Note dell’autrice: arieccomi! Sono viva e ogni tanto
continuo a postare. Come al solito perdonate l’assoluta mancanza di puntualità
e per il fatto di seguirmi ancora vi ringrazio tantissimo! Allora…per chi
voleva qualcosa di romantico fra Kazuha e il suo Hattori sarà accontentato in
questo capitolo! Spero come al solito che vi piaccia!!!! A presto
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21.
-
Questo è tutto quello che sono riuscito ad estorcere a quelli della sicurezza –
riuscì a capire Sato. La pila di videocassette che copriva il volto di Chiba e
il panino che, la poliziotta ne era sicura, l’uomo portava in bocca non
aiutavano di certo.
-
Grazie mille – sorrise alla gentilezza del collega e cercò di imbracciare da
sola quella montagna di materiale che avrebbe dovuto visionare per tutta la
notte, su questo non c’erano dubbi.
Una
mano grande e calda sorresse la sua mentre alcuni nastri sembravano voler
sfuggire al precario equilibrio che Chiba aveva creato per loro.
-
Che cosa ci devi fare con i rapporti della video-sorveglianza, Sato-san? – fece
una voce profonda, che allo stesso tempo ricordava quella di un bimbo –
risalgono si e no a ….-
Miwako
Sato sobbalzò ( un po’ per la paura che il suo collega scoprisse quello che le
passava per la mente, un po’ perché il calore della sua mano le fece accelerare per un secondo i
battiti del cuore)
-
Niente, niente Takagi –kun! – sorrise forzatamente – devo solo fare dei
controlli inutili per Megure! Non credere che tu sia stato il solo ad essere
messo sotto punizione! -
L’agente
Chiba e il detective Takagi rimasero impietriti a guardare la donna che si
dirigeva a fatica verso il suo ufficio, carica come un mulo di una montagna di
video che la facevano sbattere ad ogni collega che incontrava.
-
Takagi – cominciò Chiba senza togliere lo sguardo da Sato che adesso aveva
sbattuto contro il segretario del sindaco venuto per incontrare Megure e si
scusava con aria contrita – ma non è che l’ hai contagiata un pochetto? -
-
Che? – chiese il giovane anche lui sconvolto dalla momentanea demenza della sua
collega.
-
Quello imbranato sei tu, non Sato….non è che da quando avete preso a
frequentarvi le hai passato la demenza? -
-
CHE? – strillò l’uomo, il cui colorito assomigliava disperatamente a quello del
babbo natale che l’agente Sugimura stava mettendo accanto alla finestra per
ravvivare un po’ l’ambiente della centrale.
-
Inutile che fai il finto tonto – continuò Chiba addentando con aria tranquilla
un altro panino – beh, comunque anche io del lavoro da sbrigare. Ci vediamo
dopo! -
Wataru
Takagi rimase per un attimo attonito mentre il colorito tendeva a riprendersi
dalla fatica di un attimo prima.
Accipicchia!
Ma chi aveva messo in giro una storia del genere?
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-
Ecco a voi un altro pregevole manufatto che gli organizzatori hanno recuperato
per la gioia dei vostri cuori, miei Lords e mie Ladies – disse la voce
dell’uomo sul palco, illuminato da un faro dorato, mentre un fattorino
trascinava su un elegante carrello al centro della stanza una scacchiera dai
pezzi lavorati in ambra, lapislazzulo e rifinito oro zecchino e argento.
Gli
occhi dell’uomo spaziarono sugli astanti, come se fosse assestato del fuoco che
riusciva a suscitare negli occhi della gente di fronte a lui. Sin da bambino
aveva sempre saputo come stupire, come inventare, come creare un rapporto
simpatetico tra la sua immaginazione, le sue parole e tutti coloro che
ascoltavano. E tra tutti coloro che aveva affascinato c’era un volto, un unico,
piccolo volto i cui occhi di un azzurro sognante si soffermavano nei suoi
ricordi , come le fiammelle di quel camino accanto al quale amava raccontare le
sue storie.
Era
strano rivederli ora fra tutta quella gente, fiammeggianti, come tanto tempo
fa, e allo stesso tempo così profondamente strani su quei due favoriti
brizzolati che non gli appartenevano proprio.
L’uomo
scosse la testa. Com’era facile pensare, com’era veloce anche in un lasso di
tempo così breve…come il battito di una farfalla…oppure lo sfogliare la pagina
di un libro.
