sua valigia e poi alzò la sua bicicletta, - diamine la ruota!- disse imprecando qualcosa che Eliane non capì. Anzi, si rese conto che nulla che diceva quel ragazzo riusciva a capire, ma rimase incantata dai suoi occhi verdi. Lui si voltò di nuovo sospirando – allora come sta? Come si sente? Ha qualche graffio o cose del genere?- Eliane non rispose, in parte perché non riusciva a comprendere, in parte perché era totalmente rapita da lui. Non doveva nascondere che era molto bello, era molto più alto di lei, aveva la carnagione leggermente più scura della sua e i capelli scuri erano nascosti da un cappello, lui posò le mani suoi fianchi e sospirò –non comprendi quello che dico, vero?- parlò di nuovo, ma Eliane sentiva il dovere di dirgli qualcosa e si limitò a scuotere la testa. Lui sorrise e abbassò la testa, sospirò e poi si avvicinò alla ragazza, prese a gesticolare cercando di  farle capire lo stretto necessario, si portò una mano al petto – io mi chiamo Roberto, e te?- domandò poi indicandola e lei sorrise e fece il suo stesso gesto, - Eliane.- sorrisero e rimasero a guardarsi negli occhi per svariati minuti. Se fino a quel momento pensava che la fortuna  non esisteva, quella mattina  iniziò a credere in qualcosa.
 
 
-          Roberto è pronto a tavola!- annunciò Eliane posando la pasta al sugo sul tavolino apparecchiato, lui entrò in cucina sorridendole – Oltre a l’italiano ormai perfetto, vedo che hai imparato anche a cucinare in modo quasi perfetto.- disse ridendo e lei le diete un piccolo colpetto sulla spalla, - non lamentarti e mangia.- sorrise e poi si sedette accanto a lui, - a dire il vero amo il tuo accento inglese .- disse lui pulendosi la bocca e stringendole poi la mano sinistra, lei sorrise sentendo le guancie colorarsi di un rosso porpora, lui se ne rese conto e abbozzò un sorriso – forse è proprio di quello di cui mi sono innamorato.- - o si, dopo che mi hai travolto con la bicicletta .- rise – bè, questi sono dettagli.- rise e poi si guardarono negli occhi, in quel momento la radio interruppe quegli sguardi pieni di passione e amore, con un annuncio che stava da tempo sconvolgendo un po’ tutti. Era il 1942 e a Roma iniziavano i rastrellamenti contro gli Ebrei che venivano presi dalle proprie abitazione e portati alla schedatura per farli riconoscere e poi venire spediti, ai vari campi di concentramento. Eliane sentì di nuovo l’annuncio che in quel periodo passava per le radio e i suoi occhi che fino a poco tempo fa erano allegri e gioiosi, si spensero diventando lucidi. Roberto se ne rese conto e le strinse ancora di più la mano, - Amore, che succede?- lei sospirò – perché fai finta di non sentire? Non vedi cosa sta accadendo? – lui sospirò e posò la forchetta sul piatto e poi si alzò avvicinandosi a lei, la fece alzare e la baciò quando si staccarono lui le accarezzò il viso, - Eliane, ascoltami, qualcuno cosa accada devi pensare che io ti ho sempre amata. In qualsiasi momento, in qualsiasi modo una persona possa essere amata, quella mattina incontrarti è stata la cosa più bella che potesse accadere e ringrazio ogni volta Dio per averti al mio fianco.- lei pianse e gli accarezzò la guancia, - ti amo, tienilo sempre a mente.- lui annuì, e baciò la fronte e poi la strinse tra le sue braccia, la finestra lasciata aperta in cucina dava una splendida vista su Roma, città del loro amore.  Roberto era Ebreo e quello stesso anno fu deportato, fecero irruzione in casa, quella casa che avevano costruito con tantissimo amore, non avevano avuto pena per nessuno. Prelevarono Roberto e lo portarono fuori con le mani dietro alla schiena, Eliane gettò un urlo di disperazione e si buttò in preda ad essa, tra le braccia di un soldato tedesco. Strinse con le mani la giacca e lui cercò di liberarsi da quella donna, - la prego! Non fatelo! Vi prego!- lui la scostò violentemente facendola andare a sbattere contro il tavolino, per quanta forza ci mise il vaso pieno di fiori appoggiato al centro tavola cadde a terra in mille pezzi. Eliane non si diete per vinta e riprese l’uomo per il braccio, - la supplico!- l’uomo spazientito le tirò uno schiaffo e il volto di Eliane si girò bruscamente, rimase per alcuni secondi stordita e poi chinò la testa, - sono sua moglie, portate anche me con lui.- quelle parole arrivano a l’orecchio del tedesco che si voltò, - lei non è di origine ebrea. - - ma sono sua moglie, voglio andare con lui.- l’uomo rise – lei non sa cosa dice. Stia zitta.- Eliane non si scoraggiò e lo guardò dritta negli occhi, - portate via anche me .- 
 
