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Autore: Acinorev    29/03/2013    21 recensioni
«Hai mai visto i Guinness World Records?» chiese ad un tratto Harry, continuando a fissare il sole splendente sopra le loro teste.
«Cosa c'entra ora?» domandò Zayn spiazzato, guardando l'amico attraverso le lenti scure degli occhiali.
«Hai presente quei pazzi che provano a stare in apnea per un tempo sempre maggiore? Ecco, tu devi fare la stessa cosa», spiegò il riccio, come se fosse un'ovvietà.
Gli occhi di Zayn si spalancarono, mentre iniziava a pensare che Harry si fosse beccato un'insolazione. «Devo provare a battere un record di apnea?»
«No, ovvio che no - rispose l'altro scuotendo la testa. - Loro si allenano per rimanere sott'acqua, un posto dove non c'è la nostra fonte di vita, l'ossigeno. Tu devi fare lo stesso, devi imparare a vivere senza di lei.»
Sequel di "Unexpected", da leggere anche separatamente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Unexpected'
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Nice to meet you, or maybe not

Capitolo 2


 

«Devi per forza andare?» chiese Brian, seduto al posto del guidatore.
«Che razza di fratello maggiore sei? – ribattei divertita, recuperando la borsa dal cruscotto - È colpa tua se ora ho queste occhiaie sotto gli occhi, dato che mi hai tenuta sveglia tutta la notte con le tue chiacchiere, e ora vorresti impedirmi di andare a lavoro?» Non gli avrei mai detto che sarei stata a sentire le sue chiacchiere per un’intera giornata ancora.
«Non ti ricordavo così… noiosa.» brontolò, storcendo le labbra in una smorfia.
«Io invece ti ricordavo esattamente così rompipalle.» lo presi in giro per poi baciarlo su una guancia. Lo sentii ridere mentre scendevo dalla macchina: «Alle tre e mezza, ok?» chiesi per l’ennesima volta.
«Ci sarò.» mi assicurò, improvvisando un saluto militare un po’ sacrificato dal piccolo spazio dell’abitacolo. Gli sorrisi e chiusi la portiera, chiedendomi se ci sarebbe davvero stato: la sua memoria era pressocché una schifezza. Mi chiedevo come riuscisse a cavarsela nella marina.
 
