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Autore: hanabi    25/03/2013    0 recensioni
Lontano, molto lontano, un mondo è pieno di leggende sulla propria origine e la propria storia. E in questo mondo tutto sembra duale: due soli, due continenti, due culture impermeabili, due etnie nemiche. Ma c'è un terzo incomodo, che esiste ed agisce nell'ombra...
Ed è quel terzo incomodo che unisce gli estremi di quel mondo, in una vicenda che sprofonda le radici nel remoto passato, tra intrighi e grandi imprese, sogni e vendette, misteri da svelare e sentimenti contrastanti, ferocia e sensualità. E alla luce di una luna che non è più solo un decoro del cielo, si dipana la storia dei protagonisti... come un gioco dei loro dèi. E di qualcun altro.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Nemel e Chat attraversarono rapidamente la piazza, sgomitando in mezzo alla folla nel giorno di mercato. Raggiunsero un pezzo d’uomo vestito a nuovo, tintinnante di gioielli da guerriero e coi capelli adorni di piume rare, che stava discutendo con un mercante kelith.

"Questa corda non va bene. Ne hai una più leggera? Sì, almeno venti stature. La seta dov'è? Ah, bene. Il vestito. Non dimenticarti il vestito."

"Salute a te, Ran," disse Chat, trafelato.

"Ah, siete voi.” Cenno distratto. “Salute. Sono molto impegnato."

"Ma che fai?" chiese Nemel, afferrandolo per un braccio e parlandogli sottovoce. "Acquisti da un mercante kelith?!"

"E allora? È un predone come tutti gli altri. Infatti se non sto attento mi imbroglia spudoratamente."

"Ma che dici, onorato cliente?!" protestò il kelith, inchinandosi. "Non oserei mai imbrogliare un così munifico acquirente..."

"Ecco, appunto, meglio che ci pensi due volte prima di provarci." Ran sbuffò e cavò di tasca un rotolo. "Il mio socio ti manda questa lista, io non ci capisco un accidente. Puoi procurargli questa roba?"

Il mercante srotolò il messaggio con sussiego. "Ah, sì, certo.” Vide l’ideogramma in calce e se lo portò cerimoniosamente alla fronte. “È un onore servire il signore."

“Adesso sì, vero?” Ran sorrise, ironico, e puntò il suo grosso indice sotto il naso del mercante. “Non gli chiudi più la porta in faccia? Non fai più commenti sul suo marchio da schiavo, o su quanto fosse bianco il suo corpo quando l’hai visto mezzo svestito?”

Il mercante impallidì evidentemente. “Onorato cliente...”

“Oh, ti avevo sentito, sai! Ho qui dentro” e si indicò la testa “il ricordo di tutti i lazzi che ci avete detto dietro, quando è nata la nostra squadra: e tu in particolare dicevi che un vero nobile avrebbe dovuto uccidersi, dopo tanta vergogna. Ma stai tranquillo, non ho mai raccontato queste cosette a Deyan-shir, e diciamo che posso dimenticarmi di parlargliene... in cambio del venti per cento di sconto. Ci siamo intesi?”

“Venti per cento?!” gridò il poveretto. 

“O la fornitura di vino per un mese... scegli tu.”

"Ran, avresti un istante per noi?" chiese Chat, interrompendo a malincuore quella scenetta che in segreto lo riempiva di soddisfazione. Ran che maltratta un mercante kelith! 

"Va bene, andiamo a bere qualcosa. Ehi, mercante! Arriverà qui un certo Aydie, un tipo con la faccia storta. Porterà la mia merce a casa, assieme al tuo conto. E bada che sia giusto, o verrò ancora a trovarti." Sorrise, voltandosi. "Bene! Dove andiamo? In una bettola kelith o sayanni?"

"Ran!" esclamarono in coro i due predoni, scandalizzati. "Andresti a bere... con i kelith?!"

"Dèi del profondo, ma siete ancora così stupidi?" Ran si mosse, fendendo la folla. "I tempi stanno cambiando, amici miei! Luna di Fuoco è patria di tutti, è ora di finirla con queste divisioni ataviche... kelith da una parte, sayanni dall'altra! Siamo tutti predoni, tutti con una condanna a morte sulla testa."

Raggiunse comunque una taverna sayanni, vi entrò maestosamente e prese possesso di un tavolo. Nemel e Chat si sedettero di fronte a lui, guardandolo perplessi.

"Non ti riconosciamo più, vecchio mio," dissero, quasi in coro.

"Ahhh..." Ran sorrise con condiscendenza, giocherellando con la propria collana. "Volete dire che non riconoscete più il fallito, l'incapace, il goffo predone che partiva senza nemmeno sapere dove andava e cosa faceva. Non ci sono più barzellette in giro su di me?"

"No," disse Chat, cupamente. "Tutta Luna di Fuoco non fa che parlare della tua squadra. A volte con invidia, a volte con rabbia. Lo sai che la chiamano Squadra Sacrilega?"

"Un nome lusinghiero, direi." Ran ordinò vino per tutti. "Migliore degli Affamati di Teji, non è vero?"

"Non è mai esistita una squadra mista, con sayanni e kelith messi insieme."

"Non è mai esistito un predone albino, se è per questo... tante cose mai esistite si vedranno prossimamente, non temete!" Un sorriso da lupo. "La nostra squadra sta preparando un altro bel colpo, qualcosa di veramente inaudito."

