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Autore: lillyre    14/10/2007    5 recensioni
Che cosa lega cinque rari libri a Yusaku Kudo? e perchè su un ritratto antico compare il viso di Ran? su tutto questo dovrà mettersi ad indagare uno Shinichi Kudo tornato momentaneamente nei panni di adulto, mentre altre storie si intrecciano a questa strana vicenda oscura, memorie di un passato lontano e triste...
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Note dell’autrice: arieccomi

Note dell’autrice: arieccomi! Sono viva e ogni tanto continuo a postare. Come al solito perdonate l’assoluta mancanza di puntualità e per il fatto di seguirmi ancora vi ringrazio tantissimo! Allora…per chi voleva qualcosa di romantico fra Kazuha e il suo Hattori sarà accontentato in questo capitolo! Spero come al solito che vi piaccia!!!! A presto ^______________^

21.

- Questo è tutto quello che sono riuscito ad estorcere a quelli della sicurezza – riuscì a capire Sato. La pila di videocassette che copriva il volto di Chiba e il panino che, la poliziotta ne era sicura, l’uomo portava in bocca non aiutavano di certo.

- Grazie mille – sorrise alla gentilezza del collega e cercò di imbracciare da sola quella montagna di materiale che avrebbe dovuto visionare per tutta la notte, su questo non c’erano dubbi.

Una mano grande e calda sorresse la sua mentre alcuni nastri sembravano voler sfuggire al precario equilibrio che Chiba aveva creato per loro.

- Che cosa ci devi fare con i rapporti della video-sorveglianza, Sato-san? – fece una voce profonda, che allo stesso tempo ricordava quella di un bimbo – risalgono si e no a ….-

Miwako Sato sobbalzò ( un po’ per la paura che il suo collega scoprisse quello che le passava per la mente, un po’ perché il calore della sua mano le fece accelerare per un secondo i battiti del cuore)

- Niente, niente Takagi –kun! – sorrise forzatamente – devo solo fare dei controlli inutili per Megure! Non credere che tu sia stato il solo ad essere messo sotto punizione! -

L’agente Chiba e il detective Takagi rimasero impietriti a guardare la donna che si dirigeva a fatica verso il suo ufficio, carica come un mulo di una montagna di video che la facevano sbattere ad ogni collega che incontrava.

- Takagi – cominciò Chiba senza togliere lo sguardo da Sato che adesso aveva sbattuto contro il segretario del sindaco venuto per incontrare Megure e si scusava con aria contrita – ma non è che l’ hai contagiata un pochetto? -

- Che? – chiese il giovane anche lui sconvolto dalla momentanea demenza della sua collega.

- Quello imbranato sei tu, non Sato….non è che da quando avete preso a frequentarvi le hai passato la demenza? -

- CHE? – strillò l’uomo, il cui colorito assomigliava disperatamente a quello del babbo natale che l’agente Sugimura stava mettendo accanto alla finestra per ravvivare un po’ l’ambiente della centrale.

- Inutile che fai il finto tonto – continuò Chiba addentando con aria tranquilla un altro panino – beh, comunque anche io del lavoro da sbrigare. Ci vediamo dopo! -

Wataru Takagi rimase per un attimo attonito mentre il colorito tendeva a riprendersi dalla fatica di un attimo prima.

Accipicchia! Ma chi aveva messo in giro una storia del genere?

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- Ecco a voi un altro pregevole manufatto che gli organizzatori hanno recuperato per la gioia dei vostri cuori, miei Lords e mie Ladies – disse la voce dell’uomo sul palco, illuminato da un faro dorato, mentre un fattorino trascinava su un elegante carrello al centro della stanza una scacchiera dai pezzi lavorati in ambra, lapislazzulo e rifinito oro zecchino e argento.

Gli occhi dell’uomo spaziarono sugli astanti, come se fosse assestato del fuoco che riusciva a suscitare negli occhi della gente di fronte a lui. Sin da bambino aveva sempre saputo come stupire, come inventare, come creare un rapporto simpatetico tra la sua immaginazione, le sue parole e tutti coloro che ascoltavano. E tra tutti coloro che aveva affascinato c’era un volto, un unico, piccolo volto i cui occhi di un azzurro sognante si soffermavano nei suoi ricordi , come le fiammelle di quel camino accanto al quale amava raccontare le sue storie.

