Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: Strawberry88    26/03/2013    1 recensioni
La vita di una semplice ragazza divertente e sempre sorridente si è trasformata, da un giorno all’altro, quella di una semplice ragazza che non parla, se non ai suoi parenti stretti, e alla quale è sparito il sorriso.
I suoi fratelli e altri cinque ragazzi saranno in grado di farla ornare quella di prima?
*ZIALL*
Genere: Comico, Demenziale, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Lime, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



Mercoledì 21 Luglio 2009
San Francisco, California
 
Dopo due giorni di assenza totale da parte delle capacità mentali di Kitty, questa ricominciò a parlare normalmente (con la sua famiglia). 
Jane e Luke decisero di parlare alla figlia di quel mutamento, così si riunirono nel salone della loro casa. 
«È successo qualcosa di male?» chiese preoccupata.
Anche se Kitty ricordava tutto di quei giorni, dall’ipnosi della gatta su di sé all’abbuffata di latte in scatola della sera prima, non capiva perché di quella riunione.
«Hai notato di avere una voglia sulla mano?» chiese sua madre dolcemente.
Lei se le guardò entrambe poi, appena se ne accorse, annuì con la testa, tornando a guardare i genitori.
«Ti sarei accorta anche che tutti noi ce ne abbiamo una. Beh, dobbiamo spiegarti il motivo di queste macchie. Tutti noi abbiamo avuto un’esperienza molto forte, che avrebbe potuto portarci alla morte, ma grazie agli animali raffigurati sulle nostre mani siamo sopravvissuti. Tuo padre ha salvato un’elefantessa ferita e questa gli ha dimostrato rispetto, così quando tuo padre si trovava in una situazione simile, l’animale l’aiutò, inoltre gli consegnò la forza.»
«Ora riesco a sollevare anche 270 chili. Forte, no?»
Kitty sorrise dall’ironia del padre e annuì.
«La mamma, invece, era su un pullman e l’autista ha perso il controllo dei veicolo quando vide sul ciglio della strada una volpe che le fece l’occhiolino e la mamma capì come poteva far rimettere il bus in strada. La nostra mamma ha un’intelligenza superiore alla norma.» spiegò Donna.
Per tutto il pomeriggio raccontarono alla più piccola di come si sono trasformati.
 
 
Donna Malik si era allontanata per qualche minuto dalla famiglia che mangiava panini e verdure grigliate, con una scusa banale. La sua attenzione fu attirata da un albero alto due volte la Statua della Libertà. Incominciò ad arrampicarsi sui rami, non sapeva neanche lei il motivo. Si ripeteva che fosse per curiosità, specialmente per avere qualcosa da dire ai genitori nel caso, improbabile, l’avessero vista sul quell’albero. Quando fu abbastanza in alto, si sedette su un ramo particolarmente spesso. Si sporse un po’ troppo così perse l’equilibrio e precipitò. Una grandissima ma abilissima aquila reale passò sotto il corpo della dodicenne in tempo per non farla schiantare contro il tronco di un altro albero tutto attorcigliato. Una volta in groppa al volatile, tirò un sospirò di sollievo. Lei aveva sempre voluto e amato il fatto di poter volare, ma sicuramente non in quel modo. L’enorme uccello si accovacciò nel suo nido su una roccia stanziata molto in altro rispetto il luogo dove si trovava la sua famiglia. Si guardò intorno affascinata poi scese e andò a pestare i rametti e fango impietrito, notando le tre gigantesche uova. Rimase a bocca aperta a quella vista. Si avvicinò all’aquila e allungò una mano verso di lei, accarezzando le piume che ricoprivano l’ala sinistra. Dopo aver ripetuto quell’azione dieci volte, la ragazza si sentì strana ed ebbe un giramento di testa che la portò a sedersi pesantemente nel nido. Si portò automaticamente la mano alla fronte nel vano tentativo di non provare più quel fastidioso senso di smarrimento. L’aquila, prendendo con il becco la maglia della ragazza, la fece rialzare e cercò di farle capire di tornare sulla sua schiena, e così la dodicenne fece: si arrampicò fino a sedersi sulla groppa dell’uccello. Questo distese le ali e prese il volo, riportando la ragazza all’albero da dove era caduta, posandola però ai piedi della pianta. Si allontanò e tornò a destreggiarsi in aria. La bambina cercò la strada per tornare dai suoi parenti attraverso l’erba alta quasi quanto lei. Sorrideva come se avesse appena ricevuto un bastoncino di zucchero filato. Dopo una settimana, mentre si stava infilando una maglietta, si accorse che le stava stretta all’altezza delle scapole, così se la tolse e andò a specchiarsi. Rimase a bocca aperta appena notò un paio di ali alte circa venti centimetri e larga dieci. Spaventata corse da i suoi genitori che le fecero raccontare quello che era successo al picnic. Quell’aquila aveva trasmesso alla dodicenne il suo potere di volare.
 