"Cosa? Cosa?" chiesero i due ansiosamente, ma Ran li fermò con un gesto solenne delle mani.

"Non vi dirò nulla." Poi rise, e soggiunse: "Se non che stavolta andremo giù a sistemare un conticino in sospeso del mio socio. Abbiamo guadagnato fin troppi soldi nell'ultimo ciclo, così abbiamo deciso insieme di permetterci questo sfizio."

Nemel e Chat emisero un sospiro quasi voluttuoso. "Una missione a perdere!..."

"Pensate che costerà forse la metà di tutto l'introito di Teji in questa stagione," disse il predone, tutto soddisfatto.

"È vero che hai cambiato casa, Ran?"

"Sì, cari miei. Ora sto nel settore ovest, in quella casa che Kor il Mercante aveva lasciato vuota... "

"Ti costerà una fortuna!"

"Sì, ma non ci abito da solo. Ho solo due stanze, il resto è occupato da alcuni miei uomini che mi fanno da guardie del corpo." Sorseggiò il suo vino. "Poveracci, non hanno dove dormire, almeno così si rendono utili."

"Ne hai proprio bisogno, perché ho sentito che la tua squadra sta pestando i piedi di altri grossi capi... Kyaci ha detto che gli hai rubato il territorio, ma non ci credo. Lui fa razzie in Sayanna, sulla Grande Strada.”

"E io ho spennato un paio di grassi dignitari da quelle parti." Un ghigno sardonico. "Li ho spediti alle Divinità col sedere al vento!"

"Ran!" esclamò Chat, scandalizzato. "Vuoi dire che... ora derubi anche i sayanni?!"

"Sì, certo. Derubo tutti i ricchi, ovunque siano. E Kyaci deve stare zitto, perché non esistono territori in esclusiva per noi di Luna di Fuoco. I Marjaban mandano la gente dove vuole, basta pagare."

Ci fu un certo silenzio tra i tre, poi Nemel chiese: "Il tuo kelith albino, anche lui abita nella tua casa?"

"No. Ci siamo separati presto, lui ha altre abitudini rispetto alle mie. Sta in un'altra casa, quella che sembra una piccola fortezza, a poca distanza dalla mia. Ma, prima che me lo chiedi, lascia che ti dica che sotto il mio tetto abitano anche dei pellebianca!"

"E non ci sono problemi?"

"Quali problemi? Chi vuol essere assunto nella Squadra Sacrilega deve esserne degno. Deve aver già compreso che kelith e sayanni hanno pelle diversa, cultura diversa, costumi diversi... ma possono coesistere in pace, qua dove le dispute di quel mondo oltre il Grande Vuoto non ci toccano. Che cos’altro è, tutta Luna di Fuoco, se non la riprova di tutto questo?”

Un altro silenzio. Nemel e Chat si guardarono, bevvero. Poi Nemel si schiarì la gola.

"Ran, ci prenderesti con te?"

"Come dipendenti, naturalmente!" aggiunse Chat.

"Ah, beh... dovrò consultarmi con il mio socio." Ran sporse le labbra. "Abbiamo già una grossa squadra, sapete."

"Per favore, Ran!"

"In nome della nostra amicizia!"

"Siamo stati i tuoi soci..."

"Questo è meglio che non me lo ricordiate," sogghignò Ran, e attraverso la finestra diede un'occhiata al palco degli schiavi. "Rammentate ancora quando ho rischiato di finire lassù?"

"Non è stato per colpa nostra!"

"Mi avete semplicemente piantato nel momento del bisogno. Ma non temete," soggiunse, placando le proteste dei due, "io sono magnanimo, e perdono le offese. Ne parlerò con Deyan-shir stasera."

"Ma chi comanda tra voi due?" chiese Chat, con un po' di malignità. "Tu o il kelith?"

"Tutti e due. La nostra è una società alla pari." Ran chinò lo sguardo alla tazza. "Però non devo essere ingiusto: la mia fortuna è in gran parte merito di Deyan-shir.”

“Di quel testabianca, debole e infrollito dai vizi?” 

Lo sguardo di Ran si indurì. “Lo conosci, per giudicarlo così?”

Chat tacque, intimorito. 

“Quel che dici sarà vero per altri testabianca, ma non per lui. Non è un debole, te lo garantisco; e non ha vizi, perché in molte cose sa essere più sobrio di me. Ma soprattutto, è mio amico, per cui bada bene a come ne parli.”

Chat esitò, tracannò un sorso di vino e mormorò: “Non può esistere quest’amicizia, è contraria al volere degli dèi.”

Il pugno sul tavolo di Ran fu così forte che le tazze per poco non si rovesciarono.

“Il volere degli dèi, caro mio ex socio, era che io restassi su Sayanna, da bravo guerriero obbediente, per andare poi sulla costa per venti stagioni di servizio, e tornare dal mio capovillaggio per farmi assegnare una moglie, e quello mi avrebbe sicuramente rifilato quel mostro terrificante di sua figlia, una guerriera abile nell’uccidere i nemici sedendosici sopra!” Ran intinse un dito nel proprio vino e se lo spruzzò alle spalle. “Ecco, cosa me ne faccio del volere degli dèi. Potrò anche morire domani, ma benedico il momento in cui gli ho voltato le spalle. E lo benedico anche adesso, per avermi messo al fianco uno come Deyan-shir.”

