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Autore: Princess of Dark    29/03/2013    9 recensioni
Incontrare Johnny Depp è il sogno di tutte noi donne, o almeno era il sogno di Denise.
E lei credeva di stare veramente sognando quando lo incontrò.
Denise ha un lavoro noioso, una migliore amica un po' pazzerella, una vocina maligna nel suo cervello, un "fidanzato" e un sogno nel cassetto. Johnny sarà lì per renderlo vero.
ATTENZIONE:Johnny Depp dovrebbe essere illegale, ma visto che non lo è, va preso come minimo preso a piccole dosi. E' veramente rischioso per la vostra salute una meraviglia così!
Se anche voi lo amate, questa è la ff giusta per voi...aspetto le vostre recensioni!!
Booktrailer: https://www.youtube.com/watch?v=rLHOJc3yhPM
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nda: Questo è il mio regalo per Pasqua, mi sono affrettata a pubblicarlo perché non so quando potrò connettermi con tutte queste feste e non volevo far passare molto tempo ;)
Ho dato un'occhiata a tutta la gente che mi segue: siete davvero fanstastici! 176 recensioni *-* riuscirò ad arrivare a 200? :O E chi lo sa, è il mio obiettivo quindi aiutatemii u.u
Buona lettura!



«Sai, stavo pensando a quello che mi hai detto», disse lui, sollevando il suo capo per guardarmi negli occhi.
«Mmh», feci io, passando una mano tra i suoi folti capelli, appoggiata ad una pila di tre cuscini sul letto.
«Perché Vanessa e Fred avrebbero fatto tutto questo?», mormorò, mettendosi in piedi di fronte a me. «Sapevano che le nostre storie erano finite: che senso ha farci avere i giornali contro?», continuò, afferrando la sua giacca.
«Dove vai?», dissi, sollevandomi e guardandolo confusa.
«Devo parlare con lei, Den, odio lasciare le cose in sospeso senza chiarimenti», mi disse deciso, afferrando poi il mio mento e lasciandomi dei piccoli baci.
«Non fare omicidi», scherzai, venendo lasciata da sola nella mia camera con le risate di Johnny che mi rimbombavano ancora in testa. Non avrei commesso di nuovo l’errore di arrabbiarmi, se lui andava a casa di Vanessa. Era giusto che chiarissero anche questo, anche se ciò riguardava me e il mio bambino.