Era strano rivederli ora fra tutta quella gente, fiammeggianti, come tanto tempo fa, e allo stesso tempo così profondamente strani su quei due favoriti brizzolati che non gli appartenevano proprio.

L’uomo scosse la testa. Com’era facile pensare, com’era veloce anche in un lasso di tempo così breve…come il battito di una farfalla…oppure lo sfogliare la pagina di un libro.

- Ecco a voi i pregiati vassalli d’avorio del re Carlo IV, che amava preparare le sue battaglie anche su un campo così stretto e infinitamente immaginario come quello di una scacchiera. Si ritiene che l’Arte dei maestri orafi della Capitale del Regno di Boemia fece appello alle più antiche conoscenze alchemiche – continuò l’uomo lasciando che i suoi muti interlocutori mettessero in moto gli ingranaggi della loro immaginazione e soprattutto dei loro lauti portafogli. Niente di più di un sogno poteva fare in modo di aprire le laute finanze di questi uomini, gli unici a poter sognare e gli unici che parevano così lontani da realizzare le proprie aspettative, troppo poco desiderate, avute troppo in fretta: la dannazione del denaro.

E tuttavia pareva che oltre a quegli occhi azzurri così famigliari ce ne fossero altri due, di un blu profondo come il cielo, che avevano attirato la sua attenzione. E ora quelle iridi, celate dietro una maschera nera facevano risaltare un po’ troppo, e quasi in maniera malsana, il pallore dell’incarnato di quella ragazza, immobile come una statua e allo stesso tempo, fremente, al livello inconscio.

L’uomo sul palco pareva essere investito da quella agitazione.

La stessa che muoveva gli occhi azzurri conosciuti.

La stessa che scuoteva i capelli dorati della donna dietro le quinte.

La stessa che faceva fremere il fumo della Philip Morris serrata fra le labbra oscure dell’ombra poco distante.

Quella sera era venuto per vedere come il figlio dell’uomo che aveva servito tanto, tanto, tanto tempo fa se la stesse cavando con l’indovinello che aveva preso la vita di suo padre.

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- Fatto!- ghignò nel buio il giovane detective del Kansai fiero della prima azione da teppista che aveva condotto con successo nella sua vita. Lo sguardo ametista vibrò di un’insolita nota di eccitazione mentre il ragazzo stringeva ancora fra le mani semi-congelate il punteruolo che aveva utilizzato per la sua missione.

- Bene !- sbuffò tra uno sbattere di denti ed un altro Kazuha Toyama, mentre tentava di non perdere sensibilità alle gambe sbattendo violentemente i piedi per terra. Se fosse sopravvissuta a quella serata avrebbe donato tutta la sua paga mensile al tempio vicino casa sua.

‘ E se ..beh…Heiji si decidesse...’ aggiunse qualche robusta preghiera per un desiderio che non osava neanche sperare nella parte più profonda del suo cuore.

- Questo sarà si un bel colpo per quei quattro pipistrelli…- continuò il giovane con un ghigno ancora più ampio.

- Quali pipistrelli? – chiese Kazuha, le ciglia infreddolite, congelate in un’espressione di sospetto.

- Eh? Che? – fece Hattori il più vagamente possibile, simulando uno sguardo da celebroleso che la ragazza conosceva bene. Mentire non era proprio il suo forte. Si domandava come era riuscito a tenerle nascosto quel segreto per tutto questo tempo.

E dopo aver risolto tutto….che cosa avrebbe detto a Ran- chan?

Che il suo Shinichi Kudo era solo uno sporco ed ignobile bugiardo.

- Kazuha? Ehi, Kazuha? – fece improvvisa la voce del suo amico d’infanzia. La ragazza scosse debolmente la testa costringendosi a pensare solo al momento contingente. Quello che importava ora era semplicemente riportare a casa la pelle, possibilmente integra ( e qui non riuscì a mandare un doloroso pensiero alla gamba ferita che con quel freddo aveva smesso di pulsare almeno ) di tutti.

Fino all’ultimo.

Un suonò rauco graffiò l’aria pregna di neve e una voce conosciuta proruppe dal taschino interno alla giacca di spesso cotone color crema del detective del Kansai.

