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Autore: purepura    24/03/2013    0 recensioni
Ma io sono capovolta, con la testa e con il cuore.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’angelo storto
Pennellata

 
   Io con te, per te. Nelle notti devastate dai troppi vetri, mi fermo e ti guardo dormire.
   La luna gioca col tuo volto, un poco al buio e un poco alla luce. Le labbra sono schiuse, come se stessi per sorridere, e una notte mi rendo conto che è esattamente così. Sai che ti guardo come sai che ti amo, ed è la mattina successiva, che me lo chiedi, mentre indossi le tue calze preferite e ti pettini i capelli sempre troppo lucidi.
   «Prometti che dirai di sì?»
   Mi blocco, intenta a scartare camicette scure. «A cosa?»
   La giornata porta i segni inconfondibili di una primavera che non resisterà. Sole, azzurro, verde e cinguettii. Tuttavia, se appena si fa un passo in avanti, ecco che la gelida brezza ti scompiglia la vita e insieme l’entusiasmo.
   «Prometti», ripeti.
   Indossando un paio di pantaloni, in fretta decido di infischiarmi del meteo e stiro le pieghe di una canottiera lilla.
   «Lo farò. Dirò di sì».
   Ti alzi, le scarpette leggere al loro posto.
   Mi carezzi una guancia, cosa che mi fa sorridere.
   «Lo sposerai?», sussurri.
 
   Troppe lettere ammucchiate in un solo scatolone. Abbiamo dovuto etichettare tutto, in modo che i facchini non ficcassero le tazzine da caffè nel bagno del secondo piano. E puntualmente è da giorni che stiamo cercando le tazzine da caffè e beviamo nelle tazze da tisana, grosse e ciccione, facendo apparire lo sputo di caffè ancora più misero.
  La dicitura su quella scatola dice DOCUMENTI, ma io so che la quantità di imposte ufficiali è ben povera se confrontata alle imposte ufficiose. Che mi spedivi insieme a pacchetti di sigarette e di gomme da masticare alla fragola. «Per arricchire i dentisti», dicevi.
  Leo porta dentro l’ultima scatola, che ha attraversato tutti i corridoi. Non sapevamo, dove metterla. La sua dicitura è più fragile e problematica. FOTOGRAFIE.
  Non ho nessuna foto di te. Ho solo il brivido della tua bocca sulla mia, delle tue mani, dei tuoi fianchi nudi e del tuo seno. Le tue mani erano sempre troppo fredde, quando toccavano i miei fianchi.
   «Dove le metto?», mi chiede, e poi storce il naso, vedendomi accoccolata sul divano intenta a fissare quella scatola. «Che stai guardando?»
   «Nulla», dico. «Lasciale pure lì. Le metto via insieme a questa scatola, nello sgabuzzino magari».
  Annuisce. Esce dalla stanza, borbottando «Voglio andare a letto presto», prima di chiudersi la porta alle spalle. Lo sento salire le scale e sbattere la porta del bagno.
  Fumerà e renderà l’aria satura e irrespirabile. Poco male. Aveva promesso che avrebbe smesso, ma anche io avevo promesso di smettere di vederti. E invece le tue mani sono ancora sui miei fianchi, sdraiate ogni notte in un letto diverso, pagando ogni volta tariffe orarie differenti, mentre dietro al bancone la gente ci fissa e non capisce.    
  Poco male. Mi sposto verso la scatola delle fotografie, pensando che infondo io stessa il giorno del matrimonio non sono stata fedele; credevo veramente a quel finché morte non ci separi ma a tutto quello che riguarda la fedeltà nella buona e nella cattiva sorte… insomma, non ero già fedele, per cui buona o bella non avrebbe fatto differenza.
 
   Leo infine è davanti a me, a chiedermi se gli voglio dare un figlio. Un bimbo con i suoi magnifici capelli e il suo mento. Un bambino per Leo.
   Penso vagamente al fatto che non dovrebbe apparirmi così, la cosa. Non dovrebbe essere un bambino per Leo, ma il nostro meraviglioso piccolo bambino che avremo desiderato con tutti noi stessi.
   Ma io sono capovolta, con la testa e con il cuore. Rimarrebbe solo il bambino di Leo.
   Io sono tua. Come potrebbe il mio cuore, trovare spazio per altro?
   Annuisco, perché fare contento Leo, è una delle maniere migliori per – finché morte non ci separi, per poter sgusciare fuori di casa alle ore più impensate e salire sulla tua auto, sempre pulita ma in disordine, e sfrecciare lontano, nell’ennesimo motel, dalla carta da parati allegra e stagna.
   Ed è quella stessa sera che te lo accenno, perché il bambino di Leo non è un argomento da nulla, e tu sorridi carezzandomi una gamba nuda, e riprendi a baciarmi le labbra. Io riprovo, quando passi alle spalle, a dirti che presto insieme con me ci sarà anche il bambino di Leo, e tu mi baci il ventre ed io non riesco più a respirare.
   Tu sorridi ed io sospiro, pensando che potremmo anche parlarne l’indomani, per telefono.
   «È normale, non trovi?», mi chiedi, mentre mescolo il caffè nella tazza da tisana. «Alla sua età, è normale voler metter su famiglia. Che cosa hai risposto?»
   «Ho detto di sì».
   Il tintinnio del cucchiaino non mi distrae abbastanza. Sento il tuo respiro. Mi accusa – crepitio maestoso senza il quale non potrei mai più ridere – di dire sempre finché morte non ci separi.
 
   Il bambino di Leo ha i miei capelli e il mio mento, e si aggrappa alle mie dita con le sue piccole falangine e falangette senza smettere di storcere il visino.
   Il bambino di Leo è l’angelo che forse mi raddrizzerà.
   Poi arrivi, per conoscere il bambino di Leo, e quando è fra le tue braccia apre gli occhi – come i miei, i miei occhi e i miei capelli e il mio mento e il mio bambino – e stringe i piccoli pugni che ti sbatte sul petto.
   Il mio angelo storto tiene su di sé il mio diavoletto dritto.
 


_______________________________


[Tutto quello che ho narrato non si ispira a fatti reali ma è solo frutto della mia immaginazione, e i personaggi sono maggiorenni e consenzienti.
Ora, se sospettate che io abbia qualche problema, siete sulla giusta strada! :)
Seriamente, non chiedete spiegazioni. Non ne ho!^^]

   

 

 

  

 

 

 

 

 

  

 

 

 

   

 

    

  
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