“Ma cosa può fare lui per te?” intervenne Nemel. “Non è un vero predone!”

“No, ma è qualcosa di più. Quel che può rendere quel che facciamo più che un furto: un’arte.” Posò i gomiti sul tavolo e si sporse verso di loro, come per confidare un segreto. “La sua intelligenza non ha eguali: ha progettato lui il nostro primo colpo insieme, e sapete dove mi ha mandato a rubare? In un archivio.”

Nemel e Chat si guardarono, increduli.

“Certo, io non avrei mai fatto una cosa simile. Rubare delle carte? Per un ignorante come me non avevano valore... ma per Deyan sì. Se l’è studiate con cura, perché erano roba delle tasse o non so che cosa; e grazie a quelle ha organizzato i primi colpi che ci hanno reso famosi. Abbiamo così svaligiato un deposito segreto di spezie rare, ricordate? Ci ha fiutato tutta Luna di Fuoco... poi abbiamo portato gemme che valevano una carovana e che quasi hanno accecato Mastro Kurmaji da tanto che scintillavano... e le piastre d’oro del principe di Itka, così pesanti che persino io barcollavo nel portarle alla Grande Casa!” 

Nemel annuì, sia pur malvolentieri: un predone degno di questo nome doveva rendere omaggio a quelle imprese.

“E quindi siete ancora disposti a credere che Deyan non sia un degno membro di Luna di Fuoco? Non l’avete visto in azione, non avete visto il suo coraggio, il suo sangue freddo, il modo in cui si prepara. Ma soprattutto, non sapete quanto sa essere leale. E questo l’apprezzo sopra ogni altra cosa, perché sono leale anch’io...”

“Tu sì, perché sei un sayanni autentico!” Chat scosse la testa. “Ma i kelith sono diversi da noi. E quello poi è anche peggio: faccia marchiata o meno, è un nobile!”

"Appunto,” rise Ran. “È un principe, che i suoi stolti pari hanno gettato tra le immondizie. E se ne stanno già pentendo.” Finì il suo vino. “Perché non si getta via un uomo nato e cresciuto per comandare. Soprattutto se è il migliore della sua razza!"

 

 

 

 

 *

 

 

 

 

Il principe Gamosh meditò sul vassoio che il servo gli porgeva, scegliendo alla fine un delicatissima pasta decorata con l'ideogramma di Shana. La portò alla bocca e divorò in un istante il lavoro di un'ora di un pasticciere.

"Bisogna trovare una soluzione a questo problema," disse, pulendosi le dita sulla veste del servo. "La povertà avanza nelle nostre terre, minaccia persino il nostro livello di vita."

L'ambasciatore davanti a lui annuì, chiedendosi se per caso quel nostro significava che Gamosh si sentiva già sul trono di Shana.

"L'Augusto Consorzio ha risposto al tuo appello, Gamosh-shir. La tua preoccupazione è condivisa." Un lieve colpo di tosse. "Davvero seccante che la causa di tutto ciò sia... un nobile di Shana."

Gamosh strinse le labbra. "Nessun nobile di Shana si sporcherebbe di questi delitti. Ti prego di correggere la tua affermazione."

"Il capo dei predoni che ci perseguitano non è forse Deyan-shir?"

Gamosh divenne paonazzo, e in un albino l'effetto era notevole.

"Ti riferisci ad un volgare schiavo che si fa chiamare così?"

L'ambasciatore sorrise appena. 

Nonostante tutte le manovre di Unari, Shana era diventata la pecora nera dell'Augusto Consorzio. Si era discusso parecchio sull'avventatezza del principe nel far profanare pubblicamente il corpo di un albino, sia pure sacrilego: era un cattivo esempio, che riduceva il rispetto della gente comune per la classe aristocratica. L'elezione a erede di un cadetto, sia pur inevitabile, non aveva poi aumentato la gloria del principato: Gamosh non era stato educato come un principe, e spesso lo dimostrava penosamente; suppliva a questa sua mancanza con una sconfinata superbia, ma molti la ritenevano francamente eccessiva.

Ed infine, come se tutto ciò non bastasse, l'erede precedente si era fatto vivo, a capo di una banda mista di predoni. E si era dato a perseguitare sistematicamente i nobili kelith, con una speciale predilezione per quelli di Shana e Itka. Tutti consideravano questo flagello responsabilità di Unari, e se ne lamentavano apertamente.

Se avesse trattato suo figlio con più magnanimità o mettendolo nobilmente a morte, ora non avremmo un uomo della Razza Sovrana a capo di predoni!

E se c'era una cosa che irritava spaventosamente Gamosh, era sentire che tutti si riferivano a Deyan con il suffisso shir, riconoscendogli ancora la dignità di principe nonostante non fosse altro che uno schiavo.

Stava per farlo notare all'ambasciatore, ma quest'ultimo spostò lo sguardo sulla figura di Unari che entrava nella sala. "Ahhh... ecco il principe. Mi permetti di porgere i miei rispettosi omaggi al tuo augusto padre, Gamosh-shir?"

E senza attendere risposta lo lasciò, a digrignare i denti dalla frustrazione.

