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Autore: _ayachan_    08/10/2007    2 recensioni
Naruto e Sakura: il giardino dell’Eden; i fratelli Uchiha: il serpente e la mela… Il peccato originale: il tradimento.
"Tutto ciò che credevo sicuro, si sgretolerà tra le mie mani...
Il mio passato, il mio presente, e il mio futuro...
Chi sono io?
Naruto o Kyuubi?"

[Pairing: cambieranno in corso d'opera, anche drasticamente! Threesome, in ogni caso. Molte]
Genere: Romantico, Drammatico, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'eroe della profezia' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Naruto-3








Capitolo terzo


Voci dalla Pioggia








«Il villaggio della Pioggia, eh…» mormorò Tsunade assottigliando gli occhi.
I gomiti sulla scrivania e il mento appoggiato alle mani, fissava Jiraya in piedi davanti a lei.
«Ne sei proprio sicuro? Prima avevi parlato solo del Paese…» tentò.
«Sfortunatamente si tratta proprio del villaggio ninja» ribatté Jiraya con un sospiro.
«E’ la cosa peggiore che potesse capitarci: quel paese è il più difficile da penetrare»
«D’altronde è comprensibile, no? Gli ultimi resti dell’Akatsuki non potevano trovare luogo più sicuro per stabilirsi»ghignò il sannin.
«Sembra quasi che tu li stia ammirando…» borbottò Tsunade con una punta d’irritazione.
«Non è decisamente così» rise lui con un cenno vago. « Anche perché il villaggio non è proprio così difficile da espugnare… è uscire che può rivelarsi problematico. Ho sudato sette camicie per venire fuori da quella trappola, lo sai?»
«Ma hai portato le informazioni su Itachi Uchiha e sull’Akatsuki… e hai anche ridotto ulteriormente il loro numero»
«Bella roba. Ho una prognosi di due mesi per questo»
Jiraya sollevò il braccio sano per grattarsi il mento con aria seccata. Oltre ai graffi e alle ferite più o meno profonde che costellavano la sua faccia, era coperto di bende su tutto il petto e attorno a un braccio, immobilizzato attorno al collo.
Tsunade fece scorrere gli occhi sul suo corpo ammaccato, e ricordò il momento in cui lo aveva visto in quella stanza di ospedale, ormai quattro giorni prima.
L’avevano chiamata d’urgenza dal suo studio, e l’avevano fatta correre sotto il diluvio fino trovare quell’uomo più morto che vivo, con più ferite che sangue, steso su una brandina e accudito da medici nel panico e convinti che sarebbe morto.
Aveva lavorato tutta la notte per salvargli la vita.
E… aveva scoperto che a ridurlo così erano stati i suoi ex allievi. Ninja che lei aveva conosciuto da bambini, e che aveva aiutato a sopravvivere... arrivando a quel giorno.
«Hn? Cos’è quella faccia?» chiese Jiraya di fronte al suo silenzio prolungato. «Stai pensando a cose stupide, vero?»
Tsunade si riscosse dai suoi pensieri e tornò ad assumere l’aria professionale che riservava allo studio dell’Hokage.
«Niente» disse rapida. «Allora se hai finito puoi andare…»
«Non ho finito»
Lei inarcò un sopracciglio, e alzando gli occhi vide Jiraya insolitamente serio.
«C’è una cosa che non ho potuto dirti in ospedale» spiegò lui a voce bassa, mentre due rughe profonde si disegnavano ai lati della bocca.
Tsunade corrugò la fronte, in attesa.
Alla fine, dalle labbra del sannin dai capelli bianchi uscirono queste parole:
«Ho preso contatto con Itachi Uchiha»