 
Nel corso di quella settimana, Jane contattò una psicologa per la figlia. La dottoressa le diede appuntamento per il primo settembre, quando sarebbero finite le vacanze estive.
 
Mercoledì 1° Settembre 2010
San Francisco, California
 
Zayn accompagnò la sorella all’incontro per quella volta. Presero un tram e percorsero tutti quei sali e scendi caratteristici di San Francisco. 
Entrarono nello studio, quello che indicò la segretaria della psicologa, e si accomodarono sul divano posto nell’angolo della stanza.
«Non voglio.» si lamentò Kitty.
«È solo un controllo. Vede solo se la tua mente ha riportato danni gravi.» 
«Ma io so di stare bene.»
Zayn le stava per rispondere ma la porta si aprì e vi entrò la dottoressa. Quando Kitty la vide in viso, si bloccò e spalancò gli occhi. Tirò suo fratello verso di lei e lo guardò preoccupata.
«Lei è il male.» sussurrò pianissimo.
«Non dire così.» la riprese dolcemente lui.
«Te lo dico io. Lei è cattiva.» disse con lo stesso tono di poco prima.
«Buongiorno ragazzi.» salutò loro la psicologa, appendendo la usa giacca e andandosi a sedere dietro la scrivania. 
Prese un paio di fogli e li posò davanti a lei.
«Venite pure a sedervi qui sulle poltroncine.» disse cordialmente.
«Io non mi avvicino a lei, capito?» sussurrò Kitty.
«Okey. - le rispose Zayn - Dottoressa, vede, mia sorella si sente a più agio seduta qui sul divano»
«D'accordo. Per oggi dovrò farle solo alcune domande.»
«Mia sorella non parla con gli estranei.»
La donna sembrò irritata dalle loro presenze nel suo ufficio. Con tranquillità, si alzò dalla sedia e appoggiò le mani sul legno della scrivania respirando profondamente.
«Quanti anni hai che non parli con un adulto? Due, per caso? Devi crescere. Hai quasi quindici anni! Come pensi di affrontare questo nuovo anno il liceo se non parli, eh?» urlò la psicologa.
Kitty non si sentì umiliata e nemmeno ferita interiormente. Si sollevò dal divano con leggerezza, aprì la porta dell'ufficio e se ne andò senza salutare la donna. Zayn seguì la sorella e la fermò appena fuori dall'edificio.
«Io te l'ho detto che è il male. Istinto felino: mai sottovalutarlo.» disse picchiettando l’indice sul naso.
 