- Ehi, piccioncini- cominciò Kid in tono sarcastico – comprendo bene che il vostro ardore può sciogliere li ghiacciai perenni, ma credo che qui abbiamo bisogno del vostro supporto. Tra poco cominceranno le danze, almeno secondo il menu della serata -

- Arriviamo , tesoro – sogghignò paurosamente Heiji mentre nascondeva con cura una piccola pistola .

- E quella dove l’ hai presa? – chiese Kazuha Toyama semi-sconvolta dalla luce mefistofelica che illumina il viso del suo vecchio amico d’infanzia.

- Le fondine nascoste nei recessi più impenetrabili degli armadi dei genitori che fanno i poliziotti servono anche a questo! – sghignazzò il ragazzo con un’aria sempre meno rassicurante.

- Heiji….ma sei sicuro di sentirti bene..insomma….ecco….- cominciò lei esitante, le sopracciglia incurvate in un’espressione di atterrita preoccupazione per la sanità mentale del giovane –

- Andrà tutto bene piccola! – fece Heiji Hattori massaggiandosi il mento con aria da duro – se stai sempre vicino a me non ti capiterà nulla!-

- Oddio no, no….- la ragazza indietreggiò, un serpeggiante e terribile panico sulla pelle – la mania John Wayne! -

Il ragazzo si sporse verso di lei, lo sguardo pazzo che brillava al riverbero accecante della neve e della luna, apparsa all’improvviso fra le nubi della tempesta.

- Dammi un po’ di zucchero, baby! – disse prima di afferrare Kazuha e reggerla in un casquet ardimentoso mentre avvicinava il suo volto a quello di lei.

- Heiji piantala o ti ficco una coltellata nello stomaco- disse la ragazza, la voce piatta, mentre fissava, accusatoria, l’espressione cretina che il detective aveva sulla faccia.

- Kazuha, ma che palle! – sbuffò il ragazzo rimettendola in piedi scoraggiato – devo andare a morire manco mi posso divertire un pochetto? -

- Quanto sei scemo! Non morirà proprio nessuno! – la ragazza lo urlò quasi all’orecchio dell’amico – e non voglio più sentire una stupidaggine del genere! corredata da tutte le altre idiozie che hai sparato prima – aggiunse poi, scettica.

- Va bene, va bene!- disse il ragazzo voltandosi e scrollando le spalle in un gesto rassegnato.

Poi, poco prima di premere sulla maniglia che li avrebbe finalmente fatti entrare in quella villa d’inferno si fermò.

Un attimo solo.

Kazuha Toyama inspirò un’aria differente in quel momento…come se

- Però…io…-

ci fosse qualcosa di diverso nell’aria;

-…non stavo scherzando del tutto….-

cos’era quel rumore sordo che le martellava dentro,

- …se…io…-

un qualcosa che sembrava non volesse farle ascoltare quelle parole,

- ..tu …che avresti fatto…-

che cosa avrei fatto?

-….se io….-

che cosa avrei fatto?

Heiji Hattori lasciò la maniglia all’improvviso e si voltò verso Kazuha Toyama.

La guardò negli occhi.

La fissò e basta.

Poi:

- se ti avessi baciato sul serio? -

E subito dopo un’ombra fulminea scaraventò il ragazzo a terra.

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‘Quando arrivano quei due glieli faccio mangiare i sorci verdi, neanche vedere!’ sbuffò l’ultimo mago del secolo battendo con grazia un piede sul pavimento, tanto leggermente che nessuno si accorse del suo nervosismo. Quasi nessuno a dire il vero. Quell’uomo era da un po’ che si era accorto di lui e da un po’ Kaito Kuroba aveva smesso di fingere, almeno con i suoi occhi quando incontrava quelli dorati come una civetta, dell’uomo che stava prendendo le puntate di quella ricca gente sulla scacchiera di Carlo IV.

La principessina, seduta sul suo scranno accanto alle opere che occupavano il centro della stanza, stava così immobile che pareva una statua. Che cosa le passasse per la testa era un vero e proprio mistero. Ragionare come il suo fidanzatino non era poi così difficile, farlo come una donna, era praticamente impossibile. Anche per lui che di cervello ne aveva parecchio. Peccato che anche quello fosse di sesso maschile.

Il ragazzo nella pelle di vecchio sfogliò distrattamente ancora una volta il programma delle opere previste per la serata. Quello c’era,e finora, a parte qualche piccolo extra che l’organizzazione aveva messo in palio, non c’erano stati salti. Tutto procedeva verso il suo ennesimo furto.