Sakura infilò le ultime cose nello zaino, con movimenti lenti e monotoni. Non stava davvero attenta a ciò che faceva, si limitava ad eseguire mosse ripetute migliaia di volte e ormai incise nelle sue ossa.
Con la testa era altrove.
In un luogo e in un tempo lontani, in un’ora in cui Sasuke “graziava” lei e Naruto e se ne andava, dicendo che non si sarebbero mai più rivisti…
Un’ora in cui Naruto era stato a un passo dalla morte.
Strinse la borraccia tra le dita senza accorgersene.
“Sasuke… Ci avresti davvero uccisi?” si chiese per la milionesima volta.
A distrarla intervenne un sommesso bussare.
«Sì? Chi è?» chiese sussultando, e la borraccia cadde a terra.
«Sono io» disse la voce attutita dall’altra parte, e Sakura la riconobbe per quella di Kakashi. Raccolse la borraccia e andò ad aprire.
«Avevo sentito dire che ti eri trasferita… ma ora che lo vedo con i miei occhi fa tutto un altro effetto» fu il primo commento del jonin quando mise piede nell’appartamento lindo e profumato. «L’ultima volta che sono stato qua dentro era una discarica… Certo che una presenza femminile fa proprio miracoli» sorrise, e lei ricambiò con una smorfia sforzata.
«Vuole un tè, maestro Kakashi?» chiese affrettandosi a dargli le spalle.
«No grazie, ero venuto a informarmi sul programma della missione, per organizzarci, preparare qualcosa… ma Naruto non c’è, a quanto pare»
Sakura si rabbuiò. Kakashi non fece domande.
«Vado a cercarlo, va bene?» si limitò a dire. «Porto qui lui e Sai, e ci prepariamo insieme»
«Viene anche Sai?» chiese Sakura sorpresa.
«Così ha ordinato Tsunade. Credo che ormai si possa considerare a tutti gli effetti un membro del “team Kakashi”… e, comunque, è stato presente tutte le volte che avete incontrato Sasuke»
Sakura tornò con il pensiero all’immagine che l’aveva impegnata prima dell’arrivo del jonin.
Accanto a lei e a Naruto privo di sensi, c’era Sai. A malapena cosciente.
Sospirò.
A quel punto, tra i suoi ricordi di ninja appartenente a un gruppo, Sai ricorreva più spesso di Sasuke.
«Vado e torno in dieci minuti» disse Kakashi per rompere l’improvviso silenzio. «Tu prepara il tè, se ti va»
«Va… Va bene»
Come era arrivato, così se ne andò.
Silenzioso e cortese.
Per molti versi impenetrabile.
Era il loro maestro, erano insieme da tanti anni, li aveva praticamente visti crescere… ma né Naruto né Sakura riuscivano ancora a dire esattamente cosa gli frullasse per la testa.
Buona parte della colpa era anche di quella maschera, probabilmente. Quella specie di mezzo passamontagna che non si era tolto mai una volta, che non aveva abbassato nemmeno per un istante in tutti quegli anni.
Poteva essere ferito, moribondo, o distratto, ma il suo viso restava sempre nascosto. Sakura sospettava che fosse un retaggio di quando era parte della squadra Anbu, ma ancora una volta non poteva esserne certa.
E invece lui sembrava comprenderli così bene… lei soprattutto.
Ogni volta che si trovavano soli le sembrava che lui la leggesse come un libro aperto, che trovasse le sue debolezze come se fossero state fosforescenti… e in quel momento aveva debolezze che nessuno doveva scoprire.
Nemmeno il maestro Kakashi.
Si accorse di essere rimasta ferma per almeno un minuto, e all’improvviso si riscosse.
“Il tè. Devo preparare il tè” si disse allontanandosi dallo zaino. “Devo fargli credere che vada tutto bene… entro ragionevoli limiti”