Mercoledì 15 Settembre 2010
San Francisco, California
 
La scuola era appena iniziata. In classe non erano in tanti e questo andava molto bene a Kitty.
Zayn e Donna avevano rincontrato i loro vecchi compagni e amici dell’anno precedente e passavano con essi la maggior parte dell’orario scolastico, sedendosi vicini in aula e chiacchierando durante gli intervalli.
Kitty, invece, anche se aveva delle amiche con cui passare il tempo a scuola, non parlava con nessuna e rimaneva al suo banco a scrivere storie su tre supereroi: Spiderman, Alata e Catwoman. L’idea di questi racconti era nata quando Donna aveva cominciato a disegnare dei costumi per ognuno di loro: il pensiero dei paladini della giustizia a San Francisco non le era andata via dalla testa. Jane l’aveva aiutata anche a realizzare i vestiti. Il progetto della sorella maggiore era iniziata subito dopo che Kitty scoprì la storia di come si erano trasformati.
Il sabato successivo all’inizio della scuola, Weekly andò a far visita a Kitty, chiedendole con qualche miagolio di andare a fare una passeggiata.
Kitty aprì l'armadio e iniziò a cercare qualche vestito da mettersi per uscire. Fissò per alcuni minuti l'animale adagiato elegantemente sul davanzale della finestra. Nera come il carbone, con qualche macchiolina bianca sparsa qua e là sulla pelliccia. Tornò con l'attenzione su l'interno del mobile, si piegò e fece scivolare il cassettone dov'erano piegati tutti i pantaloni e ne estrasse un paio nero posandolo poi sul letto, anzi, lo lanciò all'indietro e questo atterrò sulle coperte. Si rimise in posizione orizzontale e passò le grucce una ad una, osservando molto attentamente le maglie. Trovò quella giusta dopo sedici spostamenti. Era una canottiera nera aderente, con le spalline legate sulla schiena con un nodo fatto da Kitty stessa, per tenere alto il capo d'abbigliamento.
Chiuse le ante del suo armadio a muro e si posizionò davanti al letto; si tirò giù la cerniera della suo pigiama a un pezzo (regalo fattole da Zayn al suo dodicesimo compleanno, e le stava lungo in quel periodo) color lavanda e se lo sfilò, al suo posto indossò la canottiera e i jeans neri e, come ultimo tocco, nei passanti dei pantaloni, fece scorrere una cintura argentata lasciandola morbida.
Kitty guardò in basso, sporgendosi un po' in avanti per vedersi i piedi: le mancavano le scarpe.
«Meoh» miagolò Weekly, attirando su di sè gli occhi di Kitty. La gatta si era posizionata all'interno di una sneackers argentata con la zeppa; la ragazza sorrise e andò incontro all'animale, sorridendole e accarezzandole la testolina, mentre questa emetteva una serie di fusa. Si sedette e si infilò le calzature scelte da Weekly.
Velocemente scese le scale assieme al gatto, entrambe contente; Kitty aprì la porta d'ingresso prendendo le chiavi di casa e il suo cellulare, prima che potesse uscire, venne fermata dal padre.
«Dove stai andando?» chiese come solo un papà può chiedere.
«Io e Weekly andiamo a fare una passeggiata. Appena torno, ti prometto che inizio a fare i compiti.» spiegò sorridente.
«Se hai dei problemi chiama, chiaro?»
«Scusa, ma se mi ricapita la stessa cosa dell'ultima volta, come faccio a chiamarti?- scherzò, ma vedendo l'espressione del genitore, smise di ridere - Papà, sono un gatto, ora. Riflessi e istinti felini sono in mio possesso.» sorrise.
Uscì definitivamente dall'abitazione e, lei e Weekly, si avviarono per strada senza una meta precisa. 
Passando davanti ad una gioielleria, si bloccarono, incantate dalla vetrina luccicante. Decisero di entrarvi sono per i colori del locale ma anche per curiosare tra collane e anelli. Il campanello suonò appena si scontrò contro la porta di vetro. Il negozio era grandissimo, lucente e vivace. Si guardò intorno e notò, in un angolino tra il soffitto e una parete, un bottone rosso collegato a una cordicella lunga..
«Buongiorno, le serve aiuto?» l'accolse la commessa.
Lei indicò il bottone rosso, provando a farsi capire.
«Quel coso rosso? Quello è il campanello d'allarme, nel caso di una rapina. Si tira la cordicella, ma si può anche premere.» sorrise cordialmente.
Kitty si girò a guardare gi altri angoli e non trovando ciò che cercava, prese il cellulare dalla sua tasca e digitò sullo screen se il negozio avesse delle telecamere.
«In realtà no. Scusi, perchè tutte queste domande?»
 
# Una rapita in una banca ha provato a portarmi via mia madre e non c'erano telecamere, così non riuscirono a prendere i rapinatori.# scrisse sul cellulare.
 