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«Oh, ciao», mi fece Vanessa in tono neutrale e aria indifferente come se si aspettasse di trovarmi già lì, squadrandomi. Io, in piedi davanti alla porta di quella che un tempo era stata la mia casa, la fissai.
«Devo parlarti», tagliai corto. Vanessa, consapevolmente, abbassò il capo e annuì, facendomi spazio per farmi entrare in casa.
«I bambini non ci sono?», le chiesi, guardandomi intorno: mi sarebbe dispiaciuto che avessero assistito ancora una volta ad un nostro litigio. Vivevano ancora in quella favola nella quale credevano che dopo il divorzio c’era l’amicizia, credevano ancora che io e la loro mamma ci amassimo ancora.
«Sono a scuola», tagliò corto, poggiandosi poi al muro e serrando le braccia al petto, come se fosse lei l’offesa della situazione. Mi sedetti e mi fissai le dita intrecciate, sospirando, estraendo poi una sigaretta dal pacchetto con mano tremante e portandomela alle labbra.
«Perché?», sussurrai, mordendomi le labbra, senza guardarla negli occhi. Vanessa non parlò, la sua risposta non giunse alle mie orecchie.
«Perché?», insistetti, ispirando il fumo della sigaretta, alzando il capo e osservando i suoi occhi arrossati.
«Perché ti amo», sussurrò flebilmente, asciugandosi con il dorso della mano quella lacrima che stava segnando la sua guancia pallida. Mi alzai e iniziai a cercare qualche parola adatta da dirle.
Dunque… come si diceva ad una donna, in modo gentile ovviamente, che era tutto finito? Che il proprio marito amava un’altra?
«Ed è qui che sbagli. Non devi», dissi freddamente, deglutendo. Lei annuì.
«Lo sapevo che era diventato difficile, ma pensavo che io ti sarei bastata», mormorò, mordendosi il labbro inferiore. «È terribile addormentarsi da soli, è terribile sapere che sei felice anche senza di me», sibilò tra i denti, serrando le mascelle, mentre le sue lacrime scendevano senza far alcun rumore, come fosse solamente pioggia.
«Non cambieranno le cose, ormai è finita, Vane: devi capirlo e rassegnarti»
«La fai facile tu!», ringhiò, facendo dondolare le proprie braccia lungo i fianchi. «Qualunque cosa il destino ci avesse potuto riservare, mi immaginavo il resto della mia vita sdraiata a letto accanto a te, chiacchierando abbracciati»
«Mi dispiace»
«Questo è tutto quello che sai dire? Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace… eh no, dispiace a me. Perché la fregatura è questa: quando fai bene agli altri, ne fai più di ogni altra cosa al mondo. Ma quando fai male… pure»
«Lo so, ed è per questo che è ho pensato fosse meglio lasciarci! Puoi trovare di meglio»
«Tu hai trovato un rimpiazzo, non ti costa nulla dimenticare»
«Ma non l’ho dimenticato, Vanessa! Sarei matto se lo facessi! Non posso scordare quattordici anni di felicità, quattordici anni in cui ti ho amata come nessun’altra. Ricordi cosa ti dicevo sempre? “Puoi chiudere gli occhi alle cose che non vuoi vedere ma non puoi chiudere il cuore alle cose che non vuoi provare”.Sarò forse egoista a chiederti di dimenticare ma almeno cerca di superarlo»
«E come?!», mormorò. «Non sai quanto mi fa male vedervi insieme, sapere che lei ti avrà al posto mio, sapere che magari lei potrà spezzarti il cuore»
«Non lo farà», tagliai corto, serrando le mascelle e picchiettando il tizzone della sigaretta nel posacenere mezzo pieno. «Non può»
«Che significa?»
«Che nessuno dei due avrà via di uscita in questa storia», accennai, afferrando poi le sue mani. «Le ho chiesto di sposarmi». Sgranò gli occhi, trattenne il fiato e restò a fissarmi come se avesse visto un fantasma. Faceva male persino a me dirglielo, ma forse era meglio che lo sapesse da me ora che domani dalla stampa.
«Allora è proprio vero», mormorò a testa bassa, tirando su col naso e asciugandosi l’ultima lacrima. «Vuoi una nuova famiglia»
«Ho comunque due figli qui, da te, Denise e il bambino saranno solo un’altra parte di me», borbottai, allontanandomi e afferrando gli occhiali da sole che avevo poggiato sul tavolo.
«Il bambino?», ripeté lentamente, avendo paura di ogni mia possibile risposta. Scossi il capo.
«Non chiedere, Vane, ti farebbe solo più male sentire le mie risposte»
«Okay, va bene, è giusto che abbiate anche un bambino», disse lei con una calma apparente che nascondeva dentro di sé la terza guerra mondiale. «Porgi le mie scuse a Denise per quello che è successo ed esci da questa casa, Johnny», mormorò, serrando le mascelle e guardandomi con occhi di fuoco.
«Mi dispiace», mormorai ancora una volta, avanzando verso la porta, senza riuscire a fare a meno di pronunciare quelle parole che la facevano stare ancora più male. Restare ora sarebbe stato inutile, così come sarebbe stato inutile consolarla: il dolore l’avrebbe resa più forte, l’avrei soltanto potuta illudere. «Ti ho amata», aggiunsi. Volevo che lo sapesse, che fosse consapevole del fatto che era stata importante. Mi richiusi la porta alle spalle e rimasi lì dietro in silenzio per qualche secondo. Forse mi aspettavo un pianto isterico, forse il rumore dei vetri e dei piatti che andavano in frantumi. Sentii invece della musica provenire dal suo stereo ad alto volume e lei che canticchiava. La musica però non riusciva comunque a nascondere i suoi singhiozzi.
Perdonami anche per questo.
Mi misi in macchina e corsi via. Avevo bisogno di una buona tazza di caffè con un buon amico.
Tim fu puntuale a quell’incontro, da buon amico altruista si sedette di fronte a me al tavolo del bar con il suo caffè e ascoltò pazientemente il mio sfogo, senza interrompere il mio fiume di parole. Solo quando mi accorsi che non aveva aperto bocca, mi fermai e lo guardai in cerca di qualche parola utile e preziosa. Lui scosse il capo e sorrise amaramente.
«Sei troppo masochista Johnny», mi accusò. «Il mondo non gira nel verso che preferisci», aggiunse, affondando nella sua tazza. Sospirai, accendendo la quinta sigaretta.
«Mi sento in colpa»
«Vanessa è una donna forte. E anche abbastanza intelligente da capire la stronzata che ha fatto, sorridere ai tuoi figli ed andare avanti»
«Questo lo so»
«Quindi ora alza il tuo culo dalla sedia e torna da tua moglie e il tuo bambino. Te ne saranno grati loro e anche i tuoi polmoni», borbottò, strappandomi da mano la sigaretta. Lo guardai corrucciato, poi gli sorrisi.
«Grazie Tim»
«Salutami Denise».