Kakashi Hatake.
Trentatré anni ancora da compiere e un curriculum ninja da far invidia al veterano più resistente.
Figlio della Zanna Bianca della Foglia, leggenda finita tragicamente, era già stato membro della squadra speciale Anbu, maestro di un gruppo di tre genin, ne aveva visto uno tradire il villaggio e aveva tentato invano di riportarlo indietro con gli altri due. Ora i ragazzini che aveva aiutato a maturare e crescere erano diventati suoi compagni, e ancora cercavano di ripristinare il gruppo originario, seguendo un sogno, forse un’utopia che li rendeva immaturi ma anche degni del più profondo rispetto.
A Konoha Kakashi era guardato con ammirazione. Nonostante l’aria perennemente distratta tutti affermavano di potersi fidare ciecamente di lui, e molti lo candidavano a prossimo Hokage, una volta che Tsunade si fosse ritirata.
Ma lui sembrava sentire questi discorsi con un solo orecchio.
Non era mai stato vanitoso, o desideroso di gloria e celebrità, non aveva mai voluto dimostrare niente a nessuno fuorché a sé stesso, perché credeva che fosse il suo parere l’unico davvero importante. L’idea di diventare Hokage non lo sfiorava nemmeno, ma forse se glielo avessero proposto avrebbe accettato.
Lui viveva per essere ninja. Per servire e proteggere il suo villaggio meglio che poteva.
Il resto era poco influente.
Un’unica cosa riusciva a turbarlo, ed era un vecchio ricordo… un compagno d’infanzia morto in missione. Ma lentamente, anche il suo senso di colpa stava scemando.
Mentre camminava attraverso il villaggio, pensando a dove cercare dopo essere stato inutilmente al ramen Ichiraku, non si accorse delle occhiate ammirate che la gente gli lanciava, e degli inchini rispettosi che qualcuno si azzardò a fare.
Imperterrito proseguì lungo la sua strada guardandosi attorno con aria svagata.
Ma dove era andato a finire Naruto in un momento come quello?

Naruto era nell’ufficio del quinto Hokage. Per Tsunade era la terza visita del giorno, dopo Jiraya e il capo della squadra Anbu.
E lei non era di buonumore. Per niente.
Le notizie che Jiraya le aveva portato non l’avevano resa affatto tranquilla, soprattutto l’ultima e più pericolosa, e la squadra Anbu aveva gettato benzina sul fuoco comunicandole che era stato bloccato un tentativo di intrusione nel suo studio da parte di un ninja della Roccia. Oltre ai problemi di ordine interno, ora doveva anche occuparsi della diplomazia estera: l’alleanza tra il Paese del Fuoco e quello del Vento aveva visto molto contrariati Roccia, Nebbie e Nuvola, che a loro volta avevano formato una coalizione. Il paese della Roccia e il suo daimyo, in particolare, diventavano più aggressivi e arditi ogni giorno che passava… e l’ultimo tentativo di intrusione dimostrava che i loro rapporti erano in bilico sul filo del rasoio.
E proprio in quel momento, loro avrebbero dovuto infiltrarsi nel paese della Pioggia, terreno tradizionalmente conteso da tutti.
Da un punto di vista puramente diplomatico era un suicidio.
E adesso, mentre lei era così impegnata con potenziali guai di proporzioni colossali, Naruto si presentava alla porta accompagnato nientemeno che dal Kazekage – e dal suo inutile fratello, rimasto in un angolo a borbottare.
Ma non era tutto; alla sua allibita domanda: ‘che ci fa lui qui?’ era in grado di rispondere soltanto ‘l’ho invitato per festeggiare tutta la faccenda di Sakura’.
Aveva una gran voglia di ammazzarlo.
«Ma non sono venuto solo per questo» intervenne Gaara un attimo prima che Tsunade esplodesse. «In realtà ho colto il suo invito come pretesto per muovermi da Suna senza un corteo a seguirmi. Ci sono alcune cose di cui vorrei informarvi… cose che non possono essere scritte e inviate con un falco»
L’ira di Tsunade sbollì in un istante, per trasformarsi in fredda e incuriosita cautela.
Si profilava un’altra grana all’orizzonte?
«I ninja del mio villaggio hanno sentito strane voci ultimamente» spiegò Gaara, seduto elegantemente sulla sedia davanti alla scrivania. «Sussurri di eserciti che si vanno preparando oltre i confini della Roccia. Patti segreti. Interi gruppi di mercenari assoldati o in procinto di farsi comprare… nulla di piacevole, in ogni caso»
Il quinto Hokage sospirò, e il suo sembrò quasi uno sbuffo.
«Quell’uomo è pazzo…» disse tra i denti, alludendo al daimyo del Paese della Roccia. «Completamente folle… sta imbastendo una guerra da solo!»
«Ma non è tutto» aggiunse Naruto, con tono vagamente impaziente.
«Abbiamo anche strane notizie dal Paese della Pioggia» spiegò Gaara. «Voci secondo cui la guerra civile è finita. Ma da anni. E qualcuno dice che ora nel villaggio ninja sta succedendo qualcosa di strano… movimenti sospetti, una confusione nuova, grandi cambiamenti. La situazione sembra molto instabile»
Tsunade si accigliò. Sapeva già quelle cose.
«Inoltre… pare che Itachi Uchiha sia stato avvistato laggiù» completò il Kazekage. «E’ ricercato in tutti i paesi, ma personalmente ritengo che la Foglia abbia una certa priorità»
Naruto cercò lo sguardo dell’Hokage per trasmettergli la sua impazienza di partire e la sua ansia, ma Tsunade tenne gli occhi nocciola fissi in quelli verdi di Gaara.
Quella era forse la notizia peggiore.
Se le informazioni circa Itachi si diffondevano più velocemente, il loro obiettivo rischiava di prendere il volo. E una volta che lo avesse fatto… addio possibilità di ritrovarlo tanto presto.
Non si fidava affatto del presunto patto che l’Uchiha aveva stretto con Jiraya.
Quella terza visita, esattamente come aveva temuto, era riuscita a portarle ulteriori complicazioni: aveva dato un pesante scossone alla loro lenta macchina organizzativa, e ora li avrebbe costretti ad accelerare bruscamente i tempi.
«Bene» disse Tsunade dopo qualche istante di silenzio, e finalmente guardò Naruto. «Trova Sakura, Sai e Kakashi. Vi voglio qui immediatamente… dovete partire subito»
Il jonin biondo annuì. E con l’ansia, la trepidazione e l’inquietudine che gli riempivano la testa e lo stomaco lasciò lo studio e i due Kage che lo occupavano – più il solito Kankuro, da tutti ignorato.