La commessa, dopo aver sorriso, si allontanò da Kitty per servire degli altri clienti. La ragazzina si avvicinò alla teca contenente gli anelli d'argento e gli osservò uno ad uno.
Il rumore di un vetro frantumato la fece spaventare, si girò di scatto e, proprio di fronte a lei, due persone, vestite di nero e con una maschera da pagliaccio, puntavano tre pistole su tutti i clienti e le commesse.
Kitty era l'unica ancora in piedi, si girò e fissò il bottone d'allarme.
«Ehi tu, per terra. Ora.»
Si girò verso i rapinatori e obbedì, sedendosi sul pavimento. Rimase ferma per diversi minuti, pensando a cosa fare.
Di sicuro Kitty non era una ragazza timida, anche se dal suo comportamento si sarebbe detto il contrario, e voleva trovare un modo per uscire da quella situazione, salvando lei e gli altri che erano dentro la gioielleria.
Quando poggiò il sedere sul pavimento si ricordò del guanto che aveva nella tasca posteriore dei jeans. Si assicurò di non essere vista ed estrasse il guanto che Donna creato come prototipo, poi migliorato, per il suo futuro costume da donna-Gatto. Lo guardò e si ricordò che la sorella le aveva detto che il guanto avrebbe dovuto sparare gli artigli di cui era in possesso. Puntò verso l’angolo tra le tre pareti, quel rivestimento nero con le unghie del medesimo colore e decorate con dei diamanti finti di dimensioni microscopiche, infilò la mano all'interno e sparò l'artiglio dell'indice; quello andò a toccare con violenza (a causa della velocità) il bottone dall'allarme silenzioso. Velocemente ripose il guanto nei pantaloni e tirò un sospiro di sollievo quando notò che nessuno si era accorto di niente, voleva dire che era stata molto discreta.
Fece per alzarsi molto rapidamente ma sbatté contro il legno che incorniciava la teca di vetro, si portò una mano sulla botta e se la massaggiò.
Senza che se ne accorse cinque personaggi travestiti entrarono nella gioielleria e cominciarono a lottare contro i rapinatori come se fossero professionisti di arti marziali. Kitty rimase affascinata dallo loro agilità e si paragonò a loro. Aveva le stesse loro capacità, in fatto di movimenti e velocità.
Dopo un quarto d'ora dall'arrivo di quei cinque ragazzi, almeno a lei sembravano ragazzi, la polizia giunse davanti al negozio e arrestò i due criminali, che se non fosse stato per i lottatori mascherati, sarebbero scappati appena sentita la sirena delle auto.
Tutti i clienti e le commesse erano usciti da tempo ma Kitty non riuscì a rialzarsi, un po' era ancora scombussolata e un po' per la ferita alla testa che stava sanguinando.
«Batman, guarda cosa ho trovato.» disse una voce che alle orecchie di Kitty risultava ovatta.
«Cos'è?» chiese un'altra voce.
«Non ne ho idea però era a terra nell'angolo. Dev'essere stato questo a far scattare l'allarme.»
«Come?» chiese curioso.
Non si sentì la risposta ma il primo ragazzo alzò le braccia e assumendo un'espressione pensante.
La vista di Kitty stava pian piano diventando sfocata. Qualcuno le si accovacciò di fronte e la richiamò.
«Aquaman, sta perdendo i sensi.» accertò quello vestito di nero, dopo aver agitato la mano davanti alla faccia di Kitty.
 
“Ahia, la testa.” si lamentò mentalmente Kitty portandosi una mano su questa, percependo un tessuto ruvido al posto dei capelli. Si mise a sedere, lentamente. Non seppe come dal negozio fosse finita in una stanza dipinta di un triste verde e per giunta anche sdraiata su un lettino da dottore.
Si mise in piedi e vagò per la stanza passando davanti ad uno specchio, subito si bloccò, facendo riflettere la propria immagine.
Aveva la testa fasciata e i capelli, quelli vicino alla ferita, erano rossicci.
«Finalmente ti sei svegliata.» pronunciò qualcuno con tono basso. 
Kitty si girò lentamente a causa del dolore. Un ragazzo seduto su una sedia la stava osservando. Lei nelle sei settimane passate dalla sua morte non riusciva ancora a parlare in pubblico, soprattutto con estranei. Chiese con lo sguardo dove fosse, assumendo un’espressione smarrita, e quel ragazzo capì cosa volesse sapere.
«Ti trovi in un appartamento in affitto a San Francisco.»
Kitty l’osservò meglio quel ragazzo che le si era presentato davanti. Indossava un costume nero con sopra incisi i pettorali, inoltre aveva la maschera con i fori per gli occhi, due antenne in cima e lasciava la bocca e il mento scoperti. Lo squadrò assottigliando le palpebre.
Il ragazzo si alzò dalla sedia dov'era seduto e le si avvicinò. Allungò il braccio e sorrise.
«Mi chiamano Batman.» si presentò.
Kitty fissò per un po’ la mano di Batman. Prese il cellulare dai pantaloni e selezionò “nuovo messaggio” e cominciò a scrivere il suo nome. Lo mostrò al ragazzo che, da sotto la maschera, fece una faccia meravigliata.
«È davvero il tuo nome?»
Lei annuì, tenendo la testa bassa, mentre ricominciava a scrivere.
 