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«Ehi, Den, véstiti ed esci: ti aspetto in macchina». Sobbalzai quando Johnny piombò in casa e lo guardai perplessa.
«Dove andiamo?»
«Abbiamo un intervista tra mezz’ora»
«Un… intervista…», ripetei, mettendomi in piedi e fissandolo perplessa. «Ma…»
«Ma?»
«Così vedranno che… ecco… aspettiamo un bambino»
«Appunto», rise lui, avvicinandosi a me e allacciando le mani dietro la mia schiena. «Non pensi sia ora di far sapere al mondo questa magnifica notizia?», sussurrò, sfiorandomi amorevolmente la punta del naso. Risi.
«Dammi solo dieci minuti»
«Spero che non durino come tutte le altre volte che mi hai chiesto “SOLO” dieci minuti, perché non abbiamo tutta la giornata!», esclamò, prendendomi in giro, uscendo di casa.
Per ripicca, ci misi veramente soltanto dieci minuti ad orologio.
«Hai parlato con Vanessa?», gli chiesi, dopo averlo osservato a lungo in silenzio. Lui, senza staccare gli occhi dalla strada davanti a sé, annuì.
«Per un attimo, avevo sperato che ci lasciassimo pacificamente»
«Ti ha urlato contro quanto facciamo schifo?», ipotizzai amaramente.
«No», sospirò. «Ti porge le sue scuse»
«Eh?», squittii meravigliata, facendo forse una strana espressione, ma lui non disse più nulla, rimanendo della stessa espressione seria. Sospirai, poggiando la mano sulla sua in segno di conforto. Lui si voltò e mi sorrise.
«Lo sai, vero, che farò di tutto per renderti felice?», mormorai.
«Lo sai, vero, che basta il tuo sorriso a rendermi felice?», replicò lui, sfiorandomi la guancia. Sorrisi.
«Pensa a guidare, dai», scherzai, facendo cenno alla strada davanti. Lui rise, tornando a fissare davanti a sé.
«Quindi… aspetta un bambino?», ripeté la donna con un taccuino in mano e gli occhi sgranati, fissi sulla mia pancia, e l’espressione incredula sul volto. Johnny ed io scoppiammo a ridere.
«Con questa nostra dichiarazione farà soldi a palate», le feci l’occhiolino e anche lei rise, segnando qualcosa sulla sua agendina.
«E… se posso permettermi, il figlio è di Johnny o di Fred?». Ci furono diversi secondi di silenzio. Io, incredula per la sua sfacciataggine, alzai un sopracciglio e fissai scettica Johnny.
«Mmh, potrei essere ancora dubitante ma purtroppo ho le prove che porterà il mio cognome», scherzò lui, strappandoci un’altra risata.
«Avete già pensato ad un nome?»
«Per ora no, non pensavo fosse così difficile farlo», sorrisi, inclinando la testa di lato.
«Il regista Tim Burton ci aveva accennato un po’ di tempo fa, in un’intervista, che avreste fatto parte del suo nuovo film… cosa ne sarà del progetto?»
«Tim è stato molto gentile a rinviare il progetto: per ora sta lavorando ad un altro film e, appena finirà, procederemo con quello del contratto», sorrise Johnny, precedendomi nella risposta perché non sapevo cosa dire.
«Vostro figlio farà anche lui l’attore, il musicista, o cosa?». Ridemmo ancora.
«Senz’altro gli insegnerò a suonare», rispose Johnny sorridendo.
«Ed io a cucinare», aggiunsi scherzosa. «Potrebbe diventare un ottimo chef». Sorrisi, guardai Johnny e immaginai come sarebbero state, in futuro, le loro lezioni di chitarra.
Come una quindicenne, sognai ad occhi aperti la mia futura famiglia: nel mese di agosto con il sole che sta per tramontare, Johnny seduto sugli scalini del giardino fuori la nostra casa e il piccolo Depp seduto sulle sue gambe a strimpellare e scordare le corde della sua chitarra, mentre io portavo loro una bibita fresca. Avrei sentito per mesi le imprecazioni di Johnny per tutte le corde inutilizzabili, le note stonate di nostro figlio, le loro voci cantare vecchie canzoni.
«Denise?», mi richiamò Johnny.
«Eh?». Incrociai gli occhi scuri della giornalista e ricordai dov’ero. «Scusate, riflettevo», aggiunsi imbarazzata.
«Dicevo, vi piacerebbe se vostro figli diventasse una star di Hollywood?»
«Io sinceramente non lo preferirei: ho sempre voluto tenere alla larga i miei figli da quel mondo… è un posto ingannevole, ci sono troppi soldi, troppa vodka, troppe tentazioni. Non è la strada giusta da seguire», borbottò Johnny.
«Spero proprio che non venga fuori ubriacone come il padre», farfugliai, cercando di essere seria. Quando Johnny mi guardò scettico, non potei far a meno di ridere, strascinandomi dietro le risate degli altri due.
Per quella giornata, ci beccammo parecchi titoli sui giornali, in rete, in tv:
“La coppia più bella del mondo”
“Pannolini e risate per la nuova famiglia Depp”
“Johnny Depp ritorna felice”
“Denise Cooper ha trovato l’amore”
“Johnny e Denise: sposi novelli”