“Qui dovrebbe andare bene. Non credo si azzardi a venirmi a cerc…”
«“Non credo si azzardi a venirmi a cercare nei bidoni della spazzatura”. E’ questo che stai pensando?»
La luce del sole venne coperta da una testa bionda.
Shikamaru alzò lentamente gli occhi, ormai quasi rassegnato, e riconobbe il ghigno soddisfatto di Temari su di lui.
Mh. Situazione decisamente romantica. Poetica, anzi.
Lui, lei e un bidone dei rifiuti.
Per non parlare dell’odore.
«Vieni fuori» ordinò la bionda facendosi da parte, e a lui non restò altra scelta che obbedire.
Tutto perché non poteva picchiare una donna. Uff… crescere diventava sempre più problematico.
Con una svogliatezza invidiabile, Shikamaru si tirò fuori dal bidone e spolverò dai pantaloni un pezzo di carta unta che era rimasto attaccato.
«Che schifo, sei disgustoso» commentò Temari arricciando il naso. «Forza, vieni con me»
Lui mugugnò, disperato. Aveva pregato perché l’odore bastasse a tenerla lontana… ma evidentemente non aveva funzionato.
«Hai detto qualcosa?» chiese Temari scoccandogli un’occhiata assassina.
«Ehm… no. Dove andiamo?»
«Nel solito posto, ovviamente»
La bionda gli diede le spalle, e si incamminò lungo il vicolo in cui lui aveva tentato vanamente di nascondersi.
Prima di raggiungere la strada principale Temari si fermò per un attimo, si guardò attorno, unì le mani davanti al petto e poi cambiò aspetto con la tecnica della trasformazione, mutandosi in una giovane donna dai capelli neri e gli occhi verdi, assolutamente anonima. A quel punto guardò Shikamaru e, arricciando il naso ancora nello stesso modo, gli disse: «Sì. Dobbiamo proprio muoverci»
“Maledetta…” pensò lui, seguendola nel flusso di gente.
A causa della sua nuova acqua di colonia, scoprì che la folla non era più un problema: tutti lo scansavano naturalmente, con smorfie disgustate, e dopo il primo sguardo sbalordito evitavano accuratamente di incrociare i suoi occhi.
Da un lato era ovviamente imbarazzante e mortificante, ma dall’altro poteva rivelarsi piuttosto conveniente.
“Forse avrei dovuto pensarci prima” si disse Shikamaru.
E poi commise l’errore di inspirare a fondo.
“No, ritratto tutto”
«Siamo arrivati» disse Temari fermandosi davanti a un albergo dall’aria dichiaratamente equivoca. Davanti all’atrio protetto da paraventi e tende scure, campeggiava un cartello che annunciava a colori squillanti “una vasta disponibilità di stanze a ore, a tema e provviste di Jacuzzi!!!”
Qualunque cosa avesse più di un singolo punto esclamativo per Shikamaru era una stronzata.
Figurarsi quella.
«Tu resta un po’ indietro» gli intimò Temari mentre con disinvoltura si avviava verso l’ingresso. «Non vorrei che dicessero che puzzi troppo per entrare»
Gentile e romantica.
Un amore di donna.
Shikamaru si tenne a qualche metro di distanza mentre entrambi entravano, e restò nell’angolo quando Temari raggiunse la reception e scambiò poche parole con l’uomo dietro il banco, un signore di mezz’età dall’aria discreta e rispettabile. Questo per dire quanto possono essere sbagliate le prime impressioni.
Si sentiva a disagio, voleva fare una doccia e soprattutto voleva essere a mille metri da lì.
Ma sapeva che alla fine sarebbe rimasto, come sempre aveva fatto e, sospettava, sempre avrebbe fatto. Almeno finché lei lo voleva.