-
Ecco a voi i pregiati vassalli d’avorio del re Carlo IV, che amava preparare le
sue battaglie anche su un campo così stretto e infinitamente immaginario come
quello di una scacchiera. Si ritiene che l’Arte dei maestri orafi della
Capitale del Regno di Boemia fece appello alle più antiche conoscenze
alchemiche – continuò l’uomo lasciando che i suoi muti interlocutori mettessero
in moto gli ingranaggi della loro immaginazione e soprattutto dei loro lauti
portafogli. Niente di più di un sogno poteva fare in modo di aprire le laute
finanze di questi uomini, gli unici a poter sognare e gli unici che parevano
così lontani da realizzare le proprie aspettative, troppo poco desiderate,
avute troppo in fretta: la dannazione del denaro.
E
tuttavia pareva che oltre a quegli occhi azzurri così famigliari ce ne fossero
altri due, di un blu profondo come il cielo, che avevano attirato la sua
attenzione. E ora quelle iridi, celate dietro una maschera nera facevano
risaltare un po’ troppo, e quasi in maniera malsana, il pallore dell’incarnato
di quella ragazza, immobile come una statua e allo stesso tempo, fremente, al
livello inconscio.
L’uomo
sul palco pareva essere investito da quella agitazione.
La
stessa che muoveva gli occhi azzurri conosciuti.
La
stessa che scuoteva i capelli dorati della donna dietro le quinte.
La
stessa che faceva fremere il fumo della Philip Morris serrata fra le labbra
oscure dell’ombra poco distante.
Quella
sera era venuto per vedere come il figlio dell’uomo che aveva servito tanto,
tanto, tanto tempo fa se la stesse cavando con l’indovinello che aveva preso la
vita di suo padre.
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-
Fatto!- ghignò nel buio il giovane detective del Kansai fiero della prima
azione da teppista che aveva condotto con successo nella sua vita. Lo sguardo
ametista vibrò di un’insolita nota di eccitazione mentre il ragazzo stringeva
ancora fra le mani semi-congelate il punteruolo che aveva utilizzato per la sua
missione.
-
Bene !- sbuffò tra uno sbattere di denti ed un altro Kazuha Toyama, mentre
tentava di non perdere sensibilità alle gambe sbattendo violentemente i piedi
per terra. Se fosse sopravvissuta a quella serata avrebbe donato tutta la sua
paga mensile al tempio vicino casa sua.
‘
E se ..beh…Heiji si decidesse...’ aggiunse qualche robusta preghiera per un
desiderio che non osava neanche sperare nella parte più profonda del suo cuore.
-
Questo sarà si un bel colpo per quei quattro pipistrelli…- continuò il giovane
con un ghigno ancora più ampio.
-
Quali pipistrelli? – chiese Kazuha, le ciglia infreddolite, congelate in
un’espressione di sospetto.
-
Eh? Che? – fece Hattori il più vagamente possibile, simulando uno sguardo da
celebroleso che la ragazza conosceva bene. Mentire non era proprio il suo
forte. Si domandava come era riuscito a tenerle nascosto quel segreto per tutto
questo tempo.
E
dopo aver risolto tutto….che cosa avrebbe detto a Ran- chan?
Che
il suo Shinichi Kudo era solo uno sporco ed ignobile bugiardo.
-
Kazuha? Ehi, Kazuha? – fece improvvisa la voce del suo amico d’infanzia. La
ragazza scosse debolmente la testa costringendosi a pensare solo al momento
contingente. Quello che importava ora era semplicemente riportare a casa la
pelle, possibilmente integra ( e qui non riuscì a mandare un doloroso pensiero
alla gamba ferita che con quel freddo aveva smesso di pulsare almeno ) di
tutti.
Fino
all’ultimo.
Un
suonò rauco graffiò l’aria pregna di neve e una voce conosciuta proruppe dal
taschino interno alla giacca di spesso cotone color crema del detective del
Kansai.
-
Ehi, piccioncini- cominciò Kid in tono sarcastico – comprendo bene che il
vostro ardore può sciogliere li ghiacciai perenni, ma credo che qui abbiamo
bisogno del vostro supporto. Tra poco cominceranno le danze, almeno secondo il
menu della serata -
-
Arriviamo , tesoro – sogghignò paurosamente Heiji mentre nascondeva con cura
una piccola pistola .