«Buongiorno, Allison.» esclamai, appena varcata la soglia dell’ufficio.
«Victoria, Christian ti sta aspettando nel suo ufficio.» mi informò, con il suo solito tono piatto di voce. Stupida leccapiedi di una segretaria, pensai.
«Frena un attimo. – esordì una voce familiare – Dove pensi di andare?»
Stephanie era seduta su un divanetto a pochi metri dalla minuscola stanza che mi piaceva chiamare ufficio: i suoi occhi indagatori erano fissi su di me, nonostante conservassero la loro pacatezza.
«Ehm, a lavorare?» risposi retorica, fermandomi al centro del corridoio per guardarla.
«Che fine hai fatto ieri?» domandò, alzandosi e venendomi incontro con i suoi capelli castani che ondeggiavano ad ogni sua parola.
«Ti avrei chiamata ieri sera, ma quando sono tornata a casa ho trovato Brian ad aspettarmi e…»
«Brian è tornato?» mi chiese, ritraendosi leggermente da me. La sua solita calma era stata messa a dura prova per un attimo, il che mi incuriosiva parecchio.
«Sì, ieri sera, mentre noi eravamo alla festa di beneficenza. – spiegai, scrutando i suoi lineamenti - Che ti prende? È Brian, non un maniaco sessuale.»
A quelle parole sembrò riscuotersi, scoppiando in una delle sue sonore risate, quelle che mi sono sempre sembrate contrastanti con la sua indole tranquilla e riflessiva: «Lo so stupida, è che non me l’aspettavo.» mi garantì, regalandomi uno schiaffo affettuoso sul braccio.
«Certo, certo. Piuttosto, sai perché il capo vuole vedermi?»
«No, non ne ho idea.» rispose alzando le spalle.
Sospirai e la superai, dirigendomi verso l’ufficio di Christian mentre la mia amica mi ricordava di doverle ancora delle spiegazioni: bussai e la sua voce mi ordinò di entrare. Sembrava tranquillo, il che era un sollievo.
«Oh, Vicki! Buongiorno!» mi salutò vedendomi entrare: si alzò dalla sedia per aggirare la scrivania, lasciando apparire il suo fisico tutt’altro che snello. Il doppio mento gli ingombrava il collo e gli occhi del colore della pece erano fin troppo piccoli per quel viso cicciotello. Insomma, non era un granché per avere quarantadue anni.
«’Giorno.» ricambiai sorridendogli.
«Vieni, siediti.» disse, indicandomi la sedia a un metro e mezzo da me. Io obbedii, chiedendomi cosa volesse da me: potevo scommettere che riguardasse la sera precedente, ma potevo solo sperare che fosse qualcosa di positivo.
«Ho parlato con i manager degli One Direction a proposito dell’evento di ieri sera.» cominciò, rimanendo in piedi e appoggiandosi al bordo della scrivania di fronte a me. Deglutii a vuoto, pregando in tutte le lingue del mondo.
«Vicki, avete fatto un ottimo lavoro!» esordì in tutta la sua allegria, per poi prendermi la testa fra le mani e schioccarmi un sonoro bacio sulla fronte. Mi lasciò andare e io ciondolai per l’energia con cui mi aveva afferrata, un po’ stupita da quella dimostrazione d’affetto: certo, mi conosceva da quando ero nata, ma insomma… con calma.
«Dire che siano soddisfatti è poco: ci hanno promesso di farci sapere per nuovi incarichi. Ti rendi conto? – continuò, preso dall’entusiasmo - Gli One Direction! Questa sarà una fantastica occasione per noi! Ed è tutto grazie a te!»
Io mi limitavo a sorridere, estremamente soddisfatta ed estremamente incredula: tanto lavoro alla fine era stato ripagato e il fatto che ci aspettassero altri impieghi per quella boy-band era di sicuro una rampa di lancio per la Christian&Catering, nonostante il suo nome banale.
«Il merito è anche degli altri.» lo corressi, pensando a quanto fossi fortunata ad avere dei compagni del genere.
«Oh, certo, certo. Ma ho saputo che ieri sera Cassidy e Joseph si sono assentati e che tu hai dovuto riorganizzare molte cose, senza contare gli imprevisti del pomeriggio.»
«Stephanie mi ha aiutata molto, non ho fatto tutto da sola.»
«Vicki! – mi richiamò con tono più deciso - Posso farti dei complimenti senza che tu me lo impedisca?»
Lo guardai per un attimo, per poi accennare un sorriso e abbassare il capo.
«Continua così e verrai ricompensata, anzi, per oggi puoi anche prenderti un giorno libero.»
«Davvero? – chiesi incredula - Grazie.»
«Ora va’, te lo meriti! Ho anche parlato con i tuoi genitori e sono molto fieri di te.»
Ah, i miei genitori. Come potevano mancare?
«Grazie ancora, Christian.» mi sforzai di sorridere, per nascondere la mia scocciatura.
«Oh, quasi dimenticavo: c’è una persona in sala d’attesa che ti sta aspettando.” mi informò, mentre mi alzavo dalla sedia.
«Chi è?» chiesi, in preda alla curiosità.
«È una sorpresa.» mi assicurò, spingendomi con una mano verso la porta del suo ufficio.
Chi poteva essere? E a chi veniva in mente di venirmi a trovare sul posto di lavoro?
 