In pochi minuti Temari fu indietro, stringendo tra le mani un tintinnante mazzo di chiavi, e lo condusse al primo piano canticchiando una melodia sconosciuta.
La stanza che aveva preso non era a tema, per fortuna. L’ultima volta aveva il copriletto zebrato e cuoio da tutte le parti… e per Shikamaru alla fine si era trasformata in un incubo. Era stata la giornata peggiore della sua vita, forse… un sacco di fatica e nessun piacere.
Con noncuranza Temari gettò le chiavi su un comodino e tornò al suo solito aspetto. La prima, elegante cosa che disse fu: «Fatti una doccia o vomito»
«Tanto avevo intenzione di farla già da solo…» borbottò Shikamaru incassando la testa tra le spalle e avviandosi verso il bagno.
Mentre chiudeva la porta, dalla stanza sentì di nuovo la voce di lei: «Non più di un quarto d’ora, o butto giù la porta e vengo a riprenderti! E non scappare!»
Con un sospiro afflitto il jonin si barricò in bagno.
“Non è possibile” rifletté. “Ho diciotto anni, sono un ragazzo forte e in salute… e ancora finisco per farmi violentare da quella donna. Ma perché?”
Perché non ti dispiace poi tanto, gli suggerì una vocina malvagia.
La mandò al diavolo.
Se non altro la doccia fu un sollievo. La sensazione dell’acqua tiepida sulla pelle, il profumo del sapone, lo scroscio delle mille gocce che cadevano dall’alto… e, oltre la porta, la voce di Temari che a bocca chiusa canticchiava.
In fondo aveva finito per abituarsi a quel rito.
Stanza d’albergo, doccia – prima lui, poi lei – e dopo… sesso.
Ovviamente non giocavano a carte.
Chiuse l’acqua quando sentì che non avrebbe potuto concedersi un altro minuto – o lei gliel’avrebbe fatta pagare. Uscì dalla doccia e si avvolse nel grande asciugamano non troppo morbido che l’albergo metteva a disposizione, cercando di asciugarsi il più rapidamente possibile. I capelli un po’ lunghi gli ricadevano sulle spalle, caldi e umidi, e piccole gocce gli solleticavano la schiena bianca. Si guardò allo specchio, e fece una smorfia al suo riflesso.
Che pena, sembrava dirgli.
«‘Fanculo» rispose a mezza voce.
«Ehi, hai finito là dentro?» lo chiamò Temari da fuori.
«Un attimo!» rispose riprendendo ad asciugarsi frettolosamente.
Cinque minuti dopo, sperando di essere preparato spiritualmente, aprì la porta del bagno e uscì con solo un asciugamano legato in vita.
Temari gli gettò a malapena un’occhiata – com’erano lontani i tempi in cui se lo squadrava per bene – e si tirò su dal letto che aveva inaugurato rotolandosi senza scopo.
«Tu aspettami da bravo» gli disse con un mezzo ghigno. «Dieci minuti e sono da te»
«Fai con comodo» ribatté lui.
“Anzi, se riesci scivola nella doccia” le augurò mentalmente, una volta che la porta si fu richiusa tra loro.
Era rimasto solo. Beh. Anche a quello era abituato.
Si guardò attorno con vago interesse; stanza tradizionale, niente fronzoli né zebrature. La finestra dava su un cortile interno deserto, e il vocio della strada era lontano e ovattato. A voler essere poco pignoli, non era neanche tanto male quello squallido motel.
Sperando di essere abbastanza asciutto, Shikamaru si lasciò cadere seduto sul letto, e lasciò vagare i pensieri.