Unari sembrava invecchiato di colpo: le molte preoccupazioni per Shana, la caduta del suo ultimo erede e le sue conseguenze gli avevano avvelenato l’esistenza. Forse, come tutti, aveva sperato che Deyan scomparisse per sempre nei meandri di una casa di piacere; così l'avrebbe dimenticato...

Invece il destino non gli aveva permesso di dimenticare, nè il figlio nè la terribile maledizione che aveva ricevuto da lui; e Deyan era pur sempre un adepto della dea El, il che aumentava il terrore superstizioso suscitato dal suo anatema. Gamosh avrebbe volentieri raso al suolo il Tempio Segreto per far piacere al padre, ma nessun altro kelith avrebbe osato un simile sacrilegio: El era una dea antica, molto più antica anche degli dèi solari, ed era rispettata e temuta anche se il suo culto misterioso era ristretto a pochissimi iniziati.

Gamosh guardò verso il padre, fingendo l’affetto che non provava: Unari per lui era quasi un estraneo. Si era limitato a generarlo con una concubina, lasciandolo poi a tormentarsi d’invidia per tutta la sua vita mentre gli eredi si susseguivano nella lista di successione. Gamosh aveva naturalmente complottato in segreto per eliminarli, ma verso Deyan aveva sempre provato una sorta di timore inconfessabile: forse perché mentre gli altri eredi si erano divertiti a tormentarlo e umiliarlo, quel giovane così diverso da tutti l’aveva completamente ignorato. Era stato quasi un insulto, e Gamosh aveva sofferto acutamente a vedergli attribuita la collana di opali. Ma poi aveva esultato per la sua caduta, che l’avrebbe reso finalmente un principe; ed era corso a godersi ogni colpo di frusta inflitto a quel fratello che gli aveva rifiutato persino la considerazione di un nemico, rimpiangendo di non poter essere al posto dei carnefici.

Pensavo di averti eliminato per sempre dalla mia vita, Deyan... ma anche in questo ti sei rifiutato di accontentarmi. E sei tornato dalla morte stessa, a infestare i miei pensieri.

Gamosh si spostò sulla loggia, guardando fuori dal palazzo. Nel giardino decine di palanchini si muovevano in mezzo a un brusio di conversazioni a bassa voce. Molti nobili e ambasciatori si erano riuniti in quel giorno a Shana, portandosi dietro uno stuolo di servi: presto si sarebbe tenuta un'importante riunione dell'Augusto Consorzio. Il crimine di Deyan aveva comunque già cambiato alcune usanze: ora molti erano diventati ancor più gelosi della loro moglie principale, e se la portavano dietro ovunque andassero, guardandola a vista. Così molte Prime tra le Prime, tutte ben coperte e mascherate, si erano riunite a chiacchierare in mezzo ad un nugolo di eunuchi armati di parasole... uno spettacolo impossibile solo qualche ciclo addietro.

Se solo Deyan non fosse mai nato! pensò Gamosh, con rabbia.

 

 

 

 

"La nobile mia signora, Megaja, onorata sposa del nobile Ledsha margravio del principe Kandar-shir, desidera ritirarsi nel gineceo del nostro onorato anfitrione."

L'eunuco aveva parlato con tono squillante ed ufficiale. 

Le guardie all'ingresso della shanda di Gamosh si erano guardate: quella richiesta era lecita secondo il protocollo, perché in nessun altro luogo una donna sarebbe stata al sicuro da occhi indiscreti come là dentro. D'altra parte, permettere l'ingresso a degli estranei...

"Signora, perdonaci, è proprio necessario?"

La donna chinò la sua testa bianca verso l'eunuco, sussurrò qualcosa.

"La nobile Megaja dice che..."

"Perché non si rivolge a noi?" chiese una delle guardie.

L'eunuco fece una faccia scandalizzata.

"Al nostro paese, soldato, una Prima tra le Prime parla ad un solo uomo: suo marito. La nobile Megaja dice che la vostra impudenza è scandalosa. Dice che riferirà al nobile Ledsha di aver dovuto spiegare per filo e per segno a due persone di basso rango i motivi per cui richiede un rifugio al proprio pudore. Dice infine che si aspettava ben altro dall'ospitalità del nobile Gamosh... shir," aggiunse, tardivamente ed insolentemente.

Di nuovo la donna parlò all'orecchio dell'eunuco, che spalancò gli occhi con un'espressione costernata.

"La nobile Megaja dice che, se non le lascerete il passo, vi mostrerà il proprio viso, così potrete essere sicuri della sua identità." L'eunuco tossicchiò. "Vi avverto però che guardare il volto di una Prima tra le Prime è un delitto capitale... Ledsha chiederebbe senz’altro la vostra testa al principe."

I soldati videro la dama staccare la propria maschera dalla fascia frontale, e abbassarla: videro un baluginare di occhi di rubino sotto candide sopracciglia. Allora si arresero e gridarono, precipitosamente: "Fermati, nobile signora! Non condannarci a morte!"

Aprirono frettolosamente i cancelli e la fecero entrare. Ma l'eunuco fu bloccato ed ignominiosamente controllato nelle sue parti intime prima di avere libero accesso.

"Perdonaci, ma sono gli ordini," dissero le guardie, imbarazzate. 