Percorsi il corridoio fino al fondo, arrivando all’entrata della saletta accogliente in cui ricevevamo i clienti. Quando aprii la porta, avvistai qualcuno seduto sul divanetto bianco al fianco della finestra: indossava una felpa blu con il cappuccio tirato sulla testa, nonostante fosse agosto inoltrato, degli occhiali scuri a coprirgli gli occhi e un paio di pinocchietti in jeans chiaro che lasciavano scoperte le gambe. Era sicuramente un ragazzo e il fatto che avesse delle gambe più belle delle mie era alquanto… degradante.
Tossicchiai per attirare la sua attenzione, che fino a quel momento era stata rivolta al cellulare tra le sue mani. Alzò lo sguardo su di me e le sue labbra si incurvarono in un largo sorriso.
«Vicki!» mi chiamò, togliendosi gli occhiali e abbassandosi il cappuccio della felpa.
«Louis?» esclamai, stupita da quella visita inaspettata. Che ci faceva lì?
«Come stai?» mi chiese avvicinandosi a me con il suo solito sorrisetto. Alla luce del giorno quegli occhi erano ancora più lucenti.
«Ehm, bene. – balbettai, - Ma che ci fai qui?» domandai mentre mi chiudevo la porta alle spalle.
«Anche io non me la passo male, grazie. – rispose ridacchiando - Comunque sono venuto ad assicurarmi che non avessi riportato un trauma cranico.»
«Un trauma cranico?» ripetei confusa, alzando un sopracciglio. Poi mi ricordai che la sera prima la mia fronte non si era proprio divertita: «Ah, per la fronte… - borbottai, rivolta più a me stessa che a lui - Nessun trauma cranico, per fortuna.» gli risposi.
«Bene.» commentò, annuendo leggermente con il capo. Non sapevo cosa dire data la stranezza di quella situazione, ma poi mi venne in mente qualcosa: «Fammi capire, - cominciai, gesticolando - Louis Tomlinson, membro degli One Direction, si presenta sul mio posto di lavoro vestito da latitante, solo per accertarsi che la ragazza del catering che ha gestito la sua festa di beneficenza non abbia riportato un trauma cranico?” Detto ad alta voce sembrava ancora più assurdo.
«Ehm… sì. – esclamò, confuso dal quel racconto - Cioè, no.» si corresse subito dopo.
«Hm, quindi sei qui perché…» dissi, lasciando di proposito la frase in sospeso. Di nuovo mi sorrise, scuotendo la testa: «Perché volevo risarcirti i danni.» rispose, usando le parole che erano uscite dalla mia bocca la sera prima.
«E in che modo vorresti farlo?» domandai curiosa.
«Il tuo capo non ti ha dato il giorno libero? Allora potresti accettare di fare colazione con me, dato che ieri sera mi hai dato buca.»
«Io non ti ho dato buca. – lo corressi, corrugando la fronte - E poi come fai a sapere del mio giorno libero?» Che quel ragazzo fosse uno stalker?
«Diciamo che ho espresso la mia soddisfazione per il servizio di ieri sera… E forse ho proposto una ricompensa per la responsabile.» spiegò soddisfatto, schioccando la lingua sul palato.
Aprii la bocca per dire qualcosa, o forse solo per esprimere la mia sorpresa, ma lui mi anticipò: «Oh, non ringraziarmi.» Così la richiusi, divertita da quel ragazzo.
«Allora, andiamo?» chiese, rimettendosi gli occhiali.
Ci pensai su per qualche secondo e mi accorsi che in fondo non avevo nulla da perdere: sarebbe stato divertente uscire con lui in un giorno di riposo dal lavoro: «E va bene! Ma solo perché ho l’impressione che se non accettassi continueresti a sbucare ovunque.» scherzai, accettando il suo invito.
«Vedo che hai già capito qualcosa di me!» confermò mettendosi a ridere. Prima che il suono della sua risata potesse incantarmi, lo vidi alzare il cappuccio della felpa: «Dimmi solo perché sei conciato così.» lo pregai soffocando una risata e indicando con un cenno veloce della mano il suo abbigliamento.
«Sono in incognito! – spiegò, imitando le mosse di un agente segreto - Voglio evitare folle di fans scalpitanti: sai, sono sveglio da nemmeno un’ora, non sarebbe molto piacevole.»
«Giusto.» mormorai, ricordandomi di star parlando con uno dei cinque ragazzi più famosi in Inghilterra al momento. Mentre lo seguivo fuori dall’ufficio, lo guardavo camminare un passo davanti a me con i suoi centimetri di altezza in più; pensavo che non mi sarei mai aspettata che quella giornata potesse prendere una piega del genere: insomma, stavo uscendo con Louis Tomlinson, che oltre ad essere una persona giusto  un po’ conosciuta, era anche una specie di dio sceso in terra. Un dio estremamente attraente, con un sorriso estremamente irresistibile e degli occhi estremamente ipnotizzanti.
Appena usciti dall’edificio si guardò intorno e si grattò la testa, pensieroso: «Hai due scelte: possiamo andare a fare colazione in un posto carino, rischiando di essere assaliti dai fans, oppure possiamo andare a casa mia e farcela portare. Io preferirei la seconda opzione…»
«Non verrò a letto con te.» precisai, come se sapessi dove voleva andare a parare.