Molte volte aveva sognato di scappare da quelle stanze, piantare in asso la sua aguzzina e svignarsela, libero come una nuvola…
Una sola volta ci aveva provato.
E per poco uno shuriken non lo aveva inchiodato alla porta.
‘Pensavi che non me ne sarei accorta?’ le aveva chiesto Temari dalla soglia del bagno, con addosso solo altri due shuriken. ‘Ora, da bravo, rimettiti seduto’
Era stato allora che aveva capito di essere irrimediabilmente in trappola.
Aveva sognato ancora un po’, perché la speranza è l’ultima a morire, ma alla fine si era arreso e aveva imparato semplicemente ad aspettare in buon ordine. Bastava pensare ad altro, e il tempo passava in fretta.
Anche perché quando lei usciva dal bagno non c’era più tempo per pensare a nulla.
L’acqua della doccia fu spenta all’improvviso, facendolo trasalire. Era già pronta? Aveva fatto prima del solito.
Il jonin deglutì, inquieto. Avrebbe capito di che umore era lei soltanto quando fosse uscita dalla doccia, non prima… e allora avrebbe saputo quale destino lo attendeva.
La immaginò prendere l’asciugamano. Mezzo minuto per asciugare i capelli, altri due per il corpo. Un’occhiata veloce allo specchio, un attimo per controllare che lui fosse ancora al suo posto – diede un colpo di tosse, tanto per farla stare tranquilla – e qualche secondo per dare un senso alla testa scompigliata.
E infine la maniglia che si abbassa.
Temari comparve sulla soglia con un altro asciugamano legato sopra il seno, e guardò Shikamaru con un ghigno soddisfatto.
«Vedo che hai fatto il bravo bambino» gli disse avvicinandosi.
«Ci tengo ad arrivare ai vent’anni» replicò lui indispettito.
«Ottima scelta» approvò lei facendo scivolare un ginocchio accanto alla sua gamba.
Gli passò le braccia attorno alle spalle e si chinò sul suo collo, sfiorandolo con il naso.
«Dai, che sei fortunato» gli sussurrò. «Oggi sono di buon umore. Non so se hai notato che non ho più preso la stanza Safari»
«Ho ringraziato Dio per questo»
Temari si lasciò andare a una breve risata, non il ghigno sprezzante che riservava al pubblico, ma una risata spontanea che tirava fuori solo quando era con lui.
Lui non gliel’aveva mai detto, ma gli piaceva quel suo modo di ridere.
«Hai un buon profumo» le concesse, sfiorandole con le dita la schiena liscia e abbronzata.
«Detto da uno che è uscito da un cassonetto sembra più un dato di fatto che un complimento» ribatté lei.
«Brava. Giocati l’unico complimento che ti farò mai»
«No…» sospirò Temari, sentendo le dita di lui che trovavano il nodo dell’asciugamano e lo scioglievano. «Ridimmelo»
«Brava. Giocati l’unico complimento che…»
«Non quello! Quello che hai detto prima»
«Oh, quello?»
L’asciugamano scivolò a terra con un fruscio. Shikamaru fece un sorrisino di superiorità. «Devi guadagnartelo…» mormorò scostandole una ciocca di capelli dall’orecchio.
Temari non si scompose più di tanto.
Si limitò a schiaffarlo sul copriletto con una mano sola e a premere due dita sulla sua carotide.
«Me lo sono guadagnato?» chiese piatta.
«Ehm… ehm, sì» si arrese lui, con un sospiro.
Sigh. Aveva sperato che per una volta le cose sarebbero state diverse, ma invano.
Come una nenia ormai priva di valore, soddisfò la richiesta di Temari:
«Hai un buon profumo»
Nonostante il tono monotono, lei sembrò soddisfatta.