L'eunuco seguì la sua padrona, imprecando. Le guardie richiusero la porta, ed una di esse mormorò: "Che carattere quella dama! Si vede che viene dalle terre del Sud."

"Così deve essere una Prima tra le Prime."

Un lungo silenzio.

"L'eunuco che abbiamo tastato non si sarà offeso al punto di provocarci dei guai?"

"Non lo conoscevamo. Ci sono tanti di quegli stranieri nel palazzo, non potevamo rischiare che un maschio si introducesse nella shanda."

Un altro lungo silenzio.

"Però non abbiamo tastato la donna."

L'altro lo guardò. "Bravo! Avresti dovuto spogliarla. Così il marito ti avrebbe fatto arrostire a fuoco lento!"

"Hai ragione," mugugnò il soldato. "Non potevamo controllarla."

"Del resto abbiamo visto abbastanza di lei," replicò il compagno. "Era un'albina. Se fosse stata una come noi, forse si sarebbe potuto sospettare qualcosa di losco."

"Già, quale nobile oserebbe penetrare in una shanda?"

Si guardarono, lentamente. Ed all'improvviso il sangue se ne andò dai loro volti.

 

 

 

 

Gamosh, avvertito dalle guardie, abbandonò in maniera imperdonabile il suo seggio durante la riunione dell'Augusto Consorzio. Si diresse ansiosamente verso la sua shanda, suscitando velenosi commenti dagli ambasciatori:

"Non può attendere la fine dei suoi doveri e pensare poi ai piaceri?"

Unari dovette fare sforzi eroici per mantenere la calma. Quella situazione lo esponeva una volta di più all'imbarazzo davanti a tutti i rappresentanti di Kelitha.

"Vi prego, si tratta solo di un istante. È una situazione di emergenza."

"Un'emergenza nel tuo palazzo, nobile principe?" chiese l'ambasciatore di Kayumi, allarmato.

"Niente di serio." Unari si schiarì la voce, maledicendo in cuor suo l'impulsività di Gamosh. "Una nobildonna è entrata nella shanda di mio figlio."

Tutti si guardarono, increduli.

"Questa sarebbe un'emergenza? Una Prima tra le Prime che chiede asilo nel quartiere delle donne? Forse che Gamosh-shir pretende che le nostre mogli restino immobili nel giardino per tutta la durata della nostra riunione?"

"No di certo, signori. Ma il fatto è che... non è stato possibile appurare l'identità della nobildonna in questione."

Tutti si alzarono di scatto, furibondi.

"E Gamosh-shir sta andando a verificare di persona?!" urlò un dignitario famoso per la sua gelosia. Gli altri si unirono a lui nelle proteste. 

"Questo è inqualificabile! Protesto formalmente per questa mancanza di cortesia!"

"Se risulterà che quella nobildonna è la mia Prima tra le Prime, chiederò al mio Principe di disconoscere Shana dall'elenco dei principati di Kelitha!"

Unari era pallido come un morto in quella confusione.

"Nobili signori!... Nobili signori! Certamente mio figlio non farà nulla di irrispettoso, ve lo garantisco..."

"E come?" disse l'ambasciatore di Itka, velenosamente. "Il tuo terzogenito l'ha fatto, ed era nientemeno che il tuo erede: figuriamoci uno dei tuoi cadetti..."

Unari scattò in piedi, rabbiosamente. "Che nessuno osi insultare mio figlio!... In quanto a te, ambasciatore, non dimenticare ciò che è accaduto a quel terzogenito di cui è vietato pronunciare persino il nome! Shana ha pagato il suo debito d'onore e tu non hai diritto di criticarci!"

"Oh sì, nobile principe, hai ragione! L'ha pagato, ma sulla nostra pelle, o non saremmo tutti qui riuniti. E per di più ora il tuo attuale erede rischia di offendere i tuoi alleati..."

"Gamosh-shir non offenderà nessuno, ve lo prometto."

Unari era abbattuto, vedendo a che livello era caduto il suo prestigio. 

Farò impalare chi ha provocato quest'assurda situazione!, pensò, tornando a sedersi. Non ho già abbastanza vergogna da sopportare?

 

 

 

 

 

Gamosh arrivò ai cancelli della shanda. Chiamò i suoi eunuchi, secondo le regole che gli imponevano di non entrare nello stesso luogo dove la donna di un altro riposava.

Ma non ci fu risposta.

Colto da un presentimento orribile, si decise ad entrare. Le sue guardie rimasero ovviamente dietro ai cancelli, invalicabili per loro.

La prima cosa che vide fu il corpo di uno dei suoi eunuchi, riverso, con un dardo avvelenato in corpo. Un brivido di paura lo colse, si voltò per un istante cercando con lo sguardo la presenza confortante dei propri soldati. Ma era solo, inevitabilmente solo.

Sguainò il suo pugnale ingioiellato, raccolse il suo coraggio e scavalcò il cadavere, avanzando nel corridoio semibuio. Altri corpi gli sbarrarono la strada. Alcuni respiravano ancora, evidentemente drogati. La morte era stata impartita secondo un disegno ben preciso.

"Chi è stato a far questo?" gridò, con voce tremante.

Dei singhiozzi attirarono la sua attenzione. Avanzò verso quel suono e si trovò in una delle sale del piacere. Alcune delle sue schiave erano in un angolo, tutte addossate l'una all'altra come animali spaventati.