-
E quella dove l’ hai presa? – chiese Kazuha Toyama semi-sconvolta dalla luce
mefistofelica che illumina il viso del suo vecchio amico d’infanzia.
-
Le fondine nascoste nei recessi più impenetrabili degli armadi dei genitori che
fanno i poliziotti servono anche a questo! – sghignazzò il ragazzo con un’aria
sempre meno rassicurante.
-
Heiji….ma sei sicuro di sentirti bene..insomma….ecco….- cominciò lei esitante,
le sopracciglia incurvate in un’espressione di atterrita preoccupazione per la
sanità mentale del giovane –
-
Andrà tutto bene piccola! – fece Heiji Hattori massaggiandosi il mento con aria
da duro – se stai sempre vicino a me non ti capiterà nulla!-
-
Oddio no, no….- la ragazza indietreggiò, un serpeggiante e terribile panico
sulla pelle – la mania John Wayne! -
Il
ragazzo si sporse verso di lei, lo sguardo pazzo che brillava al riverbero
accecante della neve e della luna, apparsa all’improvviso fra le nubi della
tempesta.
-
Dammi un po’ di zucchero, baby! – disse prima di afferrare Kazuha e reggerla in
un casquet ardimentoso mentre avvicinava il suo volto a quello di lei.
-
Heiji piantala o ti ficco una coltellata nello stomaco- disse la ragazza, la
voce piatta, mentre fissava, accusatoria, l’espressione cretina che il
detective aveva sulla faccia.
-
Kazuha, ma che palle! – sbuffò il ragazzo rimettendola in piedi scoraggiato –
devo andare a morire manco mi posso divertire un pochetto? -
-
Quanto sei scemo! Non morirà proprio nessuno! – la ragazza lo urlò quasi
all’orecchio dell’amico – e non voglio più sentire una stupidaggine del genere!
corredata da tutte le altre idiozie che hai sparato prima – aggiunse poi,
scettica.
-
Va bene, va bene!- disse il ragazzo voltandosi e scrollando le spalle in un
gesto rassegnato.
Poi,
poco prima di premere sulla maniglia che li avrebbe finalmente fatti entrare in
quella villa d’inferno si fermò.
Un
attimo solo.
Kazuha
Toyama inspirò un’aria differente in quel momento…come se
-
Però…io…-
ci
fosse qualcosa di diverso nell’aria;
-…non
stavo scherzando del tutto….-
cos’era
quel rumore sordo che le martellava dentro,
-
…se…io…-
un
qualcosa che sembrava non volesse farle ascoltare quelle parole,
-
..tu …che avresti fatto…-
che
cosa avrei fatto?
-….se
io….-
che
cosa avrei fatto?
Heiji
Hattori lasciò la maniglia all’improvviso e si voltò verso Kazuha Toyama.
La
guardò negli occhi.
La
fissò e basta.
Poi:
-
se ti avessi baciato sul serio? -
E
subito dopo un’ombra fulminea scaraventò il ragazzo a terra.
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‘Quando
arrivano quei due glieli faccio mangiare i sorci verdi, neanche vedere!’ sbuffò
l’ultimo mago del secolo battendo con grazia un piede sul pavimento, tanto
leggermente che nessuno si accorse del suo nervosismo. Quasi nessuno a dire il
vero. Quell’uomo era da un po’ che si era accorto di lui e da un po’ Kaito
Kuroba aveva smesso di fingere, almeno con i suoi occhi quando incontrava
quelli dorati come una civetta, dell’uomo che stava prendendo le puntate di
quella ricca gente sulla scacchiera di Carlo IV.
La
principessina, seduta sul suo scranno accanto alle opere che occupavano il
centro della stanza, stava così immobile che pareva una statua. Che cosa le
passasse per la testa era un vero e proprio mistero. Ragionare come il suo
fidanzatino non era poi così difficile, farlo come una donna, era praticamente
impossibile. Anche per lui che di cervello ne aveva parecchio. Peccato che
anche quello fosse di sesso maschile.
Il
ragazzo nella pelle di vecchio sfogliò distrattamente ancora una volta il
programma delle opere previste per la serata. Quello c’era,e finora, a parte qualche piccolo extra che
l’organizzazione aveva messo in palio, non c’erano stati salti. Tutto procedeva
verso il suo ennesimo furto.
Peccato
che questa volta l’oggetto non brillasse.
Era
davvero un peccato.