«Ehm, ok… - rispose, confuso dalla mia risposta – Lo terrò a mente, anche se non era esattamente quello il mio piano.»  disse mettendosi a ridere.  Lo guardai divertita, senza riuscire a trattenere un sorriso: mi trovavo stranamente a mio agio con lui.
«Allora, che vuoi fare?» chiese, aspettando una mia risposta. Che volevo fare? Certo, mi faceva piacere passare del tempo con lui, anche se dovevo ancora capire il perché, ma non credevo di essere disposta ad affrontare una folla di ragazzine in calore: d’altronde, però, andare a casa sua non mi sembrava l’idea migliore.
Sbuffai: «Vada per casa tua.» decisi, chiedendomi quale strana forma di pazzia mi stesse affliggendo. Uno dei suoi sorrisi spontanei accolse la mia risposta con piacere.
«Ottima scelta! – esclamò, battendo un pugno sulla mano aperta - Seguimi.»
Gli obbedii, ritrovandomi poco dopo in un Suv nero tutt’altro che piccolo: «Non voglio che pensi che ti salterò addosso una volta a casa.» mi assicurò senza distogliere lo sguardo dalla strada. Osservai la linea del suo viso, costantemente rilassato e sereno: guidava senza alcuna difficoltà e i suoi occhi sembravano osservare qualsiasi dettaglio oltre il parabrezza. Non riuscivo ancora a capire come mi sentissi nei suoi confronti: mi divertiva molto il suo modo di fare e la sua spontaneità, per non parlare del suo aspetto fisico a dir poco invidiabile, ma ero convinta che fosse la curiosità ad avere la meglio. La curiosità di sapere se oltre quel costante sorriso ci fosse qualcosa di più.
«Tranquillo, saprei come difendermi.» gli assicurai, assumendo l’aria di chi la sa lunga.
In risposta ottenni un’altra risata: «Voi ragazze sapete sempre come difendervi, anche se poi ci vanno di mezzo i nostri gioielli di famiglia.»
«Non ci andrebbero di mezzo se voi sapeste comportarvi da gentiluomini.» precisai.
«Ah, siamo arrivati.» esordì, parcheggiando di fronte ad un complesso di appartamenti a dir poco lussuosi. Ci avevamo messo poco ad arrivare, quindi casa sua era vicina al mio posto di lavoro.
Prima che potessi scendere dalla macchina, lo vidi fare il giro dell’auto e venirmi ad aprire la portiera, sfoderando uno dei suoi sorrisi: «Stai cercando di proteggere i gioielli di famiglia?» lo provocai divertita, poggiando i piedi a terra.
«Forse. - rispose mettendosi a ridere - Vieni, ti faccio vedere casa. Non dovrebbe esserci nessuno.»
«Ah, non vivi da solo?» domandai guardandomi intorno. L’androne del palazzo aveva un pavimento in marmo bianco che contrastava con le parete grige: al centro sostavano due ascensori ultramoderni circondati da scale a chiocciola dello stesso marmo del pavimento. Una baracca, insomma.
«No: vivo con Harry, anche se gli altri stanno praticamente sempre da noi.» spiegò, avvicinandosi agli ascensori. Quando lo vidi chiamarli tramite un pulsate, storsi il viso in una smorfia. Lui mi guardò con fare interrogativo: «Che c’è?»
«Diciamo che gli ascensori non sono la mia passione.» confessai, accennando un sorriso di imbarazzo.
«Oh, scusa. – disse sorridendomi - Faremo le scale.»
«Grazie. – sussurrai, seguendolo per quelle immense scale - Dicevi che vivi con Harry: è quello riccio, non è vero?» chiesi ingenuamente. Louis si voltò di nuovo a guardarmi: sembrava cercare di capire se lo stessi prendendo in giro oppure no, così cercai di spiegargli come stavano le cose.
«Vedi, non sono una vostra fan. – provai a dire, accorgendomi subito dopo che così sembrava mi facessero schifo, - Voglio dire, non vi ho mai seguiti. Non che la vostra musica sia da buttare, il fatto è che non so nemmeno che musica facciate di preciso. Oh, dai, hai capito.” conclusi, imbronciandomi.
«Come?» fu il suo commento, mentre si fermava guardandomi con uno sguardo serio.
«È un problema?» chiesi confusa e un po’ a disagio sotto i suoi occhi così penetranti.
«Certo che è un problema! Che diavolo ti passa per la testa? Chiama un taxi e torna a casa.” rispose, riprendendo a salire le scale, ma senza di me. Per qualche secondo rimasi a fissarlo sbalordita da quella reazione, chiedendomi quale forma di pazzia lo affliggesse.
«Ma che cazzo…» commentai borbottando tra me e me, corrugando la fronte.
Poi Louis si fermò per voltarsi verso di me: mi guardò per un attimo negli occhi senza cambiare espressione, per poi scoppiare in un fragorosa risata, una di quelle che ti fanno venir voglia di ridere anche se non ne vedi un motivo.
Scese i gradini che ci separavano mentre io cercavo di capire cosa gli fosse preso e se fosse bipolare: quando la sua mano passò delicatamente sulla mia schiena per invitarmi a seguirlo, salutai i brividi che erano tornati a farmi visita.
«Sto scherzando, Vicki. – mi assicurò, cercando di placare la sua risata – Non è un reato non conoscerci.» esclamò, mentre ci avvicinavamo ad una porta in legno chiaro.
«Cavolo, dovevi vedere la tua faccia.»  sospirò con il suo tono di voce leggermente stridulo, mentre cercava la chiave la giusta.
«Tu sei pazzo.» fu il mio unico commento, accompagnato da un sorriso.
 