"Cos'è successo?" chiese loro. E poichè non c'era risposta, urlò ancora: "Vi ho chiesto cos'è successo!... Smettetela di piangere e rispondete, o vi uccido tutte!"

Una delle ragazze, tremando, indicò la stanza successiva. Gamosh vi entrò e vide che la grata alla finestra era stata infranta. Uno dei pezzi di gesso era stato utilizzato per scrivere un messaggio sulla parete. Si avvicinò al muro, come un ubriaco, mentre la brezza desertica penetrava dalla breccia, sollevando la polvere intorno a lui. Per un attimo quegli ideogrammi gli parvero senza senso. Poi, uscendo dal proprio intontimento, si decise a decifrarli.

Mio padre ti ha donato ciò che non gli apparteneva più. Ho ripreso le mie schiave, tranne la figlia di Estsen, che ho sostituito con la tua favorita. Ho ucciso gli eunuchi infedeli che ti hanno servito dopo aver servito me. Grazie alla tua stupidità ci sarà molta confusione nella sala del trono, e io mi prenderò quello che avresti voluto per te. Non ti permetterò mai di bere nella stessa tazza in cui ho bevuto io. Ricorda con mio padre che io non perdono, non dimentico, e mantengo sempre le mie promesse.

"Deyan," ansimò, mentre il sangue gli batteva sordo nelle orecchie. 

Andò alla finestra, guardò in basso. C'erano le tracce di un carro coperto: un carro che ora chissà dove poteva essere... un carro con le sue personalissime schiave, con la sua favorita! 

E sarebbe stato Deyan a bere nella sua tazza preferita...

"Noooo!..." urlò, folle d’ira, picchiando i pugni sul davanzale fino a farli sanguinare. "Non è possibile... non può osare tanto! Guardie! Guardie!..."

Nessuno rispose, naturalmente. Le guardie si guardavano bene dall'entrare nella shanda. 

Continuò ad urlare, chiamando disperatamente aiuto; ma solo le schiave potevano accorrere da lui, e non servivano a niente se non a sfogare la rabbia di un istante...

Si rese finalmente conto di perdere tempo prezioso. Doveva uscire di lì, ma con che coraggio avrebbe potuto guardare in faccia i membri dell'Augusto Consorzio dopo quell'oltraggio consumato nella sua stessa casa?

"Maledetto sacrilego!" ruggì. "Me la pagherai, te lo giuro! Pagherai per tutto, per le mie schiave, per il mio..."

Si interruppe, all'improvviso.

"No," mormorò, agghiacciato.

 

 

 

E la stessa sensazione la provò Unari quando cercò invano il preziosissimo, unico Scettro di Shana, il simbolo del suo potere.

Gli riportarono solo un disco d'oro, un nobile metallo inciso assurdamente con un solo, famigerato ideogramma: quello della schiavitù perpetua.

 

 

 

 

 *

 

 

 

Su Luna di Fuoco si festeggiò per tre giorni il successo dell'incredibile impresa della Squadra Sacrilega. Racconti più o meno veritieri, canti di gioia, sbronze sterminate e risse con altri capi squadra invidiosi costellarono quei tre giorni memorabili, mentre i trovatori non facevano che comporre canzoni sull'argomento. I kelith inneggiavano al predone bianco e pensavano al favoloso scettro che nessuno al di fuori di lui avrebbe mai osato rubare. I sayanni invece trovavano gloria nel loro campione Ran, che aveva partecipato all'impresa travestito da schiavo in catene; il fatto che anche lui fosse riuscito a menare per il naso i maledetti signori dei kelith era fonte di grande soddisfazione.

L'accurata preparazione di quel colpo inaudito aveva reso l'esecuzione facile come bere un bicchier d'acqua. Sembrava incredibile che un gruppo di predoni fosse riuscito ad arrivare su Kelitha, costituire una carovana fasulla, preparare documenti accuratamente falsificati, entrare nell'imprendibile palazzo di Shana e violarlo fin nei suoi recessi più intimi, e quindi fuggire pressochè indisturbati. Il prestigio della Squadra Sacrilega raggiunse le stelle.

"Complimenti, miei valorosi amici," disse Mastro Kurmaji, quando incontrò i due capi alla Grande Casa. "Avete tutti i motivi per essere soddisfatti, non è vero?"

Ran sorrideva ampiamente.

"La soddisfazione è per tutti, Mastro Kurmaji, te compreso. Il vostro conto è stato spaventoso come sempre! Però abbiamo fatto ubriacare tutta Luna di Fuoco: ne è valsa la pena, eh?"

Kurmaji si volse verso il compostissimo Deyan, che si limitò a un pallido sorriso. Allora tornò a rivolgersi al sayanni, chiedendogli il racconto preciso di quel che era successo, benché fosse chiaro che sapesse ogni cosa: Ran non aspettava altro per lanciarsi nella propria epica versione dei fatti, e lasciò andare la sua ormai celebre lingua in una saga interminabile che probabilmente era già stata raccontata più volte in svariate bettole. Diverse tazzine d'infuso scomparvero, ed i muscoli si anchilosarono sui pur comodi cuscini quando il racconto finì.