# Cosa mi è successo? # chiedeva il messaggio sul cellulare; Kitty indicò la benda sulla testa.
 
Batman sembrò incuriosito da quel nuovo modo di comunicare e sorrise divertito.
«Non lo so di preciso, ma ti usciva sangue dalla testa e hai perso i sensi, così io e i miei amici abbiamo deciso di portarti qui. La polizia di questa città ci ha chiesto se potevamo venire per risolvere la serie di rapine, una delle quali sei stata spettatrice. Fortunatamente non hanno preso niente.» 
Kitty si guardò per la seconda volta allo specchio, sfiorandosi la benda con i polpastrelli. Sbuffò per poi sorridere.
«Cosa succede?» chiese il ragazzo.
Kitty, dopo quella domanda, pensò di avere un talento naturale per essere vittima di incidenti e che il suo corpo fosse in stretti rapporti con la morte. Dopo questo ragionamento, andò verso la finestra e cercò di riconoscere dove fosse. C’era un parco con le aiuole coloratissime. 
«Ti serve qualcosa? Tipo indicazioni per tornare a casa?» chiese lui, gentilmente.
Kitty annuì nuovamente, anche se quel tipo mascherato le infondeva sicurezza per parlargli proprio non se la sentiva. Aveva provato anche a guardarlo negli occhi ma appena le sue pupille incontravano le labbra di Batman si fermavano e cambiavano direzione. 
Si sfilò le benda dalla testa, facendole fare tutti e sei i giri e la posò sul davanzale. Si allontanò dalla finestra, controllò di avere il guanto ancora nella tasca e ripose il cellulare in quella anteriore. Andò verso la porta di quella stanzetta, l’abbassò, fece un cenno con la mano al ragazzo e uscì da lì, successivamente anche dall’appartamento, dove si trovava il resto del gruppo, tutti ancora travestiti.
Camminò velocemente fino al parco e, una volta osservatasi intorno, chiamò suo padre.
«Kit, perché mi chiami?»
«Per non farti stare in pensiero e anche per chiederti di venirmi a prendere.» rispose sussurrando.
«Sei in un luogo pubblico?»
«Sono al Flower Park. Potresti fare in fretta?»
«Certo. Ora arrivo, sono dalla polizia. Tu non ti muovere.»
«Polizia?»
«Sì, c’è stata una rapina in banca … e tu eri lì.»
«Come fai a saperlo?»
«Dopo ti spiego tutto e ne parliamo con la mamma.»
Non si ricordava di aver commesso qualcosa collegato alla rapina.
«Okey. Ehm, fa in fretta, ci sono troppe persone.»
Concluse e attaccò la chiamata.
Alzò la testa e vide, affacciato a una finestra, il ragazzo di prima. Si sentì immediatamente in colpa. Non gli aveva rivolto la parola ed era scappata dopo che lui l’aveva aiutata. Vedeva sul suo volto la delusione e non riuscì più a sostenere il suo sguardo, così si voltò e andò a sedersi su una panchina.
Non fu l’unica, però. Pochi minuti dopo, qualcun altro lo fece.
«Come ci sei finita qui, me lo spieghi? Noi abitiamo quasi dall’altra parte.» disse abbracciandola.
«Sì, ero in quella gioielleria ma non centro niente con i criminali.» disse velocemente.
«La confessione di una commessa afferma che tu le hai chiesto se avesse telecamere nel negozio. Il capitano della squadra di polizia pensa che tu l’abbia fatto per accettarti che non si vedessero i volti dei tuoi complici. Dobbiamo tornare al commissariato e devi rilasciare una dichiarazione per far ricadere le accuse su ti te.»
«Dovrei parlare.»
«No, devi solo scrivere.»
Lei fece un cenno secco con la testa e si alzò dalla panchina. Si mosse in direzione della macchina e, prima di salirci, tornò con lo sguardo alla stessa finestra di poco prima. Lui era ancora lì a guardarla.
Arrivarono alla centrale di polizia e si recarono dal commissario. Si accomodarono sulle sedie di fronte alla scrivania dell'uomo e questo porse alla ragazzina alcuni fogli. La scrittura era l'unico modo per comunicare con lei.
Kitty cominciò a scrivere. Partendo dal motivo che l'ha spinta nella gioielleria (i colori che emettevano i gioielli esposti alla luce), al motivo delle domande alla commessa (non poteva sicuramente scrivere del suo istinto felino perchè l'avrebbero presa per pazza, quindi usò lo stesso che aveva detto alla ragazza del negozio) e poi quello che aveva visto prima di svenire. Ovviamente non accennò all'unghia sparata dal guanto e dell'allarme premuto.
Il poliziotto lesse con gli occhi tutta la testimonianza scritta da Kitty.
«Beh, mi dispiace molto per quello che ti è successo, Kitty. Luke, potete andare, adesso. Grazie per aver portato tua figlia qui.» disse.
Il capitano della polizia era un vecchio amico di Luke Malik ma sul lavoro teneva un comportamento del tutto professionale.


 
Kitty
 


Donna



Zayn

 
Dovrei riuscire a postare domani pomeriggio sul tardi.
Mi lasciate qualche recensione?
Grazie a chi lo farà
Baci
Strawberry
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Strawberry88