Quando la porta si aprì, non potei fare a meno di notare l’immenso salone in stile moderno: era indescrivibile con il suo camino al centro e i divani tutt’intorno; Louis continuava a parlare illustrandomi i vari angoli della casa, ma io avevo smesso di ascoltarlo, troppo concentrata a perdermi in ogni dettaglio dell’arredamento. Ero convinta che se avessero messo in vendita anche solo metà degli oggetti di quella stanza, sarebbero riusciti a sfamare buona parte dell’Africa.
«Ciao Louis!» esclamò una voce alle nostre spalle, dopo un rumore di chiavi nella serratura; smisi di osservare un vaso contorto su se stesso per voltarmi a guardare la ragazza che era appena entrata. Indossava un paio di pantaloncini non troppo aderenti e una camicetta a quadri rossi e bianchi che metteva in risalto il suo fisico minuto: gli occhi sembravano di ghiaccio, soprattutto se messi a confronto con il colore nero dei capelli che le sfioravano le spalle. La prima cosa che pensai quando la vidi fu: che figa.
Non mi sentivo molto a mio agio nel paragonare i miei semplici capelli castani troppo spenti e i miei occhi semplicemente scuri, con i suoi. E il mio fisico? Diciamo che le forme che rendevano il suo dannatamente armonico, sembravano odiare il mio.
«Abbie!» la salutò Louis andandole incontro.
«Non sapevamo che fossi a casa. – esclamò lei, sorridendogli - E non sapevamo che avessi ospiti.» continuò, non appena si accorse di me. Le sorrisi mentre si avvicinava con la mano tesa: «Abbie, piacere.»
«Victoria, piacere mio.» mi presentai, stringendo la sua mano bianca. Trasmetteva allegria anche solo a guardarla.
«Hei, amico!» esclamò Louis, attirando la mia attenzione. Dalla porta d’ingresso era entrato un ragazzo dalla pelle scura: riconoscevo i suoi tratti stranieri, perché più volte li avevo incrociati durante la festa della sera prima e perché era impossibile ignorarli nella Londra del 2013. Ero sicura che fosse uno degli One Direction, ma in quel momento non riuscivo proprio a ricordare quale fosse il suo nome. Mi limitavo ad osservare i suoi occhi scuri contornati da ciglia lunghe; le sue labbra carnose abbozzavano un sorriso mentre salutava il suo amico, e il suo fisico era avvolto da jeans strappati e una canottiera bianca. Mi chiedevo come facesse tanta bellezza a stare racchiusa in un solo corpo.
Appena incontrò il mio sguardo, però, il suo sorriso scomparve, facendo piombare sul suo viso un alone di serietà: sembrava scrutarmi ed osservarmi, proprio come avevo fatto io poco prima con l’arredamento del salotto.
«Malik, non essere il solito maleducato e vieni a presentarti. – lo esortò Abbie, facendogli segno di avvicinarsi - Questa è Victoria, un’amica di Louis. Victoria, lui è Zayn.»
Zayn, ecco come si chiamava. Mentre Louis mi guardava con sguardo di scuse, il moro era arrivato tanto vicino da permettermi di stringergli la mano: per smorzare la sua espressione fin troppo seria, accennai un sorriso, ma non feci che peggiorare le cose. I suoi occhi si spalancarono leggermente e la sua mano smise di stringere la mia, come in una reazione di ribrezzo: be’, piacere di averti conosciuto Mister Asociale.
Nonostante avesse reagito così, continuava a fissarmi negli occhi mettendomi quasi in soggezione, e io non ero una persona timida.
«Louis, non ti sarai dimenticato delle prove.» ci interruppe Abbie, avvicinandosi al castano.
«Cazzo, le prove.» imprecò lui, sbattendosi una mano sulla fronte. Io, per cercare di sfuggire allo sguardo indagatore di Zayn, avevo spostato il mio sugli altri due.