E
dire che quella scacchiera, invece, lo faceva eccome…
Beh,
magari alla prossima asta…sarebbe stato uno spesso eludere la sorveglianza di
quei corvi.
Un
piccolo rumore raschiante di poco differente da quello che lo metteva in
comunicazione con il detective scemo del Kansai, vibrò per un secondo dentro il
suo colletto.
‘
E anche il principe e la sua amica sono arrivati ‘
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-
La principessa si sta comportando come da copione – il fumo della Philip Morris
ondeggiò delicato inanellandosi ai boccoli della donna appena dietro le quinte
del palco.
Vermouth,
come tutti preferivano chiamarla, spostò il voltò, leggermente infastidita
dalla presenza del killer.
-
Sinceramente, amico mio, non credo di aver ancora capito che cosa tu abbia
intenzione di fare con quella ragazza -
-
Mi meraviglio del tuo intelletto, dolcezza – disse l’uomo lasciando che il fumo
della sua sigaretta arrivasse a sfiorale quella pelle di seta così tremendamente
proibita – ma dopotutto, tu non hai scoperto un mio piccolo segreto come, allo
stesso tempo, io non sono ancora riuscito a sondare la tua anima -
-
Da quando hai deciso di parlare come un filosofo? – fece la donna scettica, la
curva sinuosa delle labbra incurvata in un ghigno di scherno.
-
Da quando la nostra Vermouth decide di lavorare solo per se stessa…senza dire
niente a nessuno – fece Gin, la chiostra di denti bianchi abbagliante nella sua
malvagità.
-
Mi pare di non aver mai fatto segreto delle mie azioni a chi di dovere – la
stizza celata nella sua voce allargò ancor di più il sorriso del killer.
-
Non preoccuparti, tesoro -
La
donna che per sopravvivere aveva imparato a farsi chiamare Vermouth gli lanciò
uno sguardo, pura e palpabile tensione.
-…c’è
qui Gin che metterà tutto a posto…-
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La
Audi si fermò poco distante dalla villa Imai.
Non
avrebbero potuto avvicinarsi più di tanto.
E
poi, nell’ombra, a Yusaku Kudo era parso di scorgere qualcosa di familiare. E
prima di fare un grosso errore doveva pur dare l’opportunità a quel figlio
cocciuto che si ritrovava di cavarsela da solo.
Il
problema era tenere a freno due madri di cui una gravemente inferocita.
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-
E fu così che la promessa della polizia di Tokyo si buttò a pesce sul quella
della polizia di Osaka e finirono tutti e due a mangiare la neve in un quadro
che, sinceramente, avrebbe bisogno di una fotografia! – Shiho Miyano non ci era
riuscita. Era stato più forte di lei. Lo sapeva benissimo che scoppiare a
ridere in una situazione del genere non era la cosa migliore da fare, ma vedere
quei due mezzi ammaccati a causa della vista annebbiata del detective che ‘non
sbaglia mai ’ era troppo esilarante.
Peccato
che la ragazza di Osaka non la pensasse come lei.
Beh,
c’era da aspettarselo.
Quell’idiota
di Kudo –kun le aveva rovinato proprio un bel momento.
Ma
quando un toro parte all’attacco vuoi che senta le urla di qualcuno che gli
dice che per una volta ha sbagliato strada?
E
questo era il bel risultato.
-
Ma che hai in quella testa? Il piombo? – boccheggiava Heiji Hattori
massaggiandosi lo stomaco dolorante per la capocciata che Shinichi Kudo gli
aveva appena regalato.
-
Piuttosto ti chiederei che ti sei mangiato! Un’incudine? Impossibile che uno
stomaco possa avere quella resistenza! – gli fece eco il detective del Kanto
sfregandosi i capelli per attutire il dolore alla testa, col solo risultato di
assomigliare, questa volta veramente come una goccia d’acqua al ladro Kid.
-
E dopo questa grande prova di coraggio, signor detective dell’era Heisei, credi
di riuscire a metterti in piedi? -
-
Ah, ah, ah – fece Kudo arricciando il naso e issandosi su gambe un po’
malferme.
-
Heiji, tutto bene? – chiese Kazuha Toyama al ragazzo ancora seduto tra la neve,
poggiando involontariamente la piccola mano sulla sua. Gesto che scatenò un
improvviso gettò di vapore su entrambi i volti dei giovani.