Seguì un lungo silenzio, riposante dopo la logorrea di Ran. Il Marjaban fissò il vuoto, meditando profondamente. Poi si alzò ed invitò i due a fare lo stesso.

“Venite con me. Voglio mostrarvi una cosa.”

Ran e Deyan si guardarono brevemente, e seguirono il mago.

Percorsero una lunga galleria, che scendeva nei recessi della Grande Casa secondo uno schema complicato: sfere di cristallo si accendevano illuminando il percorso, e si spegnevano subito alle spalle dei tre. Lungo le pareti erano accatastate sculture, pezzi di bassorilievi e vasi dall’aria molto antica: ogni oggetto recava un cartiglio. 

“Questi sono i bottini dei ladri di tombe,” spiegò Kurmaji, indicando distrattamente i manufatti. “Non sono oggetti ordinari e hanno un mercato molto particolare.”

Deyan notò uno strano sarcofago eretto, poco più grande di un corpo umano, dalle forme stondate e di una lucida sostanza nera: la superficie era ricoperta letteralmente di iscrizioni.

“Questo cos’è?” chiese, fermandosi a guardarlo.

Kurmaji si volse brevemente a guardarlo. “Ah, quello. È stato ritrovato in un recesso della Montagna Sacra, su Sayanna.”

“In una tomba?” Ran fissò perplesso il sarcofago. “Ma noi sayanni bruciamo i nostri morti, non li conserviamo.”

“Forse non è nemmeno una sepoltura. È fatto con una sostanza che ha una certa magia, ma noi ne ignoriamo ancora la natura, e sembra impossibile da aprire... ammesso che contenga veramente qualcosa. Il proprietario è stato ben contento di sbarazzarsi di questo strano oggetto lasciandocelo in deposito: teme che tutte quelle iscrizioni in antico sayanni siano maledizioni.”

Ran si trattenne visibilmente dallo sputare, però fece lo stesso il gesto di scongiuro. “Non mi piacciono questi resti di tombe, portano sventura. Andiamocene da qui!”

E si mise a seguire Kurmaji, che già si allontanava. Deyan esitò, ma le luci cominciarono a spegnersi dietro di lui. E con l’ultima di quelle luci, si mosse, ma prima la sua mano sensibile sfiorò quell’oggetto misterioso. 

Poco più avanti si imbatterono in una grande porta; Kurmaji si fermò, disse qualcosa in una lingua sconosciuta, e una voce strana rispose. La porta scivolò silenziosa nelle massiccia parete, e molte luci magiche si accesero tutte insieme.

Ran emise un ansito di emozione. 

“Ecco, questo sì che è un luogo dove mi piace stare!”

Era una vasta sala dalle pareti nere, rilucente però di oggetti preziosi e scintillanti, corone, serti, statue preziose di divinità note e sconosciute, antichi codici su lastre d’argento, disposti con un ordine perfetto. 

“Questa è la nostra Sala del Ricordo,” disse Kurmaji. “Qui custodiamo gli oggetti storici più notevoli di Luna di Fuoco, i bottini straordinari dei più grandi dei nostri predoni...” un’occhiata a Deyan, “tra i quali chissà che un giorno possa trovar posto anche lo scettro di Shana. Esso meriterebbe di stare in questa collezione, per la maggior gloria di questa Comunità.”

Il kelith restò impassibile. “Lo scettro è mio, mastro Kurmaji.”

“Certo, e nessuno lo mette in dubbio, ma ricorda: il tuo tempo è finito, non quello della Comunità... ed è giusto che tu sappia che non permettiamo a certi oggetti di disperdersi dopo la morte dei loro proprietari. Come questi, che sono uno dei nostri tesori più preziosi,” e si accostò a una campana di cristallo, che proteggeva due anelli d’oro foggiati nella forma di un serpente che si mordeva la coda. "Sapete cosa sono?” 

“Sembrano... orecchini,” disse Ran, studiandoli. 

“Sì: e appartenevano a Fahxen, un valoroso sayanni morto quasi ottocento cicli fa... il nostro ultimo Khanshir."

“Che cosa?!” esclamò Ran, con occhi spalancati. “Dèi del profondo, vuol dire che... Fahxen è esistito davvero?!"

“Ma certo,” sorrise Kurmaji, mostrando la sua bianca dentatura. 

"Credevo... che fosse una leggenda!” Ran fissava quei gioielli, ipnotizzato. “Il grande Fahxen, l’Invincibile... il Khanshir!” 

“Chi era costui?” chiese Deyan.

Ran si voltò verso di lui, quasi indignato da quella domanda, ma Kurmaji alzò una mano. 

“Deyan-shir ignora ancora molte cose della nostra storia."

Il mago si rivolse al kelith. “Da sempre, o nobile tra i ladri, i predoni di Luna di Fuoco sono organizzati in squadre indipendenti: è un modo per mantenere la giusta flessibilità per ogni circostanza, creare il massimo di profitto, e anche una decente concorrenza. Inoltre la disciplina, anche se necessaria, non deve mai diventare oppressiva... specie per uomini che sono transfughi dai loro mondi proprio perché indisciplinati. Eppure, molto raramente, è accaduto che le squadre si fondessero insieme superando l’interesse individuale, e generassero qualcosa che assomigliava molto ad un esercito. Allora i capi rispondevano ad uno di loro che diventava il nostro unico interlocutore... Khanshir lo chiamavano, il capo dei capi."