«Sei un disastro! – lo rimproverò la ragazza in tono scherzoso, - Dovrei farmi pagare per tutte le volte che vi faccio da balia. Sbrigati, iniziano tra mezz’ora. Io e Zayn siamo venuti a tirare giù dal letto Harry.»
«Harry? Ma stamattina non era a casa quando io sono uscito.» esclamò confuso.
«Non c’era perché ha fatto le ore piccole con Liam: poi è tornato ed è venuto a casa per dormire.» spiegò lei. Doveva essere molto legata a quei ragazzi se sapeva tutte quelle cose: ma che collegamento c’era tra di loro?
«Ci penso io a svegliarlo. – la informò Louis - Vicki, mi dispiace tanto: mi ero completamente dimenticato di avere le prove con la band questa mattina.» disse rivolgendosi a me. La sua espressione non era più allegra e spensierata, ma quasi colpevole e corrucciata.
«Oh, non preoccuparti.» lo rassicurai sorridendogli.
«Scusa davvero. – continuò, accarezzandomi un braccio - Se aspetti qualche minuto ti accompagno a casa: farò in fretta.»
«Tranquillo, abito qui vicino: fa’ con comodo.»
«Sei sicura?»
Annuii cercando di nascondere il leggero fastidio che provavo nel pensare che non avremmo fatto colazione insieme: per l’ennesima volta il mio modo di essere mi faceva saltare i nervi.
«Prometto che rimedierò.» sussurrò al mio orecchio, prima di lasciarmi un bacio sulla guancia e scomparire nel lungo corridoio. Stavo ancora pensando al contatto inaspettato che c’era stato quando Abbie parlò: «Se vuoi possiamo accompagnarti noi.» propose, guardandomi sorridente.
“No, per favore: tutto quello che voglio è allontanarmi da Zayn e dal suo sguardo.” pensai, mentre lo sentivo ancora su di me. Che problemi aveva?
Abbie gli si avvicinò e lui si mosse di conseguenza, come se i loro movimenti fossero coordinati: «Grazie, ma non ce n’è bisogno.» esclamai, stringendomi nelle spalle. Per un istante incrociai lo sguardo di Zayn e mi sembrò di perdermi nel marrone nocciola di quelle iridi: possibile che fossero così penetranti, così insistenti? Mi infastidiva il modo in cui mi fissava: non ne capivo il motivo e lo trovavo davvero strano. Così decisi di prendere in mano la situazione: «Zayn, giusto?» chiesi, alzando un sopracciglio.
Sembrò stupirsi di esser stato interpellato, ma io ero curiosa di sentire la sua voce e di sapere cosa avesse tanto da guardare.
Non si mosse, né rispose, così io continuai: «Sai che è da maleducati fissare le persone?» domandai.
«Victoria, giusto? – ribatté lui, senza mutare espressione e permettendomi di sentire per la prima volta la sua voce calda – Non credi di poter dire che ti sto fissando solo perché tu stai facendo altrettanto?»
Asociale, maleducato e anche presuntuoso: ma chi diavolo si credeva di essere?
«Oh, scusalo, Victoria. – ci interruppe Abbie, notando la tensione tra di noi, - È solo un po’ stanco a causa dei vari impegni.»
«Sì, immagino.» borbottai, tornando a guardarlo negli occhi. La mano della ragazza si era poggiata sull’avambraccio di Zayn, sfiorandolo appena, ma quel contatto sembrò riscuoterlo: la sua espressione si rilassò all’istante, mentre i pugni, che erano rimasti serrati dal momento in cui ci eravamo presentati, si erano sciolti. Era come se quei due avessero un collegamento più intimo: che stessero insieme?
«È meglio che vada. – dissi, impaziente di uscire da quella casa - Piacere di averti conosciuto, Abbie. Zayn.»
«Ciao, e scusa per l’interruzione.» mi salutò Abbie sorridendomi.
Senza aspettare un saluto da parte di Zayn, che nemmeno arrivò, uscii fuori dall’appartamento: per sfuggire a quel ragazzo il più velocemente possibile sarei persino stata disposta a prendere l’ascensore.
 