Naruto stava correndo verso casa.
Sentiva il cuore battere all’impazzata nel petto, ma perché?
Era ansia la sua? Paura? Desiderio?
Voleva rivedere Sasuke o voleva impedire che Sakura lo incontrasse?
Non avrebbe saputo dirlo, né voleva soffermarsi a pensarci.
In quel momento aveva bisogno solo di agire, di impegnare la mente in qualche modo… e anche consumare ossigeno correndo sembrava una valida alternativa.
Finché non andò a sbattere contro qualcuno.
«Ahia! Ehi, attendo a dove… Naruto! Sei tu!»
Naruto alzò la testa massaggiandosi la fronte, e con sorpresa vide che si trovava davanti a Iruka.
Per un attimo tutti i suoi problemi evaporarono come neve al sole, e un sorriso lo illuminò come quando aveva dodici anni.
«Maestro Iruka!» esclamò felice. «E’ un sacco di tempo che non ci vediamo!»
«E di chi è la colpa, eh? Chi è sempre in missione, giorno e notte?»
«Certo! Sono diventato fortissimo!»
«Ahah, non ne dubito!» anche se ormai erano alti uguali, anzi forse Naruto un po’ di più, Iruka gli posò una mano sui capelli. «E… eheheh…» aggiunse dopo un attimo, cambiando completamente espressione. «Ho sentito una voce interessante…» ghignò, dandogli di gomito. «Così alla fine sei riuscito ad accaparrarti Sakura Haruno, eh?»
Naruto sfoderò un sorriso orgoglioso e compiaciuto al tempo stesso. «Sì» disse sicuro.
L’immagine di Sasuke gli sfrecciò davanti agli occhi.
«Oh» si rabbuiò.
«Che c’è?» chiese Iruka vedendolo incupirsi.
«Mh… no, niente» si affrettò a rispondere scuotendo la testa. «Mi sarebbe tanto piaciuto mangiare un ramen con lei, maestro, ma sto partendo per un’altra missione»
«Ancora?» sbuffò Iruka. «Ormai sei più impegnato dello stesso Hokage»
«Questo perché sarò io il prossimo Hokage!» ribatté Naruto con un sorriso sicuro.
«Certo. Io l’ho sempre detto» sorrise il maestro con espressione affettuosa. «Ora vai, o farai tardi. Quando torni offrimi un ramen»
Di umore molto migliore, Naruto lasciò Iruka e riprese a correre verso casa, dove Sakura lo attendeva.
Sì.
Lui sarebbe diventato il prossimo Hokage.
Non poteva lasciarsi abbattere da un pensiero vago e lontano, da una paura del tutto immotivata.
Avrebbe lottato e combattuto, se necessario.
Avrebbe riportato a Konoha Sasuke, e avrebbe avuto anche l’amore di Sakura.
Il futuro Hokage non poteva non riuscire a conquistare la propria felicità.
Non poteva pretendere di proteggere e rendere felici tutti se non era in grado di farlo nemmeno con sé stesso.
Sì.
Sarebbe diventato Hokage.
Sarebbe stato felice.














*      *     *   *    ȣ    *   *     *      *


Spazio autore

Ok.
Chiedo perdono a tutte/i coloro che non amano le ShikaxTema!
Penso che questo capitolo sia stato disgustoso per costoro...
...ma la storia va così, punto e basta.
Giusto a titolo informativo, posso chiedervi quanti tra voi preferiscono le InoxShika o le ShikaxTema? XD
Ah, già: e Shikamaru non è gay.
(come qualcuno ha già ipotizzato)
E' soltanto un uomo molto pigro... e Temari può diventare un tantino pesante, alla lunga.
Quindi, stando anche alle sagge affermazioni della "vocina malvagia",
in fondo non gli dispiace.
Affatto.

Grazie a tutti per i commenti! ^.^
Li leggo sempre con infinito piacere, davvero!
Forse un giorno riuscirò anche a scoprire come rispondere in qualche modo... ò_O

Aya


  
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