 
 
Non seppe più nulla del suo Roberto. Quando il campo fu liberato, da quelle migliaia di persone ne uscirono solo poche decine. Non sapeva neanche più dove andare, aveva già cambiato così tante case nella sua vita e quando aveva trovato finalmente una vera “casa” dove fare ritorno, era stata spazzata via anche quella. Era senza più fiato, era debole e priva di forza. Decise di riprendere fiato e si staccò dalla catena umana di persone che si era creata, si sedette poi su un prato e si appoggiò al tronco di un albero. Si levò il fazzoletto che aveva in testa e lasciò scivolare giù i capelli che stava riprendendo a crescere. Quasi automaticamente alzò gli occhi al cielo e guardò sopra di essa le nuvole bianche spostarsi e cambiare forma grazie al vento che le spingeva. Le guardò meravigliata, come quando le guardano i bambini piccoli e poi chiuse gli occhi sentendo il vento accarezzandole dolcemente il viso, ripensò al racconto di sua nonna Claire quei giorni che la andò a trovare, al tempo aveva solo diciassette anni e una voglia grandissima di scoprire il mondo intorno a lei. Con un po’ di fortuna era riuscita ad arrivare a Roma, la città dell’amore, non c’era nome infatti più adatto per definirla. Lì aveva conosciuto il  suo Roberto dai capelli scuri e gli occhi verdi, si erano innamorati ma come ad ogni favola che si rispettava non c’era un lieto fine ad accoglierli e forze era quello che le faceva più rabbia, non aver potuto “scrivere” un felice e contenti. Non aver potuto dare a Roberto i bambini che voleva tanto, non aver potuto invecchiare insieme, bere del thè inglese, non aver potuto fare con lui tantissimi viaggi in giro per il mondo, non avergli detto ancora una volta quanto lo amasse e quanto era importante per lei. Riaprì gli occhi e guardò il prato su cui era seduta, guardò il più lontano possibile e notava ancora le persone uscire in fila indiana e cercare di ritrovare una propria dignità. Qualcuno neanche ce la faceva ad arrivare a meta e cadeva a terra morendo, si voltò da l’altra parte cercando di cancellare quelle immagini, poi notò accanto a se un piccolo fiorellino. Li prese e lo guardò quasi meravigliata, ripensò ai suoi genitori, ai dipinti affissi alle pareti ritratti i fiori selvatici. Ecco, forse era quello che le mancava di più, le mancava essere semplicemente seduta su un prato, mentre abbracciava Roberto, cullati dal sole primaverile, mentre si sorridevano e vedevano davanti a loro i propri figli giocare. Poi lui l’avrebbe baciata e le avrebbe ricordato ancora quanto l’amava, poi sarebbero ritornati a casa e come ogni sera lei avrebbe raccontato la stessa favola che raccontava  sempre ai suoi bambini … quella di due ragazzi che si conobbero in un prato, sentendo l’odore dei fiori selvatici.
 
Fine. 
  
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