Con una giornata libera davanti e nessun programma in mente, mi ritrovai seduta in un parco a cercare qualcosa da fare. Per prima cosa mandai un messaggio a Stephanie: “Steph, scusa se non ti ho detto niente: il capo mi ha dato la giornata libera e devo assolutamente raccontarti cosa mi è successo. Ti chiamo stasera.”
Poi ne mandai un altro a Brian: “Hey rompipalle: ho la giornata libera. Pranziamo insieme?”
Posai il telefono sulle mie gambe in attesa di una risposta da uno dei due, ma mentre aspettavo non pensavo a Louis e alla sua gentilezza, o al brivido che avevo percepito quando aveva sussurrato quelle poche parole al mio orecchio: pensavo alla faccia da culo di Zayn e a dieci modi per rovinarlo.







 


 

 Buoooooooooooooongiorno :D Il solo splende, sono iniziate le vacanze, è l’una e mezza e io non mi sono ancora alzata dal letto YEEEAH!
Come state bellezze? Avete programmi per pasquetta? :)
Mmh, passiamo al capitolo eheheh: innanzitutto ci saranno altri incarichi per gli One Direction, quindi chissà che non ci sia  un’altra occasione per Vicki di incontrarli? c:
Poooi: Louis le fa una piccola sopresa e i due scherzano un po’. Scrivere di lui mi è venuto relativamente semplice, anche se il suo personaggio non è lo molto: ed è così che lo immagino, sostanzialmente, uno a cui piace molto scherzare, ma poi lo conoscerete meglio :) Mi dispiace solo che di Vicki non si scopra ancora quasi nulla, se non si tiene conto dell’accenno ai suoi genitori e al suo “modo d’essere”.
Ah, non si può non parlare dell’entrata in scena di Abbie e Zayn fdsajlkdfa Le lettrici di Unexpected sanno già chi loro siano, ma vorrei sapere cosa ne pensano del loro rapporto ora! Voglio dire, Vicki arriva persino a pensare che stiano insieme :) 
Vorrei le vostre ipotesi, anche sull’astio tra Zayn e Vicki, eheheh :) Dalle recensioni ho capito che gran parte di voi conferisce a Louis un ruolo marginale, un semplice mezzo per far conoscere a Vicki tutti gli altri: chissà, chissà, non ne siate così sicure :)
 
È il momento dei ringraziamenti dfjkal
52 recensioni per soli due capitoli: sapete che di questo passo io avrò un infarto, morirò e voi non potrete più sapere come finirà la storia? hahaha No, davvero: è impressionante! Ma sono felicissima che la storia vi piaccia! Anche se fino ad ora non è successo nulla di che, insomma, la trama deve ancora entrare nel vivo! Infatti volevo scusarmi per questi capitoli “di passaggio”, ma vi prometto che si arriverà al dunque abbastanza presto :)
Be’, continuate a lasciarmi le vostre opinioni, perché sapete che ne ho bisogno!
Grazie ancora di tutto jdfksal
 
Ah, su Twitter sono
@itstarwen_ e su facebook questo è il mio profilo!
 
Solita gif di Louis/Zayn e vi saluto!
Ciao dolcezze (buona Pasqua in anticipo :))

 

  

  
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