Peccato che questa volta l’oggetto non brillasse.

Era davvero un peccato.

E dire che quella scacchiera, invece, lo faceva eccome…

Beh, magari alla prossima asta…sarebbe stato uno spesso eludere la sorveglianza di quei corvi.

Un piccolo rumore raschiante di poco differente da quello che lo metteva in comunicazione con il detective scemo del Kansai, vibrò per un secondo dentro il suo colletto.

‘ E anche il principe e la sua amica sono arrivati ‘

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- La principessa si sta comportando come da copione – il fumo della Philip Morris ondeggiò delicato inanellandosi ai boccoli della donna appena dietro le quinte del palco.

Vermouth, come tutti preferivano chiamarla, spostò il voltò, leggermente infastidita dalla presenza del killer.

- Sinceramente, amico mio, non credo di aver ancora capito che cosa tu abbia intenzione di fare con quella ragazza -

- Mi meraviglio del tuo intelletto, dolcezza – disse l’uomo lasciando che il fumo della sua sigaretta arrivasse a sfiorale quella pelle di seta così tremendamente proibita – ma dopotutto, tu non hai scoperto un mio piccolo segreto come, allo stesso tempo, io non sono ancora riuscito a sondare la tua anima -

- Da quando hai deciso di parlare come un filosofo? – fece la donna scettica, la curva sinuosa delle labbra incurvata in un ghigno di scherno.

- Da quando la nostra Vermouth decide di lavorare solo per se stessa…senza dire niente a nessuno – fece Gin, la chiostra di denti bianchi abbagliante nella sua malvagità.

- Mi pare di non aver mai fatto segreto delle mie azioni a chi di dovere – la stizza celata nella sua voce allargò ancor di più il sorriso del killer.

- Non preoccuparti, tesoro -

La donna che per sopravvivere aveva imparato a farsi chiamare Vermouth gli lanciò uno sguardo, pura e palpabile tensione.

-…c’è qui Gin che metterà tutto a posto…-

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La Audi si fermò poco distante dalla villa Imai.

Non avrebbero potuto avvicinarsi più di tanto.

E poi, nell’ombra, a Yusaku Kudo era parso di scorgere qualcosa di familiare. E prima di fare un grosso errore doveva pur dare l’opportunità a quel figlio cocciuto che si ritrovava di cavarsela da solo.

Il problema era tenere a freno due madri di cui una gravemente inferocita.

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- E fu così che la promessa della polizia di Tokyo si buttò a pesce sul quella della polizia di Osaka e finirono tutti e due a mangiare la neve in un quadro che, sinceramente, avrebbe bisogno di una fotografia! – Shiho Miyano non ci era riuscita. Era stato più forte di lei. Lo sapeva benissimo che scoppiare a ridere in una situazione del genere non era la cosa migliore da fare, ma vedere quei due mezzi ammaccati a causa della vista annebbiata del detective che ‘non sbaglia mai ’ era troppo esilarante.

Peccato che la ragazza di Osaka non la pensasse come lei.

Beh, c’era da aspettarselo.

Quell’idiota di Kudo –kun le aveva rovinato proprio un bel momento.

Ma quando un toro parte all’attacco vuoi che senta le urla di qualcuno che gli dice che per una volta ha sbagliato strada?

E questo era il bel risultato.

- Ma che hai in quella testa? Il piombo? – boccheggiava Heiji Hattori massaggiandosi lo stomaco dolorante per la capocciata che Shinichi Kudo gli aveva appena regalato.

- Piuttosto ti chiederei che ti sei mangiato! Un’incudine? Impossibile che uno stomaco possa avere quella resistenza! – gli fece eco il detective del Kanto sfregandosi i capelli per attutire il dolore alla testa, col solo risultato di assomigliare, questa volta veramente come una goccia d’acqua al ladro Kid.

- E dopo questa grande prova di coraggio, signor detective dell’era Heisei, credi di riuscire a metterti in piedi? -

- Ah, ah, ah – fece Kudo arricciando il naso e issandosi su gambe un po’ malferme.

- Heiji, tutto bene? – chiese Kazuha Toyama al ragazzo ancora seduto tra la neve, poggiando involontariamente la piccola mano sulla sua. Gesto che scatenò un improvviso gettò di vapore su entrambi i volti dei giovani.