Si,
si – disse in fretta Hattori saltellando in piedi come sotto scossa elettrica e
spolverandosi l’abito dalla neve – piuttosto…CHE DIAVOLO CI FATE VOI QUI?
– chiese puntando un dito incredulo
verso il detective e la ragazza bionda che era in piedi al suo fianco.
Solo
allora Kazuha Toyama di accorse di lei.
E
si rese conto che la verità che aveva scoperto era ancora più impressionante
quando ti si parava così, dinnanzi agli occhi.
Tangibile.
-
Siamo venuti ad aiutarvi – ansimò ancora un poco Shinichi Kudo, un occhio
stretto per il dolore al cranio – credevi forse che avrei fatto fare tutto a
voi? Per quanto mi sembra che vi eravate messi tutti d’accordo? – aggiunse poi,
l’aria offesa fissando la ragazza alla sua destra che aveva preso ad osservare
svogliatamente il basso ramo di un pino accanto a lei.
-
Ma se sei mezzo morto! – Heiji Hattori strillò per quanto quella situazione lo
rendesse possibile – che cosa pretendi di fare così ammalato? -
-
Conosci quella cosa che si chiama ‘aspirina’ ? – ribatté il detective del Kanto
scandendo le parole.
Heiji
Hattori si limitò a fissarlo di sottecchi.
Poi
scrollò di nuovo le spalle e alzò uno sguardo al cielo
-
Dei, ma me lo dite perché quando ci innamoriamo diventiamo così
irrimediabilmente idioti? -
Poco
dopo Shinichi Kudo, Shiho Miyano e Kazuha Toyama avevano varcato la soglia
della villa Imai, mentre Heiji Hattori era rimasto leggermente indietro a
cercare di divincolarsi dalla montagnola di neve nella quale, fortuitamente e
solo per un caso malaugurato, gli era rimasta incastrata la faccia.
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La
ragazza poteva vedere tutto da quel trono.
Era
stata messa lì proprio per vedere.
Ed
essere vista.
Quello
che nessuno immaginava era che ciò che avrebbe dovuto fare non era stato fatto
e ciò che nessuno la riteneva in grado di fare..quello sì, lo avrebbe fatto.
Tra
un poco.
Mancava
poco ormai.
Bastava
un movimento.
Una
piccola distrazione di quella sigaretta che continuava fumare, leggera, tetra,
opprimente, dietro di lei.
Il
rigonfiamento sulla gamba le dava la sicurezza che forse, Shinichi Kudo, non lo
avrebbe visto mai più.
E
per un attimo quello che gli aveva sentito sussurrare nel sonno le tornò alla
mente.
Sotto
la maschera sentì di essere arrossita.
Eppure….non
lo aveva sognato.
Shinichi
Kudo la stava chiamando nel sonno.
E
le aveva detto…
No.
Era
stato un sogno.
Niente
di più.
E
ora doveva pensare a salvare la sua famiglia.
Rilassò
il battito con un respiro più profondo.
Chiuse
gli occhi per un attimo e una brezza, fresca e dolce, le accarezzò le spalle
scoperte.
Riaprì
gli occhi con la consapevolezza che qualcosa nella sua vita stava per
concludersi.
Ed
era felice per questo.
Di
nuovo lasciò lo sguardo vagare nella sala….gli uomini che alzavano nel mormorio
generale palette, che giocavano coi loro soldi, burattini nelle mani di loro
stessi.
E
poi la vide.
La
regina.
Quella
regina di avorio e lapislazzulo dall’aria tanto familiare.
Dove
aveva visto quella regina?
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-
Aggiudicato! – disse l’uomo dell’asta battendo il martelletto e causando
diversi mormorii di disappunto e un solo gridolino di gioia. Per la modica
cifra di un milione di dollari, aveva venduto quel prezioso giocattolo ad una
ricchissima e viziata bambina americana che adesso sgambettava sulle ginocchia
del padre tutta contenta di ricevere il suo regalo di Natale. Un oggetto che
sarebbe stato ben presto accantonato – Complimenti Signore! –continuò a dire
con il suo sorriso inossidabile – lei è stato il secondo uomo nella storia ad
aver acquistato questo pregiatissimo pezzo. Perdonate la mente ballerina di un
vecchio, miei signori, ho dimenticato di dire che anche questo pezzo, come del
resto i prossimi quattro, appartenevano alla collezione privata dell’illustre
scrittore che visse in questa splendida villa circa cento anni fa -