Sì, avevamo deciso di dire anche del nostro matrimonio, avevamo deciso di sposarci dopo la nascita di Baby Depp, anche perché la pancia cresceva e non ci sarebbero più bastati tre mesi per organizzare tutto.

«Sai a cosa pensavo, stamattina, durante l’intervista?», sorrisi, affondando nel cuscino e riuscendo a trovare nell’oscurità il volto di Johnny.
«Cosa?»
«A quando il bambino sarà abbastanza grande per imparare a suonare, alle giornate d’estate che scorreranno veloci, a quando vi guarderò seduta in giardino a strimpellare note.
Baby Depp ti romperà un paio di volte la chitarra, tu imprecherai in francese per non farti capire da lui –pensi che non sia istruttivo insegnargli delle parolacce- e uscirai di corsa a comprarne una nuova. Vi sentirò cantare per tutta la giornata, fino a quando non lo chiamerò per il bagno. E allora lui inizierà a fare storie, come tutti i bambini, perché non vuole andare a lavarsi. E tu gli prometterai che lo porterai al lavoro con te il giorno dopo, a vedere le nuove imprese di Jack Sparrow, se non mi avrebbe fatta arrabbiare.
Poi, la sera, faremo la gara a chi deve impossessarsi per primo del telecomando, faremo vincere lui e dovremmo sorbirci la stessa puntata dei Puffi o dei Barbapapà. E la notte, aspetteremo che si sia addormentato per poter fare l’amore, sperando che non ci interrompa sul più bello chiedendoci di dormire nel lettone», sussurrai, con le lacrime agli occhi e la voce rotta dall’emozione. Lui sorrideva beatamente.
«Raccontami di nuovo questa favola della buonanotte», sussurrò al mio orecchio. «Ripetimela ogni sera, fammela imparare a memoria perché voglio che un giorno sia tutto vero».


FINE!




Prima che vi viene un collasso... scherzavoooo :3 ahaha ci siete cascate? u.u Volevo solo vedere che effetto faceva la parola alla fine della storia... wow, ho i brividi!
In effetti, poteva essere un finale perfetto, non vi nascondo che ci ho pensato: direi che è venuto il momento di iniziare a pensare ad un finale ;)
Vi anicipo però che non sarà il prossimo capitolo: ho intenzione di far arrivare la storia a 30 capitoli ù.ù (e nessuno esclude che possano essercene anche degli altri)
Per quanto riguarda questo capitolo, avrei voluto essere più dura con Vanessa, ma non ce l'ho fatta: alla fine ho pensato che non c'è peggior cosa che vedere gli altri "felici senza di me" e quindi... beh, scusate la scena melodrammatica xD
La frase “Puoi chiudere gli occhi alle cose che non vuoi vedere ma non puoi chiudere il cuore alle cose che non vuoi provare" è veramente una citazione di Johnny: oltre ad essere un attore e musicista, è anche un poeta *-*
Direi che ho finito qui: spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi auguro buone vacanze di pasqua.
Non mangiate troppa cioccolata! :3

     
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