“È una parola dal suono kelith,” osservò Deyan. 

"Ma il titolo si attribuiva a chiunque, a prescindere dalla sua razza.” La voce di Kurmaji si fece remota. “L'avvento del Khanshir è stato sempre collegato ai momenti più cruciali della nostra Comunità: momenti di grande pericolo, ma anche... di grande ricchezza. Forse non c'è predone di Luna di Fuoco che non sogni di diventare il Khanshir, ma un potere del genere non si può conquistare con la forza, è generato solo dal rispetto e dalla fiducia di tutti in una persona." Sospirò. "L'ultimo è stato Fahxen, un capo scaltro, avido e violento, ma molto apprezzato. Rese molto ricca la Comunità, e fu ucciso con onore dai re sayanni. La sua testa fu esposta nella piazza dei Sacrifici della Città Santa, ed uno dei nostri la rubò, portandola qui." Di nuovo guardò gli orecchini. "Come vedete, anche noi Marjaban onoriamo la sua memoria."

Ci fu ancora un lungo silenzio, e Deyan chiese: "Evochi questo ricordo perché pensi che Ran e io potremmo diventare Khanshir di Luna di Fuoco?"

Ran deglutì con tanta forza da farsi venire un accesso di tosse.

Kurmaji sorrise appena. “Semplicemente sto notando che il tuo arrivo qui ha cambiato molte più cose di quanto non fosse lecito aspettarsi. Il destino ti ha reso un predone della nostra Comunità, ma tu non sei un uomo comune."

"Sono l'unico albino di Luna di Fuoco, è vero. E con questo?"

"La mia considerazione va oltre il colore della pelle, Deyan-shir. Rammenta che proprio noi Marjaban abbiamo applicato per primi la filosofia che anima la vostra squadra: mutuo rispetto e collaborazione, anche tra razze diverse. No, tu sei fuori dal comune perché sei un nobile kelith dall’altissima educazione, e nondimeno non permetti ai tuoi pregiudizi di aver la meglio su di te. Non ti sei lasciato accecare da essi, hai voluto guardare in faccia il mondo."

"E mi è costato caro," disse Deyan. 

"Avrebbe potuto costarti anche più caro, se questa tua sincerità non ti avesse conquistato l'amicizia di Ran. Per una volta egli è stato più saggio di tutti. Non ti ha venduto, mentre tutti... io compreso, lo ammetto... gli consigliavano di farlo. Senza la sua generosità, ma anche senza la sua energia straordinaria che l’ha reso un personaggio di spicco della Comunità sin dal suo arrivo, la Squadra Sacrilega non esisterebbe."

"So quel che devo a Ran." Deyan si voltò verso di lui, con un bellissimo sorriso remoto. "E non gli sono amico solo per gratitudine, un sentimento che mi hanno educato a non considerare, per quanto possa provarlo perché senza di lui il mio percorso terreno sarebbe già concluso, e più volte. Mi ha salvato da un ulteriore disonore a rischio del suo, quello di un guerriero sayanni per cui l’onore è tutto; e questo in nome di un vincolo che ripugnava la sua razza, ma non il suo spirito. Anche nella sventura non è mai venuto meno alla propria integrità, e il suo coraggio è fuori discussione. È un animo più nobile di coloro che di nobile hanno solo la nascita, la prova vivente che il valore di un uomo si trova nel suo cuore e non in ciò che gli altri vedono di lui. La sua amicizia mi onora."

Il sayanni distolse lo sguardo, con gli occhi lucidi. “Smettila, Deyan-shir...”

E si morse le labbra, finendo poi per girarsi di spalle. 

Kurmaji scoppiò a ridere, di fronte a quello spettacolo. 

“Ah, Ran, non vergognarti! Un guerriero sayanni dev’essere orgoglioso anche delle sue debolezze, se vengono da un cuore troppo grande. Ancor più quando sanciscono il suo trionfo, avvenuto contro ogni pronostico ragionevole di tutta la Comunità. L’unica e negletta squadra mista di tutta Luna di Fuoco, che tutti davano per fallita nell’arco di una stagione, ha saputo invece resistere alle pressioni ostili e, nell’arco di pochi cicli dei soli, ha proceduto infallibilmente verso la prosperità: in questa stagione vi avviate a essere la settima squadra in assoluto. Molti sono i motivi del vostro successo: avete pochi dipendenti rispetto alle grandi squadre, ma li allenate in continuazione e soprattutto li costringete a condividere la vostra filosofia. Kelith e sayanni sono complementari: i primi sono agili, ingegnosi; i secondi, forti e coraggiosi. Ci vuol poco per pronosticare che la prossima stagione diventerete una delle squadre più importanti."

"E questo attirerà molti predoni verso di noi," mormorò Ran.

"Attirerà anche molti rancori. Non basta essere i numeri uno per essere Khanshir, o ne avremmo uno a stagione. Però... voi due costituite una novità. Potreste unire finalmente le due razze, ed inventare una forza nuova." Kurmaji tornò a fissare gli orecchini. "Nulla mi renderebbe più felice di potervi donare un giorno questi cerchi d'oro, e vedere Luna di Fuoco di nuovo unita. Non ci sarebbe nulla allora... che non potremmo osare." 

  

  
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