Si, si – disse in fretta Hattori saltellando in piedi come sotto scossa elettrica e spolverandosi l’abito dalla neve – piuttosto…CHE DIAVOLO CI FATE VOI QUI? – chiese puntando un dito incredulo verso il detective e la ragazza bionda che era in piedi al suo fianco.

Solo allora Kazuha Toyama di accorse di lei.

E si rese conto che la verità che aveva scoperto era ancora più impressionante quando ti si parava così, dinnanzi agli occhi.

Tangibile.

- Siamo venuti ad aiutarvi – ansimò ancora un poco Shinichi Kudo, un occhio stretto per il dolore al cranio – credevi forse che avrei fatto fare tutto a voi? Per quanto mi sembra che vi eravate messi tutti d’accordo? – aggiunse poi, l’aria offesa fissando la ragazza alla sua destra che aveva preso ad osservare svogliatamente il basso ramo di un pino accanto a lei.

- Ma se sei mezzo morto! – Heiji Hattori strillò per quanto quella situazione lo rendesse possibile – che cosa pretendi di fare così ammalato? -

- Conosci quella cosa che si chiama ‘aspirina’ ? – ribatté il detective del Kanto scandendo le parole.

Heiji Hattori si limitò a fissarlo di sottecchi.

Poi scrollò di nuovo le spalle e alzò uno sguardo al cielo

- Dei, ma me lo dite perché quando ci innamoriamo diventiamo così irrimediabilmente idioti? -

Poco dopo Shinichi Kudo, Shiho Miyano e Kazuha Toyama avevano varcato la soglia della villa Imai, mentre Heiji Hattori era rimasto leggermente indietro a cercare di divincolarsi dalla montagnola di neve nella quale, fortuitamente e solo per un caso malaugurato, gli era rimasta incastrata la faccia.

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La ragazza poteva vedere tutto da quel trono.

Era stata messa lì proprio per vedere.

Ed essere vista.

Quello che nessuno immaginava era che ciò che avrebbe dovuto fare non era stato fatto e ciò che nessuno la riteneva in grado di fare..quello sì, lo avrebbe fatto.

Tra un poco.

Mancava poco ormai.

Bastava un movimento.

Una piccola distrazione di quella sigaretta che continuava fumare, leggera, tetra, opprimente, dietro di lei.

Il rigonfiamento sulla gamba le dava la sicurezza che forse, Shinichi Kudo, non lo avrebbe visto mai più.

E per un attimo quello che gli aveva sentito sussurrare nel sonno le tornò alla mente.

Sotto la maschera sentì di essere arrossita.

Eppure….non lo aveva sognato.

Shinichi Kudo la stava chiamando nel sonno.

E le aveva detto…

No.

Era stato un sogno.

Niente di più.

E ora doveva pensare a salvare la sua famiglia.

Rilassò il battito con un respiro più profondo.

Chiuse gli occhi per un attimo e una brezza, fresca e dolce, le accarezzò le spalle scoperte.

Riaprì gli occhi con la consapevolezza che qualcosa nella sua vita stava per concludersi.

Ed era felice per questo.

Di nuovo lasciò lo sguardo vagare nella sala….gli uomini che alzavano nel mormorio generale palette, che giocavano coi loro soldi, burattini nelle mani di loro stessi.

E poi la vide.

La regina.

Quella regina di avorio e lapislazzulo dall’aria tanto familiare.

Dove aveva visto quella regina?

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- Aggiudicato! – disse l’uomo dell’asta battendo il martelletto e causando diversi mormorii di disappunto e un solo gridolino di gioia. Per la modica cifra di un milione di dollari, aveva venduto quel prezioso giocattolo ad una ricchissima e viziata bambina americana che adesso sgambettava sulle ginocchia del padre tutta contenta di ricevere il suo regalo di Natale. Un oggetto che sarebbe stato ben presto accantonato – Complimenti Signore! –continuò a dire con il suo sorriso inossidabile – lei è stato il secondo uomo nella storia ad aver acquistato questo pregiatissimo pezzo. Perdonate la mente ballerina di un vecchio, miei signori, ho dimenticato di dire che anche questo pezzo, come del resto i prossimi quattro, appartenevano alla collezione privata dell’illustre scrittore che visse in questa splendida villa circa cento anni fa -

  
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